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Autore: Hi Ban    27/04/2013    1 recensioni
«Comunque, proporrei il settimo brindisi della serata!»
«Ottavo, Jun, sei già ubriaco che non ricordi?»
«Io sto ancora abbastanza bene, Sho sta dialogando con le bacchette.»
[...] Si trovava su una barca. Una bella barca in mezzo al mare che veniva sbattuta di qua e di là dalle onde; probabilmente era andato a fare una vacanza fuori programma ad Okinawa e quello spiegava perché si trovasse in mare.
Sho stava sorridendo, lo sapeva, perché a lui piaceva la sensazione dell’aria sul volto, l’ondeggiare calmo delle acque, che si faceva sempre più veloce e frenetico, forte…
C’era qualcosa che non andava.
«Questo qua non si sveglierà mai così. Riida, prendi una bacinella d’acqua» propose qualcuno a Satoshi.
Ah, c’era anche Ohno sulla barchetta in mezzo al mare? Allora erano andati in vacanza tutti insieme!
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jun Matsumoto, Kazunari Ninomiya , Masaki Aiba, Satoshi Ohno, Sho Sakurai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mirror mirror on the wall who is the most idiot of them all?




«Giù un altro bicchiere! Fa ringiovanire, sai Sho kun?»
«Ah, davvero?»
«Sì, fino a che non ti schiatta il fegato.»
«Riida!»
«Mh?»
«Comunque, proporrei il settimo brindisi della serata!»
«Ottavo, Jun, sei già ubriaco che non ricordi?»
«Io sto ancora abbastanza bene, Sho sta dialogando con le bacchette.»



Sakurai Sho era quasi certo che, se solo avesse avuto modo di poggiare anche solo una parte della testa su una superficie piana, sarebbe collassato nell’arco di dieci secondi. Nove, forse, se la superficie era anche morbida, ma al momento era tanto magnanimo nella sua stanchezza da accontentarsi di qualunque cosa.
Con la testa appoggiata alla porta dell’appartamento, chiuse gli occhi e si mise a cercare le chiavi, prima più o meno freneticamente, poi sempre con una calma maggiore…
Poi rischiò di scivolare contro la porta e si spaventò da solo, non essendosi accorto di essersi addormentato. Addirittura contro la porta? Doveva assolutamente andare a dormire. Ci mise giusto un paio di minuti a trovare la serratura, infilarci la chiave fu ancora più difficile, visto che stava tenendo una vera e propria battaglia contro i suoi occhi affinché rimanessero aperti.
Tutta colpa di Jun! E di Ohno! E di Aiba, sì, anche di Nino! Dannazione, anche colpa sua in effetti, perché se non li avesse assecondati a quell’ora sarebbe già stato nel letto da un pezzo.
Invece no, aveva ascoltato tutti loro, già sulla buona strada dell’ubriachezza persa del venerdì sera; lui e Riida non si erano lasciati prendere troppo dall’euforia generale, motivo per cui gli altri tre non erano volati giù da un ponte nell’allegro tentativo di tornare a casa, ma alle tre meno un quarto circa dell’ormai sabato mattina lui comunque era in procinto di dormire sulla porta. Che poi, per inciso, era una superficie verticale, come faceva a dormirci sopra…?
Ah! Si diede uno schiaffo e scosse la testa: si era assopito di nuovo.
Finalmente la porta si aprì – e lui era troppo assonnato e sulla via del letto per rendersi conto che non era un miracolo divino ma era stato lui che aveva girato la chiave nella toppa.
Non accese nemmeno la luce, si limitò a trascinare il suo peso morto per la casa, alla ricerca di quella che doveva essere la sua stanza. Perché l’idea iniziale era di dormire sul letto, ma se andava di quel passo anche seduto sul gabinetto poteva essere ottimale. Ora che ci pensava, in effetti, doveva anche fare una capatina in bagno…
«No, letto, letto e basta» biascicò a se stesso, stropicciandosi gli occhi.
Stava anche parlando da solo, che non era una bene. Sembrava Jun quando doveva auto convincersi che non gli sarebbero caduti i pantaloni prima di un concerto.
«No, no, non cadranno, staranno su. Ho anche la cintura oggi!» poi passava la sua restante vita a commuoversi per il perfetto abbinamento che aveva fatto tra la cintura e uno dei suoi santi cappelli.
Sho scosse la testa disperato: perché ora stava pensando all’insana mania per cappelli, cinture, sciarpe ed altri capi d’abbigliamento del compagno?
Voleva un letto, subito.
Ed alla fine di tutte le sue disgrazie, quella sera – o meglio, quel mattino – raggiunse la sua camera da letto e, vestito com’era, si lasciò cadere sul letto con la grazia di un… di un lui quando aveva sonno.
Ah, ora poteva dormire, dormire, dormire, continuare a dormire per il resto dei suoi–
Il suo sedere stava disgraziatamente vibrando. E nella stanza c’era anche un fastidioso ronzio, un bzzzzz troppo simile a quello di un cellulare per non essere un cellulare.
Ah, sì, era il suo cellulare. Evidentemente non lo aveva spento, in fondo si era solo affidato alla speranza che chi diavolo avrebbe potuto chiamarlo alle tre del mattino? Nessuno, suvvia, alle tre del mattino…
Aiba. Il nome di Aiba chan compariva sullo schermo.

Sho chan, ho trovato il tuo cellulare! L’hai lasciato qui~?



Sho riaprì e chiuse gli occhi più volte, mentre una serie di considerazioni più o meno connesse tra di loro si facevano strada nella sua mente. Per tre o quattro secondi partì la suoneria, poi smise. Bzzzz di nuovo. Sempre Aiba chan.

Ah, no, non è il tuo visto che non arriva nessun messaggio! Oh, chiedo a Nino allora!
