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Autore: dilpa93    05/05/2013    8 recensioni
Solo allora, sentendo il suo nome, la donna alzò la testa incrociando lo sguardo del nuovo arrivato.
Lui la scrutò a fondo. Nei suoi occhi verdi aveva trovato più di quanto potesse immaginare, aveva trovato la pace.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Quattro anni che sei via da casa. Stai per tornare e ancora non riesci a crederlo.
Apri il portone a fatica. Sei stanco. Invecchiato.
Inspiri il profumo che caratterizza l’androne, sciroppo alla menta mischiato all’aroma del caffè appena fatto.
Curioso che dopo tutto quel tempo sia rimasto ancora lo stesso.
C’è un odore nuovo però, non riesci a capire cosa sia, ma, anche se non sai spiegartelo, sa di casa.
L’ascensore è in movimento. Il pulsante è già illuminato al tuo arrivo.
Non puoi aspettare. Fremi.
Ti dirigi verso le scale; i gradini in marmo riflettono il neon sopra la tua testa.
Vorresti correre, ma non riesci. Ti trascini stancamente.
Ancora un piano.
Senti il polso rimbombarti nelle tempie. Il fiato corto.
Il cuore pompa sangue e ossigeno. Lo senti battere.
Ti chiedi quante cose siano cambiate. Quali siano cambiate, nel vostro appartamento, nella sua vita.
Ti chiedi se tu le sia mancato, se ti abbia dimenticato, se abbia deciso di dimenticarti.
Ti chiedi se ti ami ancora, o se invece ti odi. Se quando aprirà la porta la chiuderà nel tempo di un batter di ciglia, oppure ti concederà un’opportunità.
Bussi e, chiudendo gli occhi inspirando a fondo, ricordi cosa ti aveva spinto a lasciarla.
 
 
 
Giornata afosa, il sole gli aveva tenuto compagnia nel tragitto a piedi fino al distretto. Nonostante il caldo, era una sensazione piacevole quella dei raggi che gli carezzavano il viso giocando con le fronde degli alberi.
Seduto alla scrivania fissava il suo distintivo mentre il pollice carezzava sereno i numeri in rilievo: 1469. Bizzarro che i numeri fossero quelli della sua data di nascita. Un segno del destino, l’Universo che tentava di dirgli che la strada intrapresa era quella giusta.
Lui la vedeva così, aveva bisogno di vederla così.
 
Kate gli arrivò alle spalle, proiettando la sua ombra sulla scrivania.
“Già qui, non saresti dovuto arrivare nel pomeriggio?” Domandò con voce candida. Si chinò su di lui posandogli le braccia sulle spalle arrivando a carezzargli il petto attraverso il tessuto della camicia blu.
“Si, la sveglia ha ripreso a suonare. Così mi sono alzato.”
“Ero convinta di averla spenta. Mi dispiace di aver rovinato la tua mattinata libera.” Mormorò sfiorandogli la tempia con un bacio. “Forse dovremmo comprare un’altra sveglia.”
“Già, forse dovremmo.” Disse divertito; si girò e la baciò lentamente e con dolcezza scostandole poi i capelli dal collo accaldato. “Mi sono perso qualcosa mentre non c’ero?” Chiese ricomponendosi.
“Nulla, oggi è una giornata-”
“Non dirlo!” Fece irruzione l’ispanico tornando dalla sala break con un tè fumante. Aveva deciso di lubrificare il suo corpo e di eliminare per un po’ la caffeina. Voleva essere in una forma strabiliante quell’estate.
“Sai bene che appena lo dici il telefono prende a squillare come impazzito.”
“Oh, andiamo ragazzi, non crederete davvero a questo. Siete così superstiziosi?”
“Ti dobbiamo ricordare il caso Tillman una settimana fa, oppure l’omicidio Loughton il mese scorso? Tutto per aver pronunciato quella parola.” Concluse Ryan.
La detective sbuffò scuotendo la testa incredula.
“Castle, sei con noi o contro di noi?”
“Scusami Kate, ma hanno ragione loro.” La sua mano si incontrò a mezz’aria con quella degli altri detective e, mentre il fragoroso suono dei loro palmi a contatto riempiva lo strano silenzio di un distretto deserto, Kate trasse la sua conclusione.
“Voi vi fate troppo influenzare dalla televisione. Non accadrà nulla se pronuncio la parola calma.”
Ed in quell’esatto momento un telefono cominciò a squillare lasciando senza parole la donna, e facendo spuntare un sorrisino compiaciuto sul volto dei suoi partner.
“È il mio, scusate.” Rick si allontanò andando ad avvicinarsi al distributore di bevande.
“Che nessuno si azzardi a dire ‘te l’avevo detto’” ringhiò sulla difensiva puntando contro ai due una penna.
 
