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Autore: Blue Drake    01/05/2013    2 recensioni
La speranza di un bagno rilassante, dopo una massacrante giornata di lavoro, viene totalmente infranta e calpestata da una montagna di bolle di sapone al profumo di cocco che si perdono sulle lucide piastrelle.
Niente zucchero, niente limone e niente latte. Se ti accontenti, questa è casa mia.
[Partecipante al Contest: “Do you have some tea? After theater with me, Mr. Darcy” di Tilde Moon]
Genere: Commedia, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Roger Taylor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Unexpected Guest









Hai fatto davvero molto tardi stasera. In realtà non è nemmeno più sera, sono già le 2:30 a.m. passate e di certo un bel pezzo della tua notte è già andato allegramente a farsi benedire. Sono mesi, ormai, che mediti seriamente di cambiare lavoro. Questi turni ti stanno lentamente ammazzando, ogni giorno un po' di più. E domani devi essere al bar alle 8:00 a.m., non te lo sarai forse scordato, Mireille? No, ovvio che no, ci ha pensato Denis - il tuo capo rompiscatole - a ricordartelo almeno due milioni di volte durante tutta la serata.

Hai proprio bisogno di un bagno caldo, in fretta anche, prima di crollare da sonno direttamente sul parquet.


Mentre l'acqua scroscia, riempiendo la tua bella vasca - costata un botto, ma ne valeva assolutamente la pena! - ti levi di dosso i vestiti che odorano di birra, whiskey e non si sa bene cos'altro - meglio in effetti non farti troppe domande, a questo punto - Senti le giunture cigolare e sospiri, sedendoti sul bordo in ceramica ed osservando il bagnoschiuma scivolare, fluido e sinuoso, nell'acqua, formando subito grandi bolle profumate al cocco. Adori quella fragranza, ti fa stare bene e riesce perfino a strapparti un fugace sorriso di soddisfazione.


Sei a mollo da quasi dieci minuti, ormai, circondata dal piacevole tepore stai perfino rischiando di addormentarti lì, in quella sorta di limbo liquido e profumato. Ma non ne trovi il tempo perché, pochi istanti dopo, nel mezzo dell'ovattato rilassamento, uno scricchiolio fuori posto distrae i tuoi pensieri già alla deriva e tu sbatti le ciglia, vagamente confusa, prima di ritrovarti sommersa da un'onda anomala causata da un - enorme - oggetto appena precipitato nella vasca - la TUA vasca, dannazione! Quella comodissima, accessoriatissima, superfiga, ecc., ecc. -

«Ma che diavolo...?!»

Strilli indignata, non appena riesci a sputacchiare l'acqua accidentalmente finita in bocca. Ancora una volta rimani però spiazzata da ciò che ti compare improvvisamente di fronte: la figura di un essere umano, parrebbe, qualcuno comunque di non meglio identificato, qualcuno che è appena riemerso tra le bolle del tuo bagno rilassante - o almeno così doveva essere - Lo fissi per cinque, dieci secondi, gli occhi ridotti a due fessure e i denti scoperti in un ringhio poco raccomandabile. Anche il tizio ti fissa, un solo momento, sconcertato, poi spalanca gli occhi, indietreggiando quel tanto che può permettergli lo spazio angusto in cui si trova, nel momento stesso in cui tu gli urli contro.

«Tu chi cazzo sei?!»

Non gli offri neppure il tempo necessario a formulare una risposta decente. Ora sei perfettamente desta e decisamente incazzata, pertanto passi direttamente all'azione e lo spedisci, senza troppi complimenti, oltre il bordo della vasca, con il prezioso aiuto di un pugno deciso e di un calcio perfettamente bilanciato. "Mossa da manuale", direbbe Armand. Al momento nella tua testa c'è spazio solo per un'implacabile furia omicida verso quell'imbecille guardone che ha deciso di fari visita nel momento sbagliato. Intanto, il corpo del malcapitato, è scivolato sul pavimento, arrestandosi solo dopo aver incontrato il muro dietro di sé. Eh già, Armand lo ha sempre sostenuto che ci sai decisamente fare nel menar le mani, non per niente sei in assoluto la prima del suo corso di Savate. (*)

Ghigni, intimamente soddisfatta di te. Quel tipo, chiunque egli sia, ha proprio scelto il bagno sbagliato. Scuoti la testa, chiedendoti dove diavolo finirà questo mondo, se nemmeno nel proprio bagno si può stare tranquilli. Nel mezzo di tali pensieri, per un momento il tuo sguardo si sposta, distratto, sulla figura fradicia ed accartocciata dell'intruso. I tuoi occhi verdi lo osservano per un attimo, quasi incuriositi malgrado tutto poi, lentamente, si sgranano mentre il tuo viso perde gradualmente colore, divenendo cereo.

