Anime & Manga > D.Gray Man
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Autore: B Rabbit    26/04/2013    1 recensioni
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«Allen»
Il bambino, udito il proprio nome, guardò l’uomo, socchiudendo appena gli occhi a causa delle giravolte.
«Ti voglio bene»
E muovendo vagamente le labbra, incapaci di proferir parola, arrossì di più, aggrottando all’insù le lievi sopracciglia marroni.
L’adulto rise e strinse a sé il bimbo sconvolto, sorreggendolo con il braccio destro.
«Ti voglio bene, Allen»
Il fanciullo posò il mento sulla spalla dell’uomo e, cingendogli imbarazzato il collo, alzò gli occhi al cielo bianco e opaco.
«Ricordalo sempre»
« Hm… »
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E sporgendosi di più dal muro di mattoni, scrutò assorto l’intima scena racchiusa nel cortile della vecchia chiesa, l’occhio dalle vivaci sfumature verdi del tutto prigioniero della figura del bambino.
[...]
Genere: Fluff, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allen Walker, Mana Walker, Rabi/Lavi
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Our remembrances
Abandoned or forgotten –



Da oggi comincerai il tuo apprendistato per diventare il futuro Bookman

Preparati, Ace




Mugugnò appena, corrucciando le sottili sopracciglia castane ed assottigliando gli occhi vispi e lucenti.
Si scostò dal visino una ciocca bruna di capelli, completamente assorto dall’indovinello, imprigionandola dietro la conchiglia dell’orecchio.
«Vuoi che ti dia un aiuto, Allen?»
L’uomo sorrise amabile, chinando appena il capo di lato, ma il bambino assottigliò le labbra, scuotendo la testa – e così la chioma – in cenno di negazione.
«Non voglio!!»
E ritornando a fissare la neve bianca tempestata da miriadi di segni, linee e pallini, si picchiettò con la punta del rametto la bocca socchiusa, concentrandosi maggiormente.
L’uomo sorrise ancora, contemplando con gli occhi stanchi l’esile figura del bambino che, indispettito, cercava di trovare nel tumulto della propria mente la risposta a quell’infantile gioco inventato insieme.
Sbatté le palpebre meravigliato, osservando in silenzio la gioia dipingersi sul viso del fanciullo, increspandogli le labbra chiare in un allegro sorriso.
Ed armandosi del suo fedele legnetto, il piccolo tracciò nel candore passeggero varie curve e segmenti, guardando poi l’adulto con fierezza, teneramente addolcita dal rossore sul naso provocato dal freddo.
«Ho finito Mana!!»
L’uomo scrutò con severità la soluzione e, mentre lo sguardo balzava su ogni simbolo e segno, posò l’indice socchiuso sul mento, pizzicandosi la pelle con la barba sottile e ispida.
Allen si rialzò da terra aiutandosi con le mani e guardò con impazienza l’adulto, tormentando con le piccole dita un lembo del vestitino a quadri.
«Vediamo…»
Mana alzò il viso, e lasciando cader via la rigidità dal proprio volto, come una maschera di porcellana, rise e batté estasiato le mani, infrangendo l’ assenza di rumori con l’eco profondo dei colpi.
«Sei stato bravissimo, le mie congratulazioni»
Ed allungando il braccio destro, posò la mano sulla testa del bimbo, intrecciando fra le dita guantate i morbidi capelli castani, regalando così al piccolo dolci carezze.
«E’… è stato facile…»
Il decenne arrossì vistosamente ed abbassò piano il viso, accettando con un pizzico di infantile orgoglio i tocchi cortesi dell’uomo.
«E’ il tuo turno ora, vero Allen?»
Il fanciullo annuì con un cenno del capo, senza però alzare la testa, e giocherellando con la stoffa dell’abito, incominciò a pensare, sperando di trovare una parola capace di ostacolare la riuscita dell’avversario.
“Padre”…
«Allen?»
Il bambino si chinò improvvisamente, avvicinando le ginocchia tra loro e posando il petto sulle gambe flesse.
«E’ successo per caso qualcosa?»
Ma il piccolo scrollò velocemente la testa, celando dietro i fili castani della frangia il visino imporporato.
Cosa pensi ora!?
Si morse appena il labbro inferiore, cercando di tranquillizzare con respiri regolari il battito incontrollato del proprio cuore, ma quando avvertì una stretta delicata cingergli il busto, sgranò gli occhi, trovandosi inaspettatamente in aria.
Sorrise, Mana, guardando con un’espressione serena il volto disorientato del piccolo, e tenendolo ben saldo senza fargli male, eseguì delle piroette sul posto, facendo volteggiare il fanciullo nell’aria gelida d’inverno.
«Allen»
Il bambino, udito il proprio nome, guardò l’uomo, socchiudendo appena gli occhi a causa delle giravolte.
«Ti voglio bene»
E muovendo vagamente le labbra, incapaci di proferir parola, arrossì di più, aggrottando all’insù le lievi sopracciglia marroni.
L’adulto rise e strinse a sé il bimbo sconvolto, sorreggendolo con il braccio destro.
«Ti voglio bene, Allen»
Il fanciullo posò il mento sulla spalla dell’uomo e, cingendogli imbarazzato il collo, alzò gli occhi al cielo bianco e opaco.
«Ricordalo sempre»

