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Autore: Layla    25/04/2013    1 recensioni
“Le cose vanno di merda a tutti, vedo, ma ho una soluzione.”
Io alzo un sopracciglio e bevo un bicchierino di whisky.
“Prego?”
“Una soluzione. Non fare la stronza gelida che con me non attacca!
Ho intenzione di restituire loro pan per focaccia per ricondurli alla ragione o meglio ricondurre Mark alla ragione, questa volta io da Jen ci divorzio venisse pure Cristo a dirmi di non farlo.”
“Qual è, Tom?”
“Io e te fingeremo di stare insieme, ci faremo paparazzare da qualche fotografo e porteremo avanti questa commedia fino a che qualcuno dei due si farà vivo.”

Tom/Skye.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Mark Hoppus, Tom DeLonge
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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1)Sick little games

Nella vita ci sono periodi duri, anche se sei la moglie di una celebrità.

Sono duri soprattutto se tuo marito ha abbandonato te e vostro figlio per la moglie – sgualdrina – del suo migliore amico e che tu non sopporti.

Sono momenti in cui ti illudi che siano un sogno, uno di quelli lunghi e realistici, ma poi ti tocca venire a patti con la realtà.

La mia realtà – quella di Skye Hoppus – è la parte di letto accanto alla mia vuota, come ogni mattina allungo la mano e ricevo la solita doccia gelata: Mark non c’è.

Mark è da Jennifer.

Me l’ha annunciato una settimana fa con una faccia contrita che all’inizio non mi aveva fatto pensare minimamente al tradimento. Pensavo che avesse finito uno dei miei smalti senza dirmelo, che si fosse comprato l’ennesima action figure dei Simpson con i soldi delle bollette.

Cose così.

Cose di routine se vivi con un eterno bambino come Mark Hoppus.

MI sono sbagliata, con quella faccia ha sganciato la bomba che ha fatto in pezzi la mia vita.

“Skye, mi sono innamorato di Jen. Torno a San Diego per vivere con lei, tu puoi tenerti la casa a Londra.”

Non sono riuscita a dire una parola, nemmeno quando se ne è andato con le sue valigie.

Solo dopo mi sono svegliata dal mio torpore e ho cominciato a fare a pezzi la mia collezione di candele e la sua di action figure. Ho spaccato il suo mitico basso rosa – che aveva lasciato qui – e ho lanciato i pezzi dalla finestra.

Poi ho cominciato a lanciare bassi interi fino a che il campanello non ha suonato e sulla soglia del mio appartamento si è presentato un gentile poliziotto di quartiere che con garbo mi ha invitato a smetterla, visto che mettevo a rischio la viabilità pedonale e la vita stessa di qualche innocente.

Si è dimostrato gentile e comprensivo sul motivo, ma irremovibile: o avrei smesso o sarebbe stato costretto ad arrestarmi.

Ho scelto di smettere.

Questo è quello che mi rimanda il mio cervello prima che la sveglia suoni. Da quando Mark se ne è andato, io – dormigliona cronica – non riesco più a dormire.

La sveglia suona e la porta della mia camera matrimoniale si spalanca in contemporanea: è Jack che si butta sul letto  senza grazia.

“Mamma, posso stare a casa da scuola?”

“Perché? Non stai bene?”

“No, sono stanco che gli altri mi prendano in giro.”

Io prendo il suo piccolo volto tra le mani e mi ritrovo a fissare due occhi azzurri come quelli di Mark.

“LO so che fa male, ma non devi dare loro la soddisfazione di sapere che ti fanno stare mare.

Vai a scuola e prosegui il tuo cammino a testa alta, sii fiero di te stesso. Tu sei superiore a loro.”

Bel discorso, peccato che venga da una che si è presa un mese di ferie da Mtv solo per non sentire i commenti dei colleghi e le frecciatine acide delle colleghe.

I blink non sono più sulla cresta dell’onda come band, ma ai tabloid non è sfuggito questo inciucio e visto che il principe Harry sembra stranamente tranquillo si sono buttati come iene su questo tradimento.

