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Autore: Alexcatania    02/05/2013    8 recensioni
Questa è la mia prima Fan Fiction. Come sarà facile intuire leggendola, racconta di un momento che è stato accennato ma mai esplorato da JK Rowling ne "Il Principe Mezzosangue".
Harry Potter è stato punito da Severus Piton per avergli risposto in modo sgarbato, e si reca nel suo ufficio per scontare la pena.
Lo stile è parecchio influenzato da quello della Rowling: il narratore è esterno, con libero accesso ai pensieri di Piton.
Considero questa storia come una sorta di introspezione. Il mio è stato un tentativo di esplorare i pensieri e le emozioni di questo complesso e stratificato personaggio, mantenendone inalterate la storia e le caratteristiche. Cosa si nascondeva dietro il disgusto per Harry Potter? Cosa si celava dietro l'apparente freddezza e i comportamenti odiosi?
Spero vi piaccia, ma ovviamente accetto consigli e critiche costruttive.
Vi auguro una buona lettura!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Severus Piton's Mind

Severus Piton varcò la soglia del suo ufficio e si chiuse la porta alle spalle. Nonostante la stanza fosse avvolta nelle tenebre, fece il giro della scrivania con nonchalance e si accomodò su di una scomoda sedia di legno.
Restò seduto, con le mani sul viso, per diversi minuti: era stata una giornata particolarmente lunga. Di solito riusciva a sezionare gli innumerevoli pensieri che gli vorticavano in testa, e ad escludere quelli che lo disturbavano. Per lui era ordinaria amministrazione, ma gli ultimi avvenimenti lo avevano scosso profondamente e sentiva il bisogno di lasciarsi andare.
Fortuna che il Signore Oscuro non sia nei paraggi, pensò Piton.
In quell'istante Lord Voldemort si trovava a Villa Malfoy. Da una simile distanza ed ostacolato dagli incantesimi difensivi di Hogwarts, non aveva modo di scrutare nella sua mente. Ma Piton sapeva che momenti di debolezza come quello potevano costargli caro. Non poteva permettersi di perdere il controllo neanche per un istante, nel corso dell'imminente riunione al cospetto di Voldemort in persona e dei suoi fedeli Mangiamorte.
Trasse un paio di respiri profondi e placò la mente, costringendosi a pensare agli argomenti delle prossime lezioni di Difesa contro le Arti Oscure.
Con un movimento della bacchetta evocò delle fiamme che appiccarono un piccolo fuoco nel camino alle sue spalle. La flebile luce che ne scaturì illuminò debolmente una vasta gamma di oggetti: l'armadio da dove, tre anni prima, era uscito un molliccio che aveva assunto le sue sembianze di fronte a Neville Paciock; uno spioscopio che giaceva immobile; diversi detector oscuri ed un vecchio sensore segreto impolverato, probabilmente dimenticato lì dal suo predecessore: Dolores Umbridge. Da quando si era trasferito in quell'ufficio, non lo aveva mai toccato. Non aveva bisogno di quell'oggetto per capire se qualcuno gli stava mentendo.
Infine notò due grossi barili di legno davanti alla scrivania: uno era vuoto, l'altro era pieno fino all'orlo di vermicoli.
«Potter» mormorò Piton.
Si era completamente dimenticato che quella sera lo aspettava per una punizione.
Le ultime parole che il ragazzo gli aveva rivolto echeggiarono nelle sue orecchie come se Harry le stesse urlando dall'estremità opposta di una caverna: «Non c'è bisogno di chiamarmi signore, professore».
Esattamente il genere di cose che avrebbe potuto dire il padre, pensò Piton, trattenendo a stento un moto di rabbia.
In pochi minuti, il tanto celebrato Prescelto avrebbe ricevuto quel che si meritava per la sua arroganza. Quanto avrebbe desiderato poter punire anche James e farlo pentire di tutti i suoi soprusi!
Un ghigno appena accennato gli spuntò sul volto: pensare male dei Potter era sempre stato il suo anti-stress preferito.
