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Autore: Kitri    02/05/2013    20 recensioni
"Ancora una volta il ragazzo non rispose. Si limitò a seguire con gli occhi quella meraviglia, che passando davanti al suo tavolo non si era sottratta ad un nuovo gioco di sguardi, regalandogli l’ultima intensa emozione".
Un colpo di fulmine e una serie di coincidenze, un amore che porterà i due protagonisti a riscoprire se stessi.
La mia prima fanfiction!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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EPILOGO 
 
 
Partire è un po’ come rinascere.
Questo aveva pensato Mamoru quando aveva preso quella decisione di impulso.
Cambiare città, cambiare amici, cambiare abitudini … nuovi stimoli per una nuova esistenza, proprio come aveva già fatto in passato.
Ma allora era solo un ragazzino, inconsapevole e avventato. Adesso era un uomo adulto, che, invece di dimostrare la sua maturità e affrontare i propri problemi, aveva deciso di scappare ancora una volta e rinascere, dimenticando tutto.
Ma davvero sarebbe rinato? O sarebbe stato un lento morire lontano da tutto e tutti?
Passeggiava da solo, nel grande parco cittadino, mani in tasca e sguardo basso. Arrivò fino alla riva del laghetto, dove si fermò a osservare lo spendido spettacolo che offriva la luce rossastra del tramonto, che si rifletteva sull’acqua.
La rinascita non esiste, dentro si porta sempre un po’ di morte.
“Mamoru, le tue ferite sono infette da troppo tempo, non cicatrizzeranno mai, se non ti decidi a pulirle” gli aveva detto Usagi.
E lui riusciva a vedere quanta verità ci fosse in quelle parole.
Le ferite infette portano morte e la rinascita non esiste.
Ma continuava a nascondersi dietro lo stesso alibi, dietro l’illusione di poter dimenticare e ricominciare tutto da capo.
Avrebbe passato il suo tempo a suturare ferite che puntualmente si sarebbero riaperte, per poi suturarle ancora e ancora, fino alla fine.
Diede un calcio a un ciottolo, mandandolo a finire direttamente in acqua. Rimase a osservare le increspature concentriche sulla superficie: piccoli anelli che diventavano via via sempre più grandi e imperfetti.
Un po’ la metafora della sua vita.
Una vita fatta di freddezza e cinismo, delusioni e amare scoperte, da cui era fuggito per rincorrere dei sogni, che alla fine si erano rivelati fallaci ed erano crollati al primo soffio.
Mamoru riprese a camminare per i vialetti solitari del parco, alzando la testa a osservare le fronde fruscianti degli alberi.
Sarebbe riuscito a dimenticare Usagi e a rinascere lontano da lei? Lontano dal suo amore e dalla sua linfa vitale?
Partire avrebbe significato dirle per sempre addio e rinunciare alla speranza che tra loro, un giorno, potesse tornare tutto come prima.
Si morse il labbro inferiore. Tra loro non sarebbe mai tornato tutto come prima. E non perché non ci fossero l’amore e la passione, quelli sarebbero rimasti lì per sempre. Ma perché Usagi era pura, mentre lui era infetto.
Infetto perché le sue ferite lo erano, infetto perché aveva pensato di poterla amare come se l’amore fosse un sentimento a parte, qualcosa che prescindesse dal vero Mamoru.
Usagi lo aveva amato con tutta se stessa, mentre lui l’aveva amata solo con una parte di sé.
Ripensò alla volta in cui avevano finalmente ceduto ai loro sentimenti.
“Sbagliamo assieme, ti prego!” l’aveva supplicata.
Allora si riferiva alla loro condizione di insegnante e allieva, ai pregiudizi della gente, alla paura di quel sentimento nascente. Ma solo adesso si rendeva conto del vero significato di quella implorazione. Le aveva chiesto di sbagliare abbandonandosi a quanto di marcio c’era in lui, lasciandosi andare al suo modo di amare a metà, accettando di avere solo la sua parte migliore.
E pensare che all’inizio credeva che quella sbagliata fosse Usagi, perchè non cedeva e non permetteva di lasciarsi esplorare. E invece, lei era limpida e cristallina, come il mare che aveva sempre visto nei suoi occhi.
Usagi era un angelo, ossigeno allo stato puro, un raggio di luna che illuminava la notte buia dentro il suo cuore. Mentre lui era l’egoista che scappava e che, nonostante tutto, desiderava ardentemente che lei partisse con lui e continuasse a seguirlo nella sua discesa verso il fondo.
Ma Mamoru non poteva permettersi il lusso di pretendere anche questo, dopo tutto quello che lei gli aveva donato e quello che ne aveva ricevuto in cambio.
Non era destino, o forse non era il tempo giusto per loro o, molto più probabilmente, Usagi meritava di meglio.
 
L’indomani mattina, Usagi si presentò al lavoro largamente in anticipo.
