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Autore: hummelssmythe    02/05/2013    12 recensioni
SHIPS: Muse!Kurt/Artist!Sebastian - accenni Blaine/Sam, Quinn/Rachel;
Quando Sebastian Smythe si trasferisce a New York per studiare arte ed architettura, è più che certo del fatto che sarà un’avventura entusiasmante.
Per un grande artista, vedere una nuova città, studiarla nel dettaglio, è il massimo che si possa chiedere.
Tuttavia, la Grande Mela non è come si aspetta.
Soprattutto, non aveva mai creduto che gli angeli potessero esistere; non prima di incontrarne uno almeno.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A/N: Alors, avevamo detto a 6.000 domande su ask, una nuova long yay!
Questo è un lavoro leggero che scrivo davvero per lasciarmi andare, morbidamente, quindi non sarà di 30 capitoli, né ci saranno capitoli di 10.000 parole. Diciamo sulle 5.000,6.000+ eccetto per il prologo che è un po' più breve. Ho già scritto buona parte dei capitoli e aggiornerò ogni giovedì :3
Chi mi segue dall'inizio, si ricorderà di questa trama dalla prima Kurtbastian Week. Vi ringrazio in anticipo se deciderete di seguirmi anche in questa storia :3 Prima che vi immergiate nella lettura - se mai lo farete - vi pregherei di leggere con cura gli avvertimenti, come sempre. Thanks <3 A presto, xoxo RenoLover <3

W/N: Rating: Il rating della storia è stato fissato a arancione, ma non sarà così per tutti i capitoli. Ci tengo a precisare che non metto rosso dall'inizio semplicemente perché io scrivo solo smut LOL. Sarà rosso in alcuni capitoli, ma si tratterà di un paio di occasioni massimo comunque.
Worshipping: In questa storia sono presenti momenti di adulazione del corpo, intesi comunque in un contesto artistico. Non so se possa infastidire qualcuno, ma io per sicurezza lo metto come warning.
Blam/Faberry sono presenti come coppie minor.
Christie Smythe
© di AthenaKB. Non è un personaggio mio, ma ho chiesto il suo permesso di usarlo brevemente nella storia perché l'ho amata nella sua.
Potrei anche star mancando qualcosa. Sono pur sempre io, con la mia stupidità.
L'OOC era a tratti necessario, ma non è un OOC completo, comunque. Si tratta di scene in cui dovevo mantenere certe tensioni.

 

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Beta: il_vaso_di_Pandora.
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La prima cosa che aveva pensato quando aveva deciso di lasciare l’Ohio per New York, era che la sua vita sarebbe cominciata lì.
 
O almeno la sua vera vita.
 
Si aspettava di rimuovere i precedenti vent’anni della sua esistenza, di creare qualcosa di nuovo. Era sempre stato una persona positiva ma quella sensazione di cambiamento, il tonfo sonoro provocato dal mondo sicuro e calmo delle pareti familiari, che era stato abbattuto rapidamente, tutto lo faceva sentire come se si stesse nascendo per la seconda volta.
 
Non era stato neanche troppo spiacevole salutare la propria famiglia sull’uscio della porta, sua madre, suo padre, le sue sorelle.
 
No.
 
Sapeva che aveva una distesa di novità davanti a sé e ne era entusiasta.
 
Non riusciva a capire come potessero i suoi ex compagni di liceo essere spaventati all’idea di trasferirsi per il college. Cambiare città per lui era uno stimolo incontrollabile, era l’inizio di tutto.
 
C’era chi versava lacrime di qua, chi piangeva per la famiglia di là, chi per il ragazzo.
 
Non era il suo caso.
 
Lui voleva semplicemente andare via e fare qualcosa di più, qualcosa di diverso.
 
E, da un certo punto di vista, avrebbe avuto ragione. Probabilmente, avrebbe ottenuto più di quanto non si aspettasse da quella nuova vita, più di quanto non si augurasse di ottenere.
 
