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Autore: Hoi    01/05/2013    0 recensioni
Liutan, ultimo sopravvissuto della sua nobile casata, si avvia al patibolo, sotto gli occhi freddi di Ascianero, colui che a sterminato la sua famiglia...
Completa. I commenti sono molto molto graditi (soprattutto quelli spietati)
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le pareti del castello erano di pietra, spesse e possenti. Anche se non abbastanza da filtrare il chiasso dei festeggiamenti. Sotto di lui le grida continuavano ormai da diverse ore. La testa gli pulsava e non serviva a nulla tenere le mani sulle orecchie o premersi il cuscino in faccia. Il frastuono superava ogni cosa e si abbatteva su di lui, incessante. Quando bussarono non andò ad aprire. Sapeva che chiunque fosse se ne sarebbe andato se lui non avesse risposto. Si sbagliava. La porta si aprì e Neigo entrò.
«Vestiti e scendi»
Neigo era possente, anche chi non l’aveva visto combattere lo temeva. Lui l’aveva visto combattere innumerevoli volte eppure non si mosse. Rimase sdraiato sul letto di piume immerso tra i cuscini.
«Gli uomini hanno bisogno di vederti tra loro, quindi metti quella fottuta maschera e scendi»
Ci fu un istante di perfetta immobilità. Lo stava ignorando totalmente. Nessuno poteva trattarlo così. Afferrò la maschera e gliela scagliò addosso. Era furibondo. Quello stupido ragazzo gli aveva mancato di rispetto una volta di troppo.
«ORA!»
Per un lungo momento il vociare del piano di sotto fu sovrastato dall’ansimare iracondo dell’uomo. Con un movimento rigido Ascianero si mise a sedere e gli puntò gli occhi addosso. In un istante, l’ira scomparve dal cuore di Neigo. Aveva esagerato.
«Falla finita...»
Il possente guerriero esitò. Era un ordine, ma quello non era un tono da ordine. Valeva la pena rischiare.
«È stata una grande vittoria. Devi essere tra loro a festeggiare»
Il ragazzo abbassò lo sguardo sulla maschera. Non sembrava affatto convinto. Con un gesto svogliato la prese tra le mani e iniziò a lisciare le piume silenziosamente. In momenti come quello, Ascianero dimostrava pienamente di avere solo sedici anni.
«Abbiamo ammazzato un bambino... Non mi sembra una grande vittoria»
Neigo sospirò, portandosi le mani dietro la testa. Non sarebbe successo nulla di tutto ciò se li avessero semplicemente lasciati in pace. Loro erano nomadi, non volevano nulla e non chiedevano nulla e non obbedivano ad una legge che non fosse la loro. Questo però le genti delle fortezze lo capivano di rado. Questa volta avevano chiesto un pagamento e lo avevano fatto con le spade in mano. Quello che era successo dopo era stata colpa loro. Se l’erano cercata. Senza contare che a far cadere la Casata che dominava quel castello erano stati gli stessi che lo abitavano. Si erano rivoltati gli uni contro gli altri e alla fine la fortezza era caduta.
«È la legge. Nulla è più importante della sopravvivenza della nostra gente.»
Una risata di scherno soffocò nella gola del ragazzo.
«E quanto era pericoloso quel bimbo!»
Lo sarebbe potuto essere invece. Suo fratello maggiore e suo padre erano morti. Quel bambino sarebbe stato l’unico erede e avrebbe potuto delegare il ruolo a qualcun’altro. Sotto una sola guida i cavalieri e le guardie della fortezza li avrebbero sconfitti facilmente. Ora che tutti i possibili capi erano stati giustiziati, sarebbero potuti restare tranquillamente nella fortezza e godere delle sue scorte, fino al termine della siccità. Tutto questo Ascianero lo sapeva e Neigo non glielo avrebbe ripetuto. Quindi restò in silenzio.
«Mio padre diceva che un uomo in punto di morte può vedere come crepa il suo aguzzino»
L’uomo scrollò le spalle, senza capire dove volesse arrivare.
«Tuo padre ne diceva tante di stronzate...»
Il ragazzo scoppiò a ridere sonoramente. Era vero. Suo padre aveva sempre avuto un debole per le frasi auliche, anche se inventarle era una cosa che gli veniva malissimo. Improvvisamente la risata gli si strozzò in gola e nella stanza tornò a regnare il frastuono dei festeggiamenti. Ascianero gettò la maschera sul letto e si portò le mani alle tempie, nel tentativo di lenire il mal di testa.
«Il bambino ha detto una cosa tipo... Sarà il bracconiere a uccidere la bestia»
Neigo sospirò estenuato. Iniziava seriamente a rimpiangere di esserlo andato a chiamare.
«Sì bhé, avrà letto una favola o una cosa così... e allora?»
Il ragazzo alzò la testa di scatto.
«Sono io! Loro mi vedono così... una bestia. Sono io»
Neigo sospirò di nuovo e gli si sedette accanto. Suo padre gli aveva riempito la testa di stronzate, ma gli sarebbe passata. Ne era certo.
«Ehy pensaci... Io l’ho ucciso, sono io l’aguzzino. Starò lontano dai bracconieri, va bene?»
Il ragazzo si limitò a fere un leggero cenno di sì col capo. Non sembrava molto convinto, ma riprese la maschera e se la calò sul volto. Da lì dentro il chiasso era persino peggiore. Quando si alzò era tornato quello di sempre. Ascianero si diresse alla porta e uscendo la lasciò spalancata. Scesero le scale in silenzio. Quando varcarono l’ingresso della sala grande un boato li accolse. Erano loro due gli eroi quella sera. Neigo gli tirò una leggera gomitata.
«Toglimi una curiosità... Che è un bracconiere?»
«Un cacciatore di frodo»
La risposta del ragazzo era stata secca, concisa. Niente parole inutili o esitazioni, era così che un capo parlava. L’uomo non poté fare a meno di sorridere. Poteva comportarsi da ragazzino e frignare da solo nella sua stanza, sarebbe comunque rimasto il re della sua gente. Era scritto nel suo destino, impresso a fuoco in ogni aspetto del suo carattere. Poco importavano quelle stupide ciance sulle profezie innanzi a questo. A passo deciso, Neigo si diresse verso il posto d’onore che gli era stato lasciato. Un boccale strabordante di birra era già lì ad attenderlo. Non avrebbe aspettato ancora molto. L’afferrò restando in piedi, lasciandosi circondare dai compagni che avevano già iniziato a tessere le sue lodi. Menco, uno dei suoi più vecchi amici, si appropriò del posto accanto al suo, gettando a terra il malcapitato che l’occupava.
«Mi è dispiaciuto non esserci stato quando la testa è rotolata...»
Senza aspettare una risposta, l’omone propose a gran voce un brindisi in onore della vittoria. Neigo brindò con lui, svuotando in una sorsata l’intero calice. Non era il solo Menco a non aver potuto assistere, in effetti erano stati in molti a lasciare la città, col compito di procurare l’enorme quantità di selvaggina che avevano servito al banchetto di quella sera. Un’ondata d’alcol arrivò alla testa dell’uomo, costringendolo ad aggrapparsi al tavolo per frenare il giramento. Distrattamente Neigo guardò i compagni, che affollavano la sala, domandandosi quanti di loro avessero cacciato quella mattina. Senza essersi mai seduto, l’uomo voltò le spalle al tavolo e si avviò verso l’uscita. In fondo Ascianero aveva ragione, non c’era nulla da festeggiare quella sera.
  
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