A dispetto di quanto pensasse, era riuscita a dormire, crollando come un sasso dopo pochi secondi. La stanchezza fisica l’aveva sopraffatta, avendo la meglio sui suoi tormenti interiori. Mamoru era stato il suo pensiero costante. Chissà cosa aveva combinato, dopo tutte le verità che aveva appreso!
Avrebbe voluto chiamarlo, ma il pensiero di lui insieme a Setsuna l’aveva fatta desistere.
Approfittando della mezz’ora disponibile prima di iniziare il turno, andò al bar dell’ospedale a fare colazione: caffelatte e torta al cioccolato sarebbero stati un ottimo modo di iniziare la giornata.
Ottimo se non si fosse ritrovata, all’improvviso, seduta davanti a sé, Setsuna.
Usagi fece per alzarsi e andare via, sbuffando vistosamente e senza il timore di mostrarle tutto il proprio fastidio.
La donna la trattenne per un braccio e la guardò con aria minacciosa.
«Fino a prova contraria sono sempre un tuo superiore. Quindi signorina, tu ti siedi qui e mi ascolti, fino a quando non avrò finito».
«Ho già parlato con Mamoru e non ho voglia di ascoltare anche te. Sarete sicuramente d’accordo sulla versione da raccontare. E io ne ho le scatole piene!».
«Non ho intenzione di raccontarti di nuovo quello che già sai».
«E io non ho intenzione di ascoltarti!».
«Non fare la bambina! Tu adesso ti siedi e mi ascolti!».
Stavolta Setsuna alzò il tono di voce e alla fine Usagi si sentì quasi costretta a cedere e a riprendere posto di fronte a lei, pur di chiudere definitivamente quella faccenda.
«Che cosa vuoi?» le chiese acida.
«Mamoru ha detto la verità, non c’è stato niente tra noi. È tutto un malinteso … ».
«Hai detto che dovevi parlarmi di altro! Questo già lo so e non ci credo!» la interruppe Usagi infastidita.
«Non ho finito! – tuonò la voce di Setsuna - Io sono sempre stata innamorata di Mamoru, ma lui non ha mai provato niente per me. Anzi, non appena sei entrata tu nella sua vita, mi ha dato il ben servito. Io so che sei la ragazza del ristorante, quella che lui ha fissato come un allocco per tutto il tempo, mentre era a cena con me. Pensava che non me ne fossi accorta e poi mi ha scaricato subito dopo e … ».
«Non è colpa mia!» la interruppe ancora Usagi, questa volta sorridendo sarcastica.
Setsuna la fulminò con lo sguardo prima di continuare a parlare.
«Quello che voglio dirti è che per lui c’è spazio solo per te. Non ti nascondo che ho fatto i salti di gioia quando ho saputo che vi eravate lasciati. Ma poi ho visto i suoi occhi tristi e il suo sorriso spento, mentre mi parlava di te, e ho capito che non ho speranze. Avrei voluto, ma, per mia sfortuna, tra noi non è successo assolutamente nulla! Quindi, ragazzina, non fare i capricci e vedi di andare a riprendertelo!».
«Per quel che mi riguarda puoi anche tenertelo! - rispose Usagi in maniera aspra - E adesso, se non ti dispiace, ho ascoltato abbastanza, non ho intenzione di fare tardi».
E così dicendo si alzò e andò via, lasciando la donna seduta al tavolo da sola.
Le parole di Setsuna non l’avevano lasciata del tutto indifferente, ma non voleva certo darle la soddisfazione di tornare da Mamoru solo perché lei l’aveva quasi minacciata. Perdonare Mamoru sarebbe stata solo una sua decisione! E per adesso una decisione del genere era fuori discussione.
Velocemente si diresse in reparto per assistere, come previsto, Motoki e, quando lo raggiunse, lo trovò in compagnia di Heles.
Notò subito la loro espressione cupa, mentre discutevano animatamente di qualcosa. «Buongiorno!» esclamò salutando entrambi.
«Ciao, Usagi!» risposero i due, all’unisono, volgendo lo sguardo verso di lei.
«Che cosa succede?» chiese la ragazza preoccupata.
I due medici si scambiarono uno sguardo di intesa, poi Heles fu la prima a parlare.
«Si tratta di Mamoru».
Usagi li guardò con aria interrogativa. Cos’altro aveva combinato adesso?
«Si è licenziato … con effetto immediato! E ha intenzione di cambiare città» rispose Motoki, interpretando alla perfezione l’espressione della ragazza.
«Che cosa ha fatto?!?» gridò Usagi, stentando a credere a quanto aveva appena udito.
«A giudicare dalla tua reazione non ne sapevi niente anche tu» intervenne Heles, quasi per niente sorpresa.
«No, io non lo sapevo! Ma cosa gli è saltato in mente?» chiese Usagi, ancora incredula.
