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Autore: Aurore    01/05/2013    5 recensioni
Cinque anni dopo la parole fine di Breaking dawn, Renesmee Cullen vive una vita quasi perfetta. Una grande famiglia amorevole, due genitori attenti e comprensivi, una media altissima a scuola, un'amica del cuore divertente e fuori di testa, Jacob Black, che per lei è come un fratello: ha tutto quello che potrebbe desiderare. Una ragazza felice e spensierata come tante altre.
Ma Renesmee Cullen non è una ragazza come le altre. Non lo è mai stata e non lo sarà mai. E le ombre e i segreti del passato rischiano di distruggere il fragile involucro di perfezione che protegge la sua esistenza.
Tratto dal capitolo 13:
Niente sarebbe mai più stato come prima, né con Jacob né con la mia famiglia. Il mio mondo, che avevo creduto perfetto fino a ventiquattr’ore prima, era andato in pezzi ed io non potevo fare niente per ricostruirlo. Avevo perso tutto.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight star'
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Capitolo 1
Capitolo 1
Brick by boring brick



She lives in a fairy tale

somewhere too far for us to find
forgotten the taste and smell
of the world that she lefts behind.

Brick by boring brick, Paramore¹



Qualsiasi idiota può superare una crisi; è il quotidiano che ti logora.

Anton Checov




«Voglio arrampicarmi sull’albero!» esclamò una vocina petulante.
Fui bruscamente distolta dai miei giochi di abilità con le carte della Carica dei 101 e guardai la bambina che stava in piedi sul prato davanti alla veranda. Aveva otto anni, ma sembrava più piccola, con i codini castano ramato, gli occhioni scuri spalancati e quella tenera espressione di curiosità. Dubitai di aver capito.
«Cosa?»
«Voglio salire sull’albero» ripetè in tono deciso e indicò il melo ritorto che campeggiava nel piccolo giardino di casa Uley.
Osservai l’albero per un istante, incerta. E adesso cosa avrei dovuto inventarmi per distrarla?
«Claire, sarebbe meglio di no».
«Perché?»
«Be’, perché… è pericoloso: potresti cadere e farti male».
Ci pensò su per un attimo. «Quanto male?»
Okay, forse ero sulla buona strada. «Un po’. Anzi, direi parecchio».
«Ma se tu mi aiuti non mi faccio niente».
O forse no. Sospirai. «Tesoro, credo che impedire che tu salga sugli alberi faccia parte dei miei compiti di baby sitter».
«Sei proprio sicura, Nessie?»
«Sì».
Inclinò la testina da un lato mentre mi fissava. Probabilmente stava valutando fino a che punto avrebbe potuto disubbidire. «Lo voglio fare lo stesso».
Tentai un’ultima volta. «Non ti va di sederti qui con me a giocare a Memory?» le chiesi con il tono più invitante che mi riuscì di tirare fuori.
«No».
Risposta secca e decisa. Claire studiò il melo con attenzione, poi indietreggiò di qualche metro, corse verso il tronco e saltò. Niente da fare. Non arrivava nemmeno al ramo più basso. La bimba non si diede per vinta: indietreggiò di nuovo e riprovò.
«La perseveranza non le manca» commentai sotto voce.
Mi chiesi come avrei potuto distrarla: ovviamente non sarebbe mai riuscita a salire sull’albero e non volevo che ci rimanesse male. Purtroppo i cartoni in tv erano appena finiti ed essendo solo in prima elementare Claire non aveva compiti per casa. Sbirciai il mio orologio da polso, chiedendomi quando Emily sarebbe rientrata.
Emily insegnava tessitura e altri lavori artigianali di tradizione indigena nella scuola superiore di La Push e in alcune scuole professionali dei dintorni, ma spesso lavorava anche in casa filando al telaio e realizzando splendidi lavori che poi vendeva. La sua nipotina Claire trascorreva tantissimo tempo a La Push e quando Emily era impegnata e le serviva qualcuno che si occupasse per qualche ora della bambina e del suo piccolo Levi, che aveva due anni e tre mesi, chiamava me. Mi piaceva fare la baby-sitter, adoravo quei bambini e non mi andava che mi pagassero per stare con loro, ma Emily aveva sempre insistito. Qualche volta cercavo di scappare prima che mi si parasse davanti per allungarmi i soldi, ma fino ad allora non c’ero mai riuscita.