Eppure, per qualche ragione che non riusciva a comprendere, Silente confidava totalmente in quel ragazzo privo di alcun particolare talento magico. Che cosa gli stava nascondendo? Da settimane non faceva altro che vedersi con Harry e non si degnava neanche di dirgli cosa facevano. Non era per caso degno della sua fiducia? Lui, che rischiava la vita giorno dopo giorno, non poteva conoscere tutti i particolari del suo intricato piano?
E come poteva pensare che potesse davvero fare quella... quella cosa... che gli aveva fatto promettere?
Sentì la rabbia crescere nuovamente e scuoterlo. C'era solo una cosa che poteva dargli un briciolo di pace.
Levò la bacchetta: l'armadio si spalancò ed un basso bacile di pietra volteggiò verso di lui. La superficie argentea che faceva capolino dallo strano oggetto si mosse come un'onda nel mare.
Quando il Pensatoio si fermò di fronte a lui, portò la bacchetta alla tempia ed estrasse il ricordo che lo tormentava da giorni. Dei fili brillanti, più sottili dei capelli, galleggiarono per un istante e poi discesero lentamente verso il bacile. Quando il ricordo entrò in contatto con la sostanza argentea, quest'ultima diventò trasparente: vide un uomo con dei penetranti occhi azzurri, parzialmente nascosti dal riflesso di un paio di occhiali a mezzaluna, poggiati su un naso lungo ed aquilino. Il Preside di Hogwarts guardava un uomo di fronte a lui. Piton lo vedeva solo di spalle, ma sapeva perfettamente chi era: se stesso.
«Certo che no. Devi uccidermi tu» disse Silente.
Il vero Piton, sentendosi più leggero, diede uno scossone al Pensatoio e quell'immagine scomparve, sostituita all'istante da quella di una giovane ragazza con i capelli rossi e gli occhi verdi.
Chiuse gli occhi: un gesto che gli costò tutta la forza di volontà che possedeva. Non era il momento di cedere a certe tentazioni.
Erano le sette: il ragazzo stava per arrivare e le solite emozioni contrastanti si impadronirono di lui. Al tempo stesso desiderava e temeva vederlo. Sapeva che ciò che aveva evitato qualche istante prima, presto lo avrebbe ritrovato nel suo volto, ma stavolta non poteva sfuggirvi.
Improvvisamente avvertì una sensazione di irrequietezza, che non gli apparteneva, avvicinarsi un passo dopo l'altro e fermarsi dietro la porta dell'ufficio.
Figuriamoci, pensò Piton sprezzante.
Riusciva a captare le sue emozioni da una decina di metri di distanza, senza neanche bisogno del contatto visivo. Harry non aveva mai imparato a chiudere la mente.
Qualche istante dopo, qualcuno bussò.
«Avanti» disse lui, mentre il Pensatoio tornava per magia nell'armadio.
La porta si spalancò ed entrò la copia quasi esatta di James Potter. Un'espressione di disgusto si dipinse automaticamente sul volto segnato di Piton.
«Buonasera» disse Harry.
«Buonasera, SIGNORE» lo apostrofò Piton, sfidandolo a rispondere come aveva fatto qualche giorno prima.
Un espressione molto simile alla sua comparve sul volto di Harry.
«Buonasera, signore». Il suo tono tradiva una profonda irritazione.
«Siediti» ordinò Piton.
Harry si avvicinò con autorevolezza e si sedette sulla piccola sedia di fronte alla scrivania, guardandolo come se non aspettasse altro di iniziare la punizione.
Piton restituì lo sguardo e si tuffò dietro gli occhiali rotondi, dritto negli occhi verdi di Harry. Ebbe una rapida visione di una ragazza che lo guardava con lo stesso disprezzo con cui lo stava guardando il figlio. Dovette concentrarsi sui capelli del ragazzo e su altri particolari per mantenere un espressione disgustata, mentre la sua mente vagava tra dolorosi ricordi.