«Non è possibile»

Bisbigli, nervosa e sconcertata. Eppure la prima impressione che hai avuto, osservandolo, non sembra volerti mollare. Lentamente ti risollevi, gocciolante, e con cautela ti porti oltre il bordo, posando i piedi umidi sul pavimento che, freddo com'è, ti fa rabbrividire. Un passo alla volta, sempre più angosciata ed incredula, ti avvicini a quella figura che ancora giace, priva di sensi, contro il muro. Chinandoti su di lui scosti, con una mano, alcune pesanti ciocche di capelli, scoprendo così finalmente il suo volto.

«Oh merda!»

Esclami, in un mezzo gorgoglio strozzato. I tuoi occhi non riescono proprio a staccarsi da quel volto. Lo conosci; quante volte, in tutti quegli anni, lo hai visto, immaginato, sognato, osservato. Scuoti nuovamente la testa, sempre più sconvolta.

«Non... Non può essere, non... Come può essere lui, come... ?»

Il lui di cui parli mugugna qualcosa, arriccia le labbra facendone uscire un lungo lamento incomprensibile.

«Accidenti! Oh, maledizione, e ora che faccio?»

Beh, Mireille, di certo non lo puoi lasciare lì così, spiaccicato sul pavimento bagnato del tuo bagno. È pur sempre Roger Meddows Taylor, che diamine!


Con un po' di fatica riesci a sollevarlo quel tanto che basta e a trascinarlo fino al salotto. Dev'essere un falso magro, dato che mostra ancora quell'apparenza di un fuscello ma, all'atto pratico, pesa uno sproposito. Avevi una mezza idea di metterlo sul divano, ma all'ultimo ti rendi conto di non avere abbastanza forza per issarlo fin lassù, quindi ti risolvi ad adagiarlo sul grande tappeto che ospita il tuo basso tavolino in noce e, in un raro tentativo di farlo stare appena un po' più comodo, gli ficchi un cuscino sotto la testa. Ansante, siedi infine a terra, ad ammirare i risultati delle tue fatiche: il suo viso, dai tratti delicati, è un po' più bianco di quanto lo ricordassi, e ora spicca un grosso livido già tendente al violaceo che ne deturpa l'intero zigomo sinistro. Eh sì, hai fatto proprio un bel lavoro, stavolta, ci sei decisamente andata giù pesante. Ti perdi un momento in una smorfia contrariata: in fondo non è colpa tua se lui ti è piombato quasi addosso, facendoti prendere un mezzo infarto. Se l'è cercata, alla fin fine ti sei semplicemente difesa da quello che credevi uno stupidissimo psicopatico malintenzionato, che ne sapevi che fosse lui? I tuoi occhi si spalancano di fronte alla consapevolezza improvvisa: lui, e lo è veramente, non c'è possibilità che tu possa sbagliarti. È vero, avrà almeno quarant'anni in meno di quanti dovrebbe, ma non hai dubbi che sia sul serio QUEL Roger Taylor. Sospiri, confusa, mentre il tuo sguardo si sposta su di lui, soffermandosi nuovamente su quel livido che, devi pur ammetterlo, stona terribilmente. Ti sfugge un sorriso, immaginando la sua probabile espressione, dopo aver scoperto quel bel regalino che gli hai lasciato, così decidi di trovare un rimedio che allevi in parte il danno. Prima però sarebbe meglio rivestirsi, non credi, Mireille? Non avrai certo intenzione di farti beccare a girare per casa così, giusto? Veloce ti infili una maglietta e un paio di larghi pantaloni sportivi, poi ti fiondi in cucina, afferri la tua scorta di ghiaccio dal freezer – nella tua disciplina capita spesso di dover far fronte ad un bel po' di lividi – e torni dal tuo ospite inatteso, posando sul suo zigomo il piccolo sacchetto gelato. Il freddo pare ridestarlo a sufficienza da spingerlo a lamentarsi e il suo mugolio di protesta ti strappa una lieve risata divertita.