Ero sicura che nella sua testolina arruffata Claire stesse immaginando di saltare molto più in alto di quanto facesse in realtà. Sorrisi mentre la osservavo provare per la terza volta e lasciai che la mente tornasse ai miei giochi d’infanzia: riuscivo perfettamente a visualizzare me stessa bambina al posto di Claire, anche se per me non sarebbe stato affatto un problema arrampicarmi su un albero.
La mia assurda crescita accelerata mi aveva impedito fin dalla nascita di frequentare chiunque altro al di fuori della mia famiglia e di mettere il naso fuori di casa, dunque non ero mai andata nemmeno a scuola. Per quattro anni avevo studiato a casa, da sola, con la supervisione del mio fantastico nonno Carlisle e a volte del mio ancor più fantastico papà. Avevo un bel ricordo di quel periodo: loro sembravano avere una risposta per ogni mia domanda e, sebbene vivessi quasi come una reclusa, mi avevano aperto gli orizzonti del mondo. Eppure avevo sempre avuto la sensazione che mi stessi perdendo qualcosa. E le scorrazzate per i boschi tra casa mia e la riserva di La Push, con tanto di tuffi nell’oceano, arrampicate sugli alberi e corse a ostacoli, erano tra le poche occasioni in cui potessi uscire e vedere qualcosa di diverso dalle pareti di casa, a parte le visite al nonno Charlie.
Solo nel corso dell’estate precedente al mio quarto compleanno la mia crescita aveva cominciato finalmente a rallentare e ad essere meno evidente, soprattutto per l’occhio umano, in conseguenza del fatto che la mia dieta era ormai un perfetto equilibrio tra quella di un umano e quella di un vampiro… anzi, più simile a quella degli esseri umani, in realtà, visto che cacciavo di rado, e ciò sembrava aver rallentato il mio sviluppo. Così mi ero iscritta al mio primo anno di liceo, dopo che mia madre si era procurata dei falsi certificati di licenza elementare e media dal nostro avvocato di fiducia… il fido Jenks, così lo chiamavamo quando eravamo tra noi.
L'idea di andare a scuola mi aveva resa felice: finalmente avrei avuto un'esistenza più simile a quella di una ragazzina normale e meno simile a quella di una lebbrosa  o di una ricercata che non può mettere il naso fuori di casa. Mi aveva anche causato parecchia ansia, però. Dopotutto, i miei futuri compagni avevano più di dieci anni di vantaggio su di me... E se non fossi stata all'altezza della situazione? E se non gli fossi piaciuta? E se gli fossi sembrata strana? E se non fossi riuscita a farmi neanche un amico? Per fortuna queste paure si erano rivelate infondate: ormai frequentavo il secondo anno e potevo dire di essere perfettamente felice e integrata nella mia scuola.
Le mie riflessioni furono interrotte da una vocina assonnata proveniente dalla casetta color mattone.
«Levi si è svegliato». Mi alzai da terra. «Claire, torno tra qualche minuto, okay? Non ti muovere da qui». 
Lei si limitò ad annuire in risposta, ancora tutta concentrata sul suo obiettivo.
Entrai, corsi al piano di sopra e spinsi con delicatezza la porta della stanzetta del piccolo. Levi, seduto nel suo lettino, mi fissò attentamente con quegli occhi color carbone che, insieme ai riccioli scuri, aveva ereditato dal papà.
«Mami!» strillò.
«Ehi, ciao piccolo» lo salutai con dolcezza mentre mi avvicinavo alla culla. «Come va? La mamma non c’è, ma adesso ci penso io a te».
Iniziai a muovermi piano per la stanza, preparando il fasciatoio e canticchiando a bassa voce una canzoncina. Ogni tanto mi accostavo alla finestra per controllare la bambina nel giardino: Claire sembrava aver rinunciato all’albero e si era distesa sul prato. Quando lo presi in braccio, Levi finalmente mi sorrise.