«A dir la verità, noi volevamo saperlo da te. Lui non è rintracciabile» disse Motoki.
«Come al solito! Quando c’è qualche problema lui non è mai rintracciabile!» gridò ancora Usagi sollevando gli occhi al cielo, spazientita da quella pessima abitudine di Mamoru.
E proprio in quel momento comprese tutto.
«Suo padre! È a causa di suo padre!» esclamò.
Heles e Motoki la guardarono stupiti.
«Che c’entra suo padre? Che ha fatto? Spiegati meglio Usagi!».
La ragazza raccontò tutto nei minimi dettagli, certa che anche Mamoru si sarebbe fidato ciecamente di loro. I due amici rimasero basiti mentre Usagi spiegava tutto.
«Che gran figlio di … !» fu il commento di Heles.
«C’era da aspettarsi una simile reazione da parte di Mamoru, dopo una una scoperta del genere» aggiunse Motoki, che conoscendo perfettamente l’amico, aveva compreso il suo gesto, anche se troppo impulsivo.
«No! – lo interruppe Heles all’improvviso – Io non me lo sarei mai aspettato da lui. Ha sempre ostentato sicurezza in se stesso e nel suo lavoro. Come ha potuto credere di non essere all’altezza del ruolo che ricopre? Lui è sempre stato il migliore tra tutti noi, e non c’è bisogno che sia io a dirlo, è palese. Mamoru ha sempre meritato quel posto!».
«Hai ragione, Heles! – asserì Motoki - Ma adesso è fatta! Come farai a convincerlo a rimanere? Sai meglio di me come è fatto Mamoru … è testardo e non cambierà mai idea! Non ci darà mai ascolto! Sempre se si decidesse a farci parlare».
«A noi sicuramente no, ma ad Usagi forse sì!» esclamò Heles, voltandosi a guardare Usagi con gli occhi pieni di speranza.
La ragazza sussultò.
«No, io non posso! Tra noi è finita e sarei l’unica persona a cui non darebbe mai ascolto» disse abbassando lo sguardo.
«Usagi, tra voi non è mai finita. Lui ti ama e ha bisogno di un motivo per rimanere» cercò di convincerla Motoki.
«Non sono io quel motivo!» aggiunse Usagi, continuando a tenere la testa bassa.
«È per via di Setsuna?» le chiese Heles, intuendo il motivo di tanta insicurezza da parte della ragazza.
Usagi sollevò lo sguardo su di lei.
«Come lo sai?».
«Ieri Mamoru è venuto a raccontarmi tutto. Sembrava un cane bastonato! Ma dico io, davvero pensi che abbia potuto tradirti con Setsuna?» chiese Heles e, quando Usagi annuì, lei scosse la testa incredula e continuò.
«È giusto che tu lo creda! – affermò in maniera ironica - In fondo, tu dov’eri quando Mamoru usciva con Setsuna e sognava te? Credimi Usagi, abbiamo visto Mamoru cambiare radicalmente grazie a te. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere! Se lo ami ancora, non gettare tutto all’aria per un malinteso. Vai da lui e costringilo a non partire».
Usagi teneva gli occhi puntati sulle sue scarpe, mentre ascoltava le parole di Heles e scuoteva piano la testa, rifiutando quell’esortazione ad andare da Mamoru.
«Non posso!» si limitò a rispondere flebilmente.
«Sì che puoi!» insistette Heles.
«No! – Usagi alzò i suoi occhi lucidi incrociando lo sguardo verde di Heles – Tra me e Mamoru è finita, e non a causa di Setsuna. Sono successe troppe cose! Chiamale coincidenze, destino o come tu preferisci, ma io e lui non possiamo stare insieme. Non c’è spazio per me nel cuore del vero Mamoru e la dimostrazione è il modo in cui si è comportato non appena sono riemersi tutti i suoi problemi. Anche adesso che ha deciso di partire e mollare tutto, lo ha fatto indipendentemente da cosa ne pensassi io. Come credi che possa convincerlo a restare? Il rancore che prova per suo padre è più forte di quello che prova per me!».
Heles tacque e stavolta fu lei ad abbassare lo sguardo, fissando il vuoto.
Motoki, notando l’espressione di Usagi, le poggiò una mano sulla spalla cercando di darle conforto.
«Iniziamo a lavorare, forse è meglio!» la incitò, convinto che fosse inutile continuare a discutere. Usagi annuì, accogliendo con sollievo l’invito del suo giovane insegnante, arrivato giusto in tempo prima che cedesse a un’altra crisi di pianto.
Alla fine, Mamoru aveva deciso di andarsene e forse non l’avrebbe neanche salutata.
Fino a pochi giorni prima loro erano felici e stavano per sposarsi. Possibile che il loro fosse vero amore, se era crollato alla prima difficoltà?