***
 
Chiuse rapidamente l’enorme trolley, tirando la zip, e fu particolarmente sorpreso nel notare che non aveva avuto troppe difficoltà ad intrappolare i suoi indumenti preferiti all’interno di quella valigia. Si sarebbe aspettato i classici disagi causati dalla sovrabbondanza di indumenti, ma la verità era che forse, considerato il fatto che desiderasse una vita completamente nuova, magari perfino dal punto di vista del look, era facilmente immaginabile che non sarebbe riuscito a portarsi dietro troppe cose che puzzavano di vecchio e forse anche un po’ troppo di adolescenza.
 
“Oh … ma tu guarda chi sta per spiccare il volo!” Due dita fastidiose pizzicarono la sua guancia e Sebastian le allontanò subito con uno schiaffetto.
 
“Piantala, Christie …” Le fece, alzandosi dal letto e cominciando a sistemare la piccola borsa che avrebbe portato con sé durante il viaggio, ma sua sorella si precipitò alle sue spalle, nel tentativo di sbirciare.
 
“Stai prendendo precauzioni?” Chiese e Sebastian fece ruotare gli occhi. “Sul serio, Sebastian. E’ la Grande Mela, c’è così tanta gente …”
 
Sebastian sbuffò e fece ruotare gli occhi, tentando di impedirle di sbirciare cosa stava portando con sé a New York. Uno dei motivi principali per cui voleva trasferirsi al più presto, era che in quella casa il concetto di privacy non esisteva. Infatti, si ritrovò immediatamente un altro mento poggiato sulla spalla.
 
“Christie! Stai spiando Sebby?” Chiese una testolina bionda, rivolgendosi a sua sorella maggiore. “Senza di me?”
 
Sebastian scosse le spalle, per allontanarle e si voltò verso di loro.
 
“Potreste lasciarmi in pace? Se dovessi dimenticare di portare qualcosa con me, sarà solo ed unicamente colpa vostra.” Fece, portandosi le mani ai fianchi, con un’aria severa.
 
“Oh, guarda Bri, Sebby vuole fare il duro.” Lo prese in giro Christie.
 
“Portami con te a New York!” Esclamò Bridget, battendo le mani sul posto e Sebastian fece ruotare gli occhi.
 
“Puoi scordartelo.” Ribatté con un sorrisetto falso in volto. “Uno dei motivi per cui vado a New York, ancora prima degli studi, è che non vedo l’ora di liberarmi di voi due e avere una vita che mi appartenga senza essere spiato continuamente.”
 
Vide Bridget voltarsi verso la maggiore dei tre.
 
“Credo che stia ancora cercando vendetta per quella volta che gli abbiamo rubato il diario.” Sussurrò, come se stessero parlando sole e Sebastian non fosse neanche lì.
 
“Deve essere stato un bel colpo. In effetti, tu avresti potuto evitare di andare da quel bambino a dirgli che Sebby era cotto di lui. E’ stato molto indelicato da parte tua, avresti potuto limitarti semplicemente a prenderlo in giro. Hai rovinato quella che sarebbe probabilmente stata la sua prima storia d’amore.” La rimproverò Christie ma Sebastian stava già facendo ruotare gli occhi,  spazientito, un gesto che doveva ripetere continuamente quando le sue sorelle erano nella sua stessa stanza.
 
“Signore,” borbottò sarcastico, “Potreste per piacere sparire da questa stanza, in modo che io possa prendere tutto il necessario per la mia permanenza nella Grande Mela senza dovermi sentire in imbarazzo?”
 
Vide Christine ridacchiare e cominciare a spingere la sorella verso la porta. La bionda, chiaramente stava protestando, ma Christie la ignorava, spingendola fino a farla uscire dalla stanza. Si affacciò oltre la porta per guardare ancora una volta Sebastian.
 
