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Autore: MadAka    26/04/2013    4 recensioni
[77 Bombay Street]
Non so in quanti qui su EFP conoscano questo gruppo, ma avevo scritto questa storia tempo fa e alla fine ho deciso di pubblicarla ugualmente, chissà...
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"L’ultima porta sulla sinistra del corridoio, al primo piano del numero 77 di Bombay Street"
Genere: Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il numero 77 di Bombay Street.
Era lì che io e la mia famiglia ci eravamo trasferiti alla fine del mese di settembre. “Dobbiamo andare via da questa città” aveva detto mio padre un giorno e così avevamo fatto.
La casa al numero 77 era molto carina, parecchio grande per me, i miei genitori e i miei due fratelli, ma forse piccola per altre famiglie. Era abbandonata da tempo e quando vi entrammo la prima volta, tutto, era solo polvere.
-I vecchi proprietari se ne sono tornati in Svizzera, da quel che so…- disse mio padre mentre apriva le finestre per far entrare aria e luce.
-Svizzera? Non è proprio dietro l’angolo, vero?- ammiccò il mio fratello numero uno dando una gomitata al suo gemello, che sghignazzò per dargli ragione.
Io mi isolai dalla conversazione e andai a dare un’occhiata in giro. Salii le scale raggiungendo il primo piano della villetta e mi avviai lungo il corridoio. Per qualche strano motivo venni attratta dall’ultima porta sulla sinistra, l’unica leggermente illuminata dalla luce che scendeva dalle scale che portavano alla mansarda.
Prima di aprirla diedi uno sguardo alle strane incisioni che qualcuno vi aveva fatto tempo addietro: “Joe” diceva una, “Simri-Ramon stupido” faceva l’altra, a cui era stata sovrapposta una croce nel tentativo di cancellarla. Mi strapparono un sorriso ed entrai in quella stanza, decidendo di trasformarla nella mia futura camera da letto. Per prima cosa mi feci largo fra il parquet impolverato e spalancai le finestre. Era luminosa, luminosissima. Vedendo il paesaggio che si poteva ammirare capii che la stanza era rivolta a ovest e quindi che avrei avuto i tramonti a portata di sguardo ogni singola sera. In più era grande, forse troppo per me, ma non importava in qualche modo l’avrei riempita. Decisi di tornare dal resto della famiglia e di proclamare di mia proprietà quella camera, ma mentre mi avviavo all’uscita pestai qualcosa. Sollevai il piede e afferrai quell’oggettino che, una volta ripulito dallo sporco, riconobbi come un plettro, blu e tutto consumato.
La stanza di un musicista, quella era la stanza di un musicista!
Non avrei potuto chiedere di meglio. Chissà quante melodie erano state composte fra quelle mura, magari guardando il tramonto. La mia intera vita ruotava attorno alla musica e quella situazione rappresentava molto più di una semplice coincidenza. Mi guardai meglio intorno nella speranza di trovare altre tracce del passato musicale di quel posto, ma tutto ciò che mi rimaneva da fare era frugare sotto l’unico mobile presente nella stanza e coperto da un lungo telo di plastica.
Appoggiai le mani a terra, fra la polvere, e vi guardai sotto. Probabilmente la fortuna mi assistette perché trovai quello che appariva come un foglio di carta, leggermente stropicciato. Feci il possibile per afferrarlo e quando l’ebbi in mano lo trovai fragile, come se potesse spezzarsi da un momento all’altro. Cercai di ripulirlo, o almeno di renderlo meno sudicio, e lentamente scritte nere mi comparvero davanti agli occhi:
 
Up in the sky, there is a village 
And the people there are blue, I believe it's true 
Up in the sky, people are happy 
They love to sing and there is no need for a king

 
Erano parole di una canzone, un’incredibile canzone.
 
Up in the sky, nothing is insane 
Like a rocket driven plane you can fly above the rain 
Up in the sky, you just feel fine 
There is no running out of time and you never cross a line 

 
Per qualche motivo, inspiegabile, quelle parole risuonarono nella mia mente…
 
I never want to die 
I wanna live in the sky
 
 
come se le conoscessi da tutta una vita.
 
Up in the sky, you can fly 
You will make it if you try 
In the sky you are far away
 

Immagini  fantastiche mi si dipinsero nelle testa, piene di luci, di colori. Immagini che quasi mi pareva di vedere lì, davanti a me.
 
Up in the sky, there's no religion 
There are no cars and no phones and you can't not be controlled 
Up in the sky, you just feel fine 
There is no money making crime but a lot of good wine

 
Quella canzone mi entrò rapidamente dentro, nel cuore e nell’anima.
Mi scoprii a sorridere seduta sul parquet polveroso, mentre il mio sguardo percorreva quelle parole che sembravano scritte da quattro mani differenti, ma dotate della stessa libertà di spirito.
 
I'm going to the blue
 
Terminò così e sotto trovai le firme dei suoi autori: Matt, Joe, Esra, Simri-Ramon.
Fui riportata alla realtà pochi istanti dopo:
-Mia!- urlò il mio fratello numero due
-Ecco dov’eri scomparsa!- completò il suo gemello, lanciando un’occhiata nella stanza in cui erano prepotentemente entrati.
Prima che potessero dire qualsiasi cosa mi alzai di scatto, strinsi il foglio al petto ed esclamai:
-Questa camera è mia!-
E divenne mia. L’ultima porta sulla sinistra del corridoio, al primo piano del numero 77 di Bombay Street.  
  
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