«So a cosa stai pensando, Usagi» le disse dolcemente Motoki, mentre camminavano fianco a fianco.
La ragazza si voltò verso di lui.
«Se hai solo un piccolo dubbio – continuò il ragazzo – vai! Rischi di pentirtene in futuro».
Usagi non rispose.
Possibile che fosse vero amore? Sì! Lo sapeva con certezza e per lei lo sarebbe stato per sempre.
«Motoki!» lo chiamò all’improvviso.
Il ragazzo sorrise di fronte all’espressione eloquente dei suoi occhi.
«Avviso io il primario, non preoccuparti! Sarà contento anche lui di sapere che proverai a far cambiare idea a Mamoru!».
 
Quando quella mattina Mamoru si svegliò alle otto passate, d’istinto si sollevò di scatto dal letto pensando di essere in ritardo. Poi sorrise tristemente.
“Che stupido!”pensò.
Quel giorno avrebbe dovuto incominciare a organizzare la sua partenza, anche se non sapeva ancora di preciso dove andare.
In Europa forse, Londra o Parigi o Bruxelles … qualunque città sarebbe stata l’ideale pur di fuggire!
Accese il cellulare e non si stupì quando vide tutte le chiamate e i messaggi delle persone che lo avevano cercato: Heles, Motoki, il primario, sua madre. Del resto, era sparito nel nulla, come suo solito in quelle situazioni.
Anche se in fondo se lo aspettava, provò una leggera delusione nel constatare che non c’era una sola chiamata da parte di Usagi. Ma come darle torto? Ancora una volta le aveva dato prova di quanto lui non fosse alla sua altezza.
Forzatamente abbandonò quel desiderio assurdo di lei.
Con Heles e Motoki pensò che avrebbe parlato con calma prima di partire, magari davanti a una birra, la loro ultima birra insieme.Quel pensiero e tutti i ricordi che da esso erano scaturiti gli procurarono un po’ di amarezza.
Sospirò, cercando di mandare via quella stretta allo stomaco, poi selezionò un numero dalla rubrica del telefono e inoltrò la chiamata.
«Mamoru, finalmente!» esclamò Kaori rispondendo.
«Immagino che tu sappia già tutto» disse lui con una punta di acidità.
«Mi dispiace, amore mio!».
«Perché diavolo non mi hai mai detto niente? Tu lo sapevi e non hai mosso un dito! Sapevi quale sarebbe stata la mia reazione!».
«Appunto perché lo sapevo io … ».
«Hai fatto peggio! Del resto c’era da aspettarselo, sei sempre stata un burattino nelle sue mani!».
Sua madre restò in silenzio, la risposta di Mamoru era stata molto aspra e l’aveva colpita come una coltellata. Il ragazzo se ne accorse e subito si pentì di averla offesa. Che diritto aveva di trattarla in quel modo? Anche lui, in fondo, non si era comportato diversamente e le aveva nascosto qualcosa di importante a fin di bene, solo per proteggerla da altre sofferenze.
«Scusami!» le disse quasi subito.
«No, hai ragione! – affermò Kaori dopo un po’ con la voce offuscata da un pianto sommesso - Non sono mai stata una persona forte!»
Mamoru si sentì ancora peggio a quelle parole.
«Mamma, tu sei forte più di quanto immagini. Sono io il debole. Tu sei sempre rimasta, mentre io non faccio altro che scappare» ammise Mamoru.
«Dove andrai adesso?».
«Non lo so ancora. Penso che per un po’ non mi farò sentire, almeno fino a quando non sarò più sereno. Ma non ti preoccupare, mi farò vivo».
Kaori vacillò un attimo rivivendo quella stessa sitazione che aveva vissuto dodici anni prima.
«E Usagi?» chiese poi alla fine.
«Con Usagi è finita!» rispose lui secco.
La donna sospirò ancora più dispiaciuta per quella ragazza, che era stata una parentesi di felicità per suo figlio.
«Non partire, Mamo-chan! Resta qui, resta con Usagi. Lei ti rende felice!».
«Sono io che non rendo felice lei – fu la risposta di Mamoru. Poi volendo chiudere la conversazione si apprestò a salutarla - Ciao mamma! Magari ti richiamo prima di partire».
«Magari?!?» esclamò Kaori agitata.
«Ti richiamo sicuramente, ok?» le disse Mamoru rassicurandola.
«Ok » rispose la donna, ormai rassegnata a dover perdere di nuovo suo figlio, dopo averlo finalmente ritrovato.
Mamoru riagganciò e fu un'altra fitta al cuore. Ma ormai aveva deciso e non sarebbe tornato sui propri passi.
 
Quando Usagi si trovò fuori all’appartamento di Mamoru, ebbe un attimo di smarrimento, ripercorrendo a ritroso gli ultimi giorni, e sperò quasi che lui fosse già partito, per risparmiarsi l’ennesima tortura.