«È solo ghiaccio, non ti ammazza di certo». “Almeno non lui”, pensi sadicamente.

Ti agiti nervosa, notando le sue ciglia tremare, segno che di lì a poco riaprirà gli occhi e tu, Mireille, dovrai proprio avere pronta una buona spiegazione. Già, ma una spiegazione a cosa? E la domanda più inquietante in assoluto, naturalmente: “Come diavolo ci è finito in casa tua?”.

«Ma cosa...?!»

Lo vedi sbarrare gli occhi azzurri e mettersi a sedere alla velocità della luce, salvo poi traballare per lo scatto repentino. Provi un sorriso tirato e, nei tuoi limiti, cerchi di tranquillizzarlo.

«Andiamo, non è niente... Per carità, non muoverti troppo bruscamente, o finirai col farti...»

«Ahii!», ringhia lui, piegandosi in due senza respiro.

«... Male», termini, sconsolata, scommettendo in un bell'ematoma anche all'altezza del suo stomaco.

Ohh, d'accordo: magari hai esagerato, solo un pochino...

«Che cazzo è successo?», borbotta Roger, sfiatato e giusto un po' scombussolato.

«Beh, ecco... Non ne sono sicura, a dire il vero»

A dirla proprio tutta, non hai la più pallida idea di cosa stia realmente succedendo. Fino ad ora non ci hai riflettuto troppo perché... ehm... beh, non capita tutti i giorni di trovarsi in casa il batterista dei Queen. Però effettivamente ora sarebbe proprio il caso di provare a capirci qualche cosa di tutta questa assurda storia.

«Mi hai preso a botte», si lamenta lui, guaendo sconvolto.

«Vero. E tu sei entrato nella mia vasca senza il mio permesso... mentre c'ero io», gli fai gentilmente notare.

«Come... C-come sarebbe?»

Sembra confuso, ti guarda visibilmente stranito e tu ti trovi a pensare che, probabilmente, non fosse affatto sua intenzione finire a mollo nel tuo bagnoschiuma al cocco.

«Sarebbe che io mi stavo godendo un bagno caldo e rilassante, dopo una faticosa serata di lavoro, quando tu hai deciso di tuffartici dentro. Se volevi farmi compagnia... bastava chiedere»

Abbozzi un sorriso divertito e ti godi i suoi occhioni che si spalancano sempre di più, interdetti e sorpresi.

«Non ti conosco nemmeno»

Tenta di protestare, in sua difesa, e tu scrolli le spalle, rispondendo a tono.

«Io invece sì, ma questo non toglie che la casa e la vasca siano mie e nessuno mi ha avvertita della tua “cortese visita”»

«Non so come sia successo», sospira Roger, e quando ti guarda, per un attimo, smetti di respirare, «Non so nemmeno dove sono», aggiunge, con una nota di preoccupazione e confusione.

Recuperi il sacchettino con il ghiaccio, lo posi sulla sua mano e, gentilmente, gli indichi di appoggiarlo sulla pelle ormai gonfia.

«Lontano, sei decisamente lontano da casa»

Lui ti fissa sorpreso e schiude le labbra per tentare una possibile replica che, però, non riesce ad uscire. Nervosamente ti pettini i capelli con le dita e lo guardi di sottecchi.

«Prima di tutto, questa non è Londra. Qui siamo in Francia, a Bordeaux per la precisione. Inoltre...»

Inoltre cosa? Come si dice ad una persona che si è appena fatta un salto temporale di una quarantina d'anni?

«Inoltre?», si fa avanti Roger, con un'evidente voglia di sapere.

«Che... Che data era, l'ultima volta in cui ti sei svegliato, prima di capitare qui?»

«Che data? Cosa intendi?», lui ti scruta, perplesso, ma tu non hai il coraggio di dire null'altro, per il momento, «Il... 12 Marzo...», ha un fremito che non puoi non notare, prima di completare la sua risposta, «1972»

Non riesci proprio a trattenerti dal rabbrividire. Lo sapevi, sì, già dall'istante in cui hai scorto il suo viso sotto la cascata di capelli fradici e scompigliati hai saputo la verità, ma... Beh, sentirlo dalle sue parole fa comunque un certo effetto.

«D'accordo, io...»

