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Autore: marig28_libra    09/05/2013    3 recensioni
Lutti, incertezze, paure, lotte. La vita dell'apprendista cavaliere si rivela assai burrascosa per Mu che ,sotto la guida del Maestro Sion, deve imparare a comprendere e ad affrontare il proprio destino. Un destino che lo condurrà alla sofferenza e alla maturazione. Un destino che lo porterà ad incontrare il passato degli altri cavalieri d’oro per condividere con essi un durissimo percorso in salita.
Tra la notte e il giorno, tra l’amore e l’odio, Mu camminerà sempre in bilico. La gioia è breve. La rinuncia lacera l’anima. Il pericolo è in agguato. L’occhio dell'Ariete continuerà però a fiammeggiare poiché è il custode della volontà di Atena ed è la chiave per giungere al cielo infinito.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Mu, Aries Shion, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'De servis astrorum' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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“La vita fugge, e non s’arresta un’ora
e la morte vien dietro a gran giornate,
e le cose presenti  e  le passate
mi danno guerra, e le future ancora.”

( F. Petrarca )
 

 


Si spianavano scie di scivolosa tormenta.
Si spianavano le coltri concusse del vuoto.

Mu stava piombando dentro foibe di risucchi.
Il pavimento del palazzo- prigione di Icelo si era squagliato come gramolato da un allagamento d’ammoniaca.
Gli sciami di cavallette, corpi di barracuda in decomposizione , seguitavano ad azzannare.

Le braccia schermavano il viso.
Gli occhi erano rinserrati.
Le mandibole ammainavano  le ventilazioni stracciate della gola.
I vestiti erano tarlati, squarciati , insudiciati…Parevano la pelle spiumata di un volatile trucidato.

Tutti quegli insetti erano pruni di rifiuti. Il ragazzo era atterrato dal contatto dei loro addomi e zampe screpolati di desertica varicella . Sciabordavano , nelle orecchie,  onomatopee di trituramento come fossero un liquido fangoso in cui nuotavano ossa di rettili.

Starlight extinction !! 

Enormi falcate di luce dorata detonarono dalle mani del cavaliere.
I contingenti di locuste si polverizzarono pari a pergamene deteriorate.
Briciole verdastre sfumarono d’erba infausta lo spazio vuoto.
L’ultima salivazione  di detriti…

Restava il precipizio…
Restavano pareti di lavagna su cui erano incise trame di quadrati…Erano simili a fogli geometrici che recavano tabelle ignude  di calcoli e parole.
Nessun numero, istogramma o formula.

Mutismo.
Alligatore . Castigatore. Baciatore.

Mu comprese che stava per immergersi nella Morfia;  un ovaio sterile ; un endometrio purgato di calore, sapore, areazione…
Una linea di fumo pallido comparve  tra quella mura di nera metafisica…
Pareva il gemito di ibernazione che sguscia da una cella frigorifera.

La gravità attrasse con maggior impeto.
L’allievo di Sion chiuse lo sguardo e strinse i denti.

Il peso del suo corpo sibilava nella vacuità fendendola simile ad una scimitarra.

Frenò di colpo.

Scoperchiò gli iridi.

Stava fluttuando su una sconfinata distesa marmorea stellata da rubini di papaveri.

Vi erano colonne doriche, ioniche e corinzie che si ergevano dritte o reclinate. Fuoriuscivano dalla pavimentazione  leucemica  somiglianti a omeri e tibie osteoporotici. 

Mu si adagiò al suolo.
Continuò a studiare quell’esposizione di pietre funeree…

Dei piedistalli, disposti disordinatamente, decoravano di un beltà spettrale la dimensione dormiente. Statue di Achille, Ettore, Aiace , Agamennone torreggiavano imponenti ed impotenti di reale gloria. Le loro membra , muscolose di splendore policleteo,   erano testimonianze futili e depresse di poemi ormai incantabili.
Busti di Leonida, Temistocle, Pericle , Filippo, Alessandro non pronunciavano alcun incoraggiamento a falangi di fanti e cavalieri.

