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Autore: Keiko    04/05/2013    6 recensioni
Approdo del Re sembrava la metafora dell'estate, un prolungamento che si scioglieva nelle Acque Nere e stemperava contro un cielo rosso e oro. . Al Nord anche quei sette anni senza inverno erano stati rigidi, privi di quel sole caldo a baciarle la pelle e dei fiori tropicali dal profumo intenso che adornavano la sua camera e i pergolati della roccaforte. Al Nord, i ghiacci rubavano vita alla terra cercando di imprigionarla sotto una spessa coltre di neve indurita e resa più compatta dagli uomini che ogni mattina ne solcavano la superficie in cerca di una ricca caccia.
Al Nord, lei era a casa.
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sansa Stark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Keiko © 2013 (04 maggio 2013)
Disclaimer: Sansa Stark, Joffrey Baratheon e tutti gli altri personaggi appartengono a George R.R. Martin e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


“Nelle sue mani ghirlande di fiori,
nei suoi capelli riflessi di sogni”

(da “Ophelia”, F. Guccini)

Approdo del Re sembrava la metafora dell'estate, un prolungamento che si scioglieva nelle Acque Nere e stemperava contro un cielo rosso e oro. Sansa, dall'alto dei camminamenti della fortezza, osservava la distesa d'acqua e le vele delle navi che lasciavano la capitale cariche di mercanzie. Chinò il capo sulle proprie mani, adagiate sul grembo come se dovesse proteggere un figlio non ancora nato. Già, un figlio. Sospirò, riportando lo sguardo sul cielo terso: non aveva mai visto un'estate così piena e lunga. Al Nord anche quei sette anni senza inverno erano stati rigidi, privi di quel sole caldo a baciarle la pelle e dei fiori tropicali dal profumo intenso che adornavano la sua camera e i pergolati della roccaforte. Al Nord, i ghiacci rubavano vita alla terra cercando di imprigionarla sotto una spessa coltre di neve indurita e resa più compatta dagli uomini che ogni mattina ne solcavano la superficie in cerca di una ricca caccia. Al Nord, lei era a casa. Ora, nonostante il calore delle terre del sud, Sansa sentiva un gelo spettrale pervaderla. Pensare al suo futuro era come credere di spaccare i sogni con una picconata, distruggerli per evitare di soffrire, di morire un poco ogni giorno. Il terrore poteva rendere pazzi? E la paura? Sansa aveva imparato a dimenticare il colore del cielo, almeno in presenza di Joffrey e di Cersei. All'ombra della durezza di una famiglia che rappresentava una casta e un modo di vivere che non aveva niente a che fare con il loro, Sansa chinava il capo e abbassava lo sguardo. In segno di deferenza. In segno di paura. A volte si lasciava sfuggire la verità dalle labbra, ma Joffrey era troppo sicuro di sé e della propria posizione per accorgersi della sincerità camuffata con abilità dalla sua futura moglie. In realtà, era solo molto stupido. Scacciò con forza il pensiero di quell'ennesimo giogo, cercando serenità nella calma con cui le onde cullavano le navi che si allontanavano perdendosi verso l'orizzonte. Le sarebbe piaciuto essere un pesce, o magari un uccello, tuffarsi nel mare ed essere finalmente libera. Ad Approdo del Re era arrivata come simbolo di un'alleanza forte per poi trasformarsi in un ostaggio. Una preda. Nessuno credeva potesse essere un lupo, solo un uccellino da soffocare, una colomba pronta per sfamare il leone non appena avesse avuto la forza di dargli un erede.
“My lady è sempre una sorpresa trovarvi in solitudine sugli spalti.”
La voce di Lord Baelish la fece sussultare, riportandola alla realtà.
“Approdo del Re è un luogo accogliente.”
“Non si addice però alla solitudine e alla tristezza.”
“Non si addice nemmeno all'umiltà.”
“La guerra si avvicina. Vostro fratello avanza distruggendo le fila dell'esercito dei Lannister. Non piacerà a Lord Tywin.”
“A nessuno piace perdere, Lord Baelish.”
“Siete un'attenta osservatrice.”
Sansa si scostò da lui, porgendogli una riverenza allontanandosi dalle mura di cinta. Presto forse le Acque Nere sarebbero state gravide di navi, ricoperte da vele che fluttuavano nel cielo come cirri dipinti.
La corsa al Trono di Spade aveva risvegliato i Re dei Sette Regni.
Tutti stavano combattendo, tutti stavano giungendo lì.
Avrebbe vissuto abbastanza per riabbracciare sua madre?