Lo cambiai e scendemmo di sotto, dove versai del succo di mela nella sua tazza con due manici. Mentre beveva lentamente sentii il rumore di un’auto che parcheggiava davanti a casa, una portiera che sbatteva e poi gli strilli di Claire. Era troppo presto perché Emily fosse già di ritorno dalle sue commissioni, ma non aspettavamo nessun altro. Uscii in veranda e sul prato vidi l’enorme figura di Jacob che rideva tenendo la bambina sotto il braccio.
«Jake!» esclamai e subito mi sentii invadere da quella sensazione di calore e benessere che provavo quando lo vedevo. 
Il mio Jacob, il mio sole personale, la mia roccia, il mio migliore amico in assoluto… Adoravo Jacob, probabilmente da sempre. Non avrei saputo dire né come né quando fosse nato il mio affetto per lui. Per quel che potevo ricordare, era sempre stato dentro di me. Dal momento che avevo le braccia occupate non gli saltai addosso per farmi prendere al volo, come di consueto, ma mi limitai ad allungarmi per baciarlo sulla guancia mentre mi raggiungeva sotto il portico con due passi, continuando a tenere Claire.
«Che ci fai qui?» domandai.
«Ho appena finito il mio turno di ronda e sapevo che oggi avresti fatto la baby-sitter, così sono venuto a vedere come va».
Mentre parlava tese una mano per fare il solletico sotto il mento a Levi, che ridacchiò entusiasta. Sospirai. Il solito, apprensivo Jake. L’unica cosa che avrei potuto recriminare nel nostro rapporto era il modo in cui a volte mi trattava, come se fossi stata una bambina piccola. Sì, avevo soltanto quattro anni e mezzo, ma in realtà ne avevo quindici a tutti gli effetti, dal punto di vista fisico e psicologico. Ero perfettamente in grado di badare a me stessa e di fare una cosa semplice come tenere due bambini per un paio d’ore senza che lui andasse in iperventilazione… Ma non si può essere perfetti sotto tutti i punti di vista.
«Quil non c’è?» chiese Claire, la testina che spuntava da sotto il braccio di Jacob.
«No, tesoro, è dovuto restare al negozio per aiutare la mamma di Embry». 
Quil lavorava nel piccolo negozio di gadget per turisti di La Push da circa un anno, poiché aveva finito il liceo ma non era intenzionato a continuare gli studi.
La piccola sbuffò sonoramente e corse di nuovo in mezzo al piccolo prato. Jacob ed io ci sedemmo sui gradini della veranda. «Com’è andata la ronda?» domandai mentre Levi si agitava tra le mie braccia.
«Bene. Ero insieme a Tommy».
«Ancora non ti fidi a mandarlo da solo?»
Tommy aveva sedici anni ed era l’ultimo acquisto del branco di Jacob, che con lui saliva a sei membri: Leah, Seth, Quil, Embry, Chris e Tommy, arrivato solo da qualche settimana.
«Non ancora, ma non dipende da me, dipende solo da lui: se la piantasse di fare il bambino e si decidesse a maturare un po’, sarei ben felice di liberarmene».
«Perché non lo affidi a qualcun altro, ogni tanto? Magari Seth può darti una mano, oppure Leah».
Sul suo viso comparve un’espressione strana, divertita e inorridita al tempo stesso. «Seth già se lo porta sempre dietro, non posso lasciare questo compito solo a lui. E Leah… be’ non posso mandarlo con lei se ci tengo a rivederlo vivo».
«Cosa? Come mai?» esclamai, incuriosita. Leah non aveva un carattere facile, ma Tommy era appena arrivato nel branco e non poteva già averla fatta arrabbiare.
«Non lo sopporta. O meglio, non sopporta l’idea di dovergli fare da baby-sitter. Pensa che sia solo un moccioso incapace e infantile, una scocciatura per il branco, insomma».
«Ah». Ci pensai un po’ su. «Povero Tommy… Potrebbe anche dargli una possibilità, in fondo è appena arrivato».
Jacob fece una smorfia. «Lo sai che non è facile stare con lei, anche se è migliorata molto da quando… da quando ha lasciato il branco di Sam».