« Hm… »





E sporgendosi di più dal muro di mattoni, scrutò assorto l’intima scena racchiusa nel cortile della vecchia chiesa, l’occhio dalle vivaci sfumature verdi del tutto prigioniero della figura del bambino.
«Aspettami qui, Ace»
Il dodicenne annuì distaccato, e sospirando, alzò lo sguardo, contemplando i deboli fiocchi di neve cadere lentamente dal cielo.



«Allen…»
L’abbraccio di Mana sfiorì lentamente, e scostando il bimbo dal petto senza però lasciarlo, l’adulto sorrise, inarcando debolmente un angolo della bocca.
«Perché… non vai a giocare un po’ con la neve? Oggi cambieremo città, ricordi?»
Il piccolo annuì piano, guardando con stupore il lieve turbamento nato sul volto dell’uomo.
E percependo nuovamente la fragile neve sbriciolarsi sotto le suole, restaurando così il contatto perso con la terra, Allen guardò un ultima volta l’uomo per poi allontanarsi da lui, dirigendosi verso l’unico albero, che con la sua maestosa grandezza regnava nel cortile della vecchia ed abbandonata costruzione.
Si fermò vicino al gigantesco tronco, tempestato da piccole macchie chiare che rischiaravano la corteccia dura e scura.
Alzò gli occhi, e con meraviglia, osservò le lunghe propaggini diramarsi verso l’alto, catturando sulla propria superficie lignea alcuni fiocchi di neve a mezz’aria.
Notò alcuni frutti pendere dai rami, e curioso di tastarne la consistenza e scoprirne l’odore, indietreggiò appena ed incominciò energicamente a saltare, illudendosi di riuscire solamente a sfiorare la buccia, liscia o crespa.
Ma sbuffò innervosito e pensò che, se presa una giusta rincorsa, sarebbe riuscito a conquistare uno di quei trofei color arancio scuro.
E allora, persuadendosi dell’efficacia del piano, guardò i frutti con arroganza, ma appena arretrò per dar inizio all’impresa, sbatté forte contro qualcosa, cadendo così a terra.
Ma che…?
«Ehi, sta’ attento!»
Il piccolo sgranò appena gli occhi e ruotò il capo, sorpreso.
«Perché stavi camminando all’indietro!?»
Ma Allen non rispose, scrutando lo strano bambino con una bizzarra benda nera, sprofondato in mezzo alla neve a causa dello scontro.
Ammirò stupefatto i suoi capelli color rame scuro, il visino leggermente rosso a causa del freddo e, soprattutto, l’occhio sinistro, quella gemma verde così limpida da potervi specchiare chiaramente come se fatta d’acqua cristallina.
«Ehi, mi senti!?»
Allen abbassò lo sguardo e, dandosi una spinta con le mani, si alzò, rimuovendo la neve gelida dai vestiti prima che si bagnassero.
«Allora?»
Il decenne assottigliò la bocca, premendo forte le labbra, ed alzò il viso, lasciandosi catturare dall’iride smeraldina e dal turbamento che da essa nasceva.
«Volevo solo… prendere qualche frutto»
Il fulvo sbatté le palpebre stupito, posando poi lo sguardo sui rami dell’albero. «Oh… il platano è una pianta molto alta, però…»
E portandosi le braccia all’indietro, intrecciando le dita delle mani sulla nuca, sorrise bonario, suscitando un lieve imbarazzo nel cuore del bimbo appena incontrato.
«Se vuoi ne prendo uno!»
Allen strabuzzò gli occhi, mentre quella leggera sensazione di oppressione al petto si scioglieva, lasciando il posto all’incredulità mista ad irritazione.
«E’ impossibile!»
Ma l’altro sorrise ancora, avvicinandosi al tronco della pianta.
« Scopriamolo»
Ed inginocchiandosi, scostò un po’ di neve dalle radici esterne, liberando dal candore precipitato dal cielo delle palline color arancio.
Il ragazzino sorrise, e cogliendo due frutti, si alzò, lanciandone uno ad Allen.
«Allora?»
Il piccolo balbettò appena e, scuotendo contrariato la testa, facendo ondeggiare così la chioma castana, guardò furioso il rosso.
«Hai barato!!»
Il guercino lo fissò stranito, schiudendo lievemente le labbra.
«E’ colpa tua se non hai specificato quali frutti!»
«Non è vero!»
Allen serrò i pugni, ed arricciando teneramente le labbra in una piccola smorfia, si voltò, allontanandosi così dal fulvo che, scontento, lo fermò, stringendogli appena la mano destra.
«E dai, non essere così infantile!»
«Zitto!»
Il bimbo si voltò, guardando con sdegno l’altro, che rise, deliziato da quel piccolo broncio reso così dolce dal rossore delle guance.
«E va bene, e va bene»
Sospirò, lasciando la mano del moro e sistemandosi la sciarpa bianca.
«Scusami, ok?»