Un paio di giorni si sono persino appostati sotto casa mia, la prima volta ho chiamato la polizia, al terzo giorno vedendo che non capivano la lezione in modo civile ho cominciato a lanciare roba dalla finestra e se ne sono andati per non tornare mai più.

Ovviamente sono diventata la cornuta inconsolabile e con qualche problema di nervi, ma preferisco questo al vivere sotto assedio a casa mia.

Jack – visto che non riesce a strapparmi quello che vuole – se ne va e lo sento prepararsi, in cucina ha una faccia mesta: quella del martire che deve salire nell’arena per combattere contro i leoni.

Io mi preparo e lo accompagno a scuola, gli do un bacio quando scende dalla macchina e poi parto sgommando: di solito prendevo un caffè con le mamme dei compagni di classe di Jack prima di andare al lavoro, ma ora non ho voglia di continuare questa abitudine.

Adesso mi avventuro nei sobborghi pakistani e faccio colazione lì, tra lo sconcerto dei locali che non vedono spesso una bianca dalle loro parti.

Oggi, mentre faccio colazione, una donna trova finalmente il coraggio di sedersi al mio tavolo.

“Cosa ci fa una signora come te, qui?”

Mi chiede in un inglese stentato.

“Perché qui nessuno mi chiede come ci si sente a vedere il proprio marito  fare il compagno premuroso della moglie del suo migliore amico.”

La donna sorride.

“Passerà, tornano tutti prima o poi.”

Io vorrei condividere la sua certezza, non posso perché conosco esattamente che tipo sia Jennifer Jenkins: una finta timida che conquista tutti con i suoi occhio da cerbiatto di merda e poi li mette ai suoi ordini come tanti burattini.

L’ho vista fare per anni questo gioco con Tom, lui l’ama veramente, lei invece vive tranquilla nel suo amore cercando di sedurre sempre qualcuno, certa che mai lui la scoprirà e lascerà.

Ho il sospetto che con Mark abbia fatto un passo falso, quando e se tornerà da Tom non so se lo troverà disposto al perdono. Tende a essere uno zerbino, ma quando è troppo è troppo ed è un tipo che sa essere vendicativo.

Fossi in Jen non dormirei sonni tranquilli, ma se fossi stata quella vacca non mi sarei presa il migliore amico di mio marito, solo per un capriccio.
Mark, da buon romantico, crede che sia amore da parte di lei, invece è solo un piccolo capriccio che si è presa e uno sgambetto che ha voluto fare a me visto che non mi sopporta.

Io ai suoi occhioni non ho mai creduto, forse è per questo che non andiamo d’accordo.

Non ho mai sopportato le persone false e maledicendola esco dal bar salutando il proprietario del bar e la donna che mi ha parlato.

Entro in macchina e mi immetto nel traffico massiccio verso la city sentendo un cd misto che ho fatto un po’ di tempo fa e quando arriva “Happy holiday you bastard” canto con un particolare energia – al limite della crisi di nervi – il ritornello.

“And I hate, hate, hate your guts,
I hate, hate, hate your guts,
And I'll never talk to you again,
unless your dad will suck me off
I'll never talk to you again
unless your mom will touch my cock
I'll never talk to you again”

Sì, odio da morire la faccia tosta di quella stronza e anche se riavrò Mark mi ingegnerò a renderle la vita un inferno e sicuramente non le parlerò mai più.

“Muori, puttana!”

Urlo a un semaforo poco lontano da casa mia, abbassando il finestrino.

Arrivata sotto il mio appartamento parcheggio e dopo aver tirato fuori la borsa e il pane apro il portone e salgo a piedi le scale.

Ho una vaga sensazione di catastrofe imminente, come se qualcosa di strano o spiacevole dovesse succedere di lì a poco, ma non gli do troppo peso. Ultimamente ho quasi sempre questa sensazione.

Tiro fuori le chiavi per aprire la porta e la trovo già aperta.

Il mio cuore salta un battito, e se…?

Mi lancio dentro il mio appartamento aspettandomi di trovare un Mark contrito, che si scusa e mi giura amore eterno, Lo lascerei sulla corda per un po’ e lo perdonerei, eccome se lo perdonerei!

