And I will
sing a lullaby
“Mio salvatore!”
Paul rise, mentre John si faceva da parte per lasciarlo
entrare in una casa in cui l’unico rumore proveniva dal piano di sopra. Ed era
un pianto disperato e inarrestabile di
qualcuno che sembrava pensare fosse arrivata la fine del mondo.
Era il pianto di Julian.
“Non la smette più di piangere, il marmocchio. ” spiegò
John, guardandolo come se l’avrebbe odiato per sempre se avesse deciso di
voltargli le spalle e andarsene, dopo aver udito l’incarnazione della disperazione.
Paul lo osservò così scompigliato: i capelli spettinati
erano la dimostrazione che John aveva più volte ricorso a loro per cercare di
calmare, in primis, se stesso. E poi c’era lo sguardo così perso e confuso, lo
sguardo di chi non aveva più idea di dove sbattere la testa. Di chi aveva
provato e provato e alla fine non era riuscito a combinare nulla.
Paul odiava quello sguardo su John. Perché lui non lo
meritava. Non meritava di sentirsi così. Era difficile guardarlo in quelle
condizioni. Preferiva mille volte guardarlo quando suonavano insieme, quando
sul viso di John non c’era nient’altro che gioia e soddisfazione per qualcosa
che gli riusciva davvero bene.
“Non ti preoccupare.” gli disse tranquillamente.
“È che non sapevo chi chiamare. Mimi è a quella cosa, sai,
quella cosa in chiesa…”
“La messa?”
“Ecco, quella!”
“E Cyn?”
“Beh, lei è a comprare qualcosa per il marmocchio.
Pannolini, latte in polvere… tutte queste cose che di solito fanno i papà, ma,
a quanto pare, io non sono molto bravo a scegliere le cose giuste e quindi ha
deciso di affidare a me la creatura, mentre lei recuperava tutto il necessario.
Ma credo di non essere in grado di fare neanche questo. Che razza di padre non
sa neanche far smettere di piangere suo figlio?”
“Uno che prima di tutto deve imparare a calmare se stesso.”
esclamò Paul e poi gli si avvicinò.
Appoggiò un mano sul suo cuore, ascoltando il ritmo che era
uno dei più frenetici che avesse mai udito. E da così vicino poté sentire il
suo respiro, breve e superficiale, decisamente poco funzionale per chi come
John aveva bisogno di rilassarsi.
“Ma guardati, John, sei un disastro! Hai il cuore a mille.
Ci credo che non riesci a calmare Jules.”
John aggrottò la fronte: “Ehi, sei venuto per aiutarmi o
per rimproverarmi come Cyn?”
“Sono qui per aiutarti, idiota. E ora vai in cucina e fatti
una camomilla, mentre mi occupo del pupo. E non salire fino a che questo …- e lo punzecchiò sul torace, a
livello del cuore -… non sarà tornato ad un ritmo accettabile.”
John lo guardò, piuttosto sbalordito dal suo tono da
sergente dell’esercito, e poi sorrise.
“Sissignore, signore!”
Paul cercò di non ridere e lo seguì con gli occhi mentre
spariva in cucina. Poi il pianto inconsolabile richiamò la sua attenzione e
guardò verso l’alto. Salì le scale velocemente, ma anche in silenzio. Nella
camera da letto di John e Cynthia c’era una culla con
telaio di ferro, rivestita di una stoffa bianca con dei nastri azzurri. E
dentro la culla c’era un piccolo fagotto che si contorceva e si agitava e
piangeva, alla ricerca disperata di qualcosa, qualcuno, che potesse farlo stare
meglio. Paul si avvicinò e guardò il bambino, sorridendo poi dolcemente alla
vista del suo viso arrossato, degli occhi pieni di lacrime e delle manine
strette in due piccoli pugni.
“Ehi, Jules, cosa c’è? Hai fatto un brutto sogno?” gli chiese,
mentre con delicatezza lo sollevava fra le sue braccia e il profumo di bambino
avvolgeva il suo corpo.
Il piccolo continuò imperterrito a piangere, non facendo
caso alle due braccia forti e anche dolci che lo stringevano e cercavano di
tranquillizzarlo.
“Doveva proprio essere un brutto sogno, vero, piccolo?
Anche io mi sveglio sempre agitato quando ho un incubo, sai!”
Paul lo osservò piangere e con un dito gli accarezzò
delicatamente le piccole, morbide dita della mano. Subito il bambino gli
afferrò il dito con una forza che lo lasciò sbalordito, ancora una volta. Si
era sempre chiesto come mai un bambino così piccolo potesse avere tutta questa
forza. Il pensiero lo fece ridacchiare un po’, prima di rendersi conto che
anche il cuore di Julian batteva veloce, tanto quanto quello di John.
