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Autore: drixtenable_    26/04/2013    3 recensioni
Un ragazzo, dopo scuola, riceve una visita inaspettata.
Genere: Demenziale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano le 12 e mezza della mattina, ma di sole neanche l’ombra. Pioveva a dirotto sulla cittadina di Rank Harbour, nello stato di Washington, e il tempo non sembrava voler migliorare presto. Le nuvole si addensavano e creavano una coltre grigiastra così densa che neanche il più radiante e luminoso raggio di sole riusciva ad attraversare. Nella McDriver High School, James era seduto al suo banco, chino sul suo test di storia, guardando il foglio senza vederlo. Era stanco, annoiato e assonnato, e quel tempaccio non faceva altro che mettergli malumore e continuare a distrarlo dai suoi doveri. Aztechi, Maya e Incas, una noia totale, secondo James, erano l’argomento del compito, e il ragazzo era sicuro che avrebbe preso una F. Poco importava; se fosse stato bocciato in storia, avrebbe lasciato definitivamente la scuola.
Religione e mitologia
In non più di 10 righe, descrivi la tipologia religiosa delle tre culture (Aztechi, Maya e Incas), marcando le differenze e i punti in comune tra le religioni dei vari popoli.
James aveva letto qualcosa su statuette a fine celebrativo, superstizioso o funebre, e cercò di buttare giù qualcosa di decente, perlomeno per non prendere 0 punti in quella domanda. Pochi minuti dopo suonò la campanella, e tutti gli studenti consegnarono i loro compiti, alcuni con un radiante sorriso stampato in faccia, certi che il compito fosse andato a meraviglia, altri avanzando a passo lento, come se stessero andando al patibolo. Era buffo vedere quanta importanza dessero gli altri ragazzi  alla scuola e al rendimento accademico: a James non era mai importato troppo dei suoi voti. Non capiva come doveva andare normalmente, qual’era la visione giusta delle cose. Era la sua visione delle cose ad essere sbagliata, o quella degli altri?
Consegnò il suo compito all’insegnante sfrontatamente, senza neanche guardare Mr. Dran in faccia, e si diresse verso l’uscita della scuola. Avrebbe dovuto andare a casa a piedi. Con quella pioggia si sarebbe certamente inzuppato dalla testa ai piedi. Prese il suo impermeabile, l’ombrello e uscì dal portone. Era l’unico temerario che sfidava il tempo; gli altri studenti erano rimasti dentro la scuola, al riparo dal forte vento e dall’acquazzone che imperversava senza sosta. Quando uscì dal cancello della scuola, si ritrovò nel familiare vialetto che dalla scuola conduceva allo squallido complesso di palazzi dove egli abitava. Entrambi i lati della stradina erano costeggiati da diversi salici piangenti ormai morti; nessuno si prendeva cura di loro da anni. Imprecando, James si rese conto che era inzuppato dalla testa ai piedi. Il freddo gli penetrava nelle ossa, non sentiva più le dita delle mani e dei piedi.
Decise di mettersi a correre per arrivare a casa nel minor tempo possibile. Diverse volte rischiò di scivolare sull’asfalto reso sdrucciolevole dall’acqua. Svoltò l’angolo in fretta, non notando la sinistra figura incappucciata che dall’altro lato della strada camminava lentamente, non curante della pioggia, del freddo o del vento.
Arrivò nel cortile dell’alto, scuro e disadorno palazzo, all’interno del quale si trovava l’appartamento dove viveva insieme a sua madre. Entrò, prese l’ascensore e salì fino al terzo piano. Accedé in casa sua, lasciò l’ombrello all’ingresso e si diresse verso la sua camera.
Camminando, lasciava residui di fango dappertutto. Decise che avrebbe pulito appena si fosse dato una sistemata. Si spogliò, mise i vestiti in lavatrice e si fece una doccia.
Mentre si vestiva, sentì il campanello suonare.
Strano, pensò James. Non poteva essere sua mamma; Harriet non sarebbe tornata prima delle quattro e mezza. E in più non poteva essere neanche uno dei suoi amici, dato che non si presentavano mai a casa sua. Pensò che, in fondo, tanto amici forse non erano.
Indossò una t-shirt e andò ad aprire la porta, senza il minimo timore. Non era il tipo che si faceva prendere dal panico per ogni sciocchezza! E poi, chi avrebbe dovuto esserci? L’uomo nero?
Sulla faccia gli si stampò un sorriso mentre apriva la porta.
Sorriso che scomparve subito dalla sua faccia quando vide che, effettivamente, alla porta c’era l’uomo nero.
“Sì?” James disse scrutando l’uomo incappucciato vestito di nero e inzuppato dalla testa ai piedi.
L’uomo non rispose. Continuava a restare immobile, la faccia invisibile all’ombra del cappuccio che gli copriva la testa.
“Ha bisogno di qualcosa?” insistette il ragazzo.
Quando vide che l’uomo non faceva neanche il minimo cenno con la testa, fece per chiudere la porta, ma venne subito impedito dall’uomo che, con un repentino scatto del braccio, respinse la porta indietro e fece irruzione in casa.
Allarmato, James provò ad ostacolare l’uomo, senza successo.
Quest’ultimo chiuse la porta, facendola sbattere rumorosamente, tolse un coltello dalla grande tasca della felpa e, senza troppe cerimonie, bloccò il ragazzo e gli tagliò la gola con un colpo di lama, veloce ma accurato.
 
 
 
 
 
 
Un attimo d’attenzione!

Ho scritto questa… cosa perché.. Boh, volevo scrivere di qualche uccisione, ed ecco qui. Non ha un filo logico, non segue nessuno schema narrativo, l’assassino non ha nessun movente. Ha ucciso il povero ragazzo svogliato e basta.
Mi dispiace per avervi fatto perdere tempo, scusate.
-w-
A presto!
  
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