«Come ti è stato riferito dalla signorina Robins» esordì Piton, con il tono più freddo del suo repertorio «dovrai separare i vermicoli marci da quelli buoni. Un'operazione che richiede una certa... sensibilità. Ti consiglio di prestare particolare attenzione a ciò che fai. Se sbagli anche un solo vermicolo, dovrai rimediare al tuo errore domani sera. Di certo il celebre Harry Potter ha cose più importanti da fare».
«Farò del mio meglio. Posso cominciare? Signore?» aggiunse Harry, in risposta ad uno sguardo minaccioso.
Il tono ed il volto del ragazzo adesso sembravano calmi e rilassati, ma Piton sentiva le sue emozioni: rabbia, disprezzo e anche un pizzico di sospetto. Pensava ancora che Silente facesse male a fidarsi di lui.
Piton si beò di quelle sensazioni per un attimo e poi aggiunse: «Puoi cominciare!»
Harry si posizionò davanti ai barili, tirò su le maniche e, con un accenno di disgusto, iniziò a frugare tra i viscidi vermicoli.
Mentre era occupato a separarli minuziosamente, Piton ne approfittò per rilassare il volto ed immergersi nuovamente nei suoi occhi. Come poteva un uomo provare l'ombra di ciò che sembrava felicità, insieme ad una sofferenza atroce che scatenava in lui il desiderio di urlare con tutto il fiato che aveva in gola? Era questo che provava tutte le volte che rivedeva gli occhi di Lily Evans, nel viso di James Potter.
Harry alzò lo sguardo all'improvviso, ma Piton non impiegò più di una frazione di secondo per stamparsi in volto una smorfia di disgusto credibile. Ormai era allenato.
L'odio che provava il ragazzo nei suoi confronti era così intenso che sembrava quasi scaldare la sua mente.
Odiami, pensò Piton con ferocia. Non merito altro per... per quello che ho fatto.
Questo era troppo persino per il suo autocontrollo. Si alzò, cercando di non dare nell'occhio, e finse di controllare qualcosa nell'armadio, mentre i suoi occhi si inumidivano. Gli ci vollero due minuti buoni per riprendersi. Quando tornò alla scrivania, il suo volto non tradiva alcuna emozione.
Harry lo guardò incuriosito, inconsapevole della guerra che si agitava dentro di lui. Piton, incapace di sostenere il suo sguardo, prese un libro da un cassetto e finse di leggere.
Mentre fissava delle parole senza vederle veramente, si chiese se un giorno avrebbe smesso di fare il sogno che lo tormentava.
Tutte le notti si ritrovava in un mondo buio e vuoto. Di fronte a lui c'era solo un'interminabile parete nera, alta e liscia, ed in cima ad essa c'era lei: sorrideva e sembrava emanare una luce propria. Lily stringeva la mano ad un bambino con il volto nell'ombra. Nel sogno, Piton correva lungo la parete alla ricerca di una scala per raggiungerla, ma poi capiva che poteva solo ammirarla dal basso, semplicemente irraggiungibile dal suo mondo buio e senza scale.
Credeva di sapere cosa significasse il bambino nel sogno, e sapeva anche perché non riusciva a vederlo. Alzò lo sguardo e il ragazzo che aveva di fronte assunse una nuova forma. Gli occhiali sparirono, il naso si allungò, gli occhi diventarono neri.
Ma era troppo tardi, pensò Piton, ingoiando un boccone amarissimo. Harry ritornò alla sua forma originale, non si era accorto delle sue stupide fantasie.
La coscienza di ciò che aveva perso lo vinse, ed assunse un espressione più disgustata che mai. Harry lo guardò per un istante. Cos'erano queste sensazioni? Un misto di rassegnazione e odio.
Il ragazzo non poteva sapere ciò che aveva fatto. Non poteva sapere che ciò che lo disgustava più di qualsiasi altra cosa al mondo, persino più di Voldemort, era se stesso. Dopotutto, era responsabile tanto quanto il Signore Oscuro della morte di Lily, se non di più. Meritava tutto l'odio che riceveva, niente di ciò che aveva o avrebbe fatto, poteva espiare le sue colpe.
