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Autore: Arimi_chan    30/04/2013    2 recensioni
-“Guarirà? Si può fare qualcosa?” Lo speravo, lo speravo davvero. Quel bambino era talmente piccolo, indifeso, dolce…
“Purtroppo, a volte, arrivano troppo tardi, e non c’è più niente da fare”.
Liam ed io ci guardammo negli occhi, e penso che ognuno di noi abbia letto negli occhi dell’altro la stessa identica cosa.
Con quella frase l’infermiera, non aveva dato una vera risposta alla mia domanda, ma ci aveva fatto capire che era solo uno dei tanti.-
Piccola fanfiction che racconta dell'esperienza dei ragazzi in Ghana. Spero vi piaccia. Simona.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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  • La nostra esperienza all'inferno

  • Ciao ragazzi, sono tornata! =) Prima di lasciarvi alla storia, vi pregherei, dopo aver letto, di leggere anche le note in fondo. Grazie mille! =)
     
    POV Harry
    Quando ci dissero che saremmo andati in Ghana, per Comic Relief, mille pensieri mi attraversarono la mente. Certo, sapevo non sarebbe stato facile, ma sicuramente ero parecchio agitato e spaventato, così come anche gli altri. Sapevamo che molto probabilmente quello che avremmo visto ci avrebbe segnati per tutta la vita, avremmo, in un certo senso, dovuto farci carico di tutta quella povertà e sofferenza. Ci dissero di portare lo stretto indispensabile, niente cose preziose, il cellulare sarebbe bastato, e di portare solo abiti vecchi e logori.
    Pochi giorni prima di partire andammo a fare i vaccini. Molte sono le malattie trasmettibili, e, ovviamente, il nostro staff ha fatto in modo che niente e nessuno ci potesse colpire. Ma mai avremmo pensato di dover fare così tanti vaccini.  In Africa ci sono tantissime malattie, le più famose e pericolose sono, ad esempio, la febbre gialla, l’AIDS, il colera e la malaria. Malattie che si trasmettono con il sangue, con l’acqua infetta, ma anche da una semplice puntura d’insetto.
    “Secondo voi è possibile che la situazione, laggiù, sia così grave?” Chiese innocentemente Niall.
    “Non saprei dirti Nialler, lo scopriremo una volta arrivati.” Eccolo lui, il saggio Daddy Payne, colui che sa tutto, che conosce il mondo, e che riesce anche a farci ragionare, lo ammetto.
    E ammetto anche che, come la maggior parte dei casi, aveva ragione.
    Atterrati in Ghana tutto quello che vedemmo erano strade dissestate e catapecchie. Gente che chiedeva l’elemosina ad ogni angolo, bambini che correvano scalzi o aiutavano i loro genitori a lavorare nei pochi campi. E quando dico bambini, intendo bambini dai 4 ai 10 anni. Erano tutti sporchi, nessuno escluso, e nonostante la sofferenza, andavano avanti. Solo allora capii che probabilmente sarei tornato cambiato dal quel viaggio. Solo vedere le condizioni in cui certa gente vive mi ha fatto venire un colpo al cuore, un insostenibile senso di vuoto e impotenza. Ed era solo l’inizio.
    II primo giorno ci spiegarono cosa avremmo visto, ci diedero qualche piccolo consiglio  e ci presentarono i traduttori. Ed era strano per noi, insomma, siamo abituati a girare il mondo e tutti parlano l’inglese, è una delle lingue più conosciute al mondo, ma dovettero ricordarci che la maggior parte delle persone è analfabeta. Non sa né leggere e né scrivere, figurarsi imparare una lingua straniera.
    Il secondo giorno ci divisero in gruppi. Io e Liam, Louis e Niall, e Zayn sarebbe andato con il nostro manager. A turni avremmo visitato gli stessi tre posti, per poi concludere in una delle scuole del villaggio. Io vi racconterò la mia esperienza in ospedale, nel reparto di malattie infettive, Louis vi racconterà del reparto neonatale. Niall parlerà della sua splendida esperienza tra gli “scavatori”,  Zayn della sua visita al villaggio, e Liam, raccogliendo le emozioni di tutti, parlerà della nostra esperienza alla scuola.
