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Autore: Mendori    28/04/2013    6 recensioni
Avevi pensato d'ucciderla.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Rin, Sesshoumaru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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Pineta



Sesshomaru, avevi pensato d'ucciderla.
Non si trattava in realtà di un'idea nuova; già tempo prima, quando eri stato ferito al punto da non poterti muovere, avevi accarezzato l'ipotesi di spezzare la mano impudente che ti offriva del cibo.
Eppure quel pensiero aveva attraversato la tua mente come una stella cadente: scomparendo presto nel buio, spegnendosi prima di riuscire a terminare il proprio cammino nel cielo – ed era stato forse grazie al profumo dell'edera e alla tua spossatezza che ti eri scoperto tanto tollerante.
Più tardi ancora, quando la tua spada riportò in vita ciò che avrebbe dovuto rimanere della terra, ti parve inutile e vile muovere l'artiglio contro quella creatura che potevi lasciarti alle spalle semplicemente allontanandoti.
Ma la bambina ti seguì.
Ti seguì, e fu curioso. Fu interessante. Ti divertisti osservando Jaken sprecare fiato nel tentativo di scacciarla come una bestia, sciò.
Ma quando lo scalpiccio alle tue spalle si fece debole e irregolare come un cuore che si spegne, e i commenti di Jaken più rari e tiepidi, decidesti che era ora di porre fine a quel gioco.
Quel pensiero descrisse una parabola perfetta nella tua mente, e divenne una decisione.

«Vieni qui».
Così, al tramonto del secondo giorno di viaggio, la invitasti ad avvicinarsi.
La bambina era docile e ubbidì, sgambettando timida verso di te, mentre il sole morente alle sue spalle accendeva d'un arancio brace il profilo scarmigliato dei suoi capelli.
Deliberatamente avevi atteso d'entrare in una pineta prima di chiamarla; una piccola parte di te riconosceva infatti qualcosa di osceno nell'immaginarla abbandonata in una radura, senza neppure lo scudo dei rami a schermirla. Gli aghi di pino creavano un tappeto uniforme e cedevole sotto i vostri piedi, e un intreccio verde sopra le vostre teste. Lo giudicasti adatto.
L'umana ti raggiunse, e per guardarti alzò il viso come cercando il cielo.
Ti ricordò un bambino appena risvegliato da un sonno profondo, che ancora lo intorpidisce: nelle biglie scure dei suoi occhi ogni emozione sembrava smorzata da una profonda, stagnante stanchezza.
Era palese che i tuoi ritmi di marcia non le fornissero tempo sufficiente per riposare o rifocillarsi - gli occhi stravolti e le labbra screpolate ne erano infelice indizio.
Se si fosse ostinata a seguirti sarebbe morta una seconda volta, di fatica. Lo stesso destino avrebbe avuto abbandonandola nella foresta, e per un attimo anche il pensiero di riportarla in un villaggio umano per farla arrancare nella miseria fino alla fine dei suoi giorni ti suscitò un vago disgusto.
No, sarebbe finita adesso.
Portava ancora il kimono che era stato straziato dai lupi, e adesso che era così vicina il suo odore - sudore e sangue - ti aggredì l'olfatto, ricordandoti perché molte ore prima le avevi intimato di mantenersi a distanza.
Ignorando la repulsione ti inginocchiasti davanti a lei, e a quel gesto ti parve di vederla rianimarsi un po' di sollievo. Che ironia, le eri forse sembrato più amichevole, Sesshomaru?
Con quella domanda in mente, le posasti una mano sulla testa.
Solo allora Jaken – che vi aveva osservato in rispettoso silenzio – capì, e s'affrettò a distogliere lo sguardo, mormorando qualche parola pietosa. Tradì forse le tue intenzioni, perché la piccola umana si voltò verso di lui, allarmata.
«Ragazzina» la richiamasti, solo per frugare in quello sguardo sgomento, senza voce.
Sotto la tua mano, un groviglio di capelli e polvere, e ancora più sotto, la fragilità dell'osso.
Le avresti schiacciato la testa come il cranio di un gatto. Sì. Lo avresti fatto, flettendo le dita lunghe e forti, guardandola negli occhi.
Ma lei ricambiò il tuo sguardo confusa, come se non riuscisse a individuare la minaccia incombente – e poi d'improvviso un'ombra scura comparve sotto il suo naso.
Un rivolo di sangue vermiglio scivolò dalla sua narice, e la bimba si pulì meccanicamente con il dorso della mano, impiastricciandosi una guancia di rosso, mentre altro sangue cominciava a scendere.
Sesshomaru, in quel momento provasti disgusto e, tuo malgrado, pietà.
Avevi la tentazione d'ucciderla. Avevi la tentazione di dimenticare che quella miserabile creatura era in vita grazie alla tua spada e alla tua mano.
Eppure l'idea di schiacciare quella bestiola ridotta al silenzio d'un tratto ti ripugnò.
Ricordasti il suo volto pesto, l'occhio vitreo d'un cadavere dilaniato dai denti… e una consapevolezza piatta e fredda s'infilò nel tuo ventre, mordendoti.
Non avevi mai desiderato aiutarla, ma senza dubbio neppure infierire su di lei.
L'idea d'averla richiamata alla vita solo per prolungare la sua sofferenza, infliggendole altri due giorni di stenti, ti parve una prospettiva... penosa, e la tua mano scivolò dalla sua testa, come arrendendosi.
La bambina avrebbe vissuto - in che modo, l'avresti deciso in seguito. Non eri una creatura di pensieri, e non ti piacque rimuginare oltre.
Con voce incolore dicesti: «Ferma il sangue con la manica del tuo kimono. Presto ne avrai un altro».
La bimba ubbidì, e d'istinto si aggrappò a te con la mano libera quando il tuo braccio la cinse, sollevandola in un movimento fluido. Jaken boccheggiò la sua sorpresa.
Mentre a grandi passi ti dirigevi verso il limite della pineta, la piccola si schiacciò contro di te e tremò, fremente come un uccellino catturato.
Poi ti sorprese: s'addormentò.