Inspiri a fondo e, mentre butti fuori il fiato, nel tuo cervello compare la scritta lampeggiante “GAME OVER” che ti suggerisce quanto ormai sia troppo tardi per fare retromarcia.

«Oggi, qui, è il 21 ottobre 2013 e...»

«C-cosa?», rantola il ragazzo che ti sta di fronte, assumendo un colorito spettrale.

«Roger, ti senti bene?»

«Non... p-proprio»

Molla nuovamente il ghiaccio che, subito dopo, inizia a liquefarsi tra le sue gambe incrociate e ti fissa con il tipico sguardo di chi vorrebbe supplicarti di ritrattare tutto, per di più l'effetto panda del suo occhio pesto la fa sembrare una scena ancora più grottesca e drammatica.

«Non capisco... Che cosa sta succedendo?», ti chiede, con una vocina bassa ed esitante.

«È proprio la stessa domanda che mi sono fatta io quando ho scoperto che quello spiaccicato sul pavimento del mio bagno eri tu»

Gli rispondi, dimenticando altrove qualunque genere di diplomazia. Lo capisci quando Roger ti fissa con lo sguardo da cane bastonato e una smorfia di evidente pena per la tua replica tutt'altro che gentile.

«Scusa. Non ti avrei mai picchiato, se solo avessi saputo che eri tu. Io...»

«Non importa. Cioè... Ho capito e... spero di non meritarmi altri calci, in futuro».


È incredibile, e anche un poco assurdo: entrambi avete quasi ventitré anni eppure lui, in questo momento, ha più l'aria di un ragazzino smarrito. Con quella nuvola di capelli in disordine e i grandi occhi che si spostano, confusi, negli angoli più remoti del tuo salotto – forse alla ricerca di un'improbabile risposta – devi ammettere che un po' ti fa tenerezza. Ti viene in mente, guardandolo, “La Piccola Fiammiferaia”, e il paragone finisce per farti scoppiare a ridere senza un'apparente buona ragione, contribuendo – fra le altre cose – ad aumentare le sue perplessità e la sua confusione.

«Mi trovi molto divertente?», borbotta, un filo indignato.

«Uhm? Oh, no... Cioè, forse un po' sì, ma non per quello che credi»

La tua spiegazione non è granché e lui sospira, affranto, per poi rabbrividire.

«Hey, ti va un tea caldo? Non sarà certo la soluzione ad ogni tuo problema, ma almeno ti riscalderà un po'. Che ne dici?»

Normalmente non sarebbe nella tua indole essere gentile e comprensiva, ma questo caso è diverso e avere di fronte proprio lui cambia decisamente le carte in tavola.

«Mmph, d'accordo»

Concede, seppur riluttante, offrendoti così modo di allontanarti un momento da lui e – magari – provare a riflettere su quanto ti è appena capitato tra capo e collo.

Mentre torni in salotto, avvicinandoti con due grosse tazze traboccanti di un bollente liquido ambrato – l'idea di versarne tre dita scarse in una micro-tazzina di porcellana, come forse si sarebbe aspettato il tuo ospite inglese, non ti ha nemmeno lontanamente sfiorata – lui ti guarda con un'espressione assorta e tu lo ricambi, incuriosita. Non hai però il tempo di chiedere nulla, dato che la sua voce ti precede sul tempo con una nota leggermente confusa.

«In Francia»

Sospira, osservando con occhi grandi tutto quel tea totalmente mancante di latte. D'istinto gli sorridi e, sedendoti, chiedi;

«Già... Non sei mai stato qui da noi?», fa no con la testa, «Nemmeno a Paris?»

«No, mai», e lo vedi abbozzare un lieve sorriso, «Ma un giorno ci andrò... E sarò insieme ai miei compagni di band... E ci sarà un grande, enorme concerto, con migliaia di persone. E saranno tutti lì per noi: canteranno le nostre canzoni!», esclama, mentre i suoi occhi si accendono di entusiasmo e speranza.

Annuisci. Sì, lo sai, succederà tutto quanto e vorresti esserci, vorresti poterli vedere, laggiù in fondo, su quel palco immenso, oltre un mare di gente.

«Ma prima dovremo trovare un'etichetta disposta a promuoverci», termina in un borbottio, tornando d'un tratto con i piedi per terra.

«Ancora non si è fatta avanti nessuna casa discografica?», ti scappa dalle labbra.