    Ovviamente, inizierò io.

    ………………………………………………………………..
    Nonostante a Londra facesse un freddo bestiale, in Ghana si soffriva il caldo, e anche le mosche…e le zanzare. Quel giorno io e Liam dovevamo visitare il reparto di malattie infettive dell’ “ospedale”, chiamiamolo così, del villaggio. Non era altro che una costruzione anonima, nulla faceva presagire l’esistenza di un ospedale. In Inghilterra l’avrei catalogata come “Una casa infestata dai fantasmi risalente al secolo scorso”. Girammo tra varie stanze  e lo stato di degrado e povertà erano visibili a chiunque, ma quello che davvero colpì me Liam, fù una visita. Vedemmo arrivare una signora, sui trent’anni,  indossava i classici vestiti di tessuto e stampa africana. Suo figlio, poco meno di un anno, fasciato in una meravigliosa tutina blu, non stava bene. All’apparenza, sembrava solo indebolito dalla febbre.
    Mentre il dottore visitava il bambino, un’infermiera ci spiegava cosa stesse succedendo. Ci fece notare prima di tutto i palmi delle mani e dei piedi. Erano gialli,  una cosa mai vista prima su di un essere umano, e  che con il loro colore di pelle, stonava parecchio. L’infermiera ci spiegò che l’anemia era uno dei sintomi della malaria. E penso che il mio cuore, così come quello di Liam, in quel momento, perse un battito. Ma il peggio era dietro l’angolo, e non saprei dire con quale coraggio, pronunciai quelle poche parole.
    “Guarirà? Si può fare qualcosa?” Lo speravo, lo speravo davvero. Quel bambino era talmente piccolo, indifeso, dolce…
    “Purtroppo, a volte, arrivano troppo tardi, e non c’è più niente da fare”.
    Liam ed io ci guardammo negli occhi, e penso che ognuno di noi abbia letto negli occhi dell’altro la stessa identica cosa.
    Con quella frase l’infermiera, non aveva dato una vera risposta alla mia domanda, ma ci aveva fatto capire che era solo uno dei tanti.
    Quel bambino non sarebbe sopravvissuto, quel bambino non avrebbe avuto le cure necessarie, quel bambino, pochi mesi prima, non aveva avuto un vaccino. Sicuramente quel bambino, che voi avrete visto nei video, in questo momento giace sotto terra, in un eterno e, spero per lui, gioioso riposo. In un mondo in cui tutti gli uomini sono uguali e hanno gli stessi diritti.
    Ricordo di aver iniziato a piangere come una fontana. Amo i bambini, sono la forma più pura di innocenza che il mondo abbia mai visto, eppure sapere che quel bambino, di lì a pochi giorni si sarebbe addormentato per sempre, mi aveva fatto provare un’angoscia ed un senso di impotenza fuori dal comune. Perché la verità è che noi eravamo lì da spettatori di morte e sofferenza. E, forse, chi ci ha visti piangere, si è anche sentito umiliato, ma erano lacrime sincere. Di dolore, stupore, incredulità. Quello che ho sempre saputo o visto in tv di quel mondo è solo un millesimo delle loro reali condizioni, ma di questo ve ne parlerà Zayn. Tornando al bambino, dopo aver saputo che gli rimanevano solo due settimane di vita, mi sedetti di fronte alla madre e allungai una mano, in segno di conforto, verso la sua. Non pianse, vidi solo una lacrima solitaria scendere sul suo bellissimo volto, segnato da una cicatrice sulla parte destra, mentre io continuavo a singhiozzare come un bambino. Penso sempre  a quanto possa essere spaventata e preoccupata, per me, mia madre, e in un certo senso, la capisco, ma capire come si possano sentire queste madri, che non sapranno mai cosa potrà accadere ai loro figli, è praticamente impossibile.