Notte Sho chan~!



Sho spense il telefono e si mise a pancia in giù sul letto. Glielo avrebbe spiegato domani che, anche se mandava un messaggio alla persona che lo aveva perso, quella persona non lo avrebbe mai saputo non avendo più il telefono con sé. Era ancora un po’ alticcio, forse, Aiba Masaki, e Sho al momento era troppo assonnato per spiegargli la cosa in maniera sensata.
Sakurai Sho, in quel momento, era pienamente pronto per dormire; e in effetti così fece.

«Ho sentito la vibrazione del telefono di Sho kun!»
«Era lo stomaco di Nino chan. Mangiato pesante?»
«Shhh!»
«Non ha risposto, perciò possiamo andare!»
«Dobbiamo bussare, dite…?»
«Ma non dire scemenze, Aiba chan! Dovremmo addirittura entrare sfondando la porta!»
«Jun kun, se stessimo sempre a sentire te a quest’ora saremmo in galera.»
«Se avessi la psp non mi farebbe differenza. E Samii.»
«Siete sicuri che bussare… magari un permesso, qualcosa…»
«Shhh!»
«Qualcuno cacci fuori le chiavi o non ci muoviamo più!»
«… se proprio non va bene bussare, almeno qualcuno può dirmi il perché dei costumi?»
«Aiba chan, quando crescerai te lo spiegheremo.»
«Shhhh!»
«Al prossimo shhh, Jun chan, ti infilo di testa nella porta.»
«Ryokai.»



Si trovava su una barca. Una bella barca in mezzo al mare che veniva sbattuta di qua e di là dalle onde; probabilmente era andato a fare una vacanza fuori programma ad Okinawa e quello spiegava perché si trovasse in mare.
Sho stava sorridendo, lo sapeva, perché a lui piaceva la sensazione dell’aria sul volto, l’ondeggiare calmo delle acque, che si faceva sempre più veloce e frenetico, forte…
C’era qualcosa che non andava.
«Questo qua non si sveglierà mai così. Riida, prendi una bacinella d’acqua» propose qualcuno a Satoshi.
Ah, c’era anche Ohno sulla barchetta in mezzo al mare? Allora erano andati in vacanza tutti insieme!
C’era sicuramente qualcosa di strano, perché ora che ci faceva caso, non vedeva nulla, né la barca né il mare, sentiva solo il vento e le onde. E poi qualcuno che diceva di prendere una bacinella d’acqua. Jun forse?
E perché diamine non ci vedeva nulla?
«No, dai…» protestò svogliatamente Satoshi, ma aveva un tono distante, quasi avesse risposto solo per dare il contentino a Jun. Forse stava leggendo o stava dipingendo qualcosa: doveva essere molto ispirato dal bellissimo azzurro del mare e del cielo.
Qualcuno sbuffò.
«A mali estremi… Nino, almeno su di te posso contare?» chiese stizzito Matsumoto – ora ne riconosceva la voce e non ci mise un secondo di più a fare lo stesso con quella di Ninomiya.
«Mh, sì… anche se con questa roba…»
«È arte, non osare lamentarti!»
Oh, oh, c’era anche Aiba!
«Perché, poi…»
Sho si sentiva davvero contento. Erano tutti andati in vacanza, una cosa che ultimamente riuscivano a fare molto difficilmente. Poi erano al mare!
Eppure lui non vedeva niente… Ah, aveva capito. Si era addormentato! Ultimamente aveva parecchio sonno infatti ed aveva senso il suo assopirsi con la tranquillità che gli trasmetteva il mare. Però ancora non si spiegava perché il vento andasse ad intermittenza e le onde fossero sempre più forti.
E poi tutto ebbe una risposta.
«Ok» disse Jun e espirò. In un attimo la barchetta smise di ondeggiare e di vento non c’era nemmeno più un alito. Un secondo dopo qualcosa gli afferrò i piedi e le braccia, stringendolo saldamente.
Cosa…? Un octopus, erano stati attaccati da un octopus. E perché gli altri non urlavano? Aveva dei tentacoli attorno alle caviglie, santo cielo! E perché Jun continuava a bisbigliare ‘ok’ ad intermittenza.
«Al mio tre…» al mio tre cosa?, pensò Sakurai, ma era ancora troppo addormentato per comprendere bene cosa effettivamente stesse succedendo. Forse al tre ammazzavano la bestia marina, lo salvavano. Lo aveva sempre pensato, lui, che quei quattro erano le migliori persone al mondo: per lui avrebbero anche sfidato un enorme polipo di mare, rischiando la vita.
«Uno… due…»
Non ci fu nessun tre, poiché prima partirono i suoi piedi e poi venne spinto di da ciò che lo teneva per le braccia. In un millesimo di secondo – e non fu il sonno a modificare i suoi parametri di tempo, ci mise davvero un attimo – si ritrovò di faccia per terra, dolorante e leggermente spaesato.
«Cosa diavolo…» biascicò solo, massaggiandosi la faccia, alla ricerca del naso che non credeva più di avere con il colpo che aveva preso.
Intanto intorno a lui infuriava il caos.
«Avevo detto al tre!» si lamentò Jun, che odiava quando la sua organizzazione non veniva rispettata. Pignolo anche quando si trattava di uccidere la gente schiantandola sul pavimento, beninteso.
Sakurai aprì lentamente gli occhi, scoprendo di essere sul pavimento della sua camera da letto che no, non era una barca, così come la sua stanza non era il mare che circondava Okinawa.
Era ancora piuttosto assonnato, perciò fu quasi tentato di rimanere lì e rimettersi a dormire, ma qualcosa gli diceva che forse doveva controllare cosa ci facessero gli altri a casa sua.
E perché diavolo lo avessero buttato a terra.
