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Autore: Neko no Yume    02/05/2013    8 recensioni
Fronte occidentale, la Marna a pochi chilometri e il frastuono degli eserciti che rimbomba ovunque.
Un respiro appena accennato e tremolante sotto una divisa tedesca, nemica.
Probabilmente i militari che presidiavano il suo ospedale l'avrebbero finito seduta stante, ma Sharon non era arrivata fin lì per mietere vite.

Poi, la mattina.
(wwi storical au; il titolo potrebbe o no essere una semi-citazione letteraria)
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sharon Ransworth, Xerxes Break
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Lo sciabordio dell'acqua sembrava quasi rassicurante, eppure fuori posto in maniera talmente inquietante che Sharon avrebbe volentieri preferito tenersi il grembiule sporco di sangue, piuttosto che lavarlo lì.
Sapeva che si sarebbe macchiato di nuovo non appena avesse rimesso piede nella tenda, ma cercare di mantenere l'uniforme pulita era uno dei pochi appigli sbrindellati e malconci che le erano rimasti, lì al fronte.
Tra i bombardamenti, le cariche, il rombo delle mitragliette e la Marna a poche centinaia di metri dal loro ospedale improvvisato.
Smise di fregare furiosamente la stoffa, ormai di nuovo biancastra, quando iniziò a non sentirsi più le dita dal freddo e si rialzò in fretta, rassettandosi la gonna e avviandosi a passo svelto verso il campo.
Le infermiere usavano un vecchio sentiero immerso nella vegetazione per andare a prendere l'acqua al fiume e l'eventualità di non tornare era dietro ogni ramo spoglio o cespuglio spinoso.
Per questo a Sharon quasi sfuggì un grido nell'avvertire un fruscio tra le foglie accanto alle sue gambe, seguito da un debole rantolo.
Strinse i pugni attorno alla stoffa ancora bagnata del grembiule e scostò appena qualche fronda, ritrovandosi davanti a due uomini riversi a terra.
L'odore e la vista del sangue le scivolarono addosso, privati ormai del disgusto che le provocavano i primi tempi, e l'infermiera si affrettò a rilevare il battito cardiaco dei due.
Il soldato che portava la divisa inglese era ormai gelido e immobile, mentre l'altro respirava ancora.
Un respiro appena accennato e tremolante sotto una divisa tedesca, nemica.
Probabilmente i militari che presidiavano il suo ospedale l'avrebbero finito seduta stante, ma Sharon non era arrivata fin lì per mietere vite.
Notò una brutta ferita all'occhio sinistro e la fasciò come meglio poté col grembiule, senza soffermarsi a contemplare nuove macchie rosse spuntare sulla stoffa appena pulita e afferando il soldato da sotto le braccia per riuscire a sollevarlo e trascinarlo lungo i pochi metri che ormai li separavano dal campo.
Un gruppetto di infermiere li notarono e si affrettarono ad aiutarla a portare il ferito all'interno della tenda affollata e malconcia, per poi adagiarlo sulla prima barella libera.
Nessuna domanda sulla divisa.
Nessuna domanda sulla provenienza.
Gli unici suoni che Sharon sentiva erano gli strascichi del respiro dell'uomo e i mormorii preoccupati delle sue college davanti alla sua ferita alla testa: un profondo taglio da baionetta gli correva lungo l'orbita distrutta.
Nel migliore dei casi avrebbe perso la vista dall'occhio sinistro.
Nel peggiore, e assai più comune, sarebbe morto per setticemia.
Sharon scosse la testa, la mente concentrata unicamente sul compito di pulire la ferita con della garza e assicurarsi che non ci fossero schegge o detriti al momento di ricucirla.
Gli sarebbe rimasta una cicatrice irregolare e vistosa, ma non potevano permettersi altro, specialmente con schiere infinite di altri pazienti in condizioni più o meno gravi.
Si occupò personalmente della fasciatura attorno al capo del ferito e alla fine si accasciò su una sedia lì vicino, il grembiule sporco in grembo e lo sguardo fisso su quel viso sconosciuto e sofferente.
Si concesse qualche istante per mettere in piedi una scusa valida per persuadere il medico a cui era sottoposta a lasciarla prendersi cura dello straniero, poi tornò a destreggiarsi tra le barelle come una farfalla impazzita.