La figura che siede sul mio divano però non è Mark, è almeno dieci centimetri più alta di lui e imprigionata in jeans scuri e stretti e in un giubbotto di pelle: Tom DeLonge.

Il sacchetto del pane mi cade di mano insieme alle chiave, che producono un rumore metallico alla caduta che suona come lo scoppio di una granata dentro la mia testa.

Cosa ci fa qui?

È l’ultima persona che mi aspettavo di vedere, non mi sarei sorpresa così tanto se avessi trovato Gandalf nel mio salotto a chiedermi se volevo diventare parte della compagnia dell’anello.

“T-Tom?”

“MI chiamo così, ciao Skye.”

“Cosa ci fai qui?”

Ansimo io, sconvolta, andandomi a sedere su una poltrona del salotto.

Inizio a odiare questo salotto con i divani bianchi, il pavimento bianco e tutto questo metallo, la luce fredda della mattinata londinese lo fa sembrare più parte di un ospedale che di una casa.

“Credo che io e te abbiamo un problema in comune che vada risolto, non credi?”

“Tom, per carità di Dio, vammi a prendere un whisky!”

Lui si alza dal divano, apre qualche anta a caso finche non vede il mobile bar con i liquori e mi porta del whisky e un bicchiere.

Io tracanno una lunga sorsata direttamente dalla bottiglia, come le alcolizzate.

“Ok, ora puoi parlare!”

“Dio mio, Skye! Una sorsata del genere a nemmeno metà mattina, devi essere messa male!”

“Parla quello con gli occhi rossi come ai vecchi tempi, quante canne ti sei fatto Tom prima di partire per Londra?”

Lui abbassa gli occhi.

“Le cose vanno di merda a tutti, vedo, ma ho una soluzione.”

Io alzo un sopracciglio e bevo un bicchierino di whisky.

“Prego?”

“Una soluzione. Non fare la stronza gelida che con me non attacca!

Ho intenzione di restituire loro pan per focaccia per ricondurli alla ragione o meglio ricondurre Mark alla ragione, questa volta io da Jen ci divorzio venisse pure Cristo a dirmi di non farlo.”

“Qual è, Tom?”

“Io e te fingeremo di stare insieme, ci faremo paparazzare da qualche fotografo e porteremo avanti questa commedia fino a che qualcuno dei due si farà vivo.”

Io lo guardo sconvolta.

“Tom ti ricordo che tu hai due figli e io uno. Come gliela spieghiamo questa trovata da liceali?”

“Dicendo loro la verità.”

“Sei matto, DeLonge. Troppi alieni o troppe canne ti hanno bruciato il cervello!”

Lui ride e comincia a passeggiare nervoso nel mio salotto.

“Hai un’idea migliore, Skye?

Sei riuscita almeno a parlare a Mark da quando lui è a San Diego?”

“No, Jen non gli passa le telefonate o le interrompe quando becco lui.”

“Ecco, non riuscirai mai a parlare a tuo marito e a farlo ragionare, serve una terapia d’urto.

Jen è orgogliosa, serve qualcosa che la colpisca nell’orgoglio, la faccia agire e allentare la presa su Mark.”

“Parli come un fine stratega, Tom. Una volta eri la testa calda del gruppo.”

“Qualche anno di matrimonio con Jen mi ha cambiato, conosco quella donna e so batterla, questa volta ho intenzione di ripagarle con gli interessi tutte le corna che mi ha messo e di cui crede che io non sappia nulla.

Io so, Skye e lei non sai che so.

Ora mi diverto io.

Ci stai?”

Io mi rigirò il bicchiere tra le mani e osservo il movimento del liquido ambrato e soppeso i pro i contro di questa idea folle. Jack non la prenderà bene – garantito al limone – odia essere al centro dell’attenzione dei suoi compagni ed essere oggetto di chiacchiere.

Protesterà di sicuro, però se davvero Jen allentasse la presa su Mark io potrei parlarci e ricondurlo alla ragione o sedurlo se mi concederà un appuntamento.