    In preda alle lacrime, e sempre insieme a Liam, decisi di uscire da quella stanza, per calmare la crisi di pianto che mi impediva addirittura di parlare. Vedevo Liam al mio fianco piangere silenziosamente. Stava pensando, si vedeva, c’era qualcosa che lo tormentava, guardava un punto indefinito della stanza, la sua vista era offuscata dalle troppe lacrime.
    “Lee, tutto bene?” Chiesi.
    “Harry, io…non lo so. Secondo te, se io fossi nato qui, con tutti i problemi che ho avuto, quante possibilità avrei avuto di poter vivere?”
    E per un attimo rimasi sconvolto. Io non ho mai avuto problemi seri, a parte qualche febbre, ma Liam ha passato un’infanzia terribile, da quel punto di vista, ne siamo tutti a conoscenza, eppure adesso sta bene, perché i nostri ospedali sono pronti a tutto, a qualsiasi evenienza. Gli risposi nel modo, forse, più duro possibile.
    “Nessuna Liam, probabilmente non saresti sopravvissuto nemmeno un’ora.” Notai solo che sbarrò gli occhi, incredulo, poi gli diedi le spalle e mi incammini verso l’uscita, sperando che quel leggero venticello portasse con sé tutti i miei pensieri.

    ………………………………………………………………………………..
    POV Louis
    Hey ragazzi, qui è Tommo che parla. Probabilmente sarà l’unico discorso serio che farò in tutta la vita, ma anche io voglio raccontarvi un pezzo di quello che ho visto e sentito, e in quanto amante dei bambini, vi racconterò del reparto neonatale.
    Il reparto neonatale del villaggio che abbiamo visitato sembrava più una camera mortuaria che un reparto dedicato a dei bambini. Siamo soliti vedere, noi del mondo civilizzato, pareti colorate con disegni allegri, che cercano di rendere l’atmosfera accogliente ed adatta ai piccoli pazienti. Ma gli unici colori che ho visto sono il grigio topo e il giallo senape. Niente che riesca a strapparti almeno un sorriso.
    Quando sono entrato nelle varie camere, ho sempre cercato di capire il più possibile cosa fosse successo a quei bambini. Alcuni erano malati, altri in coda per un vaccino, altri affetti da malnutrizione. E c’era anche chi, era lì per tutti e tre i motivi. E si parla di bambini nel loro primo anno di vita. Le camere erano davvero piccole, c’erano un sacco di lettini, ma non c’era nemmeno il posto per i familiari. Ho visto madri dormire nello stesso letto dei figli, dormire su di una sedia, ma anche più bambini nello stesso letto. Ho visto bambini con delle braccia minuscole e delle gambe sottilissime, con tutte le ossa sporgenti, che non mangiano come dovrebbero, eppure l’unica cosa di cui si dovrebbero cibare, a quell’età è solo un po’ di latte, nient’altro. Avrei voluto avere, in quel momento vagonate di latte. Ho avuto modo di far mangiare più volte la piccola Lux, e il suo sorriso e il senso di appagamento, mentre ciucciava dal biberon, mi faceva sentire al settimo cielo. Eppure sul volto di quei bambini vedevo solo sofferenza, li osservavo piangere, dalla fame, ed il mio cuore piangeva insieme a loro. Ho visto visite continue, per fortuna stavano tutti bene, so che Harry e Liam non sono stati così fortunati.