Ma quando lui aprì la porta e si trovò a sprofondare nella notte buia dei suoi occhi, resa ancora più cupa da un velo di tristezza, lei si sentì morire e il cuore prese a batterle forte, come sempre, come ogni volta, davanti a lui. Lo amava e non avrebbe mai smesso di farlo.
«Non partire!» fu la prima cosa che gli disse.
  •  
Mamoru, sorpreso, pronunciò il suo nome e a lei sembrò ancora il suono più bello che avesse mai udito.
«Mamo-chan, resta! Resta per me!» lo supplicò.
Mamoru sorrise. Era un sorriso tenero, ma sapeva di malinconia, di rassegnazione, di sconfitta, di fine.
«Non posso, Usako» le rispose, quasi temendo la sua reazione e voltandole le spalle, per non essere costretto a sostenere ancora l’espressione di delusione su quel viso che adorava.
Usagi richiuse la porta alle sue spalle. Si diede una rapida occhiata intorno e notò che lui aveva già messo via alcune cose e la casa appariva ancora più vuota.
«Perché, Mamoru?» gli chiese.
«Perché è giusto così! Non posso fare finta di niente sapendo che tutto ciò che ho costruito a fatica e in cui ho creduto ciecamente sia solo un’illusione!».
«Ma non lo è! Sei un chirurgo eccezionale, altri ospedali del Paese non potrebbero mai dire di no davanti al tuo nome!».
«Appunto … il mio nome!».
«Sto parlando di Mamoru Chiba e non del figlio di Hiroshi Chiba!».
«Usako, finchè rimango qui, sarò sempre il figlio di Hiroshi Chiba! E se anche cercassi di nasconderlo, come ho sempre fatto, ora come ora vivrei sempre nel dubbio che ci sia lui alle mie spalle! Credimi, io ho molta fiducia nelle mie capacità! Non ne ho dubitato un solo istante. Altrimenti, non avrei mai preso questa decisione di partire così, allo sbaraglio».
Usagi tacque.
Il discorso di Mamoru non era per niente insensato. Se in quei mesi aveva imparato a conoscerlo almeno un po’, doveva sapere perfettamente quanto fosse sicuro di se stesso e quanto ci tenesse al proprio lavoro. Ma una cosa non le era mai stata chiara.
«Mamoru, - gli chiese – non sarebbe tutto più semplice se vi chiariste e ci metteste una pietra sopra? Poi ognuno per la sua strada».
Il ragazzo scoppio a ridere.
«Una pietra sopra dici? – ripetè con sarcasmo – Ci vorrebbe almeno un macigno, grande e pesante come tutto quello che mi porto dentro! Lascia stare, Usako, non potrai mai comprendere!».
«Io posso comprendere! – esclamò la ragazza alzando il tono di voce – Sei tu che non me lo permetti! Io continuo pensare che c’è altro che non mi dici!».
Mamoru tornò improvvisamente serio e lentamente andò a sedersi sul divano. I gomiti appoggiati sulle ginocchia, la testa tra le mani, lo sguardo perso nel vuoto.
Usagi lo seguì dopo poco e andò a sistemarsi accanto a lui.
«Che cosa ti porti dentro, Mamo-chan?» gli chiese con dolcezza, senza mai distogliere lo sguardo da lui.
Mamoru non rispose, ma continuava a riflettere.
Usagi lo conosceva troppo bene e aveva capito fin da subito che nascondeva qualcosa in cui non voleva coinvolgerla. Nello stesso tempo, sentiva che se non si fosse liberato di quel macigno che si portava dietro da troppo tempo, prima o poi sarebbe esploso.
«Ti va di ascoltarmi?» le chiese alzando lo sguardo e mostrando un’espressione quasi impaurita.
Usagi provò una stretta al cuore dinanzi a quegli occhi.
«Sono qui per questo!» gli disse dolcemente accarezzandolo con la voce.
Mamoru respirò profondamente come per prendere coraggio.Si specchiò negli occhi azzurri di Usagi e quello che provò fu un’immensa fiducia e un immenso desiderio di abbandonarsi a lei. Lasciò andare la testa all’indietro, sprofondando nella spalliera del divano e con lo sguardo fissò il vuoto per mettere a fuoco i ricordi.
«Era una mattina di dicembre, pochi mesi prima che me ne andassi di casa – iniziò a raccontare, mentre Usagi lo ascoltava attenta – Avevo marinato la scuola con un paio di amici e avevamo deciso di passare la mattinata al parco e organizzare una partita di calcio. Un mio compagno, Yosuke, mandò il pallone fuori campo e io mi offrii volontario per andare a recuperarlo».
Mamoru fece una pausa, poi riprese il racconto.