«Wow, non oso immaginare com’era prima» mormorai.
Jacob ridacchiò. «Tanto non ci riusciresti. Non hai tutta questa immaginazione. O forse sì. Dopotutto, vivi con Rosalie».
Gli tirai un pugnetto sul braccio, ma non potei trattenere una risata. «Dai, lasciala stare! Non mi va che tu la prenda in giro».
Lui rise ancora più forte. Prima che potessi protestare ancora, fummo interrotti da Levi che mi agitò il suo bicchiere vuoto sotto il naso.
«Ne vuoi ancora, piccolino?» 
Lui fece di si con la testa.
«Jake mi guardi la bambina, per favore? Torno presto».
«Certo». 
Mentre rientravo in casa mi accorsi che si alzava anche lui per raggiungere Claire sul prato. In cucina riempii il bicchiere con un altro po’ di succo di frutta e Levi bevve tutto d’un fiato. Misi la tazza nel lavandino, poi portai il piccolo in salotto, con l’intenzione di accendere per qualche minuto la tv. Si era appena ripreso da un brutto raffreddore ed era meglio che non stesse troppo all’aperto. Sedetti sul divano tenendolo in braccio e feci un po’ di zapping cercando qualcosa di adatto. A un certo punto sentii aprire la porta d’ingresso, che avevo lasciato accostata.
«Ehi, Nessie» chiamò Jacob «tutto bene?»
Sospirai. Il solito, apprensivo Jacob… Sorrisi, leggermente divertita. «Sì, tranquillo. Stiamo guardando la tv».
«Ah, okay. Allora noi siamo qui fuori».
«Certo».
Finalmente trovai un programma di cartoni animati e lì mi fermai. Mi rilassai contro lo schienale del divanetto un po’ sgangherato e fissai lo schermo senza vederlo sul serio, presa da altre riflessioni, mentre Levi ridacchiava divertito osservando degli omini colorati che ballavano una musichetta vivace. Stavo giusto pensando con raccapriccio alla montagna di compiti che mi aspettavano a casa quando sentii delle grida festose provenire da fuori. C’era una sola spiegazione.
«Levi è tornata la mamma!» esclamai. «Andiamo a salutarla?»
«Mami!» trillò con entusiasmo.
Spensi la tv e uscimmo sotto il portico. Emily era sul prato, letteralmente assediata da Claire che strillava e saltava intorno a lei. Jacob salì di corsa le scale tenendo due buste della spesa che doveva aver preso dalle mani di Emi, mi fece l’occhiolino e schizzò dentro.
«Claire, tesoro, sta' buona... Oh, ciao, Nessie».
«Ciao. Come sono andate le tue commissioni?»
«Tutto bene. E questi bimbi come sono stati?» chiese prendendo in braccio Levi.
«Buonissimi» risposi con un sorriso indulgente. La povera e ignara Emily non avrebbe mai saputo dello yogurt che Claire aveva rovesciato sul pavimento o del suo prezioso profumo che aveva spruzzato qua e là. Rientrammo tutte insieme. In cucina, Jacob aveva lasciato le buste sul tavolo e stava già attaccando a morsi una mela, appoggiato al bancone da lavoro. Sedetti al tavolo e Claire si sistemò subito sulle mie ginocchia mentre Emily sistemava il piccolo nel seggiolone, iniziava a preparare la cena e intanto ci raccontava del grosso ordine di gilet e maglie i lana che aveva ricevuto da un negozio proprio quella mattina. Chiacchieravamo del più e del meno, quando mi resi conto dell’ora e scattai in piedi mettendo giù Claire.
«Accidenti, è tardi! Devo andare». 
Già immaginavo mia madre intenta a protestare per la cena che si raffreddava e mio padre che guardava l’orologio ogni minuto, mentre zio Emmett borbottava in sottofondo contro i genitori troppo permissivi.
«Ti aspetto in macchina» disse subito Jacob con un sorriso. «Ciao Emily, ciao Claire, ciao piccolino!»
Distribuendo baci e carezze sulla testa uscì di casa.
«Aspetta, Renesmee» disse Emily, asciugandosi le mani sul grembiule e correndo fuori dalla stanza.