Allen lo fissò ancora, un po’ guardingo, ma le labbra si acquietarono subito, distendendosi dolcemente sul suo viso.
«Io mi chiamo Ace»
Il decenne titubò un po’, ripetendo mentalmente con leggero imbarazzato il nome del bambino.
«Allen…»
Il fulvo annuì, sorridendo, e, prendendo la mano dell’altro, incominciò a correre, trascinando il fanciullo con sé.
E in quel momento, cercando di seguire quello sprezzante ragazzino, notò sfuggevole Mana che, seduto sui gradini della vecchia chiesa, parlava con un anziano signore dalla bassa statura.
Ace se ne accorse ed aumentò il passo, osservando con un tenero sorriso i fiocchi di neve.
«Ehi, aspetta!»
Il fulvo trattenne una risata, e rallentando, si voltò di scatto, lasciandosi cadere all’indietro e trascinando così il povero bambino con sé.
«Sei un pazzo!»
Allen si alzò appena facendo leva con i gomiti, ma sprofondò nuovamente nel biancore della neve, ignorando volutamente le risate divertite del pazzo.
«Ehi, ti va di fare un pupazzo di neve?»
Il fanciullo dai capelli castani mugugnò scontento, posando, nonostante il freddo, il mento sulla neve fragile.
«No»
Ace si voltò verso l’altro, sgranando appena l’occhio sinistro e guardandolo con incredulità.
«Perché?»
«Non voglio»
Il decenne si girò su un fianco, ignorando le lamentele del ragazzino che, gonfiando teneramente le guance a causa della stizza, si avvicinò piano ad Allen, come un predatore della savana, e con il consueto silenzio di quei luoghi, assalì il più piccolo, facendogli il solletico al collo gelido.
«E dai!!»
Il bambino trattenne le piccole grida, e dimenandosi, cercò di salvarsi da quella tortura.
«Ho detto no!!»
«Dimmi il motivo!»
Il dodicenne si morse appena il labbro inferiore, contrastando i tentativi di liberazione e le torsioni di Allen con il proprio corpo, distendendosi così su quello esile del castano.
«Perché non posso!!»
Lo gridò quasi, ed ansimando, volse il capo di lato, evitando lo sguardo dell’altro, sorpreso dall’impeto nascosto in quel corpicino esile.
«Come… non puoi?»
Aggrottò lievemente le sopracciglia, Allen, riprendendo il controllo dei respiri.
«La mano sinistra»
Ace osservò un’ultima volta il visino corrucciato del piccolo, per poi lasciar scivolare l’attenzione sul grande guanto di lana.
«Non capisco…»
Il decenne sospirò.
«E’ deforme. La mia mano non è umana»
“Come del resto io” soggiunse con un fil di voce che, nonostante la debolezza di quelle parole, il fulvo captò.
«Non dire scemenze»
Si avvicinò al più piccolo, sfiorando con le dita il guantone avano.
«Non è l’aspetto a renderci umani, ma il cuore»
E sorridendo, posò la mano sinistra sul petto di Allen, premendo appena il palmo aperto contro la stoffa.
«Ho visto persone che non meriterebbero neanche di essere chiamate “umane”»
Il castano abbassò lo sguardo imbarazzato ed iniziò a stropicciare la stoffa del vestitino con i polpastrelli.
«Non… non ti spaventerai allora, vero…?»
Ace scosse il capo, continuando a sorridere raggiante.
«No, tranquillo»
E guardandolo negli occhi leggermente lucidi, il fulvo gli prese la mano tra le sue, liberandola finalmente da quella prigionia di fili; osservò con piccola meraviglia la pelle scarlatta, le vene pronunciate che si intrecciavano verso il centro, quasi volessero nascondere qualcosa.
«A-allora…?»
Il guercino accarezzò il dorso della mano con il pollice e sorrise nuovamente al bimbo.
«Allora cosa?»
Il fanciullo sbatté le palpebre.
«Non ti fa… schifo?»
Ace scosse il capo.
«Non mi arreca nessun fastidio, tranquillo. Ti va di giocare con me, ora?»
Il piccolo annuì piano con un cenno della testa.
«Si… si!»
Ed iniziando a correre, entrambi, si allontanarono l’uno dall’altro, e avvinghiando la neve con le dita, le diedero velocemente una forma sferica e se le lanciarono, ridendo, giocando, senza un “via!” o un motivo.
Mossi dalla spensieratezza – che, dopo qualche anno, o anche subito, avrebbero perso, a causa del dovere o degli avvenimenti - scherzarono insieme, tra colpi amichevoli ed imboscate, pupazzi ed angeli di neve, tra pause e riprese.
E quando il tempo di separarsi purtroppo giunse, si guardarono, sorridendo.
Promettendosi in quel breve attimo di ricordarsi per sempre, e di giocare insieme ad ogni loro futuro e improbabile incontro.
Infantilmente.