“Ci mancherai tanto, Sebs.” Gli fece e quasi Sebastian pensò di addolcirsi a quelle parole. “Non avremo nessuno da prendere in giro, sai?”
 
La ragazza chiuse la porta appena in tempo per evitare il cuscino che Sebastian le stava prontamente lanciando, ridendo e sgattaiolando via.
 
Sapeva che si sarebbe pentito di quel pensiero, ma in quel momento era certo del fatto che quegli starnazzi non gli sarebbero mancati: avrebbe avuto una vita più seria, adulta, il suo tempo sarebbe stato occupato da questioni reali e non stupidissimi pranzi in famiglia, thè delle cinque – che non era neanche un’abitudine francese, ma britannica, e cosa diavolo avevano a che fare loro con gli inglesi? – o cravatte da indossare per riunioni di club del circolo dell’alta classe dell’Ohio (quelle terribili noiosissime riunioni che perfino lui trovava uno strazio, nonostante le sue inclinazioni artistiche).
 
Più che altro, avrebbe potuto decidere lui stesso quando indossare una delle numerose cravatte che aveva infilato in quella valigia e perfino il fatto di poter prendere quelle stupide e minime decisioni lo faceva già sentire diverso. Probabilmente era soltanto uno stupido capriccio, ma adorava il modo in cui lo faceva sentire libero e costringeva le sue labbra a piegarsi in un adorabile sorriso.
 
Ce l’aveva quasi fatta: fuori da Lima, fuori dall’Ohio.
 
***
 
Era un po’ spaventoso, doveva ammetterlo.
 
Aveva passato i mesi a fare lo spavaldo con i suoi compagni di liceo che avevano paura di cambiare direzione e vita, ma la verità era che, trovatosi nella Grande Mela, anche Sebastian Smythe si era reso conto di quanto fosse grande. Intimoriva perché lo faceva sentire come una piccola formica, come se desideri, fama e successo altrui fossero pronti a schiacciarlo pur di avere la meglio.
 
In fondo, però, lui era lì proprio per lottare, quindi il fatto che la popolazione di New York si facesse davvero pochi problemi a dove metteva i piedi quando correva freneticamente per la città, non doveva neanche intimorirlo, anzi; doveva incitarlo alla battaglia, stimolarlo al punto da fargli desiderare ancora di più tutto quello che aveva desiderato fino a quel momento: probabilmente era quello il modo giusto per sopravvivere nella metropoli in cui i sogni diventavano realtà, perché Sebastian stava cominciando a sentire già l’entusiasmo incendiargli il petto mentre percorreva quel grande viale con il trolley alla mano (aveva appena realizzato che, per il modo rapido di camminare dei newyorkesi, necessitava urgentemente di una patente per trolley e tracolle, altrimenti si sarebbe scontrato parecchie volte con i passanti).
 
Prese un respiro profondo, guardandosi intorno, incantevolmente compreso tra la natura degli alberi del viale e gli enormi grattacieli artificiali. Una fusione particolarmente piacevole, forse come non se lo aspettava, come non avrebbe mai pensato che potesse essere ai suoi occhi da artista.
 
Rilassò i muscoli e batté le palpebre: primo giorno; tutto quello che doveva fare era recarsi in sede a consegnare un paio di documenti (il classico caso in cui non si accontentavano di riceverli per e-mail), e poi dirigersi verso l’appartamento che aveva affittato con anticipo e grazie al supporto della propria famiglia.
 
Non era un programma complicato.
 
Poteva farcela.
 
Di certo, non sarebbe stato un problema: non poteva andare in panico per delle operazioni così semplici, altrimenti cosa avrebbe fatto per tutto il resto? Doveva soltanto calmarsi, era sempre stato un ragazzo capace e indipendente, figurarsi se non poteva consegnare dei documenti in tutta tranquillità.
 