Sospirò mentre l’indice passava sul display accettando la chiamata.
“Pronto”, tentò di mantenere un certo distacco ed essere professionale, ma era già capitato che la voce lo tradisse, e quella volta fece lo stesso, lasciando trasparire la sua ansia e preoccupazione.
“Pronto...” Ripeté fermo e deciso.
Dall’altra parte solo affanni, respiri irregolari.
“Credi che non sappia chi sei, che non abbia capito?”
Sentiva solo silenzio, nessun suono o rumore distinguibile se non quello della vena del suo collo pulsare incontrollata.
“Non ti basta quello che mi hai preso? Che cosa vuoi, cosa vuoi?!”
“Farti soffrire… ancora.”
Chiuse la chiamata lasciando Castle solo con il clic indistinguibile del ricevitore che veniva riattaccato.
Con il cellulare stretto in mano lasciò che la sua frustrazione venisse liberata con un calcio contro la macchinetta.
“Ehi bro, è tutto a posto?” Esposito si sporse dondolandosi sulla sedia facendo rientrare il collega nel suo campo visivo.
“Si, solo che mi ha fregato i soldi un’altra volta.” Mentì lui con un sorriso falso ad incorniciargli il volto e la tipica ruga che gli si formava in mezzo alla fronte quando una bugia usciva dalle sue labbra. Particolare che sfuggì a tutti, a tutti tranne che a Kate.
Approfittando di un momento di distrazione si volatilizzò scendendo di corsa le scale. Sentiva già il caldo soffocante, che sembrava sbucare come un’entità a sé dall’asfalto ribollente, raggiungerlo a pochi passi dalle porte che lo avrebbero buttato letteralmente sulla trafficata New York.
 
Kate si gettò all’indietro, sullo schienale della sedia, pregando di riuscire a ridurre l’imponente mole di scartoffie prima di pranzo, o prima che qualche squilibrato decidesse di impugnare la pistola acquistata per precauzione, oppure quella che sapeva il padre nascondeva nel cassetto della scrivania, e uscire ad uccidere qualcuno.
Le mani scivolarono sul viso, cercando in qualche modo di togliere la stanchezza che lo ricopriva insieme al leggero velo di cipria. Quando le tolse facendole pesantemente ricadere sulle cosce, gli occhi cercarono istintivamente quelli del suo uomo, senza però riuscire a trovarli incollati allo schermo del pc alla sua scrivania. Ruotò il capo a destra e sinistra, senza vedere la sua sagoma da nessuna parte.
“Ehi ragazzi, avete visto Castle?”
Entrambi distolsero l’attenzione da quello che stavano facendo per concentrarsi su di lei.
“Magari è andato in bagno.”
“Già, e cosa sta facendo, sta schiacciando un pisolino? È troppo che è via per essere andato solo in bagno. Vedrai che sarà sceso al piano di sotto per svaligiare il distributore automatico dei tecnici, e vendicarsi del fatto che la nostra macchinetta è sempre rotta. Tornerà tra poco.”
“Vado a cercarlo comunque. Se torna chiamatemi.”
“Kate, ma dove vai? Kate!” Tentò di richiamarla inutilmente Esposito.
 
Arrivato fuori, fiancheggiò la facciata dell’edificio; la giacca scura sfregò contro l’intera parete graffiandosi di gesso bianco fino a che non giunse sul retro. Si fermò, sentì il battito irregolare del cuore nel petto e una strana collera esplodergli dentro.
Nella sua testa cominciarono a farsi largo le immagini crude di un corpo seviziato e torturato. I tagli lungo le braccia e sul torace, le macchie di fuliggine e fango sul viso e sui vestiti. L’ematoma lungo lo zigomo destro. Il sangue sotto il corpo che le aveva impregnato i capelli rendendoli più rossi di quanto già non fossero, la gamba spezzata, il taglio sottile lungo il collo bianco e gli occhi di ghiaccio che lo fissavano ormai vitrei e senza vita.
Si sporse aggrappandosi con le dita ai mattoni quando un forte senso di nausea lo pervase. Bile e saliva uscirono dalla sua bocca ora riempita di un sapore aspro e disgustoso.
 
Quando lo raggiunse lo vide seduto a terra, una gamba stesa e l’altra premuta contro il petto che sembrava non compiere alcun movimento.
Si stese accanto a lui poggiandogli la testa sulla spalla.
“Cosa sta succedendo Rick?”
“Nulla”, la parola fu appena udibile, “non succede nulla” ripeté cercando di essere più convincente.
“Ti prego, non tenermi all’oscuro. Così io, io non ce la faccio.” Era sull’orlo di una crisi, la voce si stava già incrinando. “È settimane che sei strano ed evasivo. Il telefono squilla anche in piena notte, rispondi ma non dici nulla. E-”
“Non posso dirtelo.” La interruppe sentendola poi sospirare rammaricata. “Però... però potresti tenermi la mano.”
Si accoccolò ancora di più a lui e, allungando il braccio, afferrò la sua mano intrecciando le dita con le sue.




Diletta's coroner:

Parto con una nuova long, sperando di non fare disastri.
Primo capitolo un pò cortino, ma è più che altro un prologo.
Beh... a presto e buona serata!
  
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