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Autore: Jules_Black    28/04/2013    2 recensioni
"- Ho pianto davanti alla sua fredda cortesia; ho archiviato quest’amore con etichette fragili."
[...]
"- Andiamo, Kat Evans, accendi il cervello. Sì, ok, mi sono fatto Sasha meno di un’ora fa. Sì, mi è piaciuto. No, non lo rifarei. Sì, ho sbagliato miliardi di volte e ti devo la vita, e anche un sacco di altre cose. E sai che ti dico? Che ho sperato che quella maledetta scritta fosse per me, Kat Evans, perché mi era sembrato di riconoscere le tue vocali grasse."
Avvertimenti: Linguaggio.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Etichette fragili.

Musica: http://www.youtube.com/watch?v=i6dn3hNQycM


Le persone scompaiono, se ne vanno veloci, velocissime, come sono arrivate; come i temporali estivi, con i loro fulmini lungo le pianure riarse e le lacrime di un cielo troppo azzurro.
Le persone se ne vanno, e tu puoi anche giocare e cercare di trattenerle, ma se ne vanno lo stesso, per un minuto o per sempre.
Le persone ti feriscono e ti fanno a brandelli, se le lasci fare.
Puoi aspettare telefonate che non arriveranno mai e sospirare nelle notti infinite oppure dimenticare, tentare di farlo.
Puoi chiudere gli occhi e fingere che non sia successo nulla, che siano state solo tante belle parole scritte sui muri con pennarelli scarichi.
Puoi fingere che vada tutto bene.
 
***
 
- Mi spieghi perché dopo diciotto anni di messaggi dimenticati hai deciso di dotarti di una inutile segreteria telefonica?
- Perché mi piace la voce delle persone, sentire le loro insicurezze mentre tentano di trovare le parole adatte parlando al vuoto - rispose K., posando con una certa stizza il cellulare sul comodino.
- Stai filosofeggiando, cara? Non so se hai notato quale orario indecente segna la sveglia – le sussurrò l’amica, accennando alle lancette fluorescenti ferme sull’una e ventisette del mattino.
- Piuttosto, ho bisogno di un arzigogolato piano per tornare indietro nel tempo e risistemare quei due o tre episodi che mi hanno cambiato la vita – sibilò K., appoggiando la testa sul cuscino e sospirando rumorosamente. Tese una mano sul copriletto e strinse la stoffa verde acqua con rabbia.
- E’ inutile che tenti di riportarlo indietro. Non ti risponderà né ti richiamerà mai; è matematico – brontolò l’altra ragazza, alzando gli occhi al cielo davanti all’espressione ferita e sconvolta di K.
- Non è sempre tutto matematico. Non stiamo calcolando nessuna area sottesa a nessuna curva – rispose K., con uno sguardo truce. Mollò la presa sul copriletto e scostò le coperte per scendere dal letto.
- Permettimi di capire bene cosa si agita dentro la tua mente malsana, ti prego. Dove hai intenzione di andare a quest’ora?
- A fare un giro – mormorò K., senza prestare troppa attenzione alla domanda decisamente responsabile dell’amica.
- Un giro. E dove, di grazia?
- Da qualche parte. Togo, Burundi, Mozambico.
- Stai di nuovo facendo la saccente? – la riprese l’amica, piuttosto seccata da quell’atteggiamento.
- Non so dove andare. Siamo alla fine del mondo, in un paese distante chilometri dalla civiltà e l’unico posto dove vorrei essere è la camera di L-… Al diavolo, cosa ne parliamo a fare! – sbottò alla fine, infilandosi le pantofole con malagrazia e recuperando una felpa pesante dalla valigia.
- Smettila di credere che Leroi tornerà da te. Senza contare che non ci è mai nemmeno stato con te – sbuffò la ragazza dai capelli chiari, forse con troppa foga. K. tornò a sedersi sul letto, emotivamente distrutta.
- Io credevo…
- Kat, tu hai sempre creduto che il mondo fosse un posto costellato di fiorellini rosa dove tutti si volevano bene. E sei sempre stata la prima a ferire le persone; le hai allontanate con le tue manie da super-donna e hai ringhiato contro chiunque potesse anche solo scalfirti.
L’amica prese fiato, osservando l’effetto delle sue parole condensarsi nelle lacrime calde di Kat.
- E – continuò, imperterrita – hai passato notti intere ad aspettare Leroi. Hai tentato di inventare funzioni matematiche che descrivessero il tuo stato d’animo e hai riempito la tua agenda di pensieri sparsi, con quel fottuto inchiostro blu che ti macchiava le dita.
- Dove vorresti arrivare esattamente?
Kat quasi tremava alla luce giallognola dell’abat-jour antiquata.
- Kat, tu hai aspettato secoli. Hai sorriso quando c’era da sorridere e finto ogni santo giorno di stare bene. Ce ne siamo accorti ampiamente. Sei una brava attrice, Kat. Sai ingoiare tutti i bocconi amari di questo mondo, ma stavolta non ti permetterò nemmeno di tentare di rimettere insieme i pezzi di una storia che non va.
- Non spetta a te decidere – sibilò Kat, asciugandosi le lacrime con la manica della felpa. Mormorò qualche imprecazione tra i denti.
- Kat, tu non piangi nemmeno davanti ai morti, devo ricordatelo?
- Sembro un ammasso di schifoso patetismo gratuito.
- Hai solo, uhm, fatto qualche errore – le concesse l’amica, con un sorriso comprensivo. Poi le passò un braccio intorno alle spalle.
- L’ho implorato di baciarmi.

