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Autore: Vampiresroads    29/04/2013    2 recensioni
Cosa può spingere un sedicenne a non vedere la luce del sole per settimane? E chi può convincerlo che c'è molto più di quella stanza fredda là fuori?
"Così restavo lì, girato di spalle, aspettando la predica che mi convincesse: non a mangiare verdure, ma a uscire da quella stanzetta appiccicosa e asfissiante.
-Charlie, posso entrare?- La porta nera, che ormai tendeva al grigio tanto era consumata, gracchiava fastidiosamente e la mia convinzione nel riuscire a rimanere immobile fallì prima che Oliver entrasse."
Genere: Avventura, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono nato, poi?
 
A sette anni dallo spiacevole incidente, quella giornata iniziava a sfumare nei miei ricordi, mentre il mio fratellino ricordava ancora tutto alla perfezione, perfino quello che gli avevo raccontato dello scontro.
Ero contento che non ci fosse stato in mezzo, se l’avessero anche solo toccato probabilmente non me lo sarei mai perdonato, e starei ancora a rimuginarci su, con aria colpevole e assassina.
Invece, è andata bene, direi. Piuttosto bene.
Ho ancora una cicatrice marchiata nello stomaco e ho avuto macchie e lividi per mesi e mesi, ma non smetterò mai di ripetermi quanto ne fosse valsa la pena.
Vedere mio fratello così fiero di me, poi, mi rendeva il ragazzo più felice del mondo.

Andando avanti con la medesima vita, arrivò il 15 Settembre di sette anni dopo: un’altra giornata che non dimenticherò mai, una di quelle che hai inevitabilmente tatuata ovunque, ma che alla fine riesci a vedere solo tu.
Una piacevole sensazione, direi.
 
La scena si stava ripetendo quasi analogamente: Oliver, stavolta fiero dei suoi quindici anni, entrò nella stanza silenziosamente, attento a non scivolare sul poster distrutto sul pavimento.
“Charlie? Posso?”
Eravamo cresciuti tantissimo, dio come vorrei che il tempo torni indietro.
Di solito i genitori o i fratelli maggiori dicono “Sembra me quando avevo la sua età!”, ma lui non assomigliava minimamente a com’ero io alla sua età.
Né di aspetto, né di carattere.
I suoi occhioni oro mantenevano la lucentezza, col passare degli anni avevano iniziato a sfumare sul verde e la pelle pallida si manteneva di quel chiarore perfetto e quasi angelico che lo aveva sempre caratterizzato, così come le labbra che sembravano anticipare una crescita più che fiorente.
Non era ancora fidanzato, impegnato o innamorato, o così credevo.
Era ancora un bambino, dalla sua parte, nonostante fosse di un’intelligenza che comunque i suoi compagni si sognavano, e questo mi faceva piacere.
Non che fossi uno di quei fratelli maggiori gelosi che desiderano solitudine o vendetta verso i piccoli, ma mi faceva piacere vedere la sua purezza ancora vergine.
Perché si sa, è un’età in cui si inizia a desiderare la libertà, la ribellione, l’alternativo, e lui lo era, molto più degli altri, proprio perché aveva una fermezza mentale e una capacità di vedere fuori dagli schemi che lo faceva risaltare senza che lui lo facesse apposta.
Senza che lui lo volesse nemmeno, in realtà.
Molti penseranno fosse diventato uno di quegli adolescenti chiusi e intellettuali, uno di quelli che passano le giornate sopra ai libri, fino a raggiungere l’esasperazione.
Beh, vi sbagliate di grosso.
Lui era esattamente l’opposto di tutto questo: amava studiare solo ciò che gli piaceva, il resto lo faceva superficialmente, ma in ciò a cui teneva metteva tutto sé stesso, così come per gli amici.
Non era mai violento o troppo volgare, sempre aggraziato e divertito allo stesso tempo, riusciva a ironizzare su qualsiasi cosa in modo apprezzabile, così che tutti si potessero divertire senza offendere altri.
È incredibile come arrivasse ad animare qualsiasi gruppo con una battuta pronta che ancora mi domando come riesca a trovare.
In ogni caso usciva spesso e aveva iniziato a trovare amici che apprezzassero la sua spontanea amabilità e mi faceva piacere vederlo finalmente ottenere ciò che ha sempre lottato per meritarsi.
E dentro di me, per quanto possa sembrare assurdo, abitavano tanti orchi che iniziavano a distruggere il mio stomaco solo al pensiero che sì, doveva crescere, che era cresciuto, che il mio piccolo Oli dai giochi nuovi e dai biondicci capelli morbidi se ne sarebbe dovuto andare.
Dio, lui sarebbe sempre rimasto la mia solida roccia, il mio piccolo orgoglio.
 