Pulsavano , sparpagliati come pastori nomadi, enormi archi a tutto sesto: portali in cui erano sigillate,  nel  sogno perpetuo, le menti di sovrani e strateghi.
Ogni anima  era avvolta all’interno di sudari arborei, sindoni di liane d’oppio custodite in mastabe deflorate di ceri  commemorativi.

In quell’immensità di  sagrestie reclinate,  Mu colse dei  fragili palpiti.

Uno spirito pareva non fosse totalmente addormentato.
Scuoteva guaiti di smunto ferro, pari ad un triangolo picchiettato da una bacchetta arrugginita.

L’adolescente cominciò a correre voltandosi in tutte le direzioni.
Le lapidi volteggiavano sopra i  papaveri come colli di giraffe che si protendono verso foglie d’inesistente  luce…Pilastri, sculture, elmi, sguardi socratici…Silenzio…

Alla fine,  un singolare arco di granito grigio.
Capillari violacei e dilatati ne agghindavano la superficie  somiglianti a saette che venano di lacrime elettriche un cielo di nottambuli rovesci.
Tra le  colonne quadrate  era disteso, su un altare, un giovane dai capelli blu con l’armatura dorata.
Il corpo alto e possente era imprigionato da  tentacoli vegetali. 

Saga non aveva ancora sigillato le porte del tempio della coscienza.

Il tibetano  restò, tuttavia,  sgomento.
 
Innanzi a quel monumento di moritura maestosità stava seduto un secondo uomo.
Era addossato scompostamente al pilastro di sinistra…
Aveva le gambe divaricate, un braccio posato su un ginocchio e una mano che stringeva il collo d’una triste bottiglia.
La testa ciondolava in avanti e la lunga e folta capellatura grigia gli occultava il viso. Era vestito solo di sbiaditi pantaloni  blu e i suoi piedi calzavano  calighe di cuoio sciupato. 

Mu non capiva se si trattava di un anziano e depresso anacoreta o di un giovane consunto prematuramente.
Si avvicinò…
Non ebbe più dubbi. 
Una caustica mestizia  lo afferrò…

Si trovava davanti un ragazzo, un ventenne. Era piuttosto alto e  dotato di un fisico scultoreo imbrunito da polveri di zolle e pietra. La sua bellezza sembrava quella di una statua trascurata da un restauratore o dimenticata da un antiquariato.
I muscoli non folgoravano maestria atletica : restavano impacchettati in un alone d’asmatica e repressa rabbia.
I capelli  mostravano  uno strano e  corposo inaridimento: fili grigio scuro e grigio chiarissimo si alternavano in un’ orditura di carbonizzata borea.

- Vattene…- biascicò catarroso il giovane.

Mu non si mosse.
Un brivido lo percorse nei tendini e nella spina dorsale…

Il misterioso uomo sollevò il capo. Il  volto era leggermente allungato, la pelle si svelava  infoscata  da un astio ferrigno, gli zigomi e il bel naso disperdevano un’eleganza contraffatta e inacetita … Cateratte  di sangue contaminavano gli iridi verde scuro in un biforcuto bagliore assassino.   

Il cavaliere dell’Ariete si raggelò.
Impossibile.
Quel ragazzo non poteva essere il custode della Terza Casa.

Non poteva essere Saga.
Gli somigliava tanto…gli somigliava troppo…

“ Non ci credo! rifletteva Mu Gemini giace sotto l’arco! Lui chi sarebbe?! Ha un cosmo identico a Saga…però…è spaventosamente denso di nero…No…è una copia? È un incantesimo?”

Venne divorato dallo sguardo del truce figuro...

“ Non mi sembra per nulla una magia di Icelo o Morfeo…lo sento reale…però…anche surreale…non capisco…ha un’aurea concreta e sfuggente…”

- Allora?! – insisté con sfatta irritazione l’interlocutore -  Te ne vai?! Qui non c’è nulla da guardare!

La sua smorfia aggressiva mostrò file di denti  bianchi e lucidi di negatività.
Mu resistette nella sua immobilità d’ansia e stupore.
Gli occhi verde acqua non esitarono né a comprimersi né a virare…

- Sei sordo?! – esclamò l’uomo – Ho detto di andartene!! Qui non c’è nulla da guardare…Nulla da fare…
 
Lasciò  salire la cerniera del silenzio…
Reclinò di nuovo il cranio all’ingiù  come una lugubre marionetta…
L’allievo di Sion corrugò la fronte con amara e pungente curiosità.