So, kiss me.

- Lo so.
- Ho dovuto fare a pugni con la parte violenta di me stessa quando ha invitato Sasha al ballo.
- Lo so.
- Non ho dormito per quasi cinquantadue ore quando è stato ricoverato. Mi hanno strappato litri di sangue per salvarlo. Ho finto che andasse tutto bene; ho ringraziato non so nemmeno quali divinità quando ha riaperto gli occhi. Gli ho offerto tutto quello che avevo.
- Le parti nascoste di te stessa.
- L’ho fatto entrare nel mio labirinto; gli ho mostrato la strada giorno dopo giorno – singhiozzò, con nuove lacrime che le rigavano il viso.
- So anche questo.
- Ho pianto davanti alla sua fredda cortesia; ho archiviato quest’amore con etichette fragili.
- E hai espresso sempre lo stesso desiderio davanti a centinaia di stelle cadenti diverse. Lo so.
L’amica le prese una mano gelida e la strinse forte. Si accoccolò contro la spalla forte di Kat.
- E non è servito esattamente a nulla – concluse la ragazza, mentre altre lacrime colavano come gocce sporche.
- No, non è servito.
- Eppure, io ci sono stata – sbottò Kat, alzandosi di scatto senza lasciare all’amica il tempo di replicare.
- Molto più di quanto avresti dovuto.
- E non sopporto l’idea che sia con Sasha a… A far-…
Crollò per terra come un burattino dai fili recisi.
- Sarebbe accaduto, prima o poi.
- Lei sta… Stanno…
Kat si alzò in un nanosecondo e assestò un pugno contro il cuscino pieno di piume d’oca.
- Kat, calmati.
- L’ho scritto su un muro grande come una casa che l’amavo! Con quelle cazzo di bombolette spray. Ho pregato che leggesse e capisse.
- Smettila! Non ti servirà a nulla rievocare tutti i bei momenti della vostra intensa relazione sbilanciata! – la ammonì la ragazza, con uno sguardo severo. Kat smise di urlare, colpevole.
- Lo amo - mormorò a mezza voce.
- Non è la notte delle dichiarazioni, questa. E’ una notte come tutte le altre, in un posto qualunque, durante un viaggio qualunque. Sono quasi le due – constatò poi l’amica, osservando le lancette fluorescenti muoversi inesorabili.
- Finirà mai di fare male?
- No, Kat. Non finirà. Posso dirti tutte le belle parole di questo mondo, ma non finirà. Leroi sarà sempre Leroi nella tua testa e per quanto tu vorrai dimenticare, cancellare, strappare, rimarrà sempre lo stesso.
- Non sei di consolazione.
- Posso fingere, Kat. Posso dirti che domani splenderà il sole, che Sasha e Leroi in quella camera stanno solo parlando. Posso convincerti del fatto che troverai un altro che valga più di lui. Posso imbottirti dei placebo di rito. Tuttavia, Leroi sarà sempre Leroi.
- Uno stronzo, schifoso, perfido e malevolo Leroi.
- Esatto.
Kat sorrise timidamente, asciugando ancora qualche lacrima.
- Controllo un’ultima volta la segreteria telefonica e mi metto a dormire.
- Leroi non ti ha lasciato nessun messaggio. Senza contare che avrebbe potuto venire a bussare a questa dannata porta dato che è appena un piano più giù.
- Preferisco illudermi piuttosto che essere realista.
 