«Lo trovai parecchio più avanti, tra i cespugli. Sinceramente, non capii neanche io come avesse fatto Yosuke a mandarlo così lontano. Comunque, mentre mi apprestavo a recuperarlo, a un tratto mi sembrò di sentire la voce di mio padre. Mi parve strano. A quell’ora avrebbe dovuto essere in ospedale, come tutte le mattine e pensai di essermi sbagliato».
Mamoru fece un’altra pausa, ricordando quel giorno. Era passato tanto tempo, ma a lui sembravano solo poche ore.
«E invece?» chiese Usagi apprensiva, incitandolo a continuare il suo racconto.
«E, invece, era proprio lui! – continuò il ragazzo – Mi avvicinai il più possibile, nascondendomi dietro un albero e avendo cura di non farmi beccare. Mio padre non era solo! Con lui c’erano una donna molto più giovane e una bambina piccola.
La bambina venne giù dallo scivolo e rideva divertita, mentre mio padre l’aspettava in fondo. Quando l’afferrò tra le braccia, la sollevò in aria, facendola quasi volare, e rideva insieme a lei. Sembrava divertirsi. Non avevo mai visto Hiroshi così. Pensai addirittura che non potesse essere lui. Con me non era mai stato così affettuoso, mentre con quella bambina sembrava un altro: giocava, rideva, la riempiva di baci e carezze. Inizialmente, la donna se ne stava in disparte, poi si avvicinò a Hiroshi mettendogli un braccio attorno alla vita e appoggiandogli la testa su una spalla … e fu in quel momento che capii».
Mentre Mamoru parlava, a Usagi venne in mente un piccolo dettaglio, a cui poi non aveva più pensato: la fotografia nell’ufficio di Hiroshi. A quel punto, capì subito, ma volendo esserne sicura chiese a Mamoru di essere più esplicito.
«Mamoru, chi erano quella donna e quella bambina?».
Il ragazzo la osservò con un sorriso sghembo dipinto sul volto.
«Midori e Aiko! – rispose e, quando vide gli occhi di Usagi stringersi dubbiosi, continuò – Midori era la giovane assistente di mio padre, di vent’anni più giovane. In seguito feci delle accurate ricerche e scoprii che avevano una relazione da almeno sei anni, da cui era nata Aiko. Quella bambina era mia sorella!».
L’intuito di Usagi non aveva sbagliato. Quella era esattamente la risposta che si aspettava. Guardò Mamoru che continuava a fissare il vuoto. Sembrava calmo, anche nel modo di parlare, ma sapeva perfettamente quello che stava provando in quel momento. Gli accarezzò dolcemente la testa, in attesa che lui riprendesse a parlare.
«Mio padre aveva un’altra famiglia, ecco spiegato il motivo delle sue lunghe assenze, altro che lavoro! Gli impegni, i congressi in giro per il mondo erano solo una scusa per stare vicino a quella famiglia che lui amava di più – affermò Mamoru continuando ad avere un tono di voce molto pacato, come se da tempo si fosse rassegnato a quel dolore – Poco più tardi, decisi anche di incontrare Midori. Lei mi accolse con gentilezza. Devo dire che era una donna straordinaria, molto intelligente, dolce e bella. Mi ricordava mia madre. Ma come mia madre, anche lei era triste, glielo si leggeva negli occhi, anche se si sforzava di sorridere. Mi disse che era dispiaciuta per come stavano le cose, che amava Hiroshi e che non avrebbe voluto vivere nella menzogna, ma che mio padre non le lasciava altra scelta, anche se lei aveva minacciato più volte di lasciarlo. Le ho creduto da subito, anche se, a causa sua, mio padre aveva tradito sia me che mia madre. E più Midori raccontava, più cresceva il mio odio verso Hiroshi».
«È una storia incredibile! - commentò Usagi attonita – E la piccola Aiko? L’hai mai conosciuta?».
Mamoru sorrise preso dalla tenerezza di quel ricordo.
«Sì! Era deliziosa. Era il ritratto di Hiroshi e, di conseguenza, somigliava molto anche a me! Provavo molta tenerezza per quella bambina, perché anche lei, come me, aveva avuto la sfortuna di essere la figlia di Hiroshi Chiba, anche se con lei mio padre sembrava avere un atteggiamento molto più affettuoso. Comunque, le ho viste per qualche altra volta ancora, poi niente più. Avevo soddisfatto la mia curiosità e la mia sete di sapere e capire, ma avevo come l’impressione di tradire mia madre e non potevo farlo».
«Kaori lo sa?» chiese Usagi.
Mamoru scosse la testa.
«Non ho mai avuto il coraggio di dirglielo, volevo proteggerla. In realtà, solo da poco ho scoperto che lei era a conoscenza dei tradimenti di mio padre, ma non credo immagini, anche solo lontanamente, che la donna era sempre la stessa e che lui avesse anche una figlia. Col senno di poi, ho capito che forse avrei dovuto raccontarle tutto dall’inizio. Ma adesso è troppo tardi».