«Si può sapere cosa-» iniziò massaggiandosi la testa con una mano e tanto di fare leva sull’altro braccio per alzarsi, ma nessuno parve dargli retta.
«Tre, due, cosa cambia? Tanto quello che abbiamo fatto al due era la stessa cosa che avremmo fatto al tre» borbottò Nino, stiracchiandosi.
Jun gli fece una linguaccia, gesto molto maturo per la sua età, ma era un modo efficacie per mostrare la sua indignazione.
«Guardate che è sveglio» fece presente Satoshi, da un angolo della stanza, ma nessuno lo ascoltò.
Sho non capiva proprio più nulla. Con tutte le sue forze, si tirò a sedere sul pavimento e voltandosi si trovò davanti Nino e Jun. Satoshi leggeva sulla poltrona al fondo della sua stanza e Aiba stava… cucendo? Perché cuciva seduto sul suo letto?
Ma quelle non erano le domande giuste da porsi, dal momento che c’era un altro particolare ancora più allarmante in quel piccolo quadretto idilliaco che, appena sveglio, il povero Sakurai si era ritrovato davanti.
Come diavolo erano vestiti?
Erano… quelle cose… le sue perplessità passarono in secondo piano, alle urla dei sue amici.
«Due non è tre! E uno non è due!» ribatté con convinzione Matsumoto, portando le braccia al petto. Nino lo liquidò alzando gli occhi al cielo.
«È vero! Due non è tre! Se durante un concerto sbagliassimo gli attacchi perché due è uguale a tre…»
«Tanto è solo un secondo di differenza…»
«… sbaglieremmo tutto, è fondamentale per le coreografia fare tutto quando è tre e non due…»
«… ci metti più a dire due e tre che a far passare il secondo che c’è tra due e tre…»
«… perderemmo credibilità, i nostri balletti farebbero schifo…»
«Ragazzi» Satoshi fece l’inutile tentativo di mettersi in mezzo, ma non venne minimamente ascoltato.
«… anche nei videogiochi quando fa il conto alla rovescia per cominciare ci mettere più di tre secondi…»
«… non canteremmo mai insieme, saremmo stonati…»
«… è snervante attendere di dover dire ‘uno, due, tre’, è inutile…»
«Ohi, Matsujun, Nino…» riprovò quello che in teoria sarebbe dovuto essere il leader ma che in quel momento aveva la stessa autorità di Sakurai seduto incredulo sul pavimento. No, non si era ancora mosso di un millimetro, perso nelle intelligenti conversazioni dei compagni e troppo frastornato dagli avvenimenti per capire anche in che distretto si trovava.
Poi più frasi si sovrapposero e probabilmente i vicini stavano giocando a jankenpon con il sonno per vedere se chiamare o no la polizia per rumori molesti durante la notte.
«La volere piantare? Rischio di pungermi se mi sconcentrate!» Aiba, era l’unico che stava cucendo, almeno che Riida non lo stesse facendo con le dita dei piedi.
«Se è tre non è due!» non c’era bisogno di chiedere chi.
«Rischio l’infarto se urlate così!» per esclusione quello era Nino.
A quel punto, comunque, il seduto e mezzo addormentato Sho si innervosì abbastanza da cacciare un urlo piuttosto potente.
Calò un silenzio allucinante e Satoshi ringraziò anche; non riusciva a leggere con tutto quel trambusto.
«Si può sapere che diavolo ci fate tutti e quattro urlanti in casa mia?» chiese con un’impazienza che non gli si addiceva molto, ma la situazione era quella che era.
Jun e Nino lo guardarono come se avessero appena visto un cucciolo di mandrillo strisciare per terra e Aiba imprecò silenziosamente. Si era punto.
Nessuno rispose, ma Satoshi si alzò in piedi.
«Ehi! Santo cielo, ragazzi!» gridò a pieni polmoni, per poi sorridere soddisfatto e tornare a sedersi.
«Cosa?» chiese Jun, mentre Kazunari borbottava un «Samii?» e Sho sbatteva più volte le palpebre, incredulo.
Satoshi scosse le spalle e assunse quella sua aria da indifferente, ma non gli riusciva particolarmente bene, visto che un angolo della bocca tendeva palesemente verso l’alto.
«Niente, Sho chan ha detto quattro, allora ho detto qualcosa anche io» commentò placidamente, tornando alla lettura di una rivista a caso.
Sho era sempre più allibito.
Quando tornò la calma – sempre se esisteva, visto che si parlava di tutti e cinque gli Arashi in una stanza sola –, Sakurai tentò di fare il punto della situazione, ma venne interrotto.
«Ah, Sho kun! Ma allora sei sveglio!» commentò entusiasticamente Matsumoto, sorridendo come se gli avessero appena detto che aveva una settimana di vacanze gratis.
«Già» borbottò il rapper, tentando di alzarsi, ma Nino si avvicinò velocemente a lui.
Si avvicinò fino a che Sakurai non ricadde pesantemente sul pavimento ed arrivò a due centimetri dalla sua faccia.
Satoshi, che li osservava di sottecchi, borbottò un «Nino chan» di ammonimento – perché era troppo vicino a qualcuno che non era lui –, ma non vi prestò particolare attenzione.
«Che c’è?» si informò Sho, mentre lo sguardo dell’altro si faceva sempre più indagatore ed osservava ogni centimetro della sua faccia.
Forse cadendo qualcosa si era fatto…
«Hai le occhiaie, Sho kun» disse semplicemente, per poi rialzarsi.
Sakurai rimase interdetto e, parlando di occhiaie, il suo cervello fece un ovvio e veloce collegamento con il risveglio poco fine e per nulla gradito. Tutto quello riportò alla sua mente la miriade di domande che aveva da fare a quegli screanzati.
«Andiamo con ordine» propose con una certa irritazione Sho, che si stava trattenendo non poco dal soffocarli e nasconderli nell’armadio. «Cosa ci fate qui?»