***

- Dove stai cercando di scappare?
La ragazza dai capelli biondi mormorò poche parole sconnesse a Kat che, silenziosa e furtiva, stava facendo del suo meglio per vestirsi senza far rumore.
- Vado… Al bar! – rispose K., con troppa fretta, nascondendo quella bugia che le era scivolata rapida tra le labbra.
- Bar? A quest-…
Kat chiuse la porta della stanza con un tonfo sommesso senza darle nemmeno il tempo di finire la frase. Scese le scale rapidamente, come un gatto, con le pantofole bianche che frusciavano sulla moquette scura. Non era nemmeno sicura di quale fosse il numero della stanza, anzi, lo sapeva benissimo, ma voleva fingere con se stessa di non ricordare.
- Millesettecentonovantaquattro? Novantasei? – borbottò nell’oscurità crescente del corridoio, sicura che di lì a pochi secondi avrebbe fatto marcia indietro per infilarsi di nuovo sotto le coperte calde di un letto non suo.
- Kat?
Con un sobbalzo si voltò, pallida. Leroi – dannatissimo Leroi – la stava guardando con i suoi occhi chiari stupiti e le sopracciglia aggrottate.
- Io, proprio io  - rispose la ragazza, sbrigativa. Indossò il suo sorriso più falso e scrollò le spalle. – Sai, facevo un giro, è ancora così presto.
- Kat, sono quasi le quattro del mattino. Non mi sembra il cas-…
- Non fare lo stronzo.
- Kat, torna a letto.
La ragazza quasi gli ringhiò contro, muovendo qualche passo irruento verso di lui.
- Non essere sciocca.
Leroi le tese una mano bianca e liscia, la stessa che Kat aveva stretto miliardi di volte nella casa sull’albero, quando i temporali estivi infuriavano e lei non era nulla, nulla, se non una ragazza qualsiasi in un bosco qualsiasi, innamorata della persona sbagliata, la stessa che la stava guardando in quel momento con aria quasi supplichevole.
- Non fare cazzate, Kat – la pregò Leroi, mentre il pugno della ragazza si alzava pronto a colpire. Kat rimase con la mano ferma a mezz’aria, con gli occhi verdi fissi in quelli del ragazzo.
- Ecco. Respira, Kat.
- Sei uno stronzo – sibilò lei, ritraendosi da un suo tentato abbraccio. Leroi la guardò, triste.
- Non era mia intenzione ferirti, Kat.
- Puoi anche smetterla di dire palle, Leroi. Ti conosco da quando eri un ragazzino puzzolente con le ginocchia scorticate. E tu cos’hai fatto di tanto geniale? Hai trovato la puttana di rito – urlò Kat, pregando perché riuscisse a mantenere un minimo di autocontrollo.
- Kat, tu non mi hai mai detto ciò che prov-…
- Sei un cretino, Leroi Adams. Credi che ti abbia donato tre quarti del mio sangue perché ti volevo soltanto bene? Credi che sia scappata di casa per venire a recuperarti in quel vicolo soltanto perché ci tenevo a te?
- Sei stata come una sorella per me.
- Una sorella che, cazzo, ha passato gli ultimi due anni a sperare che tu capissi. Ho scritto mille volte che ti amavo e te l’ho dimostrato altre mille.
- Non mi sembra che tu l’abbia mai detto al diretto interessato.
- Non fare il sarcastico con me, Leroi. L’ho perfino scritto su quel muro davanti a casa tua, grande, grosso! Quel maledetto “ti amo L.” color del cielo; e ogni volta che ci passo davanti mi sento una cretina matricolata.
- Credevo fosse per il vicino di casa.
Kat scoppiò in una risata priva di allegria prima di mandare il proprio pugno a sbattere contro la parete del corridoio. Un sinistro scricchiolio seguì al colpo. La ragazza trattenne un gemito.

Lift your open hand.

