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Autore: Mick_ioamoikiwi    01/05/2013    4 recensioni
Dal testo: “l’amore è una convenzione umana, qualcosa che serve a descrivere uno strano sentimento che un attimo prima ti fa sentire pieno di gioia e quello dopo ti fa piangere”.
Questa è una mia personale visione dell'amore, e su come mi abbia condizionato nella vita.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dicevano che odiavo l’amore.
 

Mi sono sempre dimostrata contrariata all’amore.
Chi mi conosce lo sa, mi sente continuamente dire che “l’amore è una convenzione umana, qualcosa che serve a descrivere
uno strano sentimento che un attimo prima ti fa sentire pieno di gioia e quello dopo ti fa piangere”.
Senti tanto in giro che quando si è innamorati si vede il mondo in rosa, questo è già il primo motivo per cui lo odio. Odio il rosa.
 
Di questo lato della mia vita non ne ho mai parlato con nessuno, non capirebbero. Ne ho parlato solo con una persona, Arianna,
la mia “quasi-sorella”, perché lei sta vivendo adesso, quello che io ho già passato.
 
L’amore mi ha voltato le spalle già quand’ero bambina, il giorno in cui i miei genitori si sono separati, avevo sei anni a quel tempo.
Credo sia stato a metà primavera, io stavo finendo la prima elementare. Mio padre un giorno se ne è andato di casa, e mia
madre mi aveva spiegato che “mamma e papà non vanno più d’accordo” e io non capivo. Quando mio padre veniva a trovarmi a
casa io chiedevo dov’era stato e chiedevo quando sarebbe tornato a casa. Ed entrambi non rispondevano.
Nessuno aveva il coraggio di dire ad una bambina che l’amore ti frega.
 
Mi ricordo una volta in particolare, quando avevo detto ad entrambi di compilare un questionario scritto in stampatello, ancora con
i trattini tra le parole, ci avevo messo il cuore per capire, e mi ricordo di aver scritto che se rispondevano entrambi ugualmente alla
domanda “vuoi bene a mamma?” e a “vuoi bene a papà?” avrei dato i miei soldini a ciascuno, e mi sarei fatta aiutare per dividerli
in parti uguali, ancora non sapevo fare le divisioni.
Ero ancora troppo piccola per capire, e me ne rendo conto adesso, quanto fossi stata sciocca a fare quel gesto che agli occhi di
una bambina poteva essere utile a mettere a posto le cose.
 
A quel tempo andavo in palestra per fare ginnastica artistica, ma ero sempre una di quelle accantonate perché poco dotata, e
quando facevamo gli esercizi in palestra le altre madri ridevano di me, quando provavo a fare la ruota e non ci riuscivo, ma mia
madre era lì e sorrideva. Mi viene da piangere, a pensarci.
Da quel momento ho odiato la ginnastica e mi sono ripromessa di non andarci mai più.
Avevo tre “istruttrici” in quella palestra: Monica, una bella ragazza coi riccioli ramati e le lentiggini, me la ricordo poco ma lei se
non riuscivi sorrideva e ti aiutava; Elena, l’ho sempre odiata, aveva solo le sue pupille, quelle oche che se la tiravano davanti alle
altre facendo ponti perfetti e ruote bilanciate, spaccate a centottanta gradi e piroette senza capogiri, per lei le altre erano zavorre,
io ero una zavorra. Poi è arrivata Sonia, lei aveva un sorriso dolcissimo e luccicante perché aveva un brillantino sul dente. E’
rimasta poco con noi, tre o quattro lezioni, non ricordo bene.
 
Sonia è stato il mio ponte di collegamento con la compagna che si era fatto mio padre, Michelina, perché era sua zia, ma lei ha
sempre voluto farsi chiamare Michela, come me.
Lei e mio padre sono stati insieme per quasi otto anni e mezzo, e praticamente ci ho vissuto assieme metà della mia vita, dal
momento che ho sedici anni.
Lei è stata quasi come una seconda mamma, appena mi vedeva si riempiva il volto di gioia, parlavamo e ridevamo insieme,
ho confidato cose a lei prima che a mia madre, e per questo a volte mi sgridava perché diceva che mia madre aveva il diritto di
saperlo prima. Lei è stata una fonte di preziosi consigli, le ho davvero voluto bene, mi ha sempre considerata come una figlia,
perché lei non ne ha mai avuti, ma mi ha conosciuto che ero ancora molto piccola e per questo è stata felice di conoscermi. Ma
a volte non mi è mancato modo di odiarla, per il semplice fatto che mi rimproverava per qualcosa che io non credevo fosse così
grave. C’è stato un periodo in cui non volevo neanche più andare da mio padre e da lei, non so nemmeno io perché.
 