Diamine, le prime volte che ci vedevamo mi trattava come una dea, era totalmente incredulo per il fatto che una ragazza bella e spiritosa si interessasse a un buffone come lui.

Dove è finito quel ragazzo?

Quello che mi copriva di attenzioni, come un gentiluomo di altri tempi, e mi trattava davvero da principessa?

Deve esserci ancora da qualche parte e io devo entrare in contatto con lui. Urgentemente.

Che altro posso fare per togliere di mezzo Jen, considerato che omicidio e rapimento sono illegali?

L’idea di Tom – per quanto stupida e infantile mi sembri – è l’unica che mi rimane.

“Ok, Tom.

Dove sono i tuoi figli?”

“Dormono nella camera degli ospiti, erano abbastanza stanchi.”

“Sanno qualcosa del tuo piano?”

“Ava, è troppo intelligente quella ragazza. Ha detto che è un buon piano, ma che rischia di ritorcersi contro di me.”

“Sono incredula, Tom! Hai cresciuto una piccola Machiavelli.”

Lui ride.

“Sono un buon padre. Posso essere un pessimo compagno di band, pessimo marito, pessimo amico, ma ci tengo a essere un buon padre.”

Io sorrido.

“Sei un bravo ragazzo. Tu dove dormirai?”

Lui mi guarda con il suo famoso ghigno.

“In camera tua, nel tuo letto, honey!”

“Sta bene, ma se allunghi le zampine te le cionco, DeLonge, anche se è con quelle che lavori.”

Lui ride e si stende sul divano, ha un’aria stanca.

“Hey, è vero che hai distrutto i bassi di Mark? Anche il mitico basso rosa?”

Io annuisco.

“Verissimo, li ho lanciati dalla finestra fino a che il ghisa di quartiere mi ha detto di smetterla se non volevo essere arrestata per disturbo alla quiete pubblica e probabile omicidio preterintenzionale.”

“Hai un’anima punk, ragazza.

Io ho dato fuoco al mio letto e alle cose della troia.”

“Hai fatto bene, avresti potuto prenderti l’aids toccandoli.”

Lui annuisce e si tira a sedere. Io lo guardo curiosa, da una tasca del giubbotto tira fuori un pacchetto di Marlboro e un pezzo di fumo. Apre meticolosamente la sigaretta, fa scaldare un po’ il fumo e poi mischia erba e tabacco in una cartina.

Chiude tutto mettendoci il filtro: la sua canna è pronta.

La accende e fa un lungo tiro, è completamente rilassato. Un uomo di trentasei seduto a gambe larghe e con la testa appoggiata al divano fa molto di adolescenza ritardata.

“Vuoi un tiro?

A me fa dormire e tu hai due occhiate che arrivano fino a terra.”

Io la accetto e aspiro: il sapore è gradevole, ma leggermente acre, quasi migliore delle sigarette che ogni tanto rubo a Mark.

“Uhmm.”

“Buona, eh? Mi sembra di tornare a quando i blink erano l’unica cos che contasse nella mia vita.”

“A me sembra di tornare al college, avevo una compagna di stanza vegetariana e con i dread, la tipica alternativa si stocazzo e ce ne fumavamo un po’ allora.”

Gli ripasso la canna.

Tiro dopo tiro la canna finisce, Tom butta via i resti mentre le mie palpebre si fanno pesanti e gli occhi si chiudono da soli.

Dopo giorni di insonnia finalmente dormo.

 

Vengo svegliata dal rumore di urla acute e prolungate.

Chi diavolo stanno uccidendo?

Mi alzo molto rintronata e mi accorgo che è Jack a urlare e sta insultando Tom in ogni possibile modo.

“Ehi ehi, che succede?”

“Che succede lo chiedo io a te!”

Mi fa con una cattiveria insolita per il bambino calmo ed educato che è.

Questo agisce come una frustata e mi sveglia del tutto.

“Jack, mi spieghi cosa c’è?”

“No, tu mi devi spiegare cosa c’è.

Cosa ci fa lui qui? E cosa significa il fatto che vuole fingere di stare con te?