- Tu…- chiese vibrando leggermente – tu…sei Saga di Gemini?

Il guerriero ingrigito  alzò brutalmente la testa.
Dilatò gli occhi all’inverosimile uguale ad un posseduto.
Scattò in piedi con morbosa agitazione.

Guardò Mu iniziando a ringhiare  dispnea.
Seguitò a tacere e deglutire.

Alla fine,  sorridendo nevrastenico,  rispose:

- Sì…Mi hai trovato…Sono Saga…Saga! Saga!

Con gesto omicida fracassò la bottiglia per terra.
Il tibetano indietreggiò.
Guardò il vino sbranato e i cocci di vetri come fossero pezzi umani brutalizzati.

- Non…non capisco…- balbettò confuso – come puoi essere…Saga?!

Il nefasto soggetto avanzò con minacciosa ed appesantita lentezza: 

- Perché ti meravigli? Sono un miserabile…Un miserabile bastardo come voi altri…Siamo servi delle stelle! Schiavi in belle armature pronti ad ammazzarci e ammazzare!

Rise con triste scelleratezza.

- Sai qual è la cosa che mi distingue ?  Sono smembrato…Appartengo a due mondi ma rimango un forestiero in entrambi…come fossi una bestia di nullità…Seguo una logica insensata perché son frutto di un abominio * ….Sono maledetto…

Mu non sapeva cosa obiettare.
Era atterrito da quell’essere, quel doppio che il Gemini dalla capigliatura d’oceano non lasciava parlare…
Che significato voleva assumere tale sacerdote  apocrifo?
Era  soltanto una proiezione soggettiva ? Uno spettro che incarnava il terrore di precipitare nella violenza? Era veramente una parte di  psiche ascosa?
L’allievo di Sion avvertiva un certo spavento nell’appoggiare la seconda tesi…Al Santuario si encomiavano le virtù di Gemini…Possibile  esistesse qualcos’altro?
Niente era escludere e l’oscurità celata si rivelava un orizzonte probabile…

- Saga – disse il tibetano cercando di imbrigliare la situazione -  credo che chiunque si senta forestiero davanti all’imprevedibilità della sorte…Non conosciamo bene la nostra dimensione e neppure altri ed invisibili mondi…Vaghiamo sia nella luce che nell’ ombra senza capire a fondo  chi sia l’una e chi sia l’altra…Dobbiamo però continuare a cercare, a riflettere,  imparare a sentire e…

- Meravigliose le tue parole! – sbottò acidamente l’altro – come puoi dire questo quando ami?! Eh?! Ci hai pensato?!

- Certo…L’amore è fonte di creazione…E’ una strada che fa comprendere una moltitudine di cose…

- Sì. E’ una strada che ti fa comprendere quanto la felicità non esista! Quanto tutto faccia parte del nero assoluto! L’amore è un demone! E’ un demone! Ami, giusto?! Te lo leggo negli occhi! Hai amato i tuoi genitori e ti sono stati tolti. Ami tuo fratello e  lo fai piangere perché sai bene che il futuro potrebbe ucciderti. Ami i tuoi amici per imparare a suicidarti con loro. Ami una donna…uno dei più grandi guai che  possa capitare….

Mu s’infilzò nel silenzio.
Saga cambiò espressione...Il suo buio si fece inaspettatamente dolce…Dolce,cedevole e più letale…

- Sarà  bellissima, vero ? – domandò – sogni di alzarti in volo con lei…Pensi che quando ci farai l’amore otterrai la perfezione…Conquisterai il potere ineguagliabile di far diventare la carne spirito e lo spirito carne…La gioia non è che un’adorabile faccia del dolore…Le farai male, Mu…Nell’attimo in cui avrai la sua verginità le procurerai sofferenza…La invaderai come stai facendo adesso col cuore…

Il cavaliere dell’Ariete si sentì schiacciato e con le vertebre slegate.
Pensò nitidamente a Leira…Si vide devastato dalla finitezza.
Chiuse  le mandibole.
La realtà gli appariva perfida ed assurda. Amava follemente quella fanciulla; desiderava donarle qualunque realizzazione, qualunque piacere. Cosa stava facendo, invece? Causava patimenti e patimenti…Scatenava in lei l’angoscia e  quando un giorno  si sarebbero congiunti in un letto le avrebbe dato  dolore….Lui che l’amava oltre l’anima! Lui!  