*

La guerra era arrivata sino ad Approdo del Re. Dalle mura giungevano le grida degli eserciti, il clangore delle armi e le urla dei morti. Sansa era stata rinchiusa in una stanza delle torri, guardata a vista da Cersei. Trattata come una schiava, in attesa di prendere ordini ed essere educata da una donna che, nella durezza con cui l'affrontava, celava la tristezza di una vita ingiusta, di un destino privo di felicità e gioie. Sua madre, quando andò in sposa a suo padre, era timorosa proprio come lei. Ma avevano imparato ad amarsi e accettarsi, Eddard Stark e Catleyn Tully. Per quel motivo non era mai stata in grado, poi, di accettare Jon Snow. Come non ci era riuscita lei, d'altra parte. Con quell'unico tradimento, suo padre aveva rischiato di distruggere tutto ciò che con fatica negli anni era stato creato a Grande Inverno: una famiglia. Lo erano anche i Lannister? Nel modo sbagliato, ma forse si. L'appartenenza agli Stark non l'avevi nello sguardo, ma nel cuore. In quel modo di ricordare con un gesto quanto potesse essere dolce e accogliente come il ventre di una madre il Nord. L'appartenenza ai Lannister passava a fil di lama, nelle stoccate crudeli e nella noncuranza con cui si accatastavano i morti ai loro piedi. I Lannister si ammazzavano a vicenda ogni giorno, come se fossero l'utero infecondo della Morte stessa, sterile di sentimenti. Seduta accanto a Shae parlava fitto dei propri pensieri. Faceva congetture e pregava per suo fratello. Se avesse preso Approdo del Re sarebbe stata finalmente salva. Libera, soprattutto. Forse non di scegliere il proprio futuro, ma di poter ancora dire cosa pensava, quello si. Lanciò un'occhiata all'unico guerriero presente nella stanza, un muto dalla lingua tagliata. Se i loro nemici fossero arrivati sino lì, sarebbero state uccise tutte quante, una a una. Nella torre c'erano diverse lady, le loro ancelle e persino donne di piacere. Assiepate in una stanza buia e umida, cercavano di intrattenersi chi parlando, chi cucendo, chi pregando. Cersei Lannister, dal proprio trono in legno, si limitava a bere vino, fedele compagno di troppe notti rese insonni da un figlio disgraziato.
“Sansa” la chiamò all'improvviso, facendola trasalire. Non era mai la richiesta dolce di una madre, ma l'ordine di una regina.
“Colomba... tra l'umiliazione e la morte, tu cosa sceglieresti?”
Sansa chinò il capo, torcendosi le mani sul petto, pensando alla risposta corretta da dare. Eppure, aveva imparato che non ne esistevano per i Lannister. Mai.
“L'umiliazione credo.”
“Hai così tanta paura di perdere la vita?”
“No, Vostra Grazia. Ma dall'umiliazione ci si può sempre riscattare.”
“Non mi sembra che tuo padre l'abbia potuto fare.”
Sansa udì il cuore frantumarsi contro la cassa toracica, come se fosse andato in pezzi. Deglutì, e avvertì il sapore amaro del fiele pervaderle la bocca. Sentì le lacrime salirle agli occhi, inumidendoli. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, cercando di inghiottire la propria debolezza: non era tempo di piangere.
“Mio padre ha scelto la morte nel momento in cui ha tradito Re Robert.”
Come facevano a crederle? Come potevano convincersi che le sue parole fossero vere? La ascoltavano e annuivano, convinti della sua fedeltà innocente. Forse perché a quindici anni chiunque avrebbe desiderato essere nella sua posizione. Non si sentiva più fortunata, né al di sopra degli altri. Avrebbe dato tutto per essere di nuovo libera e scegliere qualcun altro da amare. Nel chiarore di quella zazzera bionda, Sansa aveva intravisto il buio di una notte senza stelle, di un'estate devastante, fatta di siccità e morte per epidemie. Joffrey era un tumore maligno, un grumo di sangue rappreso e metastasi che andavano via via a intaccare tutto ciò che toccava: il Trono di Spade, Approdo del Re, i Sette Regni. Uno a uno sarebbero stati contaminati, corrotti, fatti a pezzi e distrutti. Era mai stata innamorata di Joffrey? A quel pensiero la colpì un sorriso amaro, che celò congedandosi da Cersei. No, lei l'amore non l'aveva mai conosciuto. Forse, se avesse avuto il cuore abbastanza arido, sarebbe stata una regina forte come Cersei Lannister, buona solo a fare la madre e proteggere i propri figli persino dinnanzi agli errori più eclatanti. Sarebbe stata un ottimo utero in affitto, un corpo in prestito sino a quando sarebbe stata abbastanza bella da poter condividere il letto nuziale con Joffrey. Poi, quando sarebbero passati gli anni, lui avrebbe cercato altre giovani donne con cui sfamare i propri desideri, e a lei sarebbero rimasti i figli da amare, proteggere e accudire. Figli preziosi come tesori, in grado di poter ribaltare le sorti di un regno, di cambiare le leggi a proprio piacimento e salvare una madre dall'oblio a discapito di un buon padre.
I figli, per quelle come lei e Cersei, erano una garanzia di vita.