Lo chiese puntando un dito contro Jun, che era l’unico potenzialmente in grado di rispondergli. Riida leggeva e Nino era andato ad infastidirlo tirandogli i capelli. Aiba era ancora preso nella raffinata arte del cucito. Ammirevole. Jun aveva quel suo sadico sorriso pazzo che Sho sperava di non dover vedere nemmeno nei suoi peggiori sogni.
«Che razza di domanda è? Noi siamo ovunque ci sia tu!»
Sho lo guardò con fare sconcertato e poco convinto, mentre Matsumoto tentava di apparire credibile, con gli occhi spalancati e il tono di tre ottave più alto. Di colpo abbassò le spalle e si tolse quel sorriso estasiato, in favore di un’espressione più normale. «Beh, no, così sembriamo le tue fate madrine. Diciamo che ti teniamo compagnia. Non è bello, Sho kun? O forse non è la nostra presenza che gradiresti, ma un’altra?» il tono era scherzoso come quello che avrebbe usato un assassino per chiedere alla vittima con qualche aggeggio di tortura avrebbe voluto gli venisse inflitto il colpo di grazia.
Sho si meravigliò anche del fatto che fosse riuscito a rendersi conto di una cosa del genere, visto che il sonno gli mandava le sinapsi in cortocircuito.
«Di cosa stai parlando? Non hai risposto al perché siete qui, poi» gli ricordò e Jun parve pensarci.
«Mh, vero. Ma Non è forse ovvio? Beh… non c’è un motivo, siamo qui con te, non sei contento? Sì, sei contento, allora non chiedere cosa ci facciamo qui o ce ne andiamo!» argomentò velocemente Jun, dimenticandosi di respirare. Poi cadde il silenzio, ma solo per un secondo.
«Cosa ci fate qui. Cosa ci fate qui, cosa ci fate qui, cosa ci fate qui-»
«Basta! Non ce ne andiamo e basta, che tu sia felice o no!» sbottò Matsumoto e Sho mise il broncio. Adorabile.
«Ok, siete qui e basta. E perché diavolo siete… siete vestiti come…» gli riusciva disgraziatamente difficile trovare le parole giuste per descrivere il suo sconcerto.
«Siamo mucche!» disse allegramente Jun, anche se, a rigor di logica, la cosa non avrebbe dovuto emozionarlo tanto.
«E perché siete vestiti da mucche?» decise di informarsi con pacatezza, benché un sonoro sbadigliò uccise la sua disinvoltura.
«Ma noi non siamo vestiti, Sakurai! Apri gli occhi!» e così dicendo gli poggiò due mani sulle spalle e lo scosse leggermente. I neuroni chiesero pietà e Sho notò che le orecchie erano finte. Come aveva già supposto, d’altronde.
«Gli occhi sono aperti. E le orecchie sono finte, Matsujun. Poi se sei una vera mucca perché hai i calzini e non sei a brucare l’erba in-»
«Ok, ok, chiudi gli occhi, lascia perdere» asserì, mettendogli una mano davanti agli occhi. Sho assunse un’espressione di biasimo che però passò tragicamente inosservata.
«Ne hai ancora per tanto?» chiese poi, benché non facesse molto per togliere la mano dell’amico dalla sua faccia. Tra l’altro aveva un buon odore; usava un sapone diverso? Timo, forse?
«Sai che sarebbe meglio se tenessi sempre gli occhi chiusi, Sho chan?» disse allegramente Matsumoto, eludendo la domanda.
«Eh?»
«Se non ti guardi intorno… sarebbe meglio, sì. Ti comprerò un paraocchi per Natale, ok?» disse compunto e, se non avesse avuto le mani occupate, lo avrebbe anche segnato sul cellulare.
«Se non mi guardassi intorno volerei giù dal palco e mi romperei il collo, Jun chan» gli fece presente e sentì l’altro irrigidirsi e poi mormorare qualcosa tipo «no, no, meglio di no».
Poi tolse la mano e Sho era davvero intenzionato a farli sloggiare tutti, che fossero mucche, octopus o i suoi compagni della band in mutande non gli importava proprio.
«Ragaz-»
«Mi sono punto ancora! C’è un motivo per cui hanno fatto gli aghi appuntiti?» si lamentò Aiba, che fino a quel momento aveva ricevuto la stessa attenzione del cactus che c’era sul davanzale. Da precisare che anche lui vantava un costume a dir poco spaventoso. Costume o reali apparenze, poco importava.
Quelle orecchie che avevano tutti, poi… tranne Satoshi, che evidentemente continuava ad avere più senno di tutti, a prescindere dalla dimensione spazio-temporale in cui si trovavano. Nino era il quinto di una mucca in miniatura, il che diceva praticamente tutto.
Era una cosa spaventosa, forse era per quello che non si ci era soffermato più di tanto ed era passato oltre.
«Si può sapere cosa stai cucendo da mezz’ora, Aiba chan? Una camicia di forza per Jun, spero» borbottò Sho, mentre Matsumoto gli concesse un altro dei suoi non rassicuranti sorrisi.
«Non è ovvio? Il tuo vestito da mucca, Sho chan!» disse, per poi pungersi con l’ago.
«Perché un costume? Non avevate detto di essere mucche? Allora non siete mucche» biascicò, sempre meno convinto di tutto quel che stava succedendo. Ovviamente non ci aveva veramente creduto all’ipotesi che fossero diventati delle mucche, ma iniziava ad essere vagamente confuso.
«Si soffre insieme, Sho kun, noi siamo così e lo diventerai anche tu! Ma chissenefrega delle mucche. Pensi forse di poter scappare da qualche parte, Sho kun?» chiese Jun e il suo continuo ripetere ‘Sho kun’ lo stava inquietando.