La luce nei suoi occhi si spegne di botto, come se il padrone di casa avesse appena abbassato l'interruttore.

«Non ancora», sibila contrariato.

«La troverete», affermi, con forse eccessiva sicurezza, tanto che noti un suo sopracciglio inarcarsi, scettico.

«E da dove arriva tutto questo ottimismo gratuito?»

«Non è affatto ottimismo. È semplicemente realismo», ed incroci le braccia al petto, sfidandolo a contraddirti, cosa che lui si guarda bene dal fare – ormai deve aver imparato a tacere, di fronte al tuo pessimo carattere -

«Mireille...»

Lo fissi, sorpresa, mentre il suono del tuo nome, pronunciato dalla sua voce, ancora riecheggia nella tua testa. Roger arrossisce leggermente.

«L'ho... L-l'ho pronunciato bene?»

«Direi di sì», ridacchi, divertita dal suo imbarazzo, «Dimmi pure, Roger»

«Non è nulla, è solo che... Uhm...»

«Sei preoccupato»

Non sei mai stata un tipo particolarmente empatico, per questo ti sorprendi realizzando quanto le sue espressioni lascino trasparire con fin troppa chiarezza i suoi sentimenti.

«Sì, un po'. Sono qui, nel paese sbagliato, nell'anno sbagliato e...», ti osserva, forse notando l'irrigidimento dei tratti del tuo viso, «Cioè... Io non intendevo dire che sia un brutto posto, solo...»

Sospiri, arruffandoti i capelli fra le mani nervose, «Ho capito quello che intendi, invece. Vorresti tornare a casa tua, dai tuoi amici, in un luogo che ti appartiene. È così, giusto?»

«S-sì, è... così»

Sembra a disagio, ora. Velocemente ti fai un esame di coscienza per capire se, per caso, hai detto qualcosa di irritante, qualcosa di spiacevolmente sbagliato. Non trovi nulla di rilevante e torni ad osservarlo, a tuo modo in ansia per tutto quel casino ingestibile che ha piantato le tende in casa tua, per giunta alla fine di una schifosissima giornata di lavoro. Stai per sbottare, chiedendo che diavolo hai fatto stavolta ma, ancora una volta, lui riesce non si sa come a precederti – È veloce, diavolo! Speri che non lo sia sempre, sistematicamente, in ogni occasione della sua vita: potrebbe risultare imbarazzante – e, se prima ti era sembrato assorto e intento a rimuginare su uno dei massimi sistemi, d'un tratto scatta in piedi, lasciandosi sfuggire fra le dita la tazza e la restante parte del suo contenuto.

«Accidenti!», esclama, e i suoi occhioni ti scrutano di sottecchi con un'ombra intimorita, «Mi dispiace», si affretta a dire, cercando di raccattare i cocci finiti sotto la poltrona e il basso tavolino.

«Lascia perdere», le tue mani si avvicinano alle sue per frenarne i frenetici movimenti, «Piuttosto, sembra quasi che tu abbia appena visto un fantasma»

In effetti il suo viso è pallido e il modo in cui distoglie lo sguardo ha un che di nervoso e imbarazzato.

«Non proprio. Ho... visto mia madre»

Lo fissi, attonita, fino a quando lui deglutisce, evidentemente oppresso dalla tua insistenza.

«Quando è successo?», la tua voce è stranamente calma, ma il tuo cuore batte ora alla velocità della luce.

«Poco fa. Era... Uhm... Lei era... nella tazza»

L'occhiataccia scettica che gli riservi l'attimo successivo alla sua sparata, la dice lunga sulla tua incredulità e – a tuo vedere – giustifica perfettamente le successive parole che gli rivolgi in tono sprezzante.

«Eppure non ho messo allucinogeni nel tea», ribatti sarcastica, levandogli frammenti di ceramica dalle dita tremanti.

«Non sei divertente», ti fa notare, mugugnando offeso.

«Nemmeno tu»

Il tuo tono è definitivo e, onde evitare ulteriori interventi fuori dal mondo, lo molli lì, accucciato per terra, scomparendo all'interno della tua cucina.


«Io... non ti piaccio»

Appena il tempo materiale di tornare in salotto e lui ti accoglie con l'ennesima espressione da cucciolo smarrito che ti spinge a chiederti se non sia per caso colpa di qualche cibo avariato ingerito per sbaglio a cena e quello non sia altro che un sogno assurdo, tramutatosi in incubo giusto per l'occasione.