“Tale padre, tale figlio, eh?”
Non era una sorpresa, in fondo Julian assomigliava così
tanto a John, gli stessi lineamenti del viso, le labbra sottili, le orecchie… Paul
poteva vedere un po’ di John dovunque su Julian.
Ricordandosi, però, che era lì per aiutare John, Paul si destò
dalle sue riflessioni e si sedette sulla sedia a dondolo accanto alla culla.
C’era solo una cosa che non mancava mai di calmare un bambino che piangeva: una
ninna nanna.
E Paul ne conosceva una che con lui aveva sempre
funzionato.
“Rustling of the leaves used to be
my lullaby
Days so long ago when I was a tot so high
And now that I have grown, I found myself alone.”
Era una canzone che gli cantava sempre suo padre, prima di
andare a dormire, e a Paul piaceva così tanto che cercava sempre di non
addormentarsi e arrivare ad ascoltarla tutta. Sarebbe stato un vero peccato
perdere anche solo un verso, perché tutto in questa canzone, dalle parole alla
melodia, ispirava pace. E quale canzone migliore per riportare la serenità in
quella casa?
“Cradle me where summer skies can
watch me with a million eyes
Oh sing me to sleep
Lullaby of the leaves”
Julian aveva smesso di piangere e adesso lo guardava, disorientato,
con i suoi occhioni grandi e ancora pieni di lacrime, e la sua presa sul dito
di Paul era ancora molto forte. Paul lo osservò e in quel momento Julian ai
suoi occhi sembrava, più che mai, un piccolo John. Sembrava John quando,
insieme, piangevano per una madre che non avevano più, quando John lo guardava
completamente perso, rivolgendogli una muta domanda, perché a lei?, quando John si aggrappava a lui disperatamente per
non cadere ancor di più nella disperazione.
“Cover me with heavens blue and let
me dream a dream or two
Oh sing me to sleep
Lullaby of the leaves.”
E Paul lo stringeva e sosteneva. E poi lo baciava, perché… I tuoi baci mettono tutto al posto giusto,
sai, Macca? Paul sorrise fra sé: chissà se avrebbe funzionato anche con Julian…
Dopotutto era pur sempre figlio di suo padre. Così Paul si chinò su di lui e
gli baciò delicatamente la fronte, continuando poi a canticchiare la ninna
nanna. Julian lentamente chiuse gli occhi. Tra le sue braccia, Paul poté
sentire il suo cuore rallentare a un ritmo decisamente più regolare e la manina
che gli stringeva il dito allentò la presa.
Julian era decisamente scivolato in un sogno più tranquillo
ora.
Cercando di muoversi lentamente, Paul si alzò dalla sedia a
dondolo e sistemò il bambino nella culla. Lo osservò per qualche altro minuto,
gli accarezzò la guancia e poi si voltò.
John era di fronte a lui, appoggiato allo stipite della
porta, con le braccia incrociate sul petto.
“Ci sei riuscito?”
Paul sorrise e lo raggiunse, appoggiandosi dalla parte
opposta: “Avevi anche dei dubbi?”
“No, certo che no. Altrimenti non ti avrei chiamato. –
esclamò soddisfatto - Quindi era sufficiente che gli cantassi una ninna nanna?”
“Aveva solo bisogno di qualcuno abbastanza tranquillo da
calmare anche lui. I bambini le percepiscono queste cose.”
John sospirò in qualche modo rassegnato, abbandonando la
testa all’indietro: “Allora non ce la farò mai. Ha scelto il padre sbagliato.”
“Lui non ha scelto un bel niente. Sei tu che devi scegliere
se fregartene di lui o impegnarti per essere un buon padre.” sbottò, forse un
po’ troppo rude, ma la rassegnazione di John gli dava sui nervi certe volte.
Erano momenti in cui Paul doveva trattenersi dal prenderlo
a schiaffi, e ci riusciva sapendo che in fondo le maniere forti non avevano mai
funzionato su di lui.
L’espressione di John si incupì improvvisamente e lui
aggrottò la fronte: “Io mi sto impegnando.”
“Lo so.” disse Paul, più dolcemente questa volta.
“Allora perché non ci riesco?”
Paul scrollò le spalle: “Non lo so… ma non devi
preoccuparti, sai, perché ci sarò sempre io ad aiutarti.”
“Sempre?”