- Non distruggerti davanti a me – sussurrò Leroi, ipnotizzato dalle nocche rosse di sangue della ragazza.
- Come se ci fosse rimasto qualcosa da distruggere, Leroi! Il resto l’hai fatto a pezzi tu – sussurrò, implorando silenziosamente di non scoppiare a piangere per il dolore.
- Sei così fragile, Kat. Credo di essermene reso conto solo adesso.
- Dio, non sono fragile. Sono solo stata quindici anni in tua compagnia.
- E ti è piaciuto starci?
- Fanculo, Leroi. Ti ho odiato per i primi sette anni, poi mi sono accorta che il tuo sorriso con le fossette era irresistibile. E poi ho deciso per la mia salute mentale di togliermi dalla testa e dalla punta della penna tutte quelle puttanate che avrei desiderato dirti.
- Potresti dirmele adesso.
- Non hai Sasha a gambe aperte in camera? La sua fighetta cosmica non sta aspettando?
- Sei volgare, Kat. E comunque io e Sash-…
- Risparmiami le tue balle. Te lo ricordi quando mi hai mandato in culo al mondo a comprare quei benedetti profilattici con la scusa che dovevi mostrarli a tuo cugino? E come ti ho trovato? Te lo ricordi?
- Con la m-…
- Con quella puttana matricolata di Alyssa, mezzo nudo. Sei sempre stato un distruttore seriale di cuori infranti.
- Tu non hai mai avuto il cuore infranto, Kat.
Il pugno di Kat partì di nuovo, questa volta colpendo Leroi sul braccio. Un colpo leggero, quasi disperato.
- L’ho avuto eccome, solo che non l’ho esibito in mondovisione. Me lo sono tenuto per me, incerottato e cadente.
- Ci hai costruito attorno un fossato con i coccodrilli, ti ricordo.
- Sai com’è, quando ti innamori di Leroi Adams hai poca scelta. O decidi di dissimulare tutte le tue schifose rotture e il marcio te lo tieni dentro, o dai spettacolo come June.
- Non parlarmi di lei.
Leroi abbassò gli occhi.
- June è un gran bel rimorso, vero? Ti ricordi quale cazzo di persona su questa terra è andata a riprenderla prima che si buttasse da quella scogliera? Dai, dimmelo!
Kat stava ormai piangendo di rabbia, tremando.
- Kat, ti ho ringraziato abbastanza, mi pare.
- E il giorno dopo sei andato a scoparti Melody senza pudore! Questo è stato il tuo grande ringraziamento! – urlò, mentre le lacrime cadevano ormai libere sulla moquette scura.
- Non l’ho deciso io.
- Ah no? Hai un pene dotato di cervello autonomo?
- Non essere sarcastica con me, Kat Evans.
Kat sorrise appena tra le lacrime.
- Cosa ci parlo a fare con te? Tanto tra cinque minuti tornerò in quella fottutissima camera e domani mattina berrò litri di caffè e fingerò che sia stato tutto uno scherzo del destino. Andiamo, Leroi. Smettiamola di fingere che le cose tra noi si sistemeranno. Lo sappiamo entrambi che dovrei dirti milioni di cose e non ci sono mai riuscita; e se le dicessi, tra noi cosa succederebbe?
- Un collasso gravitazionale di quelli che piacciono a te?
- Fanculo le nebulose in rotazione, Leroi. Sto parlando sul serio.
- Andiamo, Kat Evans, accendi il cervello. Sì, ok, mi sono fatto Sasha meno di un’ora fa. Sì, mi è piaciuto. No, non lo rifarei. Sì, ho sbagliato miliardi di volte e ti devo la vita, e anche un sacco di altre cose. E sai che ti dico? Che ho sperato che quella maledetta scritta fosse per me, Kat Evans, perché mi era sembrato di riconoscere le tue vocali grasse.
- Non tentare di fare il drammatico.
Kat si accasciò lungo la parete, tirando fuori dalle tasche un pacchetto di sigarette. Ne accese una.
- Leroi – ed espirò un rivolo di fumo grigio – sto pregando un dio che non esiste perché possa smettere di amarti, finalmente.
- Proprio adesso te lo ricordi, Evans? Potevi farlo quando ti ho tirato quello schiaffo epocale nel ripostiglio dei Bones. Quando ti ho intimato di sparire dalla mia vita dopo che praticamente avevi evitato che finissi all’altro mondo. E quando ho limonato con tua sorella sul tuo letto. No, ok, questo non è vero, però avrei baciato te.
Leroi sorrise, accasciandosi accanto a lei. Posò il capo sulla sua spalla.
- Ti ho implorato di farlo, se ricordi.
- Andiamo, Kat! Avevo appena conosciuto quella strafiga di Sasha.
- Merda.
- Ti ho voluto bene per così tanto tempo, Kat.
Leroi si strinse di più intorno al suo braccio.
- Io ti ho amato, vediamo un po’ chi vince.
- Vinco io perché ti ho tutta per me, Kat.
- E’ una sottospecie di dichiarazione d’amore?
- Voleva esserlo, ma non sono mai stato bravo con le parole.
Kat smise di respirare. Un raggio di luna piena illuminò uno spicchio di corridoio.
 

Oh, kiss me beneath the milky twilight.
Lead me out on the moonlit floor.
Lift your open hand.
Strike up the band and make the fireflies dance.
Silver moon's sparkling.
So, kiss me.

- Andiamo Kat, non avrei potuto resistere quindici anni in tua compagnia senza innamorarmi di te. Quindi, baciami.

   
 
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