    Mi sono avvicinato ad una donna, teneva una graziosa bimba tra le mani. Le chiesi se era la madre, lei mi rispose che era la nonna e che la madre era morta da poco. Avrei voluto dire qualcosa, ma in quel momento ero rimasto talmente sconvolto che l’unica parola che mi venne in mente fù “silenzio”. E decisi di non dire una parola, semplicemente presi la manina fragile e piccola di quella bambina tra la mia, grande e forte. Speravo di infonderle un po’ di coraggio, di voglia di vivere, con quel piccolo contatto. Vi sembrerà strano, forse, ma in quel momento pensai a tutta la mia vita. La vidi, come in un flashback velocissimo, e davanti ai miei occhi c’erano i momenti più belli che avevo vissuto con quella che è, e sempre sarà, l’unica donna della mia vita: mia madre. Non voglio assolutamente sminuire la figura paterna, non sono nella posizione adatta, vista la mia situazione familiare, ma la mamma è la mamma, nessuno è come lei. E pensare che quella bambina, già sfortunata, è stata privata anche dell’amore e del legame più profondo che ci possa essere tra due persone mi rattrista incredibilmente. E mi viene la pelle d’oca solo a raccontarlo. Penso anche alle mie sorelle, a cosa sarebbero in grado di fare senza nostra madre, e mi rendo conto che nel nostro mondo civilizzato e pieno di luci e colori, nessun ragazzo della mia età potrebbe sopravvivere ad un dolore del genere, immaginatevi una bambina così piccola.
    Quello che cerco di farvi capire è: Ci lamentiamo tanto, ma già il fatto di avere dei genitori e di riuscire a fare dei pasti completi due volte al giorno, dovrebbe farci sentire dei privilegiati. E’vero, anche io ho sbagliato nella mia vita, anche io ho desiderato cose materiali, ma da quel momento, vedo la vita in maniera differente, penso sempre due volte prima di comprare qualcosa o fare richieste assurde. In Africa, c’è gente che non può permettersi nemmeno un vaccino, o un pezzo di pane, ci sono bambini che vengono abbandonati a loro stessi, o che lavorano alle età più impensabili, quando gli unici diritti e doveri di un bambino sono quelli di andare a scuola, giocare e ridere.  Ma qui non possono, come vi racconterà Niall, c’è gente che lavora tutto il giorno per qualche centesimo, e quello che per noi, è una cosa normale, quasi fosse un diritto di tutti,  come mangiare o avere un vaccino, o un vestito nuovo, per loro comporta un enorme sacrificio. Sicuramente è un’esperienza che mi ha fatto cambiare e crescere, spero di avervi in qualche modo, insegnato qualcosa. Passo la parola a Niall.

    ……………………………………………………………………………
    POV Niall
    Ciao ragazzi, ringrazio Lou per avermi lasciato il testimone e vi inizio a parlare di quello che abbiamo avuto l’onore e la disgrazia di vedere.
    Quella mattina, accompagnato da Louis, sono andato in un enorme campo di…immondizia, già, rifiuti. In Africa vivono anche di quello. A parte quell’enorme “spiaggia” di rifiuti, tutto quello che riuscivamo a vedere erano ragazzini , più piccoli di noi, che scavavano e bruciavano rifiuti per trovare qualcosa di valore, da poi poter vendere. Questi ragazzi lavorano dodici ore sotto il sole, per poi riuscire a guadagnare dai 70 centesimi ai 3 euro al giorno. Lavorano in condizioni impossibili, tra il fuoco, la polvere, il caldo e la puzza.
    Impossibile descrivervi le loro reali condizioni. Come poi vi dirà Zayn, la maggior parte di loro vive a chilometri di distanza, sono costretti a camminare sotto il sole cocente, lavorare per ore, e ritornare a casa con qualche spicciolo in tasca. Da ricordare, ovviamente, che l’Africa vive anche il grandissimo e terribile problema della disidratazione. Non c’è acqua, e quella poca acqua che si trova è sporca ed infetta. Lavorano scalzi e a mani nude, e il pericolo di potersi tagliare e bruciare non gli sfiora nemmeno la mente. E’ una cosa talmente normale e all’ordine del giorno, che se capita, non vanno neanche a medicarsi al più vicino ospedale.