“Sempre… ogni volta che vorrai.” disse Paul, avvicinandosi
a lui e appoggiando una mano sul suo cuore.
Il suo battito cardiaco non era affatto migliorato, era più
veloce che mai. E Paul lo rimproverò con uno dei suoi sguardi più eloquenti.
“Sta’ tranquillo, questo… - disse John, appoggiando una
mano su quella di Paul-… è colpa tua!”
L’amico sorrise, compiaciuto: “Ma non mi dire?! E in che
modo sarebbe colpa mia?”
“Perché eri carino, sai, mentre cantavi quella canzone al
mio bambino, sulla mia sedia a dondolo, nella mia camera da letto… Era come se
fossi anche tu un po’ mio.”
Paul arrossì vistosamente e il suo cuore sussultò prima di
cercare di emulare lo stesso ritmo di quello di John.
“Ma io sono tuo.”
John sorrise e fece scivolare le mani sulla sua vita,
attirandolo poi a sé e facendo toccare le loro fronti.
“Allora abbiamo un problema.”
“E quale sarebbe?”
“Non credo che potrò più calmare questo.” disse John, indicando un punto al centro del proprio
petto.
“Quindi devo cantare una ninna nanna anche per te?” domandò
Paul, senza riuscire a trattenere un sorriso.
John ridacchiò: “Beh, no. Però il bacio lo gradirei più che
volentieri.”
“Il bacio sulla fronte?”
John scrollò le spalle: “Puoi scegliere tu dove. Per me è
lo stesso.”
Paul rise e annuì. Appoggiò le mani sul collo di John e
cominciò ad accarezzargli i capelli sulla nuca.
“Bene, allora. Scelgo qui.” sospirò sulle sue labbra, prima
di baciarlo delicatamente proprio lì.
John sorrise nel bacio, mentre Paul lo spinse all’indietro
finché non toccò con la nuca lo stipite della porta.
Se avesse potuto, con gesti così semplici, poter scacciare una
volta per tutte le ansie, i timori che spaventavano John, allora l’avrebbe
stretto per sempre a sé, e l’avrebbe baciato e gli avrebbe cantato del fruscio
delle foglie mosse dalla brezza d’estate che portava via con sé qualunque
paura.
“Meglio?” domandò Paul, allontanandosi di poco per
guardarlo negli occhi.
“Mmm… sì.”
“Allora, posso andare e stare tranquillo?”
“Sullo stare tranquillo potrei anche essere d’accordo.
Sull’andare un po’ meno.”
Paul si lasciò scappare una risatina: “E se torna Cynthia?”
“Beh, vedrà soltanto noi due in salotto a scrivere canzoni,
come sempre. Cos’altro avevi in mente, cattivo ragazzo?”
“Idiota!” ribatté Paul, dandogli una forte pacca sulla
spalla e non potendo fare a meno di arrossire di nuovo.
John rise, divertito e soddisfatto, mentre lo guardava
raggiungere le scale.
“Comunque…quanto ti devo?” gli chiese.
Paul, una mano appoggiata sul corrimano, si voltò verso di
lui, ancora rosso in viso.
“Per cosa?”
“Per aver fatto da babysitter. A me e al pupo.”
Paul ridacchiò e guardò verso il basso. Poi si avvicinò
nuovamente a John, si avvicinò sempre più per rubargli solo un altro, piccolo
bacio.
“Siamo a posto così.” gli disse Paul.
John sbatté le palpebre perplesso e seguì Paul giù per le
scale.
“Queste tariffe le riservi solo a me, vero? Sono… come
dire… personalizzate, adattate a me, solo a me, giusto?”
Paul si dovette trattenere per non scoppiare a ridere e
rischiare di far svegliare Julian.
“Sono tue, John, sì, solo tue.”
Sì,
ancora fluff. Che devo fare, è il periodo che mi ispira fluff. L
Giuro che la prossima non farà alzare i livelli di glucosio così
esageratamente. Magari una flungst… o solo angst… sì, vedremo.
Ok,
che dire di questa? Tempo fa stavo leggendo la santa bibbia dei Beatles
(l’Anthology) e nel capitolo su Paul, lui diceva che da piccolo gli piaceva
ascoltare suo padre che suonava e fra quelle canzoni c’era “Lullaby
of the leaves”. Allora l’ho ascoltata su youtube, trovando la versione dell’immensa Ella (http://www.youtube.com/watch?v=8Rcgirw0inE
), ed ecco che è arrivata
questa storia.
Spero
vi sia piaciuta.
Alla
prossima
Kia85