«Ho finito» disse Harry qualche ora dopo, chiaramente esausto ed annoiato dopo quel tremendo lavoro che gli aveva assegnato.
Piton si ridestò dai suoi pensieri e si alzò in piedi. I vermicoli erano equamente divisi nei due barili: uno era pieno di vermicoli viscidi e lucenti, nell'altro giacevano vermicoli più scuri e melmosi.
I suoi freddi occhi neri scrutarono Harry e vagarono tra i capelli, le orecchie, il naso e la bocca: lineamenti che odiava sin da quando era piccolo.
Poi si soffermò nuovamente sugli occhi. Stava per congedarlo e quella sensazione di dolore, che conosceva bene, si impossessò di lui: stringendogli lo stomaco, torcendogli le budella, accelerando il battito del suo cuore, annebbiandogli la vista e facendolo quasi soffocare.
«Sembra che vada bene» disse Piton, talmente piano che forse non lo aveva sentito.
Invece Harry annuì. Fu come se quel gesto lo avesse svegliato dal torpore e dalla sofferenza. Per la prima volta non vedeva più James, e non vedeva neanche Lily.
Vedeva loro figlio: Harry Potter, in piedi, di fronte a lui. Dei pensieri sepolti in chissà quale angolo remoto della sua mente gli balenarono in testa. Le labbra gli tremarono impercettibilmente, ma sapeva che non sarebbe mai riuscito a tradurre quei pensieri in parole.
«Puoi andare» disse semplicemente.
Harry si voltò e quasi corse via, ma quando aprì la porta una voce che non suonava affatto come quella di Piton risuonò nell'ufficio: «Potter!»
Harry si fermò e Piton avvertì un senso di panico crescere nel ragazzo. Forse pensava che, da qualche parte, nascondesse altri vermicoli da fargli separare. Quando si voltò, l'espressione di Harry era stanca e segnata. Sembrava quasi più grande del padre, morto prematuramente.
Piton meditò per un secondo e disse la prima cosa che gli venne in mente, in linea con il personaggio che si era costruito: «La prossima volta che ti rivolgerai a me con un tono che non mi piace, ti darò una punizione talmente... dolorosa... che questa ti sembrerà una passeggiata di salute».
Harry strinse le labbra ed inspirò dal naso. Lo odiava più che mai.
«Sì, signore» disse con un tono duro, ed uscì sbattendo la porta.
Piton crollò sulla sedia.
«È tutta colpa mia» mormorò, mentre una lacrima gli rigava il viso.
«È tutta colpa mia se sei un orfano... È colpa mia se hai perso il tuo padrino... È colpa mia se non puoi vivere felice e spensierato con la tua famiglia... Mi dispiace, Harry».
Mentre si sentiva annegare nel rimpianto, un improvviso bruciore all'avambraccio gli fece riacquistare la lucidità. Era il marchio nero: il Signore Oscuro lo stava chiamando.
Piton si alzò in piedi con determinazione. Le lacrime sembravano sparite, così come l'espressione di dolore sul viso. Non meritava il perdono di Harry, non meritava neanche la sua compassione. Non meritava assolutamente niente.
Uscì dall'ufficio e percorse i corridoi della scuola, preparandosi a pensare come un vero Mangiamorte.
L'ultimo ricordo che si concedeva, prima della completa trasformazione, era sempre lo stesso: talmente intenso da sembrare un abbagliante lampo di luce verde e rossa. Era lei che gli dava la forza ed il coraggio di fare ciò che andava fatto. Si fermò e chiuse gli occhi, inebriandosi di quella sensazione.
Quando li riaprì, era la spia di Voldemort. Non c'era più un briciolo di umanità nella sua mente.
Varcò risoluto i cancelli di Hogwarts, accorgendosi a stento di ciò che aveva intorno, e si smaterializzò.
   
 
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