«Scappare dove? Da cosa?» capire quel che diceva Jun, di tanto in tanto, si rivelava difficoltoso. Poi aggiunse: «Sei forse arrabbiato per qualcosa, Jun chan?» si informò il più grande tra i due, che nonostante fosse leggermente intontito per il sonno riusciva ancora a riconoscere i comportamenti idioti di Matsumoto. Quando era arrabbiato diventava sadico. Ricordava ancora quando aveva chiuso Aiba in mutande nella veranda dell’hotel in cui erano andati a stare perché gli aveva finito lo shampoo. Spaventoso. A lui cosa sarebbe toccato?
«Arrabbiato? Perché mai? Hai forse fatto qualcosa di sbagliato, Sho kun?»
«Presto potrei buttarvi giù dalla finestra, ma non la riterrei una cosa sbagliata… voi mi state rompendo le scatole da mezz’ora» borbottò, mentre l’altro gli dava una pacca sulla testa.
«Ma il nostro legame di amicizia ce lo consente! Io sono autorizzato a romperti le scatole anche quando sarai sposato. Che dici, pensi di sposarti? Mh? Hai qualcosa da rivelare? Anteponi qualcuno alle mucche del tuo cuore?» e così dicendo indicò gli altri tre e se stesso.
«Hai bevuto?»
«Io no, tu sì però… eri tenero quando chiedevi l’ora alle bacchette, Sho chan» disse con un sorriso angelico.
«Siete stati voi a farmi ubriacare!»
«Ehi, io bevo solo latte» si difese, agitando la coda attaccata al sedere.
«Tu sei intollerante, Jun chan» gli fece presente e lui parve pensarci anche un po’. Poi annuì e si tolse le orecchie che aveva in testa.
«Sì, hai ragione, infatti non sono una mucca. Nessuno lo è, forse Riida, ma solo perché mi ricorda un animale pacioso che bruca l’erba mentre si lascia maltrattare da Nino… comunque, non ti libererai di noi, Sho chan» aggiunse con fare più serio.
«Siamo il tuo incubo, Sho chan» terminò sorridendo inquietantemente e Sakurai alzò gli occhi al cielo.
«Hai qualche problema, me ne sono accorto. Non solo la tua versione mucca, ma anche la tua versione normale… voi non siete il mio incubo» concluse con le braccia incrociate al petto.
Le incrociò anche Jun. «Beh, allora lo sono io!»
Impossibile.
«Nemmeno!» protestò l’altro, sporgendosi verso Matsumoto, che aggrottò le sopracciglia e si rabbuiò.
«Sì, invece!»
«Oh, è perché diavolo dovresti esserlo?» sbottò Sho, spalancando gli occhi con fare alterato.
Che razza di discussione era mai quella?
«Perché sono in un tuo sogno vestito da mucca! E ti tormenterò per tutta la tua vita!»
«È un sogno questo, scusa?»
«Deficiente, credi che andrei in giro vestito da mucca come un idiota?»
«Non garantisco sulla tua intelligenza, Jun chan» lo sbeffeggiò, puntandogli un dito contro, per poi battergli due dita sulla fronte.
«Questo spiegherebbe perché siete mucche così strane… con i calzini, poi…»
«Sì, sì, ma siamo vestiti ti ho detto.»
«Ma un secondo fa mi hai detto che eravate vere mucche!»
«E poi ti ho detto che non lo eravamo» convenne, annuendo. Poi mosse le mani, come a voler scacciare il residuo di quella conversazione inutile: «Ah, sono il tuo incubo, fine. E non ti libererai mai di me, anche se ti sposassi, morissi o ti mettessi a pescare la domenica con ‘toshi chan!»
Sho si accigliò: «Perché ce l’hai tanto con questa storia del fatto che dovrei sposarmi? Ti stai proponendo, Jun kun?»
Jun di rimando sorrise: «Accetteresti? Potrei rivalutare il tuo metro di giudizio, se lo facessi» commentò.
«Oh, certo, la tua magnanimità è leggenda, Matsujun» lo lodò e un attimo dopo un mezzo urlo isterico provenne da Aiba.
«Continuo a pungermi! Perché diavolo devo cucirci sopra le pezze bianche? Non vuoi essere una mucca tutta nera, Sho chan?» propose disperato e Jun mise in testa a Sakurai le orecchie che si era tolto.
«Sembri più contento, ora, Jun chan. Hai ottenuto il matrimonio che volevi?» commentò Satoshi con fare enigmatico, ma semplicemente era quello che aveva capito più di tutti. Nino, invece, non aveva capito niente, infatti chiese spiegazioni a Riida.
«Quando sarai più grande te lo spiegherò» lo prese in giro e Kazunari borbottò qualcosa di poco comprensibile.
«Ok, ragazzi, vuoi sapete quanto io vi voglia bene… si, Jun kun, a te più che agli altri… ma non è che ve ne tornereste a casa vostra?» chiese speranzoso, perché era bello averli attorno, certo, ma alle quattro di notte la cosa oltre ad essere morbosa era anche stancante. Voleva dormire, santo cielo!
«Ok, Sho kun, tra tre secondi» buttò lì Nino, che era intento in un’opera delicata. Sakurai si stropicciò gli occhi varie volte, ma lo scenario non cambiò, il che voleva dire che Kazunari stava davvero facendo i codini a Ohno. No, no, erano solo allucinazioni dettate dal sonno.
Jun drizzò le spalle e punto un dito contro Ninomiya, che non gli diede minimamente retta.
«Tre secondi? Bene, allora tra due saremo fuori di qui, tanto due e tre sono la stessa cosa, no?» sciorinò blandamente Matsumoto, anche se l’irritazione era palese. Era chiaro che la questione era ancora irrisolta dal suo punto di vista, benché Nino avesse trovato qualcosa di più interessante da fare.