Io non ho bisogno di un nuovo papà, mi basta il mio e poi io devo sposare Ava e se lui diventa il mio papà non posso sposarla.

Non lo voglio!”

Detto questo si rifugia in camera sbattendo la porta.

“Che significa che deve sposare mia figlia?”

Mi chiede interdetto Tom.

“Non ne ho idea, adesso  vado a parlargli.”

Lascio Tom in salotto a chiedersi per quale oscuro motivo il mio unico figlio voglia diventare suo genero per vedermela con Jack.

Lui sta piangendo sul letto abbracciato al cuscino, una scena che mi stringe il cuore.

Mi siedo accanto a lui che si allontana, come se non gradisse il contatto con me.

“Jack…”

“Non lo voglio un nuovo papà.”

“Tom non lo sarà, farà solo finta, così il tuo papà torna da noi.

Non rivuoi il papà?”

Lui si asciuga le lacrime con una manica.

“Certo che lo rivoglio!

Ma se lui non torna? E se tu ti innamori di quello?”

IO gli scompiglio la zazzera, pensando che i bambini hanno tanta fantasia.

“Non succederà.

Cosa significa che vuoi sposare Ava?”

Mi guarda come se fossi diventata scema all’improvviso e lui non se l’aspettasse.

“Ma l’hai vista???”

Ho perfettamente presente l’immagine di una bambina dai lunghi capelli castani che somiglia in modo incredibile a Tom, occhioni nocciola compresi.

“Sì.”

“Non vedi quanto è bella e forte?

Fa skate, suona la chitarra come me e non è piagnona come tutte le femmine, le  piace anche il punk.

IO me la sposo e non sarà certo Tom ad impedirmelo! Quando sarò grande la porterò in quella chiesa gigantesca che c’è a Parigi, quella con i vetri colorati e me la sposo!”

La faccia di Jack è uguale a quella di Mark quando si mette in testa qualcosa, non avrà pace fino a che non avrà attuato il suo piano o la cosa avrà perso importanza per lui, meglio non contraddirlo.

“Certo che la sposerai, se lei vuole e Tom non te lo impedirà.

Ce la fai a reggere per un po’ questa sceneggiata per riavere papà?

Anche Ava è qui.”

Al suo nome si illumina, poi la sua faccina si fa pensosa e mi guarda serio.

“Va bene, ma non voglio vedervi baciare in casa.”

“Amore, è solo una finta. Se Tom provasse a baciarmi gli darei un manrovescio di quelli che sai.”

Lui si porta una mano alla guancia con una smorfia sofferente stampata in faccia.

“Ahia.”

“Adesso ti va di venire di là a mangiare?”

Lui si alza poco convinto.

“Sì, ho una fame bestiale.”

Pericolo rientrato, per ora.

Jack mangia tranquillo insieme ad Ava e a Jonas, limitandosi a lanciare solo qualche occhiata scettica a Tom.

Finito il pranzo va a giocare con gli altri e io Tom rimaniamo da soli.

“Beh? Cosa è preso a tuo figlio?”

“Una cotta per Ava.”

“Ava non si deve interessare ai ragazzi ancora per tanto tempo!”

Ringhia lui, stringendo le mani a pugno.

“Sembri un padrino siciliano, Tom!”

“Tuo figlio le deve stare alla larga, hai capito?”

Io mi porto a pochi centimetri da lui e gli punto minacciosamente un indice all’altezza del naso.

“Non ti azzardare a dire qualcosa contro mio figlio, Thomas Matthew DeLonge  Junior o te ne torni a San Diego a calci e fanculo l’accordo!”

Lui mi guarda incredulo per qualche secondo, poi capisce che faccio sul serio e deglutisce: non si aspettava una persona in grado di tenergli testa, probabilmente.

“E tu sembri una madre italiana!”

“Tu non devo toccare mio figlio, hai capito?”

Replico ignorando le sue parole, forse entrambi abbiamo dei discendenti italiani che ignoriamo.

“Ok, Skye, scusa. Ho esagerato.”