    Abbiamo incontrato due ragazzi, uno di 15 e uno di 12 anni. Gli abbiamo chiesto quali fossero le loro aspettative per il futuro, i loro sogni, e il primo, senza esitazione, aveva risposto che l’unica cosa che avrebbero davvero voluto era l’educazione. Il termine educazione non significa saper dire “buongiorno o buonasera”, ma significa poter andare a scuola, conoscere il mondo, la geografia, sapere che al di fuori del loro mondo c’è un mondo sfavillante di luci e oro. Abbiamo chiesto loro quale mestiere avrebbero voluto fare, il più piccolo avrebbe voluto studiare per diventare un dottore, per salvare migliaia di persone che in Africa, credetemi, muoiono anche per una semplice febbre, l’altro ragazzo, sognava di diventare un insegnante.
    Nessuno merita di vivere una vita del genere, è orribile. Io avevo un sogno, e i miei genitori hanno fatto tantissimi sacrifici per  sostenermi e darmi la possibilità di realizzarlo, e adesso sono qui, da personaggio popolare, famoso in tutto il mondo, ad osservare ragazzi, con dei sogni più nobili dei miei, a cui non viene nemmeno data la possibilità di realizzarli.  Sono costretti a vivere in un  vero e proprio inferno, solo per poter fare la cosa più naturale e semplice del mondo, mangiare qualcosa e sperare di vivere il più possibile. A volte si dice che la speranza è l’ultima a morire. Ma in un posto come questo, la parola speranza, non esiste.
    Vai semplicemente avanti, per inerzia. Continui la tua vita sapendo che da qualche parte nel mondo, c’è gente più fortunata, a cui tutto è dovuto. Liam ve lo spiegherà tra un po’, ma lì la percentuale di bambini che frequentano una scuola è veramente bassa.  Probabilmente dai video che avrete visto, mi avrete scambiato per un insensibile, sono quello che non ha versato una lacrima, ma preferivo piangere la notte, una volta arrivato in albergo, tra il lusso a cui ci siamo abituati, e il nulla che ci circondava. Adesso vi lascio, tocca a Zayn raccontare della sua esperienza, quasi simile alla mia, solo un po’ più forte. A presto.

    ………………………………………………………………………………..
    POV Zayn
    Ciao ragazzi, so che gli altri vi hanno già detto molte delle cose che anche io ho avuto il privilegio e la disgrazia di vedere. Io, come Niall e Louis, sono andato a parlare tra gli “scavatori” e ho avuto modo di vedere le loro condizioni. Tra questi ho incontrato un ragazzino, uno dei pochi che sapesse parlare un inglese più o meno corretto. Il ragazzo che ho conosciuto si chiama Christopher ed ha 15 anni. Lavora come scavatore da ormai 5 anni per poter contribuire economicamente ai bisogni della famiglia. Mi disse che durante il poco tempo libero che aveva adorava giocare a calcio. Nonostante tutto, in Africa, è molto popolare come sport. Curioso e divertito, gli chiesi se avesse una squadra del cuore, la sua squadra preferita, quella per cui tifava. Lui mi rispose che adorava il Chelsea, una squadra inglese, e questo mi riempì di orgoglio. Gli chiesi perché proprio quella squadra, e lui rispose che adorava il Chelsea perché i giocatori sapevano perfettamente cosa significasse giocare a pallone. Molti di voi, probabilmente, mi hanno visto ridere a quell’affermazione e volevo spiegarvi il motivo della mia risata. Il Chelsea è una delle mie squadre preferite e sentire questo tipo di affermazione da un ragazzo che non ha mai visto una vera partita di pallone e che non sa di quante altre squadre forti esistano al mondo, mi fà sorridere.
    Christopher lavora 12 ore al giorno tra i rifiuti, ed ogni giorno è costretto a fare tre chilometri per andare a lavoro e tre chilometri per tornare a casa.