«Ancora, Matsujun? Poi il mio era un tempo indicativo, cosa vuoi che concluda in tre secondi?»
«Oh, non è questo il punto! Prima ho detto al mio tre e tu lo hai buttato al due!» rimarcò per l’ennesima volta, mentre Sho notava come il compagno di band parlasse di lui come della pasta da buttare nell’acqua che bolle. Illuminante.
«Sei fissato, Matsujun. Un secondo non cambia la vita a nessuno!» si lamentò Nino, abbandonando la testa di Riida, che non poté che apprezzare. Non che non gradisse le attenzioni dell’amico, ma era difficile leggere con l’altro che gli alitava addosso quando borbottava vaghi commenti sul pessimo shampoo che usava. Glielo comprava sua madre, lui cosa poteva farci?
Ora Matsumoto e Ninomiya erano uno di fronte all’altro e Sho decise che c’era poco da fare se riprendevano a discutere come due bambini. Si abbandonò sul letto, sedendosi e sperando che tutto finisse velocemente.
Chiuse gli occhi, tanto non sarebbe cambiato assolutamente nulla. Solo uno o due minuti. Tanto non faceva differenza, no? Due, tre… no, quelli erano i secondi…
«Si che fa differenza!» La voce di Jun lo riportò alla realtà. Ah, si era assopito, da non crederci. Satoshi lo fissava con un mezzo sorriso dall’altra parte della stanza. Era enigmatico, quella sera. Tutti erano strani quella sera. Aiba cuciva e Sho non era nemmeno certo che sapesse cambiare i lacci alle scarpe senza andare in isteria. E gli altri due ora avevano preso il suo orologio.
«Secondo te perché un orologio scandisce i secondi?»
«Perché lo hanno costruito così? E tu sai perché in un posto del mondo l’acqua del water gira al contrario?»
«Ma a chi importa dell’acqua dello sciacquone! Sono cose serie! Comunque, scandisce i secondi perché sono importanti! E non puoi dire che due secondi sono come tre secondi!»
«Ma a chi importa dell’orologio, se mai! Scandisce i secondi perché qualcuno ha deciso che deve scandire i secondi, ma nessuno ha detto che sono importanti! E che non sono tutti uguali» protestò, anche se il senso della conversazione probabilmente sfuggiva a tutti e cinque. Sicuramente ad Aiba, che non li stava proprio ascoltando.
«Un secondo è importante! È formato da mille millisecondi, come puoi dire che due e tre secondi sono uguali se c’è la differenza di mille millisecondi?»
«Troppi milli» borbottò Sakurai, che chiuse di nuovo gli occhi. Non ce la faceva più.
«Nessuno conta i millisecondi, Jun kun» gli fece presente Nino, ma l’altro non ci pensava nemmeno a dargli né retta né ragione.
«Certo che i millisecondi si contano! Il battito d’ala di una mosca dure tre millisecondi per esempio! E quello dell’ape cinque. Circa quattrocento è il battito delle palpebre…»
«Allora Sho ci sta mettendo un po’ troppo» convenne Ohno, senza voler realmente prendere parte alla bislacca conversazione.
«Ottantasei milioni quattrocento mila millisecondi sono un giorno!»
«In quanti millisecondi baci Sho, Jun chan?» chiese Satoshi, ma Sakurai si convinse di aver capito male. Probabilmente si era di nuovo assopito e le urla di Matsumoto coprivano il tutto, rendendolo incomprensibile. Sì, aveva capito male.
«Sei colto, Jun chan» fu l’impressionato e scandalizzato commento di Nino.
«Wikipedia» fu la caustica risposta. «Comunque i secondi sono importanti!»
Qualcuno parlò ancora, un rumore un po’ più forte lo costrinse ad aprire gli occhi di scatto. Ok, era troppo. Si diede una sberla nemmeno troppo leggera e scosse il capo. Doveva prendere in mano la situazione.
«Fuori da casa mia» borbottò con fare avvilito, ma nessuno lo ascoltò, esattamente come cinque minuti prima.
Aiba stava spargendo piume per la stanza – le piume del suo cuscino – e sembrava in estasi mistica.
Jun e Nino avevano smontato l’orologio – il suo orologio – per un motivo ai più ignoto.
Riida aveva cestinato almeno sei delle riviste sul tavolino – le sue riviste, sul suo tavolino – perché «sono noiose, Sho chan… non c’è pesca, niente. Sono noiose». Si era assopito per così tanto tempo?
Comunque, mentre tutti facevano qualcosa con la sua roba lui non poteva dormire nel suo letto. C’era qualcosa che non andava.
«Voglio dormire, dai, andate» biascicò, sbadigliando senza molto decoro. Se sua madre non conosceva quella sua mancanza di dignità non ne avrebbe fatto un dramma, andava anche bene. A quella richiesta quattro teste si voltarono e poi un Jun molto preoccupato giunse da lui, prendendolo per le spalle.
«Hai sonno?» chiese con fare autorevole e Sho annuì, quasi intimorito da quell’espressione seria. Che volesse ripartire con la storia del due e del tre?
Poi Matsumoto sorrise e Sakurai seppe, per esperienza, che era giusto avere più paura in quel caso che con una semplice espressione seria.
«Tranquillo, Sho chan, noi gli amici non li abbandoniamo. Siamo o non siamo gli Arashi?» lo esortò con un paio di colpetti sulla spalla per rispondere a quella domanda retorica e, suo malgrado, si ritrovò anche a fare sì con la testa.
«Beh, allora dormiremo con te, così da conciliarti il sonno e non lasciarti solo» disse con una gentilezza che Sho trovò estremamente spaventosa.
Nemmeno le fan più scalmanate gli avevano fatto correre simili brividi lungo la schiena. No, ok, forse sì.