Usagi sospirò. Comprese alla perfezione la decisione di Mamoru di proteggere sua madre, anche se credeva che in ogni caso la verità fosse sempre la scelta migliore.
Usagi ripensò ancora alla fotografia nell’ufficio di Hiroshi. Ebbe quasi timore di chiedere, ma sapeva che quella triste storia non era ancora conclusa. Si fece coraggio.
«Ora dove sono Midori e Aiko?».
Il volto di Mamoru si fece ancora più cupo.
«Sono morte! Un mese prima che io me ne andassi di casa! – rispose serio – Un incidente stradale!».
Usagi sgranò gli occhi. D’istinto strinse la mano di Mamoru. Il ragazzo abbassò lo sguardo sulle loro mani intrecciate.
«Midori aveva trent’anni e Aiko solo quattro – continuò – Io non ho mai creduto che fosse un vero incidente».
«Che cosa vuoi dire?» chiese Usagi sconcertata da quell’ultima affermazione.
«Midori aveva chiuso con mio padre da un po’ e, da quello che so, non gli permetteva neanche di vedere la bambina. La sera prima dell’incidente, li sentii discutere animatamente al telefono, per l’ennesima volta, e alla fine di quella telefonata Hiroshi arrivò anche a minacciarla».
«Stai dicendo che tuo padre … ? Ma è una follia, Mamoru! Hai detto che lui amava quella donna e anche sua figlia!».
Mamoru fece una smorfia.
«Usagi, in quell’incidente era coinvolta anche un’altra auto e il conducente era un tipo poco affidabile, molto legato a mio padre».
Usagi si portò una mano alla bocca, trattenendo a stento la propria costernazione. Quello che Mamoru stava affermando era molto grave e lui sembrava più che convinto che fosse la verità.
«Hai mai parlato a qualcuno dei tuoi sospetti?».
Mamoru scosse la testa.
«Sei la prima a cui racconto tutto – disse. Poi aggiunse – Il giorno che andai via di casa, prima che succedesse il putiferio, andai alla polizia chiedendo che indagassero sull’incidente, ma loro risero, dicendo che ero solo un ragazzino e che non avrei dovuto giocare a fare Sherlock Holmes. Poi, è successo quello che già sai e alla fine ho cercato di dimenticare tutto».
Usagi era sconvolta. Non sarebbe mai arrivata a pensare una cosa del genere. Adesso tutti i pezzi del puzzle erano al loro posto e comprendeva finalmente quanto grande e pesante fosse il macigno con cui era stato costretto a crescere Mamoru, sorreggendone da solo il carico.
Lei non poteva competere con quel dolore e tutto il suo amore non sarebbe bastato a trattenerlo. Non sarebbe mai riuscita a salvarlo.
«Dove andrai?» gli chiese, immaginando il giorno della sua partenza e la tristezza che avrebbe portato con sé.
«Parigi! – le rispose Mamoru – Lì avrei molte opportunità. E poi è una città magnifica, piena di arte, cultura, luci. Non sarebbe male svegliarsi tutte le mattine nella magia di quella città e girare per le strade immerso nell’odore di baguette appena sfornate».
«Deve essere bellissima!» esclamò Usagi sforzandosi di sorridere.
Mamoru la guardò. Quegli occhi avevano sempre la capacità di farlo impazzire, dimenticando tutto quello che era giusto e sensato.
«Vieni con me!» le disse, prendendole le mani tra le proprie e ignorando le decisioni che aveva preso quella mattina.
Usagi sorrise amaramente, poi scosse la testa.
«Non è giusto che io venga con te, come non è giusto che tu rimanga qua. Non ha senso! Io ti amo e, se fossi fatta di puro istinto, ti seguirei senza neanche sapere dove stiamo andando. Ma riesco ancora a vedere lucidamente e so che non possiamo essere felici. Il tuo dolore verrà sempre prima di me e io non posso aiutarti, per quanto ne abbia il desiderio e la voglia. Solo tu puoi salvare te stesso!».
«Tu mi hai reso felice, Usako! Mi dispiace non essere stato alla tua altezza!».
Usagi fece segno di no.
«Tu mi hai portato in paradiso, Mamo-chan! Avrei solo voluto che durasse in eterno. Non mi devi chiedere scusa, tu non c’entri niente. Non posso darti torto se, invece di curare le tue ferite, hai scelto di dimenticare tutto questo schifo».
Mamoru si alzò di scatto dal divano e, portandosi di fronte a lei, l’abbracciò con forza. La strinse come se non volesse più lasciarla andare via, anche se quella era la cosa più sensata.
«Ti amo, Usako!» le sussurrò schiacciato contro il suo viso e inspirando profondamente il suo odore, per non dimenticarlo mai più.