“Scuse accettate, ma ricordati quello che ti ho detto.”

“Va bene.”

Il resto del pomeriggio trascorre tranquillamente, Tom suona per un po’, io sbrigo del lavoro al computer e alle tre urlo a Jack di fare i compiti.

Lui si presenta con i quaderni, i libri e l’astuccio e comincia a lavorare in silenzio, non prima di aver scrutato Tom che smette di suonare e si sdraia sul divano.

Il picchiettare delle mie dita sui tasti per scrivere risuona come una scarica di mitra continua nel silenzio pesante della stanza.

A un certo punto Jack  scaraventa via un quaderno nervosamente e poi si alza per raccoglierlo di nuovo, lo sistema alla bell’e meglio e torna a sedersi.

“Che succede?”

Gli chiedo preoccupata.

Lui scuote la testa imbronciato.

“Problemi con matematica.”

Io taccio, con la matematica sono sempre stata una schiappa, era Mark – fitta al cuore – a dargli una mano, ma ora lui non c’è.

Lui è a rotolare nel letto di Jen, dimentico che ha a casa una moglie e un figlio che ha bisogno di lui per giocare e per risolvere i problemi di matematica.

Con la voce più calma che riesco a trovare gli propongo di chiedere aiuto a Tom, lui mi guarda freddo – tale e quale a suo padre quando è arrabbiato – e scuote la testa.

Si rimette a fare i compiti e non cede nemmeno quando è ora di cena. Provo a chiamarlo, ma lui dice che non ha fame e che prima deve finire quei dannati compiti di matematica.

Alle dieci vado in camera sua a vedere come sta e lo trovo addormentato alla scrivania, i compiti non ancora finiti. Sorrido, è testardo come suo padre, e  con delicatezza lo spoglio, gli metto il suo pigiamino blu e lo metto a letto, poi prendo in mano il quaderno e torno in salotto.

Tom sta guardando la tv con i piedi appoggiati sul tavolo.

“La tv inglese fa schifo.”

“Sì, hai ragione. Tom, posso chiederti un favore?

Potresti dare un’occhiata ai compiti di matematica di Jack?

Nonostante la sua testardaggine non li ha finiti.”

Lui mi riserva il suo sorriso storto, ma non prende in mano il quaderno.

“Mi pare che lui non voglia il mio aiuto.”

Io lo fulmino.

“Tom, la testardaggine di un bambino che si ritrova a casa uno sconosciuto e non vuole che sostituisca il padre è comprensibile, la testardaggine di un adulto che fa l’offeso con un decenne per niente.”

Lui sbuffa e prende il mano il quaderno, dopo un’ora di riflessioni li ha finiti.

“Non sono sicuro che siano giusti, ma almeno sono fatti.

Ora so perché il matrimonio tra te e Mark è così ben riuscito.”

Faccio una strana smorfia.

“Era così ben riuscito, mi dimentico sempre di lei. Tu hai un pugno di velluto ed è perfetto per un eterno bambino come Mark.”

“Già.”

Rimaniamo un attimo in silenzio.

“E così chiedi davvero il divorzio da Jen.”

“sì.”

“Non l’avrei mai detto.”

Lui sbuffa.

“Non doveva toccare il mio migliore amico, mio fratello. D’accordo abbiamo litigato, ma lui rimarrà sempre questo per me e lei non doveva intromettersi, ho persino smesso di parlare con Anne per lei, questo è troppo.

Adesso le restituisco tutto con gli interessi, per prima cosa si scorda i bambini, seconda cosa i soldi.”

“Fai bene, quella non merita pietà.”

Mi alzo dal divano.

“Dove vai?”

“A letto.”

“Vengo anche io.”

Lo squadro con un’occhiataccia.

“Tieni a posto le mani o te le taglio, DeLonge, anche se con quelle ci vivi.”

Lui alza le mani in segno di resa e mi segue nella mia camera da letto come un’ombra e a me fa strano che l’uomo dietro di me non sia Mark.

Ormai però ho accettato e devo portare le cose fino in fondo.

Che il piano abbia inizio!

 

   
 
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