*

Le fiamme dell'Altofuoco danzavano sulle acque come spettri incandescenti. Dall'alto dei camminamenti, Sansa ne osservava gli ultimi lembi scalfire le acque nella notte che stemperava in un'alba grigia e pesante. Della flotta di Stannis Baratheon non era rimasto nulla, se non gli scheletrici resti di assi di legno mozzate e vele e stemmi ridotti a brandelli abbandonati sulla riva. Il sole non si sarebbe visto quel giorno. Era una tregua dalla vita anche per lui, quella. Stornò lo sguardo sull'orizzonte, pregando e temendo al contempo di vedere avvicinarsi lo stemma degli Stark, cavalcando sulle acque senza timore. Stringeva tra le mani una corona di fiori: aveva passato tutta la notte a intrecciarla, ogni gambo e foglia e petalo una preghiera per il Nord. Per Robb. Per l'anima condannata di suo padre. Per sua madre. Per Rickon e Bran. Persino per Jon Snow, perduto tra i Corvi, e per Arya. Per tutti gli uomini del Nord, che avevano messo la propria vita nelle mani di suo fratello. Infine, pregò per sé stessa. Per poter vedere un'altra alba, per poter di nuovo tornare a sorridere e dimenticare il dolore violento che serpeggiava ad Approdo del Re, soffocandola. Sansa osservava i fiori dai colori sgargianti che formavano la ghirlanda, incerta del risultato che stringeva tra le dita. Non esistevano fiori così suadenti e belli al Nord. Là c'erano per lo più erbacce e sempreverdi, piante che fronteggiavano il freddo senza subirne la morsa terribile dell'inverno. Facevano capolino, nella neve, coraggiosi bucaneve, e in primavera il sottobosco si popolava di ciclamini e rododendri e primule. Erano fiori miti, dalla bellezza innocente e banale. Dinnanzi ai fiori dei Lannister sbiadivano perdendo persino i colori più luminosi. D'altra parte, ad Approdo del Re vi erano piante velenose e cacciatrici annoiate, carnivore che con colori sgargianti e profumi intensi attiravano insetti per divorarli.
Insetti come lei, che si lasciavano ammaliare da un giallo tendente all'oro, da un rosso tendente al magenta. Dai Lannister e da ciò che a loro apparteneva.
Colori così forti da non poter essere coniati in natura, artificiali e privi di anima.
“Mia Regina, sarai stanca.”
Il passo sgraziato di Joffrey l'annunciò prima ancora che prendesse la parola.
“È stata una lunga notte per tutti, mio signore. Sei stato coraggioso in battaglia.”
“Ho fatto ciò che ogni re deve fare. Ho difeso la mia città e la mia famiglia.”
E la tua gente? Il popolo che per te è morto? Non hai doveri verso di lui?
“Cos'è quella?” chiese infastidito osservando la ghirlanda. Sansa la strinse al petto con forza, abbozzando un sorriso sperando di tenere a bada Joffrey con qualche moina e qualche complimento. Sembrava non esserne mai sazio.
“È una ghirlanda, mio signore. Per le vittime di questa notte.”
Possedeva i fiori dei Lannister, ma racchiudeva l'intreccio e l'anima del Nord. Sansa la lasciò scivolare nel vuoto, osservandola cadere sulla superficie e farsi cullare lentamente dalle acque calme. Sarebbe giunta lontano, molto più di quanto sarebbe mai stato concesso a lei.
“Sarai un'ottima regina” le disse lui asciutto.
Sansa si prodigò in una riverenza, mentre Joffrey le aveva già voltato le spalle per allontanarsi da lei. Il sole aveva spaccato le nebbie, fendendo la coltre che nascondeva la spiaggia. Si posò sui suoi capelli, offrendo loro la tinta di un rosso differente, vibrante come la rabbia e il disgusto che si portava appresso. l riflessi di sogni sopiti, non ancora perduti, si nascondevano tra le pieghe di quelle ciocche tiziane, distintivo di una donna che non aveva mai smesso di combattere.
Aveva davvero ereditato qualcosa di buono dagli Stark e dai Tully? Aveva messo da parte uno a uno i propri sogni, scacciati con spazzolate violente dalla testa e rapiti nel raccolto che le cingeva la nuca come un'aureola. Li riafferrava ogni notte, quando li scioglieva di nuovo e poteva finalmente riposare tornando, almeno per poche ore, a Grande Inverno, avvolta nella seta e nella penombra della propria stanza.
Prima o poi, i suoi sogni, sarebbero diventati realtà e sarebbe di nuovo tornata a casa.
Ma a quale prezzo?




Note dell'autrice.
Eccomi di nuovo qui!
Ho attualmente esaurito le storie che avevo scritto per GoT, ma tranquilli: ho almeno altri cinque o sei personaggi su cui lavorare, e un paio di AU che mi frullano in testa. Per cui tornerò tra questi lidi quanto prima. La storia è stata scritta per il contest indetto sul forum di EFP "L'Ultima Thule", del quale ho scelto il prompt di una delle mie canzoni preferite di Guccini: "Ophelia", appunto.
Come sempre ringrazio chiunque si sia fermato a leggere e decida di commentare (^^)/
   
 
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