Okay, era il momento di filarsela. Baciai velocemente i bambini, andai in punta di piedi nell’ingresso buio e infilai il giubbotto che avevo lasciato su una sedia. Per fortuna Jake non aveva richiuso la porta.
«Ehi, Emi, mi dispiace ma vado di fretta!» gridai verso l’interno della casa. «Ci si vede, ciao».
Avevo un piede fuori dalla porta e già stavo congratulandomi con me stessa quando un’ombra emerse all’improvviso nell’ingresso e corse verso di me. Feci un salto di un metro e a stento mi trattenni dal cacciare un urlo.
«Dove credi di andare? Non provarci, sai!» sbottò l’ombra. Era Emily.
«A fare cosa?» domandai con tono innocente, ma non ci cascò.
«A svignartela così!» rispose in tono secco e poi addolcì di colpo la voce. «Ecco qui, cara. Grazie per l’aiuto». E mi allungò i miei sette dollari.
Rassegnata, li presi e la baciai sulle guance. «Di niente. Alla prossima».
«Saluti a casa».
Corsi fino alla Golf dove Jacob mi aspettava seduto al posto di guida, salii e sbattei la portiera.
«Allora, ci sei riuscita?» si informò con tono divertito.
Sbuffai. «No. Ovviamente mi ha pagato».
Lui rise. «Sei proprio una frana».
Lo colpii sul braccio, arrabbiata e offesa.
«Ahi!» protestò, sbuffando una risata. Tanto sapevo che la sua era tutta scena e che difficilmente sarei riuscita a strappargli un ahi sincero. «Sto guidando, ti pare il caso di picchiarmi? Guarda che se facciamo un incidente e ti riporto a casa a pezzettini non mi salvo neanche se lascio il paese».
«Allora ti conviene tenere gli occhi ben incollati sulla strada» risposi, acida.
«Che c'è? Hai dimenticato di prendere la pillola del buon umore, stamattina?»
Sospirai. Detestavo essere cattiva con il mio Jacob. «Scusa, sono un po' nervosa. Lo sai quanto si agitano i miei se faccio dieci minuti di ritardo... sicuramente staranno già pensando che sono morta sul ciglio della strada o qualcosa del genere. E poi devo fare ancora un sacco di compiti e domani ho una verifica di matematica».
«Mm… Insomma, un’altra monotona giornata di scuola».
«Sembra anche che pioverà» aggiunsi in tono tetro.
«Be’, questa non è una novità! Comunque sappi che le giornate più belle, quelle perfette, capitano quando meno te lo aspetti».
Lo guardai, dubbiosa. «Sul serio? Parli per esperienza personale?»
«Certo». All'improvviso divenne serio. «La giornata più brutta della mia vita si è conclusa con il tuo arrivo».
Mi girai di nuovo a guardarlo: fissava la strada, ma sembrava perso in qualche lontano ricordo. Jacob era il mio migliore amico e avrei potuto dire di conoscerlo come le mie tasche, eppure c’erano dei momenti in cui avevo l’impressione che mi nascondesse qualcosa, che ci fosse dell’altro. A volte ne avevo parlato con i miei, ma a sentire loro ero paranoica, il che suonava piuttosto buffo detto da due che non avevano idea di cosa fosse la normalità, a cominciare dal fatto che erano vampiri.
Per riempire quell’imbarazzante silenzio iniziò a raccontarmi dei progressi fatti con la macchina che stava aggiustando al momento.
Quando ancora frequentava il liceo, aveva cominciato a lavorare part-time come meccanico, all’inizio solo per La Push e poi anche per Forks, quando la voce della sua bravura e dei suoi prezzi si era diffusa. Due anni prima si era brillantemente diplomato nella scuola della riserva, ma aveva deciso di non frequentare il college e di continuare a lavorare, ormai quasi a tempo pieno. Questa scelta aveva provocato qualche discussione, soprattutto con suo padre Billy, ma Jacob aveva sempre portato delle motivazioni indiscutibili a proprio sostegno. Prima di tutto, era un licantropo, un alfa e un membro del consiglio della tribù: le sue responsabilità ormai erano tali da non consentirgli di allontanarsi da La Push per un impegno così gravoso come frequentare il college e qui nessuno avrebbe osato protestare perché queste responsabilità per lui venivano prima di tutto. L’altro motivo per cui aveva deciso di rinunciare era proprio Billy: lasciarlo vivere da solo per un periodo di tempo indeterminato, viste le sue difficili condizioni fisiche, era impensabile per Jake. Billy non era mai stato d’accordo, ma Jacob, come al solito, aveva fatto di testa sua.