    Pensando fosse una passeggiatina, gli chiesi se poteva farmi vedere dove abitava, visitare un po’ il centro del villaggio. Sono assolutamente sincero se vi dico che non c’era niente per i primi due chilometri. Solo terra e polvere, e altri ragazzini che, come lui, tornavano a casa. Durante l’ultimo chilometro iniziammo a vedere un po’ di gente e qualche casa costruita con il fango ed il letame. I bambini si avvicinavano a me, per loro ero strano, non avevano mai visto una persona ben vestita come me, eppure avevo un pantalone semplicissimo ed una magliettina bianca e sporca. Mi guardavano con quelli enormi occhi neri con una vitalità e una luce mai visti prima. Ad alcuni di loro ho lasciato anche qualche caramella, le avevo portate per sopportare la sete, ma pensai bene di rendere felici alcuni di loro. Rimasi allibito quando li vidi guardare le caramelle con sguardo interrogativo. Molto probabilmente non ne sapevano l’utilità. Presi l’ultima che mi era rimasta in tasca e gli feci vedere come si aprivano e si mangiavano. I loro sorrisi mi fecero venire una stretta al cuore, mai mi sarei immaginato di poter vedere dei bambini contenti con così poco. Tornando a noi  e alle condizioni della strada, posso dirvi che i mezzi di trasporto sono praticamente nulli, di rado si poteva scorgere un’automobile e nel migliore dei casi, un motociclo con a bordo cinque persone. Entrato nel vero e proprio cuore del villaggio, mi feci guidare da Christopher verso casa sua. Avevamo camminato per più di tre chilometri, sotto il sole, e mi sentivo stanchissimo, le gambe mi facevano parecchio male, avevo sete ed ero sudatissimo. Mi sentivo tremendamente in imbarazzo davanti a lui. Si strano, ma vero. Lui era in piedi dalle 5 del mattino, aveva camminato per tre chilometri, lavorato per dodici ore, ed era tornato a casa dopo altri tre chilometri a piedi. Mi chiedevo quale forza sovrumana riusciva a far restare quel ragazzo ancora in piedi. Finalmente arrivammo davanti ad una baracca di due metri quadri, costruita, all’esterno, con assi di legno pitturate di azzurro. All’interno era…vuota. Non c’era niente. Le uniche cose che si vedevano erano dei teli, sui quali dormivano, ed un secchio. In quella stanza, mi spiegò, dormivano e vivevano in tre. Non disponevano di elettricità, di acqua corrente, di gas o fuoco. Niente di niente, neanche la doccia o i sanitari. Usavano il secchio per i loro bisogni. Ed improvvisamente pensai ai miei genitori e alle mie sorelle. Mio padre a volte mi racconta di quei pochi ricordi che ha del Pakistan, prima che i miei nonni decidessero di trasferirsi in Inghilterra. Pensandoci bene, probabilmente mio padre viveva nel lusso, se devo paragonare la sua povertà con questa. Essere stato in Ghana, circondato da queste persone, che non si vergognano del poco che hanno, ma che anzi, sorridono, sempre, come se fosse la cura a tutte le loro disgrazie, mi ha insegnato tanto e non dimenticherò tutti gli splendidi insegnamenti che ho ricevuto e che faranno sempre parte del mio cuore, così come non dimenticherò mai lo splendido sorriso di Christopher e il suo abbraccio calorosissimo. Vi lascio concludere queste brevi considerazioni da Liam il saggio. Sicuramente vi racconterà l’esperienza più bella, l’unica che è riuscita a strapparci almeno un sorriso. Vi lascio con un invito al pensiero. Pensate sempre a chi sta peggio di voi, alle parole che state leggendo e ai video che avete visto. E ricordatevi sempre….YOLO! =)

    ……………………………………………………………………
    POV Liam
    Ciao a tutti, ho letto quello che i ragazzi hanno scritto prima di me. Bè si, ci sono rimasto particolarmente male alle parole di Harry, ma apprezzo il fatto che mi abbia detto la verità, nonostante abbia fatto male. Sono un ragazzo fortunato, con tutti i problemi che ho avuto non posso che sentirmi un privilegiato. Anche io ho visitato i vari reparti dell’ospedale, così come le immense distese di rifiuti, ho visto e toccato la vera povertà che circonda queste persone.
    A me tocca raccontare l’esperienza più bella, da un certo punto di vista, anche se, in paesi come quello, l’orrore è dietro l’angolo.
    Vi racconterò delle scuole che ci sono in Ghana, dei bambini che le frequentano e di come noi ci siamo divertiti a ballare e cantare con loro.