Allungò la mano libera per estrarre l’iPhone e cominciò a muovere le dita sullo schermo alla ricerca dell’applicazione del navigatore satellitare. Non appena il dispositivo ebbe localizzato la sua posizione, Sebastian si preoccupò di scegliere la meta, digitando rapidamente l’indirizzo che ormai aveva imparato a memoria durante i mesi che aveva passato ad immaginare come sarebbe stata la sua vita lì.
 
Tuttavia, non appena l’ebbe fatto, l’iPhone vibrò tra le sue dita, segnalandogli una chiamata.
 
Abbassò lo sguardo e fece ruotare gli occhi: non che gli dispiacesse ricevere telefonate amichevoli, ma era appena arrivato, aveva delle commissioni da sbrigare e non aveva il tempo di perdersi in chiacchiere.
 
Eppure, non era mai stato il tipo di ragazzo che fingeva di non aver sentito il telefono, quindi fece scivolare il pollice sullo schermo e pigiò quel verde ‘Rispondi’, prendendo un altro respiro profondo e tentando di allontanare il senso di panico: avrebbe comunque fatto in tempo.
 
“Pronto?”
 
La voce proveniente dall’altro lato del telefono era stranamente alterata e gli fece inarcare le sopracciglia per i versetti strani che stava emettendo.
 
Sebastian!!!” Gli gridò all’orecchio, costringendolo ad allontanare per qualche secondo il telefono. “Come stai? Ho sentito che finalmente sei a New York tra noi. Perché non passi per un party stasera? Ci divertiremo taaaanto!
 
Allontanò nuovamente il cellulare, ma non poté trattenere una risata prima di avvicinarlo ancora all’orecchio.
 
“Blaine?” Chiese, sollevando un sopracciglio. “Sono le 10.30 del mattino, come fai ad essere ubriaco?” Domandò, ma Anderson stava già ridendo di nuovo, confermando la sua teoria.
 
Non sono ubriaco, ho soltanto bevuto un po’. C’è stato un party fantastico stanotte, non ne hai idea. Dovresti vedere, non è di certo come l’Ohio qui. E’ tutto così pazzesco e grande, molto grande.
 
Sebastian fece ruotare lo sguardo: un tempo probabilmente sarebbe stato lui a fare quelle allusioni e ad essere ubriaco alle dieci del mattino, ma la verità era che aveva sul serio deciso di responsabilizzarsi e, forse, avrebbe dovuto farlo anche Blaine.
 
“Ascolta, Blainers.” Ridacchiò, tentando di non spazientirsi troppo con lui. “Immagino sia stato divertente e magari potrei decidere di partecipare qualche volta, ma in questo momento avrei davvero da fare e-”
 
Stai scaricando un amico?” Domandò Blaine, piagnucolando attraverso il telefono. “No, Bastian! Non puoi trattarmi così, io volevo divertirmi con te perché sei mio amico e tu mi snobbi-hey!!” Lo sentì strillare prima che un’altra voce prendesse il posto della sua.
 
Sebastian?” L’inconfondibile Sam Evans stava ridendo, ma in maniera decisamente più sobria. “Sei tu? Sto cercando di calmarlo, ma ha bevuto così tanto che non ho idea di come fare. Rimedi della nonna che potrei utilizzare?
 
“No, Sam. Potresti infilargli due dita in gola e costringerlo a vomitare tutto.” Scherzò Sebastian e Sam rispose con una risata. “O semplicemente tirargli un colpo dritto alla testa, sperando che si addormenti.”
 
Credo che opterò per la seconda, non ce la faccio davvero più. Ha già telefonato a mezza rubrica. Avevo poggiato il cellulare sul mobile in modo che non potesse raggiungerlo neanche salendo su di una sedia, ma, a quanto pare, oltre ad essere un nano, è anche una perfida scimmia arrampicatrice. Mi sento uno stupido, dovevo elaborare un piano migliore.
 
