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Autore: ManuFury    25/04/2013    2 recensioni
Gears of War II.
Atto 2: Naturalizzati.
Benjamin Carmine... i suoi pensieri, ricordi, paure... gli attimi che l'hanno separato dalla sua prematura morte.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Apro gli occhi lentamente, ma attorno a me è così buio che sembra che non l’abbia fatto.
Per un momento non ricordo che è successo, sento di avere un buco nero nel cervello anche se ai suoi bordi frastagliati e non del tutto inghiottiti nel nero del suo oblio, qualcosa permane… una sensazione di… pericolo.
Giro la testa, da una parte e dell’altra ora che i miei occhi si sono quasi abituati a quest’oscurità da permettermi di intravedere qualche amorfo contorno, allo stesso tempo mi arrivano i primi stimoli del corpo: avverte qualcosa di bagnato, di viscido e anche spugnoso, come se fossi coricato sulla lingua di un gigante.
Rabbrividisco schifato all’idea e mi alzo di scatto, scuotendo il buco nero che ho nella mente tanto forte da farlo vacillare, sul punto di chiudersi, permettendomi di accedere di nuovo ai miei ricordi ancora troppo confusi perché possa capirli, come tante fotografie sparse a caso sul pavimento. Un enorme gocciolone di fetida bava cola dall’alto su una mia spalla, insinuandosi sotto l’armatura COG e in una frazione di secondo con orrore riordino quelle fotografie che non sembravano avere senso!
Le Locuste ci avevano circondato all’interno di un edificio abbattuto nel quale ci eravamo diretti per salvare alcuni nostri compagni. Eravamo in minoranza e stavamo per essere sopraffatti, quei mostri continuavano ad arrivare da ogni dove, all’infinito. Credevo che fosse le nostra fine, ma l’intervento del King Raven chiamato in nostro aiuto dal Sergente Fenix ci aveva salvato la vita, spazzando via in un niente tutte le Locuste e ci aveva tratto in salvo. O almeno, così sembrava. Ricordo chiaramente il frastuono dovuto all’emersione di quell’enorme Verme di Pietra, protratto verso di noi come una molla carica. Ricordo lo scossone dato all’elicottero quando i detriti della città ci erano piovuti addosso, il fondo del mezzo che prima s’inclinava e poi mancava da sotto i miei piedi… subito dopo il vuoto e l’aria che mi frustava l’elmetto dell’armatura.
Per ultimo era arrivo il buio.
Sento il fiato mancarmi mentre ricordo e gli occhi farsi lucidi di lacrime di panico e disperazione. Le gambe mi tremano, sono molli, come se anche loro fossero sul punto di cedere, di abbandonarmi.
Una scintilla di lucidità e speranza riporta una debole fiamma di luce nelle tenebre del terrore che hanno avvolto il mio cervello terrorizzato. Posso ancora farcela, ce la posso ancora fare a uscire da qui, in fondo sono addestrato e sono stato addestrato dal migliore. Mi ripeto per darmi il coraggio che mi serve, per tentare almeno di mantenere i nervi saldi!
Funziona meglio di quanto pensassi e mi ritrovo a imbracciare il Lancer, notando, però, subito che c’è qualcosa di strano… è al contrario!
Chiudo un momento gli occhi e prendo un lunghissimo respiro, per calmare il mio tremore e buttare giù il groppo che mi blocca la gola. Con momenti lenti, impugno correttamente il fucile. Clay me l’ha sempre detto che non ero portato per la guerra, anche da piccoli erano un totale incapace con le armi giocattolo. Eppure… eppure eccomi qui, con l’armatura COG addosso, con un Lancer che non è un giocattolo, completamente da solo, abbandonato nel posto peggiore del mondo!
Prendo di nuovo fiato, appoggiando l’arma contro la spalla. Riapro gli occhi, in questo silenzio tanto innaturale che persino il mio respiro veloce sembra amplificato.
Muovo un passo in avanti, titubante, ma cerco di scacciare in fretta ogni tentennamento. Non me lo posso permettere: il ricordo di Clay mi riporta alla mente anche quello di Anthony, il mio fratellone dalla mira imbattibile, quello che m’insegnava come regolare il mio respiro mentre miravo per colpire le vecchie bottiglie vuote di vetro disposte in ordinate file dietro casa con i sassi. Mi viene in mente anche la mamma: i suoi occhi azzurri gonfi di lacrime alla notizia che il nostro Anthony non sarebbe mai più tornato, che non le avrebbe mai più baciato le guancie, che non avrebbe mai più fatto a braccio di ferro con me, allentando i muscoli per farmi vincere.
NO!
Non posso darle anch’io un dispiacere del genere, devo uscire vivo da qui!
Devo essere coraggioso: come Clay… come Anthony… come papà.
Tutti questi pensieri mi danno la forza per procedere, con meno esitazione.