«No. Cioè... Maledizione, Roger, come diavolo fai ad uscirtene con certe frasi senza senso una dopo l'altra in così poco tempo? Ti rendi conto che mi stai facendo uscire di testa? Prima piombi nel mio bagno, mi costringi a picchiarti, scopro che arrivi da quarant'anni indietro nel tempo, mandi in pezzi una delle mie tazze preferite e mi dici di averci visto dentro tua madre. Cazzo, io sono sveglia dalle 5:00 a.m.! Diciotto ore, ti rendi conto? Sto cercando di rimanere calma, mi sto seriamente sforzando, per farlo, e TU mi accusi di non provare simpatia nei tuoi confronti. Vuoi per caso che ti rompa qualche osso? Se è proprio questo che desideri, puoi benissimo continuare su questa strada. Fra non molto mi salteranno i nervi e allora sì che potrai chiedermi di nuovo perché non mi piaci»

E questa, mia cara Mireille, è una minaccia con i fiocchi. Noti, con un momento di ritardo, il suo spiccato pallore e, ormai definitivamente rassegnata, sbuffi.

«Scusa. Non... non ho intenzione di farti del male. Sono solo un po' stanca e... Mi scoppia la testa e... Lo so che come padrona di casa faccio schifo e so anche che non ti piace stare qui, che hai paura di non poter più rivedere le persone che hai lasciato e che ti vogliono bene. Mi piacerebbe moltissimo poterti dire che so esattamente come farti tornare indietro, ma sarebbe una balla colossale perché io, invece, non so proprio nulla, nemmeno come o perché ci sei finito, qui»

Per un momento ti manca completamente il fiato sufficiente a continuare. Mentre lui ti sorride, senti le gambe sciogliersi come cioccolata fusa e sei costretta ad aggrapparti con le mani allo stipite della porta per non cascare a terra. Avevi completamente dimenticato quanto fosse potenzialmente pericoloso un suo sorriso, ma ora tutto è tornato chiaro nella tua testa. Cauta, raggiungi il divano e ci sprofondi, esausta e piena di domande irrisolte.

«Andiamo a fare un giro fuori?», ti propone a bruciapelo Roger.

Socchiudi un occhio e lo fissi, dubbiosa, mormorando, «Sono le undici passate. Non sono certa di quanti metri riuscirei a percorrere sulle gambe, prima di finire lunga distesa su qualche marciapiedi»

«Oh...»

Di nuovo lo scruti, registrando la delusione dipinta in toni accesi sul suo volto, in fondo ai suoi occhi chiari, e sospiri affranta, chiedendoti quando – se – finirà questa giornata infernale.

«D'accordo», concedi infine, stancamente, «Usciamo, ma...»

«Ma?»

«Se dovessi addormentarmi da qualche parte, dovrai riaccompagnarmi a casa, senza nemmeno un graffio. Intesi?»

Lo vedi annuire, incredibilmente e insensatamente entusiasta alla prospettiva di avventurarsi fuori, e sorridi fra te, tutto sommato compiaciuta del risultato dei tuoi immani sforzi per accomodare le cose.


Lui corre avanti e indietro, adocchiando curioso ogni santissima vetrina illuminata che incontra sulla vostra strada, mentre tu lo segui, lentamente, tentando di trattenere qualche risata che ti sale spontanea alla gola, osservandolo girare e girare come una trottola impazzita. “Cielo”, ti ritrovi a pensare, “Come diavolo farà ad essere così attivo e vivace a quest'ora della notte? Dove mai nasconderà tante energie da sprecare?”

«Roger...», lo richiami, vedendolo allontanarsi per l'ennesima volta, e quando lui si volta non riesci a fare a meno di distendere le labbra in un sorriso, «Ma non ti stanchi mai?!», lo riprendi, fintamente esasperata, ed è bello vederlo sgranare gli occhi per la sorpresa e, forse, lo sconcerto.

«Stancarmi? Ma che dici? La serata è appena all'inizio! È... tutto così luminoso, incredibile e... Entriamo in qualche locale, Mireille!», ti propone di slancio, con lo sguardo pieno di meravigliata aspettativa.

Non attende nemmeno una risposta, ti si fionda quasi addosso, afferrandoti per un braccio e trascinandoti con sé, tu che invece arranchi, stordita ma anche stranamente leggera.