“Concordo.” Mormorò Sebastian, continuando a trascinare il trolley con l’altra mano, ma non avendo alcuna idea di dove andare, visto che avevano interrotto la sua localizzazione della meta e del percorso. “Avresti potuto avere un’idea decisamente migliore. Ora, scusami Sam, ma avrei delle cose importantissime da fare.”
 
Certo, certo. Anzi, scusami se l’idiota qui ti ha fatto perdere tempo. Gli sto accarezzando la testa ora: ci credi che ha ancora il gel intatto? Sono sconvolto.”
 
“Certo, Sam, ma-”
 
Ed è stato un party rovinoso, te ne rendi conto?” Si lamentò Sam, quasi sbuffando. “Io ho i capelli uno schifo e lui ha il gel intatto, capisci?
 
“Sicuro di essere sobrio?” Domandò Sebastian, leggermente spazientito – aveva contato sul fatto che Sam fosse più ragionevole, ma sembrava ridotto quasi peggio di Blaine. No, peggio di Blaine mai. “Non mi sembra che tu abbia capito quello che ti ho detto. Eppure non era difficile, quindi mi sa che hai bevuto troppo anche tu.”
 
No, no, hai ragione.” Si lamentò Sam, sospirando. “E’ che volevo parlare con qualcuno di sobrio. Ci sentiamo in questi giorni, okay? Fammi sapere cosa pensi di New York, magari mandaci un sms per raccontarci la tua giornata. Ci sentiamo presto, Bastian! In bocca al lupo per qualsiasi cosa.
 
“Grazie. Ricorda: botta alla testa.” Gli rammentò e sentì il ragazzo ridere, prima che staccasse definitivamente la telefonata.
 
Inspirò e selezionò nuovamente l’applicazione del navigatore, pronto a mettersi in viaggio. Non appena poggiò il dito sullo schermo però, si ritrovò a rispondere ad un’altra telefonata. Incredulo, fece ruotare gli occhi – per l’ennesima maledetta volta (cominciava ad innervosirsi) – ed avvicinò il cellulare all’orecchio.
 
Sebby tesoro!” La voce squillante di Christie lo fece raggelare sul posto: una telefonata da parte di sua sorella significava che sarebbe rimasto per ore con quell’aggeggio all’orecchio e non esisteva alcuna via di fuga; non poteva staccare la telefonata perché lo avrebbe richiamato fino a scaricargli il telefono ed impedirgli così di orientarsi con il navigatore. “Com’è New York? Ti senti come un cucciolo sperduto?
 
“Mi sento maledettamente in ritardo – anche se non lo sono ancora – e tu non sei d’aiuto.” Ringhiò quasi, e si fermò perché non aveva senso continuare a camminare senza una meta precisa. “E’ frustrante, comincio già ad essere stressato, Christie. Potresti avere pietà di me almeno per oggi?”
 
Mmmmh.” Fu il versetto ironico di sua sorella che lo costrinse ad emettere un lamento frustrato. “Devi concedermi almeno dieci minuti, devi perché non posso non prenderti in giro per la vocina poco virile ed intimidita che stai tirando fuori in questo momento.
 
“Per favore …” Si abbassò a mormorare Sebastian, a bassa voce, quasi avesse paura che dei perfetti sconosciuti potessero deriderlo (erano tutti troppo di fretta a New York per potersi fermare a deridere lui, quindi era assurdo che lo pensasse). “Rischi di sabotare la mia carriera al college.”
 
E va bene. Per questa volta ti lascio in pace. Ma …” Si prese una pausa teatrale prima di riprendere, per far accrescere il panico in lui perdendo ulteriore tempo, preziosissimi secondi, “stasera dovrai raccontarmi tutta la giornata nel dettaglio, compresi i ragazzi carini che hai incontrato!
 
“Devo andare.” Ribadì Sebastian e questa volta Christie rise in maniera più naturale. “Ti chiamo stasera, okay?”
 
Okay. Divertiti.” Suonò terribilmente ironica.
 