«Mana!»


«Allen…»
Abbassò piano il capo, cercando di ignorare, con la mancanza della vista, le grida e il terrore del bambino, orribilmente palpabili nell’aria densa di dolore.

« Ascoltami…»


Strinse con forza i pugni, assordato dai singhiozzi incontrollati che gli lambivano le orecchie.

« Non fermarti mai… »


Percepì la fermezza svanire piano, solubile in quell’angoscia che gli stringeva il petto, e digrignando i denti, avanzò, deciso ad abbandonare la penombra del vicolo che lo avvolgeva.
«Ace»

« Continua a camminare…»


Sussultò nel sentir pronunciare quel falso nome con indifferenza, e voltandosi lentamente, sgranò gli occhi, mentre qualcosa veniva dilaniato dall’espressione dura e severa, quasi ripugnante, dell’anziano.

«Ricordatelo…»


«Tu sei il futuro Bookman, non puoi cadere nell’emozioni del cuore che più non ti appartiene»
Si voltò, osservando con angoscia il bimbo dai capelli castani.
«Abbandona questo ricordo, e lui lo dimenticherà»

«Mana…?»


Le labbra si incresparono verso il basso, colpite da uno spasmo, e singhiozzando, il bambino serrò le palpebre, sperando di attenuare il bruciore all’occhio che, inesorabilmente, traboccò, tramutandosi in calde lacrime capaci di alleviare il groppo alla gola.



«Ti voglio bene Allen…»


«Mi dispiace, mi dispiace…»

«Mana…?»



«Scusami… perdonami…»

«Mana! Mana!!»




«Ti prego, dimenticami…»






Ma si sa, che a volte, le promesse a cui teniamo vanno rovinosamente in pezzi, distrutte dalla realtà o dal bisogno.





















*seduta su un Tim obeso*
Gente, dopo una drammatica e una rossa, qualcosa di fluffoso ci voleva <3
Anche se presenta una lievissima nota di tristezza nella fine, ma che ci volete fare, questa fic è pur sempre scritta da me, sarebbe strano poi, no?
*cerca di scusarsi*
Allen è così dolce quando gioca con Mana *-*
E Lavi Ace alla fine… cucciolo, voleva andare da Allen a consolarlo ç_ç
“Ace” è il nome del primo log di Junior, e il suo compito era distrarre Allen mentre Bookman parlava con Mana sul Quattordicesimo
Lasciate stare, è tutto uno sclero nonsense xD
Ma da dove è nato questo sclero?
Da quest’immagine:


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Aaargh, il mio cuoricino!!
Ma quanto sono dolciotti? Quanto? L’espressione di Allen poi…
*spupazza un’aluccia (?) di Tim*
Spero che questa storiella vi sia piaciuta un tantinello.
Vi adoro gente <3

Ciaossu.


  
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