«Hey! Vacci piano, star! Sono già mezza morta di stanchezza, non vorrai darmi il colpo di grazia?!»

È il tuo scherzoso rimprovero, che lui a mala pena ascolta ed al quale non dà assolutamente peso, continuando invece a tirarti appresso meglio di un cane da slitta. “Ha un futuro assicurato sulle piste innevate”, pensi divertita, ma intanto lo segui di buon grado, curiosa di sapere che cosa scoverà sul proprio cammino e dove vi condurranno le sue gambe.

Infine si ferma, senza avvertire e rischiando così di farti schiantare contro la sua schiena e l'entrata di quello che, ne sei sicura, è appena divenuto l'obbiettivo della sua serata.

«Che cosa significa?», ti domanda, con un leggero fiatone a spezzargli la voce, indicando l'insegna un po' graffiata e illuminata da due fari blu.

FEUX FOLLETS”, c'è scritto, e tu lo fissi con la certezza che quel ragazzo abbia una sorta di radar incorporato.

«Significa “Fuochi Fatui”. È un locale in cui fanno, tra le altre cose, anche musica dal vivo»

Per quanto ti sembri assurdo e impossibile, i suoi occhi chiari si accendono di ulteriore eccitazione e sfoggia un ampio sorriso soddisfatto, prima di riappropriarsi di quello che, una volta, era il tuo prezioso braccio destro e riprendere a tirarti.

«Entriamo! Dai, dai, dai!»

E tu davvero trovi che non ci sia modo di dirgli di no - e anche se ci fosse, non ne avresti le forze -

«Surf Rock!», esclama, fuori di sé, «Amo già da impazzire questa città»

Scoppi in una risata e scuoti la testa, «Sono contenta, anche se scommetto che dici così solo perché non hai mai visto la capitale. Paris è meravigliosa!»

«Anche Bordeaux!», insiste, «Non avevo idea che in Francia ci fossero così tante luci»

Nemmeno io”, vorresti commentare, pensando che in effetti è la realtà: raramente, prima di quella sera, ti eri resa conto di quanto fosse viva la tua città. Forse serve davvero uno sguardo esterno, per comprendere la bellezza di ciò che si ha sotto gli occhi ogni giorno.

Annuisci, piano, «Hai ragione tu: è un bellissimo posto»

«Ovvio che ho ragione», gongola, sfoggiando un ghigno malizioso e soddisfatto, «Andiamo a divertirci, Mireille. Più tardi avrai tutto il tempo che vorrai per riposarti, ma ora... è il momento di vivere!».


Già, ed è un puro miracolo se, per tornare a casa - all'alba delle 3:00 a.m. - non ti tocca trascinartelo via in spalla, quel piccolo mascalzone di un batterista. Eppure, anche mezzo intontito dalla musica, dai cocktails, dal fumo e dalla gente chiassosa, riesce comunque a mantenere quella curiosa espressione da folletto: delicata ed assurdamente innocente, per uno che di innocente non ha proprio niente, nemmeno la punta dei capelli.

«Bah, tu sei fuori, Rog!», borbotti incredula.

«Anche tu», biascica lui per tutta risposta, «Mi hai appena riportato in strada», ti prende per i fondelli il dispettoso folletto.

Non puoi fare altro che sbuffare e alzare gli occhi al cielo, freddo e sereno, ornato da milioni di spilli argentati.


La strada di casa è lunga e lui ti costringe a numerose fermate, dato il suo scarso equilibrio che lo porta sempre troppo a ridosso degli alberi allineati lungo la via. A volte ti capita di soffermarti sul suo musino dalle mille sfumature, curiosa di osservare quella che sarà la sua prossima espressione, e questo giochino ti dà modo di far volare più velocemente il tempo e la distanza che ancora vi separa dal tuo appartamento - che in quel preciso momento pare profilartisi come uno dei luoghi più accoglienti al mondo - Roger fa del suo meglio per tentare un incontro ravvicinato con il pavimento del pianerottolo di fronte alla tua porta, ma i tuoi riflessi, incredibilmente, sono ancora piuttosto pronti, e lo riacchiappi al volo, prima del disastro annunciato, appoggiandolo al muro come si appoggerebbe un pacco troppo ingombrante e per nulla stabile.

«Vuoi farti una doccia?»