"Ho bisogno di un momento."
Vincent Nightray, ovvero il suo superiore, la stava osservando con un'espressione sin troppo compiaciuta negli occhi eterocromi, consapevole della rabbia che le montava in petto ogni volta che lo faceva.
"La prego, dottore," tentò Sharon per l'ennesima volta, la voce che tremava appena. "Quell'uomo potrebbe non potersi permettere un momento."
L'espressione del medico si fece appena più accigliata, il sorriso mellifluo più duro.
"E noi potremmo non poterci permettere di curare un nemico, signorina Rainsworth."
"Non è un nemico, ma un paziente!"
Un sospiro da parte di Vincent e l'infermiera capì di aver centrato il bersaglio: se si fosse rifiutato di portare aiuto a un ferito, il morale già pesantemente provato dell'intera equippe medica sarebbe crollato del tutto, con rischio di ammutinamenti.
"Il nostro dovere qui è di salvare vite, indipendentemente da dove siano venute alla luce," insisté.
L'altro tacque per alcuni istanti che a lei parvero eterni, riempiti dai rimbombi delle mitragliette e le bombe, poi si schiarì la gola e la scrutò quasi avesse voluto incenerirla.
"E sia, il soldato ha il permesso di restare. Ma se non migliora entro una settimana è fuori."
Sharon incassò il colpo, congedandosi con un cenno del capo.
Una settimana era un arco di tempo terribilmente breve per riprendersi da una ferita come quella, ma la crocerossina aveva il sentore che lui avrebbe potuto farcela.
Si diresse verso la branda dove il soldato era stato spostato e gli si sedette accanto, i consueti e deboli lamenti degli altri feriti nelle orecchie e le iridi stanche posate su quel volto bendato, più bianco della garza e più stanco di lei.
Gli deterse la fronte con un panno bagnato, concedendosi un lieve sorriso nel sentire che il suo respiro si regolarizzava.
Poi crollò addormentata.
Si svegliò con il collo dolorante, le spalle intirizzite, le labbra secche e un singolo occhio rosso che la osservava.
Sussultò vistosamente, cosa che le procurò una fitta alla nuca, e si affrettò a passarsi una mano sul viso ancora assonnato, cercando di sistemarsi qualche ciocca ribelle dietro le orecchie.
L'occhio rosso apparteneva al soldato straniero, sveglio e lucido contro ogni previsione.
"Guten morgen, fräulein1," biascicò con una vena di ironia che non mancò di far arrossire Sharon.
"Buongiorno," rispose in inglese, senza pensarci.
Per un attimo i muscoli facciali dell'altro parvero irrigidirsi, ma l'uomo si affrettò a nasconderlo con un ghigno stentato.
"Avevo il sospetto di essere capitato in un ospedale straniero," commentò in un inglese dall'accento marcato, ma per il resto impeccabile.
L'infermiera aveva l'impressione che avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma il dolore doveva essere ancora troppo forte per permettergli conversazioni troppo lunghe.
"Non sforzarti, hai ricevuto una brutta ferita alla testa e perso molto sangue," lo informò in tono pacato ma fermo, mentre allungava una mano verso un rotolo di garze pulite. "Ora ti cambio il bendaggio e controllo la situazione."
Dare del tu ai pazienti le veniva naturale, era un modo come un altro per guadagnare la loro fiducia in modo da poterli curare più facilmente.
Il nuovo arrivato non parve infastidito dalla cosa e le restò a guardarla in silenzio mentre gli liberava il capo dal bendaggio macchiato di sangue.
Non batté ciglio neanche davanti all'espressione critica che Sharon assunse davanti alla sua ferita, limitandosi a fissarla con l'unico occhio sano.
Lei si mordicchiò il labbro inferiore e si chinò appena per esaminare meglio il taglio, che correva irregolare dal sopracciglio allo zigomo.
I punti non sembravano essersi infettati, ma per sicurezza li deterse con dell'acqua, spalmandovi poi sopra con quanta più delicatezza possibile della pomata antisettica e affrettandosi a ricoprire il tutto con le bende pulite.