Con il Lancer puntato davanti a me avanzo, guardandomi attorno di tanto in tanto, cercando di non abbassare mai la guardia, cercando con gli occhi possibili ripari, come mi è stato insegnato.
Il tempo sembra fermarsi in quest’oblio nero e uniforme. Non so da quanti minuti od ore sto camminando, in effetti, mi sembra da una vita, ma all’improvviso, in questo buio amorfo e bavoso noto una lucina lontana.
“Sergente Fenix…?” Domando a fior di labbra, avanzando ancora.
La luce si fa appena più intensa permettendomi di scorgere delle macerie in parte masticate sparse qua e là su una superficie spugnosa e rosata che adesso so essere quasi certamente una lingua. E ancora quella luce si fa più forte, devo essere loro, i Delta: probabilmente il Verme ha ingoiato anche l’elicottero, ma… ma almeno so di non essere da solo in questo posto da incubo!
Sento di avere le lacrime agli occhi mentre li chiamo con più forza, quella scintilla che avevo in testa, alimentata dalla speranza, è diventata un incendio!
Sì, ce la posso veramente fare ad uscire di qui!
“RAGAZZI!” Questa volta urlo, aumentando il passo, fino quasi a correre!
Supero un piccolo budello viscido e finalmente mi ritrovo vicino alla luce, ma la mia felicità muore di colpo: non sono i Delta. Davanti a me si apre una grandissima sacca mucillaginosa di un rossiccio intenso, escrescenze carnose formano piccoli budelli coperti da sottili aghi neri dalle punte luminescenti. Ma è vuota, completamente vuota!
Abbasso il fucile, mi sento sconfitto e tremendamente solo. La mia speranza vacilla mentre chino in avanti il capo, quasi singhiozzando.
Con la mano libera, afferro le mie piastrine e me le sfilo dal collo, reggendole saldamente tra le dita. Ho perso, ho perso su tutti i fronti. Non tornerò mai più a casa, non rivedrò mai più la mamma, non scherzerò più con Clay, né con gli altri fratelli. Morirò qui, solo come un cane… esattamente come è morto papà.
Sto per singhiozzare ancora quando un rumore mi blocca i lamenti in gola, facendomi alzare di colpo il viso e il Lancer!
Vedo delle vescicole formarsi su quelle pareti carnose e bagnate… sembrano delle bolle.
Campanelli d’allarme suonano in tutto il mio corpo, ad indicarmi un pericolo imminente. Devo sparare e devo farlo subito, ma il mio indice esita sul grilletto del fucile e quella è la mia fine!
È un attimo: le vescicole esplodono una dopo l’altra riversando tutt’attorno materiale organico liquido. Dai piccoli buchi che si sono formati, escono di fretta decine di mostriciattoli: mi ricordano molto degli insetti per via delle loro molte zampette viscide e per i loro suoni acuti. Quegli esseri sembrano avere meno esitazione di me, tanto che subito mi puntano!
Lascio cadere le piastrine per portare tutte e due le mani al Lancer, iniziando solo allora a sparare, cercando di ucciderli, urlando per la paura mentre indietreggio. I muscoli, però, non vogliono collaborare, li sento rigidi, come se fossero coperti di cemento o servissero solo come abbellimento.
Qualche colpo va a segno, facendo esplodere quei mostriciattoli, ma la maggior parte no, purtroppo per me.
In pochi secondi, quegli esserini mi sono addosso e mi sento come travolgere da un fiume in piena!
Uno mi morde a una gamba, facendomi cadere a terra con un urlo di dolore. Al contrario di quelli, che esultano con i loro acuti richiami, saltandomi addosso, mordendomi, trascinandomi verso quegli aghi luminescenti.
Avverto le lacrime bagnarmi la pelle da sotto l’elmetto.
Ho fallito: qui come in ogni altra cosa che ho fatto!
Questa è la mia fine: il dolore è forte e in tutto il corpo, indescrivibile per quanto è inteso e premonitore. E le mie urla sono energiche, tanto che non mi accorgo subito che, non sono più solo, i Delta sono arrivati.
Ma un po’ troppo tardi… almeno per me…
Peccato sarebbe bastato qualche minuto appena.
Qualche minuto… appena…
Così…
Da…
Non…
Dire…

 

ADDIO, BEN…

 
 

***

 
HOLA! ^_^
Va bene, va bene… sono una sentimentale…
Ma chi di voi esseri senza cuore non si è commosso a vedere quello scricchiolo di Ben mentre moriva alzi una mano? *tutti i presenti alzano la mano!*

Va bene… ribadisco, siete senza cuore! T_T
A parte questo breve sclero… che ne pensate della Fic?
Ho voluto mettermi nei panni di Ben e vivere con lui gli ultimi istanti della sua giovane vita, abbandonato da solo all’interno del Verme di Pietra. Spero solo di averlo reso bene.
Fatemi sapere, ok? ^_^
Ci si sente alla prossima, gente.
Grazie in anticipo a tutti quelli che stanno per recensire e a tutti quelli che leggono di nascosto senza volersi esprimere.
Ci si becca presto, bella gente!
ByeBye,
 
ManuFury! ^_^

 
  
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