Usagi lo accolse tra le sue braccia.
«Anche io ti amo!» gli rispose mentre sentiva il cuore andare in frantumi.
Restarono così per qualche minuto, stretti l’uno nelle braccia dell’altra, come se fosse l’unica cosa di cui avevano bisogno. E quando finalmente riuscirono a staccarsi rimasero fermi a guardarsi negli occhi. I loro cuori avrebbero voluto pronunciare mille parole, ma troppe ne erano state dette e sarebbe stato inutile continuare ad annegare quegli ultimi istanti insieme con fiumi di frasi, che non sarebbero servite a riportarli indietro.
Mamoru accorciò le distanze, lentamente, quasi per paura di un rifiuto. Ma Usagi completò il percorso, poggiando le sue labbra su quelle di Mamoru e schiudendole in un bacio dolce e timido, ma triste, quasi straziante, occhi negli occhi, per la paura di perdere anche solo un singolo istante di quel momento.
Quello che stava per chiederle, a Mamoru sembrò una cosa stupida, ma non volle pensare, voleva solo dare sfogo ai propri sentimenti ed essere libero di amarla fino a che gli fosse stato possibile .
«Voglio averti mia, per l’ultima volta! Non dire no, Usako!» quasi la supplicò.
«Sì!» rispose lei, senza neanche pensarci una volta.
Sapeva che in questo modo avrebbero prolungato la loro sofferenza e che sarebbe stato un lento morire, ma in quel momento erano ancora Usagi e Mamoru e il suo unico desiderio era di sentire ancora la sua pelle e di riempirsi ancora di lui, per l’ultima volta.
Mamoru la prese in braccio piano e la portò nella sua stanza. Delicatamente l’adagiò sul letto, coprendola poi con il suo corpo.
Non c’era frenesia nei loro movimenti, non c’era la bramosia e l’ardore che li aveva sempre travolti, ma solo una straziante lentezza, come se avessero voluto prolungare il più a lungo possibile quel momento, consci che non si sarebbe più ripetuto.
Mamoru baciò ogni lembo di quella candida pelle di luna, e altrettanto fece Usagi, per imprimersi nella mente ogni dettaglio e non dimenticarlo mai più.
E pianse Usagi, pensando a quanto potesse essere amaro non poter più sentire quel calore. Mamoru asciugò tutte le sue lacrime.
«Vieni con me a Parigi!» la supplicò ancora.
Usagi scosse la testa.
«Lo sai che sarebbe inutile!».
Mamoru tacque. Sapeva che Usagi aveva ragione, sapeva che lei meritava di meglio.
Restarono ancora un po’ sdraiati sul fianco, l’uno di fronte all’altro, in silenzio, perché le parole sarebbero state troppo pesanti.
Parlavano i loro occhi, cielo e mare, come ogni volta.
Poi, inesorabile, arrivò il momento di separarsi.
«Ciao, Mamo-chan!» disse lei sforzandosi di sorridere.
«Ciao, Usako!» rispose lui accarezzandole il viso.
 
Mamoru fece scivolare il suo corpo lungo la porta che si era appena chiusa, fino a sedersi a terra. Portò la testa indietro e pensò a quello che gli aveva detto Heles la prima sera che aveva incontrato Usagi.
“Sono quelle come lei che ti mettono in catene!”.
Sorrise. Il suo cuore sarebbe stato per sempre incatenato a quello di Usagi.
 
Usagi asciugò l’ultima lacrima e sorrise. Non aveva alcun rimpianto. Non era stato un amore sbagliato, perché l’aveva aiutata a ritrovare se stessa. Mamoru non era destinato a essere l’uomo della sua vita, ma sarebbe rimasto per sempre l’amore della sua vita.
Prese il telefono e compose un numero. Dall’altro lato risposero.
«Mako, ho deciso! Vengo con voi!».
 


 
FINE?
 
 
 
 
 
 
Lo so, lo so! Chissà quante di voi staranno pensando di “ammazzarmi”…ma per me era giusto che la storia andasse così. Meglio che mi dilegui di corsa :-P
Prima, però,  permettetemi i ringraziamenti di rito.
Grazie a tutti quelli che mi hanno seguito e che hanno recensito, a chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite o ricordate e a tutte le le ”lettrici silenziose”.
Un grazie enorme a Rosa, alias Red85, con la quale ho scoperto di avere una grande sintonia e che con le sue attente osservazioni mi ha dato un sacco di spunti ed idee per andare avanti.
E poi grazie a tutte le ragazze del gruppo di fb: Shelly2010, Princess_Mars, Luciadom, Silviasilvia, Belle e la piccola Bunny e a tutte le altre.  E’ davvero un piacere conoscervi e passare le serate in vostra compagnia! Siete fantastiche!
Una saluto a tutti e…chissà quali saranno le mie prossime idee ;-)
  
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