    Inizio dicendo che di scuole ce ne sono davvero poche, i bambini che possono frequentare la scuola e di avere, quindi, una buona educazione sono pochissimi. Di solito si tratta dei figli delle persone più ricche, se così si possono definire. Così come per gli ospedali, le aule delle scuole non sono un granchè. Sono semplici costruzioni in mattone, dipinte di grigio e senza colore. All’interno oltre ad una vecchia cattedra, una lavagna e dei banchetti in legno grezzo non c’è altro. I bambini portano delle adorabili divise verdi e studiano ed imparano a leggere e a scrivere per la maggior parte del tempo. Poche sono le materie che insegnano: Geografia, Matematica, Inglese, Scienze e, ovviamente, la loro lingua ufficiale.
    Uno degli ultimi giorni abbiamo avuto il privilegio di assistere ad alcune lezioni. Al nostro ingresso tutti i bambini si sono alzati in piedi e ci hanno salutato, in inglese, con uno strano accento. Ci osservavano curiosi, quasi come fossimo degli alieni. Quello che notavano maggiormente era il colore della nostra pelle, noi siamo bianchi, Niall soprattutto, delle vere e proprie mozzarelle in confronto a loro. Con molta educazione non proferirono parola, rimasero solo a guardarci e osservarci. Ad un cenno della loro insegnante, si sedettero e ripresero la lezione. Assistemmo alla lezione di matematica e poi a quella d’inglese. Penso di non aver mai visto dei bambini così felici di andare a scuola. Certo, l’alternativa era il lavoro, ma se penso a tutte le volte che avrei preferito non andare a scuola, quasi mi vergogno. Per noi del mondo civilizzato andare a scuola è una cosa normale, naturale e anche noiosa. Tutte quelle ore in classe, seduti a “non far niente”, i compiti, le interrogazioni, le levatacce al mattino…Quante volte ci è capitato di pensare: “Ma chi me lo fa fare? Devo proprio? Che paranoia ascoltare quella vecchia bisbetica!”. Eppure quei bambini si ritenevano fortunati, avevano voglia di andare a scuola, voglia di imparare e tutti, nessuno escluso, avevano dei sogni nobilissimi. La maggior parte di loro voleva diventare un medico, altri degli insegnanti, per poter permettere ad altri bambini di poter studiare, ma c’era anche chi, come tanti bambini, sognava di fare il calciatore. Nell’ora di inglese abbiamo avuto l’opportunità di conoscerli meglio e di poter interagire con loro. Dovevamo porgli le classiche domande di rito tipo: “Come ti chiami? Quanti anni hai? Dove vivi?” E tutti timidamente ci davano delle piccole risposte in un inglese pressoché perfetto. Strano direte voi, in un posto del genere insegnano l’inglese? Si, ci hanno spiegato che è l’unico modo per poter avere un minimo di futuro al di fuori del loro paese, per poter frequentare un’università e studiare fuori casa.