Si aggiunse anche Nino, che annuendo gli disse: «Se ne andranno anche le occhiaie. Vero, Samii?» chiese poi a Satoshi, a cui si era seduto in braccio in un momento imprecisato, per poi strusciargli il naso contro il collo.
Quello annuì e girò pagina. Riida era sempre Riida, eh.
Sakurai non aveva il coraggio di rifiutare e piegò di lato la testa, sempre più confuso.
«Ah, uhm… bene. Però il letto…» è solo uno, avrebbe voluto dire, ma venne preceduto da Matsujun.
«Dormiamo tutti insieme» disse, afferrandolo poi per un braccio e trascinandolo sul letto.
«Riida, su. Nino, puoi starci addosso anche nel letto, tanto non ci stiamo tutti» lo chiamò Matsujun e in un attimo – Sho non voleva nemmeno provare a capire come – erano quasi tutti nel letto, sotto le coperte.
Nino era davvero addosso a Satoshi, anche se le gambe erano mezza su Jun e Sho.
«Ho finito! L’ho finito!» disse entusiasta Aiba ad un tratto, sventolando l’ultimo vestito da mucca – quello di Sho.
Matsujun aggiustò il cuscino, abbracciò Sakurai per tirarlo più vicino e fare posto a Masaki e fece cenno a quest’ultimo di raggiungerli.
«Non serve, vieni, c’è posto» poi scoppiò a ridere da solo, ignorando lo sguardo scandalizzato di Aiba, che aveva più buchi nelle dita di uno scolapasta. E avrebbe sognato mucche per il resto della sua vita.
«Perché?» fu la sola domanda di Sho, quando tutti furono nel suo letto da una piazza e mezza.
«Per stare insieme» borbottò Satoshi, che probabilmente faticava a sentirsi le costole.
«Ma…»
«Basta, silenzio, dormiamo. Nino chan, il pancreas mi serve» disse al ragazzo, dandogli qualche colpetto sulla schiena. Mugugnò qualcosa in risposta.
«Davvero, non…» i tentativi di protesta di Sho vennero ancora ammoniti.
«Sentito Riida? Silenzio. O ci strozza con la canna da pesca» borbottò Matsumoto.
«Jun, ti sento» commentò Satoshi.
«’notte.»
Cadde il silenzio.
«Ti voglio bene, Sho kun» disse Jun, tirando leggermente i capelli a Sakurai, poi ridacchiò, come se fosse stato ancora ubriaco.
«’nch’io» mugugnò e gli diede una pacca o due. Rise più forte, Matsujun, poi il silenzio calò nella stanza.
Per poco.
«Chi cavolo è che russa?»
«È la pancia di Nino» disse Ohno.
«Ancora?»
«Sventralo, Riida, non riesco ad appisolarmi» si lagnò Aiba, scalciando e colpendo Sho, che sobbalzò.
«Ma che-»
«Aiba chan! Hai svegliato il piccolo, ora nonno ‘toshi ci appende al lampadario con gli ami!»
«Non so se ne sono capace, ma posso provare a castrarti con il cavalletto da disegno» commentò placidamente e Nino sbuffò una risata.
«Samii, non conoscevo questo tuo lato perverso. Devo avere paura?»
«Tanta» disse e l’ahia che seguì apparteneva a Kazunari.
«Mi hai morso la spalla?»
«Riida, non avevi detto silenzio?» sbottò Sakurai, girandosi e salendo praticamente sul torace di Jun.
«Non fate i maiali, lì di fianco, che il piccolo deve dormire. Su, fai la ninna» disse, abbracciando Sho e ridendo silenziosamente. «La senti la barca che dondola? Di qua…»
«Jun» lo richiamò assonnatamente Sho, che non riusciva più a tenere gli occhi aperti.
«Di là…» gli fece eco Aiba, ridacchiando.
«È un sogno o no?» borbottò non riuscendo nemmeno più a capire chi è che dicesse ‘di qua’ e ‘di là’.
«Sì, sì, Sho kun… un sogno, altrimenti ti avrei spezzato le gamb-»
«Jun!» fu zittito e un attimo dopo il respiro pesante di Sho invase la stanza.
«Dorme, il bambino» commentò Jun e uno shhh provenne da Satoshi.
«Ecco, shhhh» poi il respiro pesante si trasformò in russare sommesso.

«Chi mi ha tolto una scarpa?»
«Shhh, o Sho si sveglia!»
«Te l’ho tolta io la scarpa, Jun, perché è la mia. Ti stavi mettendo la mia scarpa.»
«Ah, beh, non importa… c’è puzza di piedi.»
«Ma volete fare silenzio, voi due?»
«Riida, cosa stai facendo?»
«Shhh, Jun, shhh… gli rimetto le riviste a posto.»
«Perché? Ti senti in colpa per avergli detto che ha dei gusti da novantenne e per avergliele cestinate senza pietà?»
«No, così domani crederà davvero che è stato un sogno.»
«Ah, certo… proprio per le riviste, ‘toshi chan.»
«Vorrei tanto vedere la faccia cattiva di Riida quando pesca. Sarà crudele con i pesci quando li acciuffa…»
«Vero?!»
«Basta! Mettetevi le scarpe! No, Nino chan, devi metterti le scarpe, non provare a togliermi i pantaloni…»
«Basta!»



Sho il mattino seguente aveva un mal di testa tale da non riuscire nemmeno a tenere aperti gli occhi. E, per un motivo a lui sconosciuto – non che volesse indagare oltre, temeva di portare a galla conflitti interiori come quelli di cui parlava quel Furoido, lì, lo psicanalista –, continuava ad avere in mente Nino che voleva togliere i pantaloni a Riida. Un sogno probabilmente.
E gli sembrava anche che, ad un certo punto, avesse trovato gli altri in camera sua vestiti da mucche. E Jun era stato insolitamente sadico. Però le riviste erano a posto, perciò era stato tutto solo un sogno. Eppure gli era parso così vero!