Nemmeno Bella era mai stata d’accordo e per mesi e mesi aveva cercato di convincerlo a cambiare idea, ma senza successo e ormai doveva aver rinunciato… A volte riprendeva l’argomento, ma la risposta era sempre la stessa. Jacob era davvero deciso, in due anni non c’era mai stato un tentennamento.
Quanto a me, non avevo mai espresso un vero parere al riguardo: tutto quello che volevo era che fosse felice, come non importava. Ol pensiero che potesse andarsene da La Push era doloroso, la sua lontananza insopportabile, ma se avesse voluto questo non avrei cercato di trattenerlo. Eppure, forse in cuor mio ero inconsapevolmente ed egoisticamente felice della sua decisione, perché l’avrebbe fatto restare al mio fianco, e sospettavo che lui l’avesse intuito, come tutti gli altri. Be’, non potevo farci niente. Fin dai miei primi momenti di vita, stando a quello che mi avevano raccontato, Jacob era stato con me e c’era rimasto in quei cinque anni: ci separavamo solo durante le vacanze estive, quando andavo con i miei sull’Isola Esme o a Denali a trovare il clan di Tanya, al massimo per qualche settimana. Eravamo talmente abituati a stare insieme da essere ormai inseparabili.
Poco dopo fermò la macchina di fronte alla grande casa bianca dei miei nonni. Mi slacciai la cintura di sicurezza e tirai su la cerniera del giubbotto. Eravamo nel pieno di marzo, ormai la primavera avrebbe dovuto essere vicina, ma a Forks le stagioni non seguivano il loro corso normale e faceva ancora un gran freddo.
«Entri e ceni con me?»
Scosse la testa. «Stasera no: ho promesso a Billy che sarei tornato per cena».
Jacob passava tanto di quel tempo a casa nostra che probabilmente suo padre doveva sentirsi parecchio trascurato. «Va bene. Allora ci vediamo domani?»
Mi sorrise. «Certo». Mi accarezzò appena la guancia e poi si chinò per baciarla. «Buona fortuna per la verifica».
«Grazie. Notte, Jake». 
«Notte, piccola». 
Scesi dall'auto e presi le chiavi. Mentre aprivo la porta, mi girai a salutarlo con la mano, ma solo quando fui entrata sentii che riaccendeva il motore e si allontanava. Scossi la testa, divertita e seccata in ugual misura, mentre mi sfilavo il giubbotto. Il solito apprensivo... come se avesse mai potuto capitarmi qualcosa fuori alla porta di una casa piena di Cullen.







Note.
1. Ecco il link della canzone:
http://www.youtube.com/watch?v=rzZf8PNZmmQ.








Spazio autrice.

Ciao a tutti/e! Questa è la prima long che pubblico ed è anche la prima long alla quale abbia lavorato proprio con l'intenzione di renderla pubblica. I capitoli che compongono la prima metà di questa fanfiction sono stati scritti circa tre anni fa. Per motivi di tempo, infatti, la sua stesura è stata piuttosto lenta. Nel frattempo, ho scritto e pubblicato dell'altro e credo che il mio modo di scrivere sia leggermente cambiato... se in meglio o in peggio, questo non spetta a me dirlo xd, però mi sembra di riscontrare qualche piccola differenza rispetto al mio stile attuale. Ciò nonostante, ho deciso di pubblicarli così come sono, senza grosse modifiche. Forse non saranno perfetti (anzi, sicuramente non lo sono), ma è questa la storia che ho scritto tre anni fa e alla quale ho dedicato tutta me stessa per molto tempo. Modificarla non mi sembrava giusto.
A mercoledì prossimo per il secondo capitolo, grazie!
   
 
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