Alla mia comunione, in terza elementare, quando avevo circa otto-nove anni, non potei invitarla per il semplice fatto che mia
madre stava ancora male per il fatto che mio padre l’aveva tradita con lei, quando andai a casa sua per salutarla stava piangendo,
mi mise un senso di amarezza addosso che mi portai avanti poi durante tutta la cerimonia in Chiesa.
Più avanti, in seconda media e quindi alla mia cresima ho ottenuto il permesso da mia madre di poterla invitare, ne è rimasta
estasiata, ed anch’io. 
 
Quando avevo circa dieci anni è capitato due o tre volte che io e mio padre andassimo a dormire sul camper che avevamo,
perché loro due avevano litigato.
E io ogni volta mi arrabbiavo con lui perché non volevo perdere Michela.
Ma in cuor mio sapevo ormai che ci sarebbe stato il giorno in cui avrei sofferto per lei, il giorno in cui l’avrei persa.
 
A tredici anni sono stata “una vittima collaterale” del loro scatafascio, l’episodio più terribile che io abbia mai dovuto affrontare.
È stato circa quattro anni fa, mio padre e Michela si sono lasciati, eravamo a casa di Michela perché mio padre stava da lei,
quand’erano insieme.
Era il compleanno di sua sorella, non so la data precisa ma andavo ancora a scuola e faceva freddo, quindi doveva essere tra
settembre e gennaio, perché quell’anno il Natale lo abbiamo passato senza di lei. Lei mi ha chiesto se ero pronta per andare
da sua sorella a mangiare una fetta di torta, me l’ha chiesto dolcemente, con il suo semplice e dolce sorriso.
Mio padre invece si è infuriato, ha cominciato a dire che a lei non importava di stargli assieme perché stava sempre da sua
sorella, lei si è messa ad urlare, mio padre ha fatto lo stesso. Io ero lì, seduta al tavolo, imbarazzata e allo stesso tempo
spaventata. Quando ho visto mio padre che alzava le mani, sentivo solo più il rumore degli schiaffi, sono uscita per la tromba
delle scale del palazzo.
Li sentivo urlare, e urlare ancora.
Sono corsa fuori in cortile, dopo pochi minuti è sceso anche mio padre, con le chiavi della macchina in mano, freddo mi ha
detto di salire in macchina.
Siamo andati a prendere il camper, e lui non mi guardava neanche, forse per il troppo orgoglio, forse per non farmi stare
ancora più male. Gli chiesi di portarmi a casa, da mia madre. Mi disse solo un “ti capisco, magari vengo di nuovo dopo, mi
dispiace che tu abbia dovuto assistere a questa scena”.
Non credevo che l’amore potesse finire così male, potesse portare a tutto quell’odio. Li avevo sempre visti insieme, sorridenti.
E poi d’un tratto è finita.
Finita quasi male, e io ripenso ancora adesso a quel giorno.
Mio padre è tornato poi a prendermi, mi ha spiegato perché era finita così, mi ha detto che lei aveva chiamato anche i carabinieri,
e che se fossero arrivati fino in tribunale dovevo andare lì per difenderlo.
Non sentii più Michela per un bel po’, perché mi sembrava di tradire mio padre,
ma dall’altra volevo stare con Michela, quando la vedevo in giro ero fredda, non riuscivo più a farci un discorso.
 
Mio padre mesi dopo mi portò una busta di foto, che erano rimaste da Michela.
La aprì mia madre, io non ero ancora tornata da scuola. Era piena di foto mie e con mio padre, tutte strappate a metà.
È stato come un tuffo al cuore, perché la prima cosa che mi venne in mente fu “perché Michela mi odia...perché ha fatto questo
quando io non c’entro nulla?”. Lo dissi anche a mio padre, la sua risposta fu “ora mi sente”, diceva che l’aveva fatto perché lui
le aveva strappato una foto di sua nipote. Pochi mesi fa mio padre mi ha fatto aggiustare al computer quelle foto, è stato come
rivivere quei momenti.
Mi capita ancora adesso di pensarci e piangere.
 
Mi chiedono perché non ho ancora un ragazzo, perché io faccia sempre spallucce o non dica parola sul tema amore.
Quando dico come la penso, il risultato è sempre lo stesso: che sbaglio, che è solo colpa del fatto che non ho un ragazzo, che
devo parlarne. Le mie compagne di classe mi dicono “io e te dobbiamo fare un discorsetto sull’amore, perché non è possibile
che tu la pensi davvero così”.
L’amore nella mia vita fino adesso è stato un fallimento, le mie fondamenta continuano a cedere, e vivo nella solitudine per non
farle cedere ulteriormente. Dicono che io odi l’amore, ma è una menzogna.

Io ho paura di amare.

   
 
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