Avrebbe lavato le altre al più presto, assieme al grembiule.
Ancora e ancora.
Sentì un'ondata di nausea salirle dal petto e stava per abbandonarsi contro lo schienale della sedia in preda allo sconforto, quando il soldato le sorrise di nuovo.
"Mi ha trovato lei, fräulein?" chiese in un sussurro, le palpebre che lottavano per restare aperte.
Sharon si rassettò la divisa in un gesto automatico, per poi annuire.
"Sì, a pochi passi dal campo."
La consapevolezza che se non fosse rimasto ferito l'avrebbe probabilmente uccisa si insinuò tra loro, ma l'infermiera la scacciò ricambiando il suo sorriso con dolcezza e lo straniero parve finalmente darsi il permesso di scivolare nel sonno.
Il resto della giornata passò quasi con lentezza, per quanto potesse essere lenta la vita al fronte, e Sharon ebbe il tempo di sciacquare la divisa e diversi bendaggi, mentre altre infermiere si occupavano a turno di tenere d'occhio il nuovo arrivato, dandole l'opportunità di svolgere le sue mansioni presso gli altri pazienti.
Nel tardo pomeriggio venne fermata da uno dei soldati stanziati al campo, un ragazzino troppo giovane per la guerra e dagli occhi troppo verdi per la morte.
"Shaaaron," la chiamò, strascicando il suo nome con voce allegra. "Hai davvero trovato un tedesco ferito?"
Doveva averlo sentito dalle altre infermiere, probabilmente da Alice.
"Oz, ti dispiacerebbe non sbandierarlo ai quattro venti?" gli intimò con quanta più gentilezza le fu possibile usare.
Il giovane si affrettò a scusarsi, facendole però notare che ormai lo sapevano tutti.
"Comunque nessuno di noi ha intenzione di fargli del male, tranquilla," la rassicurò alla fine.
"Oh, menomale."
I due si scambiarono un cenno di saluto, poi Oz tornò alla sua ronda e Sharon alla branda dello straniero.
Lui la aspettava sveglio e parve illuminarsi nel vederla arrivare.
"Fräulein," la accolse con espressione divertita "le sue colleghe mi fanno non poca paura, ce n'è una che non parla mai."
Echo, pensò la crocerossina, lasciandosi sfuggire un risolino soffocato.
"Sono felice di vederti così energico," sviò il discorso, il dorso della mano adagiato su quella guancia anemica per controllarne la temperatura. "Anche la febbre sembra essersi abbassata."
Vincent sarebbe stato costretto a lasciare che lei lo salvasse, ne era sempre più sicura.
"Come ti chiami?" si decise a chiedere, pentendosene immediatamente.
L'unico occhio sano del tedesco parve d'improvviso inghiottito nel caos della trincea, il viso si contrasse e Sharon si rese conto di poter quasi sentire il fragore delle armi che gli rimbombava in testa in quel momento.
Poi l'uomo parve ritrovare la calma.
"Xerxes Break."
Lei accolse quelle sillabe in silenzio, gli occhi socchiusi e le mani in grembo.
"Lei come si chiama, fräulein?" continuò lo straniero, nonostante la voce stesse tornando ad affievolirsi per il sonno.
"Sharon," rispose d'istinto, per poi affrettarsi ad aggiungere imbarazzata "Rainsworth. Sì."
"Bel nome..." fu tutto ciò che Xerxes riuscì a farfugliare, prima di essere nuovamente vinto dalla stanchezza.
La crocerossina si concesse un sospiro, sarebbe stata una settimana lunga.







Note:
1 -
"Buongiorno, signorina" in tedesco.

Yu's corner:
Halo, mein liebte!
Okay, lo ammetto, sto improvvisando.
Non l'ho mai studiato il tedesco, so solo qualcosina imparato tra i miei viaggi in Alto Adige e Germania, srry.
Comunque, salve!
Mi sono davvero imbarcata nella scrittura una long ambientata nella prima guerra mondiale? Così pare...
Ebbene, spero che questo inizio vi sia garbato perché io Sharon crocerossina dfjfkjashdahdk--
Fangirlamenti altamente indecorosi a parte, farò del mio meglio e mando tutto il mio ammmore a chiunque recensirà o seguirà questo vaneggio.
Bye bye,
Yu.
  
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