Mah.



«Ah, certo che è stato divertente ieri sera, eh» commentò Nino, sbadigliando rumorosamente. Gli altri si trovarono più che d’accordo con lui.
«Anche se… beh, se Sho lo scoprisse ci ucciderebbe tutti» buttò li Satoshi, prendendo il terzo caffè della mattinata. Era stato divertente, sì, ma erano stati svegli praticamente fino alle quattro e mezza, prima di andare via da casa di Sho. Uscire da quel letto senza svegliarlo era stata l’esperienza più tragica mai vissuta. Complice anche il problema di Masaki, che veniva colto da un’inarrestabile crisi di risate proprio mentre non doveva ridere.
Tutta la sceneggiata della sera prima, infatti, era stato un adorabile scherzo architettato da Jun in un momento di quella che lui aveva definito noia primaverile. Peccato che fossero in autunno.
Il giorno prima, comunque, si era detto che era da troppo tempo che non facevano più scherzi a nessuno e, visto che l’unico a mancare in quel momento era Sho – sia maledetta la tappa pipì –, era stato scelto come sfortunato di turno. O forse c’entravano qualcosa delle voci relative ad una possibile relazione di Sho con qualcuna… beh, per Jun anche i pettegolezzi andavano puniti. L’unico ad averci veramente capito qualcosa alla fine era stato Satoshi, ma si poteva dire che era perché ormai conosceva i suoi polli. O, in quel caso, le sue mucche. Dubitava che Sho, invece, avesse capito che quella della sera prima era stata una spedizione punitiva nei suoi confronti, ma alla fine Jun non era riuscito ad essere poi così sadico. Non ne era capace con Sakurai.
La dinamica dello scherzo non aveva un suo senso, ma quando l’avevano fatto notare, Jun si era limitato a scrollare le spalle indifferente. Non era certo quello che gli importava.
La sera avevano finto di ubriacarsi e l’unico ad aver bevuto davvero era stato Sakurai: il giorno dopo aveva anche un’intervista per il suo nuovo drama – e c’era anche la presunta lei –, perciò rompergli le scatole per tutta la notte un suo senso ce l’aveva. Tutto calcolato.
Quando poi era andato a casa avevano aspettato una decina di minuti dietro la porta di casa sua ed erano entrati – il perché anche Jun e Aiba avessero un mazzo di chiavi non era dato saperlo. E poi avevano messo in piedi quello scherzo che non aveva il minimo senso, perché non aveva proprio una logica. Certo, alla fine si era tutto perso per strada, ma era stato divertente comunque. Era così che andavano le cose tra di loro: senza senso.
Satoshi aveva preferito assistere da esterno, infatti si era limitato a leggere quelle noiose riviste. Aiba aveva cucito – inutilmente – e Nino e Jun avevano battibeccato.
Il perché dei vestiti, anche, non era dato saperlo.
«Sono un genio del male» commentò con fare soddisfatto Matsujun, togliendo e rimettendo il cappello con fare misterioso.
Nino sbadigliò di nuovo.
«I vestiti a cosa servivano, Matsujun?»
«Mh… boh, pensavo che mi sarebbe venuto in mente qualcosa sul momento, invece no…»
«Sho era troppo assonnato per levarteli di dosso…» borbottò il saggio Satoshi, quasi impercettibilmente, ma Jun lo sentì ed esordì in un muto «eh?!» scandalizzato.
«E io cosa me ne faccio adesso?!» si lamentò Aiba, che effettivamente non aveva fatto altro che cucire quella roba immonda. A cosa servissero, davvero, era qualcosa che rimaneva chiaro solo nella mente di Matsumoto. Forse i vestiti da mucca erano solo parte di un piano più grande e malefico che tuttavia Jun non era riuscito a completare… allora forse i kami esistevano.
Jun sorrise, finendo di bere il suo caffè al ginseng e facendo temere il peggio agli altri.
«Lo useremo per il prossimo concerto. Al Tokyo Dome
No, non esistevano proprio.
Gli altri Arashi si sarebbero volentieri buttati giù dalla finestra; quando Sho giunse, ancora rimuginante sullo stranissimo sogno di quella notte, si chiese solo perché fossero tutti così pallidi e perché Jun stesse ridendo da solo in maniera poco normale.

«Ragazzi, stanotte eravate in camera mia?»
«No, certo che no, Sho chan.»
«Ah… allora ho fatto davvero un sogno stranissimo. Perché ridi, Aiba chan?»
«Niente, stamattina ha rischiato di essere investito da un tram, è l’isteria post traumatica.»
«Ah…»
«Un bel sogno, Sho chan?»
«Nino kun tentava di levarti i pantaloni, Riida.»
«Bellissimo allora, vero Samii?»
«Di tutto ricordi solo quello?!»
«Perché sei tanto scandalizzato, Jun? Qualcosa non va?»
«Un tram. Ha investito anche me. Ma solo quello!»
«Cosa?»
«Niente. Niente.»






Il mio amore per gli Arashi in teoria avrebbe dovuto trattenermi dallo scrivere cavolate su di loro, ma la voglia di scrivere qualcosa era troppo forse XD Non è molto esplicito se non verso la fine, ma è una JunSho e ovviamente non poteva mancare la Ohmiya: poverino, fa confusione tra scarpe e pantaloni, sarà che sta troppo tempo a giocare alla play u-ù
Non ho una spiegazione logica da dare per l’Aiba che cuce, ma c’era pur bisogno di qualcuno che facesse ‘sti santi costumi da vacche no? E non ho nemmeno un motivo furbo per i vestiti, diciamo che il mio cervello pensa cretinate e io non mi prendo la briga di darvi un senso o, meglio, tenerle per me!xD
Bye (:
  
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