La bambina crebbe in una donna, e ti fu cara.
Non ti capitò mai più d'arrivare tanto vicino a ucciderla come quel giorno in pineta, eppure in molte altre occasioni soppesasti quella possibilità. Ogni volta che s'ammalava, o che le contavi tra i capelli un nuovo filo d'argento, la tua mano si irrigidiva, smaniando di colpire.
Era quello un guizzo d'egoismo, d'amor proprio: il desiderio di anticipare un evento ineluttabile, e così facendo decapitare il dolore dell'attesa.
E tuttavia... con turbamento arrivasti ad ammettere che sempre più spesso la scintilla di quel pensiero violento non si spegneva da sola, ma veniva soffocata proprio dalla stretta deliberata dei tuoi polpastrelli.
Non desideravi ucciderla. Non desideravi che morisse.
Così, quando ciò avvenne e non fu per mano tua, Sesshomaru, provasti un dolore e un sollievo gemelli, sconfinati come cielo e mare.
Guardasti in alto e ti piacque non scorgere nemmeno una stella.






 ***

Questa fanfiction è stata terminata per partecipare al Contest Tempo di lacrime di Chisana kitsune.
È un esperimento: per la lunghezza (sì, non ridete, secondo i miei canoni è parecchio lunga!) e per il genere.
Ho letto altre interpretazioni di come Sesshomaru sia arrivato ad accettare definitivamente Rin al proprio fianco, ma non ho mai incontrato nessuna storia dove si parlasse di questo momento in toni un po' cupi – nonostante Sesshomaru ai tempi dell'incontro con Rin fosse ancora sostanzialmente un “cattivo”.
Volevo parlare di questo, e ne è uscita una storia molto più autobiografica (non in senso stretto, ovviamente!) del previsto - per cui mi viene difficile parlarne.
In ogni caso, grazie infinite per essere arrivati fin qui!

   
 
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