Finii di analizzarlo e guardarlo con la solita fierezza che è abituato a vedersi dimostrare, così lo invitai a sedersi sul solito letto.
Quel giorno non ero triste: stavo leggendo Candido di Voltaire per l’università, quel libro mi traumatizzò in prima media, quando la professoressa di lettere ci costrinse a leggerlo.
Ero felice che il ragazzino avesse interrotto l’inquietante lettura, così mi dimostrai interessato al massimo.
Di solito, quando fa irruzione nella mia stanza  e accetta di sedersi un momento sul letto, è perché vuole parlarmi di qualche nuova incredibile teoria, e , come avrete notato, amo parlare con lui.
“Ciao Oli, come sta andando l’esposizione di storia? Sei pronto?” Gli domandai sorridendo; era ovvio fosse pronto.
“Sì, penso di saperla piuttosto bene, avevo iniziato fisica per giovedì.”
“Hai fatto bene, torna?”
“Per ora, ma non riesco a concentrarmi.” Parlava con aria assente, mi piace quand’è così, ha sempre un argomento nuovo da tirar fuori.
“Cos’è che ti preoccupa?”
“Nulla in realtà, però pensavo.”
“Pensavi?”
“Non so come spiegarti. A volte mi capita di sedermi su un muretto del corso e semplicemente guardare la gente, non ti è mai capitato? Solo mettersi lì e immaginare.”
“Molte volte, e spesso mi domando che vita abbiano e cosa facciano nella vita.”
“Io li guardo piano piano. Voglio dire, inizio dai bambini, dai più piccoli. Ognuno sembra raccontare una storia diversa e sembra esser lì per sfondare e diventare il migliore.
Hanno tutti quell’occhio vivace e quei sorrisi macchiati di gelato che sembrano dire: ‘hey, potrei diventare presidente degli Stati Uniti se volessi!’, oppure li vedi che esplorano la piazza e cercano risposte in tutto quello che vedono. Sono meravigliosi, sono così diversi, così vivi.
Poi inizi a guardare gli adolescenti e iniziano a svuotarsi, e lo dico da persona, non da teenager.
Voglio dire, sono tutti divisi in gruppetti e ogni gruppetto ha il suo stesso modo di fare qualsiasi cosa: è impressionante.
Gli occhi cominciano ad appassire e sono così pochi quelli che brillano ancora.
Così tanta nostalgia per le figure minute dei bambini.
I più grandi iniziano a diventare davvero cattivi, e l’incoscienza lascia spazio all’ignoranza e all’acidità, così si entra nell’età adulta.
I trentenni: è così raro vederli in giro. Loro solo sempre terribilmente indaffarati e occupati a cercare lavoro o fidanzati o relazioni o vattelappesca. Iniziano a mettere da parte tutti i loro sogni…
Mi capisci, capisci cosa intendo? Si rassegnano.
È terribile vedere le persone rassegnarsi, sembra quasi spingerti a rinunciare, ma io non voglio rinunciare, non è così che voglio finire.
Voglio dire, finire come loro.
Come quelli dai quarant’anni in su che ormai hanno schematizzato pressoché tutto e, a parte le rare eccezioni, sono così freddi e rassegnati.
Non voglio rassegnarmi, Charlie.”
Quanto amo quando mi parla così. Mi vengono le farfalle dello stomaco e non riesco mai a fare a meno di abbracciarlo.
Ha sempre qualcosa di nuovo da dire e il fatto che sia deciso a non rassegnarsi mi sollevò, nonostante non fossi sicuro dell’argomento a cui si riferiva.
“Oliver, non ti stai arrendendo e non ti arrenderai mai, io lo so.
Qualcuno ce la fa, va bene? Hai tanto da dire, ce la farai.”
“Io lo vedo. Stai lì in mezzo a mille persone e inizi a domandarti: ‘ma loro lo sanno che potrebbero essere molto di più?’
Dimmi, fratellone, loro lo sanno? Loro potrebbero essere molto di più.”
Mi spiazzò. Dio, quel ragazzino, quel ragazzino.
Aggrottò le sopracciglia e vedevo la sua domanda trapassargli gli occhi, sempre più presenti.
Non sapevo davvero come rispondergli, lo vedevo accucciato in attesa di una risposta e desideroso di conversazione, così riflettei qualche secondo e buttai giù la prima risposta che riuscii ad argomentare.
“Non so se se lo chiedano. Ti ricordi quei ragazzi della simpatica e radiosa giornata di sette anni fa? Loro si stanno distruggendo, e come loro molti altri, ma non tu.
Hai qualcosa di speciale fratellino, e non lo dico per dire, non spegnerti.”
“Ma tu?”
“Io? Io tutto bene.”
“Ma tu, che hai intenzione di fare?”
“Non saprei, io… -balbettai- troverò un modo per andare avanti, studierò, lavorerò, viaggerò.”
“E ciò che vuoi? E i tuoi sogni?”
Mi stavo per sciogliere, sembrava un cerbiatto, un bambino, un essere delicato e intoccabile.
“Charlie, -riprese- hai ancora dei sogni, vero?”
“Certo, Oli, certo che ho dei sogni.”
“E non li sotterrerai?”
“Perché non possono essere tutti come te?” Risi bonariamente, mi trasformavo in un’altra persona quando c’era lui, non ho mai visto quindicenni così.
Sorrise modestamente e si sdraiò riflettendo, finché non suonarono a casa e corse a rispondere, balbettando che sarebbe sceso subito.
“Chi è?” domandai, “Will?”
“No, Chai, è Lara.”
“Lara?”
“C’è qualcosa che dovrei raccontarti, in effetti…” Si infilò frettolosamente il giacchetto e corse di sotto. “A dopo!”
Lo osservai dubbioso e tornai in camera.
Sta crescendo, cazzo, sta crescendo.
 

  
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