Tenti, guidandolo verso il salotto. Ma lui - nel tempo che impieghi per richiudere l'uscio - è già sprofondato nel tuo divano e a te non rimane che sospirare e prendere la via per la camera da letto. Prima di raggiungerla sei però costretta a bloccarti a metà strada, sorpresa dall'inattesa ricomparsa della sua voce, per quanto flebile e un poco impastata.

«Grazie...»

«Di cosa?», indugi, ferma in mezzo alla sala, osservandolo attenta.

«Per... questa serata, per... avermi accompagnato e...», ridacchia ora, evidentemente divertito, «Per non avermi più picchiato»

Ti lasci sfuggire un piccolo sorriso e annuisci, «Prego»

«È stato...», sembra indeciso su cosa dire, o forse su come dirlo, infine prova, «Bello. Sì, è stata una bella serata»

«Sì, lo è stata»

Sei malgrado tutto costretta ad ammettere. È vero, ti senti esausta e hai una voglia matta di abbracciare il tuo amato guanciale e rotolarti nel tuo affezionato materasso, eppure sì, in fondo le ore appena trascorse si sono rivelate una piacevole esperienza.

«E quindi grazie», ripete, con un tono curiosamente dolce, «Sono stato bene»

Senti di doverti avvicinare a lui, per provare a dare almeno un senso alle sue parole, per cercare un poco di chiarezza in più.

«Ne sono felice, e...», ridacchi, sorpresa perfino da te stessa «Avevi ragione tu, di nuovo: è stata una buona idea uscire, questa sera»

I tuoi occhi osservano il suo viso distendersi e rilassarsi e, mentre ti riserva un'ultima occhiata, lo ricopri con una leggera coperta.

«Sarà meglio che tu ora dorma un po', o ti si rovinerà quel tuo bel faccino e domani ti ritroverai a fissare una mummia riflessa allo specchio»

«Mmph... Quanto sei simpatica, Mireille»

«Buona notte, Roger»

Prima di sprofondare a tua volta in un sonno più che meritato, la tua mente si sofferma a ripensare alle poche ore trascorse da che lui ti è capitato fra i piedi, in modo tanto imprevisto, e sorridi. È una pazzia, probabilmente, ciò nonostante in quel poco tempo ti sei scoperta molto diversa da quella che credevi la solita Mireille. Una bella serata, già: quattro ore in giro per la città con Roger Taylor. Assurdo.


E forse lo è davvero: solo un'assurdità. Il mattino seguente ti svegli solo per un puro miracolo, alle 9:00 a.m. passate. Al lavoro già ti avranno data per deceduta, ma anche volendo non saresti comunque riuscita a riaprire gli occhi ad un orario più appropriato. Senti la testa pesante, mentre arranchi verso il bagno, con un lungo sbadiglio e due paia di occhiaie che fanno bella mostra di sé sotto i tuoi occhi ancora assonnati. È solo quindici minuti più tardi, dopo esserti concessa una breve doccia, quando di nuovo ti soffermi sul tuo riflesso, che rammenti quel “piccolo dettaglio” quasi sprofondato nella discarica che è la tua mente in quel momento: Roger, batterista di professione e rompiscatole per diletto, abbandonato la notte precedente a smaltire i postumi di qualche ora di eccessivo svago sul tuo divano.

«Cazzo», sbotti allucinata e, rapidamente, ti precipiti in salotto.

Non hai però modo di raggiungere il suddetto divano. Ti fermi prima, osservandone la fodera spiegazzata e la coperta che ancora lo cela in parte. Ma niente Roger. Allora deglutisci, il tuo cuore accelera impercettibilmente l'andatura e, pur conoscendo l'inutilità del gesto, ti sforzi ugualmente di guardarti intorno, alla ricerca della sua improbabile figura. No, lui non è lì, né in sala né in cucina e neppure in bagno. Sai, con incomprensibile certezza, che non si trova più nemmeno all'interno di quell'appartamento. È andato, o meglio, è tornato: a casa sua, nel suo mondo, nel suo tempo. Inspiri, cercando di controllare il percorso del fiato nel tuo corpo, e mentre il battito del tuo cuore torna regolare, le tue labbra si tendono in un sorriso tirato.

«Bentornato, Roger».





FINE




(*) Boxe Française

http://www.savatepavia.it/savate.html

http://it.wikipedia.org/wiki/Savate








   
 
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