“Ma certo.” Borbottò Sebastian, ma la telefonata era già stata interrotta. “Certo …” Ripeté a se stesso, inspirando lentamente e tentando di non agitarsi troppo.
 
I documenti, doveva consegnare quei maledetti documenti, poi avrebbe potuto concedersi un po’ di relax, visto che era ancora terribilmente stressato dal viaggio. Selezionò nuovamente il navigatore, questa volta in maniera definitiva e si decise a seguire il percorso che stava tracciando, senza neanche guardare il tempo medio impiegato a piedi: l’ultima cosa di cui aveva bisogno era una bella botta di ansia.
 
Moderò i passi, calcolò i tempi della respirazione e si trascinò ancora dietro quella valigia per la città, sentendosi improvvisamente stupido per non aver neanche lontanamente considerato l’ipotesi di passare prima per l’appartamento. La frenesia della nuova città lo stava portando a compiere gesti terribilmente stupidi, ma non riusciva a controllarla.
 
Era normale, era una vita nuova, poi tutto sarebbe andato meglio ed avrebbe cominciato a ragionare come un normale essere umano.
 
***
 
‘Meglio un corno.’ Pensò istintivamente Sebastian, sospirando, mentre poggiava la testa contro la ringhiera del balcone ed il vento muoveva appena i suoi capelli sempre più lunghi.
 
Tutti i suoi buoni propositi erano stati annientati dalla giornata precedente, straziante al punto da convincerlo del fatto che non sarebbe andata affatto meglio come si era auspicato.
 
Prima di tutto, come da previsione, era arrivato tardi alla segreteria del college ed aveva atteso per un’ora e mezza, chiudendo un’enorme fila che stava per altro facendo inutilmente; sì, perché non appena si era avvicinato allo sportello che riceveva al punto da poter guardare la donna oltre il vetro, questa aveva annunciato tramite altoparlante che l’orario di segreteria era concluso e che i restanti studenti avrebbero dovuto sbrigare le proprie questioni il giorno successivo.
 
Sebastian aveva ascoltato il consiglio.
 
Purtroppo però, aveva scoperto che la scadenza era esattamente quel giorno, quindi, quando il mattino successivo si era presentato a consegnare i documenti di iscrizione, aveva dovuto pagare un’ammenda per evitare di essere sbattuto fuori dal college che gli era costato tanta fatica per i test e tanti risparmi, parte dei quali messi a disposizione dalla famiglia, anche se non mancava quella piccola parte che aveva voluto guadagnarsi durante l’estate per sentirsi un filino più indipendente.
 
Quindi, improvvisamente, cento dei cinquecento dollari che aveva in contanti erano spariti e avrebbe fatto meglio a prelevare dal conto perché era il classico tipo che perdeva facilmente le carte di credito; l’ultima cosa di cui aveva bisogno era restare a New York senza un penny in tasca.
 
Sospirò pesantemente, conscio del fatto che, probabilmente, in quel momento, doveva avere delle enormi borse violacee sotto gli occhi ed un viso deperito: nel mezzo di quel caos, era a stento riuscito a trovare il tempo per mangiare qualcosina per strada, figurarsi per un pasto decente. In più, chiaramente, non aveva potuto fare la spesa: improvvisamente, tutta la maturità che aveva sempre creduto di avere stava sparendo, crollando sotto la semplice pressione della stanchezza.
 
Era soltanto il primo giorno.
 
Figurarsi quanto sarebbe stato stressato a fine di settimana, o peggio, fine semestre. Era un pessimo modo di ridursi il primo giorno, decisamente.
 
Non sarebbe sopravvissuto, non aveva speranze.
 
Tutti quei pensieri gli stavano quasi facendo confluire il sangue alla testa, fino al momento in cui non sollevò il viso dalla ringhiera, trovandosi a vagare con lo sguardo su di un terrazzo illuminato dal tiepido sole calante.
 
Allora lo vide.
 
Un angelo.
 
 
 

   
 
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