- Afrodite è la dea più odiosa dell'Olimpo – sentenziò Saga-  È un’amante golosa e dispotica. Si unisce all’ebbrezza di Dioniso, alla raffinata mente di Apollo, alla violenza di Ares, alla tenebra claustrofobica di Thanatos, alla crudeltà del Fato… È una dannata usuraia… Ti dona una breve illusione per poi pretendere tutto il tuo sangue…

Mu afferrò l’Occhio dell'Ariete.
Tastò l’ignifero bronzo della superficie…Gli parve di sentire le scintille di Apeiron, quell’esedra su cui s’adagiavano trasparenze di vedute…

- Dici il vero – ammise – i nidi del dolore sono innumerevoli e l’Amore li conosce bene…E’ grazie a tutto questo però che apprendiamo  a camminare e a correre…Amiamo e ci struggiamo…Amiamo per poter vedere ancora meglio il mondo, per costruire al di là di ogni barriera. La sofferenza è un duro prezzo ma la si  paga volentieri se si guarda sempre l’alba…

 Saga  venne disarcionato.
Si zittì con le labbra dischiuse ed amarognole…
L’apprendista di Sion  gli trapassò gli occhi.
Aggiunse  con indescrivibile afflizione: 

- Hai …hai amato tanto, vero? Ami ancora…magari con più devastazione di prima…

Il Gemini cinereo  serrò le palpebre.
Strinse i pugni.
Tremò come un suolo vulcanico.
Improvvisamente dei rigagnoli gli scivolarono giù dalle ciglia appuntite.
Non erano lacrime traslucide.
Erano code di sangue. Sembravano fregi di un guerriero tribale conscio di perdere una battaglia prima ancora di iniziarla.

- Mi sono stufato di credere – cominciò a singhiozzare l’uomo- ne ho avuto abbastanza…Non ho più voglia di proseguire…E’ una disgrazia sperare…E’ tempo che ti uccide e basta…Ti uccide…

Si massaggiava nervosamente il viso imbrattandosi di rosso…

- Sarebbe meglio scordare…scordare…- vaneggiava rauco – non si può fare purtroppo…No…No…Bisogna restare fermi…Rincretinirsi  di sogni morti…senza ieri, senza oggi, senza domani…Quando non si può ottenere nulla è meglio…

Mu lo guardò addolorato:

- E’ questa la tua prospettiva? Diventare cieco? Lasciarti affogare?! Cadere in un infinito di oscurità per paura di cercare un infinito di luce?!

Saga esplose in un pianto di risa psicotiche e disperate.
Si chinò per prendere uno dei frammenti acuminati  della bottiglia.

- Credi ancora nella luce, Mu? – esclamò  canzonatorio -  l’infinità è vuoto. Vuoto.

Con gesto fulmineo si sgozzò.
Il tibetano assistette impotente all’esecuzione.
Il giovane,  grondando catene di sangue, si accasciò al suolo.
Si dileguò in una nube scura…

Si infiltrò nel corpo del Saga dormiente.

Mu, evitando di lasciarsi stordire dallo shock, si precipitò sotto l’arco.

Gemini giaceva supino avvolto dalle lingue dei papaveri soporiferi…
Scuoteva mollemente il capo…Trasudava un pallore  di pacifica e defunta sottomissione…
Il suo sguardo era completamente sigillato…

- Saga!  Saga! Svegliati!

Nessun guizzo.
L’adolescente prese a strappare e distruggere i fiori di Morfeo.
Ogni febbrile sforzo fu vano: i vegetali si ricostituirono più robusti di prima.

- Padre…madre…- sussurrò Gemini.

Il discepolo dell'Ariete corrugò la fronte…

La Morfia incatenava i prigionieri con infide ed amene costruzioni: riponeva su una falsa scacchiera pedine di affetti immensi e preziosi….Faceva vivere in quel modo la vittima attirandola in un’eterna gola di eutanasia.