    Durante la ricreazione abbiamo provato ad insegnargli qualche canzone, One Way or Another per prima. E’ la canzone che ci sta permettendo di aiutarli e di assicurargli un futuro.  Ricordo che si avvicinarono a noi per poter capire meglio, davanti a noi avevano formato un piccolo semi-cerchio e ci ascoltavano attentamente, ripetendo, poi, le parole che gli avevamo appena insegnato. Rimasero colpiti particolarmente dal cappello di Zayn. I bambini glielo toglievano e se lo provano, cercando di imitarlo, e, stranamente, l’unica sua reazione era un risata. Provate a togliere il cappello a Zayn per strada, vedrete che non sarà così gentile. Non stavamo facendo nulla di particolare, se non ballare e cantare insieme a loro, eppure si divertivano, avevano il sorriso sulle labbra, ricordiamoci sempre che loro non ci conoscono, non sanno chi siano gli One Direction, ma ci trattavano come loro pari, come se anche noi avessimo sofferto e combattuto come loro. Eravamo circondati da circa quaranta bambini e, ognuno di noi ne teneva due sulle ginocchia, tentando di farli stare a loro agio. Abbiamo ascoltato parecchie canzoni popolari, quei ragazzi sono davvero splendidi ed hanno la voce degli angeli, ma che però vivono all’inferno. Pensateci bene ragazzi. Questi bambini non hanno niente, vivono in baracche e senza servizi igienici o acqua, mangiano la metà di quanto mangiamo noi, i cellulari e le consolle, come i computer, sono praticamente inesistenti. Giocano per strada, con giocattoli rotti, o inventati da loro, i maschietti si fabbricano i palloni con i materiali che riescono a trovare. Non hanno zaini, diari e portacolori, bellissimi e interessanti libri. Solo qualche foglio di carta e una matita. Eppure, sono felici. Ridono sempre. Ringraziano il loro Dio di avergli dato quel poco che hanno. So che purtroppo, molti di voi non hanno potuto contribuire ad inviare dei soldi, era possibile solo dal Regno Unito, ma siamo felici che il mondo abbia potuto vedere quello che accade in paesi sottosviluppati. L’informazione prima di tutto. Tutti noi siamo cambiati dopo questa esperienza, toccare con mano queste persone, la loro povertà, la loro disperazione, ma anche la loro forza, renderebbe il mondo migliore, farebbe capire a molti che la vera umanità non è fatta di soldi, ma di compassione e sostegno reciproco. Pensate sempre a queste semplici parole e ai video che avete visto, chiedetevi quali siano le differenze tra voi e loro. Chiedetevi per cosa sareste felici e paragonatevi a loro. So che Zayn vi ha raccontato del suo episodio con le caramelle. Non ignorate queste persone, perché loro per noi farebbero il possibile, loro conoscono il vero significato della parola solidarietà, pur non avendo granchè. Pregate tanto per loro, e se potete, versate anche un euro. I vostri genitori vi fanno vaccinare, perché è una cosa normale, qui no. I vostri genitori vi mandano a scuola per avere una buona educazione e cercare di assicurarvi un futuro, qui la maggior parte dei bambini mette i sogni da parte per lavorare. Mettetevi nei loro panni, immaginate i vostri genitori al posto di quelle giovani madri disperate. Pensate a loro mentre vi annoiate a scuola, ai loro sorrisi mentre imparano a fare quei pochi conti di matematica, pensate al sorriso delle loro madri, quando possono dargli da mangiare, e all’immensa felicità  e speranza che un vaccino potrebbe donargli. E anche il saggio Payne , odio questo soprannome, ha concluso le sue considerazioni. Speriamo con tutto il cuore di avervi aperto gli occhi verso questo mondo così lontano, ma così vicino al nostro.
    Non potete immaginare la felicità che si provi facendo del bene. Sentirete il vostro cuore farvi le capriole nel petto, battere all’impazzata…più o meno le stesse sensazioni che si provano quando si è innamorati. Ma in fondo, donare qualcosa e fare del bene è una grande prova di amore.
    E noi amiamo quelle persone tanto quanto i nostri fans, che ci sono stati vicini e ci hanno aiutato.
    Much Love xxx =)

    Liam, Louis, Niall, Zayn e Harry.

     
    Note dell'autore:
    Vi ringrazio tanto per essere arrivati fin qui, volevo solo dire che questa fanfic è nata guardando le foto e i video dei ragazzi, ovviamente ho cercato di rispettare quelli che sono stati i loro dialoghi e le loro esperienze. Qualcosa l'ho inventata, ma un fondo di verità, in questi casi, c'è sempre. Mi ha dato particolarmente fastidio vedere i commenti sotto i video come: "Oddio, com'è bello Harry mentre piange" Sarà anche carino, ma non è il caso di commentare in questa maniera, visto e considerato il fatto che si parla di bambini che muoiono di sciocchezze. Ovviamente le vostre recensioni sono più che gradite, non mordo. Grazie a tutti, davvero. A presto, Simona.
       
     
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