- Aiolos…- continuava a farfugliare Saga- Calipso…

Mu riuscì a frantumare alcune liane di piante, infilò un braccio sotto le spalle del guerriero e gli mise l’altro dietro le ginocchia…
Doveva  incendiare l’occhio dell'Ariete.
Elevò il proprio cosmo spargendo fontane di fuoco.
Scie di giallo, arancione e rosso presero a sbocconcellare le arterie verdi dei papaveri…
 
- No..no…- gemette Saga.

Le piante sembrarono  rinvigorirsi.
Il tibetano provò una fatica immane a sollevare il compagno. Le edere tornarono  ad attorcigliarlo.

- Gemini…ti prego! – lo implorò – è una trappola! È una menzogna!

- No…no…

- Gemini!

Mu dilatò ulteriormente il proprio spirito.
Propagò le fiamme con maggiore violenza.
Incendiò  i vegetali comatosi.
Con sforzo sovrumano, che per poco non gli lacerò le vene del corpo, strappò via il custode della Terza Casa dalle trame  della morfina mendace.

Cadde all’indietro.
Il prigioniero gli precipitò di lato.

- Saga! Saga !

Il guerriero dell'Ariete si mise in ginocchio scuotendolo.

- P -perché? – tartagliò impastato Gemini.

- Saga! Mi vedi?

Il giovane , dalla chioma blu, spalancò improvvisamente gli occhi.
Erano annuvolati di rosso.
Le sopracciglia si contrassero in un’espressione di terrificante e piangente collera.
Scattò a sedere.

- Perché ?! – gridò insanamente – perché mi hai distrutto?!

Mu era impietrito.

- S- Saga, io…

- Maledetto! Finalmente tutto era perfetto!

Sferrò un pugno al  soccorritore che si trovò il naso e la bocca sanguinanti.

- Cosa ti prende?! – esclamò  il tibetano con gelido sgomento.

In quel momento il greco cambiò espressione…Il vermiglio astioso ed invasato gli si sciolse dalle orbite…Gli iridi tornarono verde nobile e scuro…

- Cielo, Mu! – balbettò tramortito e vergognato di sé stesso -  che ho fatto?

Si mise una mano in testa sgranando gli occhi spaurito e sconnesso.

- Perdonami – ansimò tremolante – ti scongiuro, perdonami! Non capisco più niente…

- Saga…

Il paladino dei Gemelli svenne , bruciato ed irrisolto, tra le braccia dell'allievo di Sion.
 

 

Due fiamme mormoravano nella tenebra.
Si ergevano, coi loro ventri ampollosi e frastornati , su piatti di bracieri stagionati di umidità. Erano chiome che  intrecciavano danze d’indemoniata insonnia.

Quella coppia di creste sfrigolanti  sorvegliava  una grande nicchia: una concavità semicircolare di roccia rattrappita e sfiancata.
Al suo interno vi era riposto un angustiante manufatto.

Un’armatura con le fattezze di una strana bestia...Senza dorature…. Senza filigrane di bagliori e cesellature.

Ohen *  la fissava tremebondo.
Gli  occhi grigio azzurri scorrevano impauriti, eccitati e disgustati sulle sue forme…
Che razza di creatura rappresentava mai ? A quali astri apparteneva?
Possedeva il cranio aguzzo di un coccodrillo: le linee delle narici, dei denti sciabolati, delle sopracciglia circonflesse si rivelavano laccate di un verde scurissimo e smeraldino eguale alle ali umidificate d’uno scarabeo. Due catenelle di squame argentate e spinate percorrevano la superficie del lungo muso somiglianti a pezzi di vetro conficcati sadicamente in carni dure.
Ad addobbare rognosamente  la testa orizzontale, una criniera leonina di filamenti d’ottone  che  terminava formando  una punta  di  freccia.  
Un  busto muscoloso di pantera e massicce zampe posteriori d’ippopotamo conferivano  un’enigmaticità regale e spaventosa a  quell’assemblaggio metallico decantato da soavità… Ciascuna zampa ossuta, ciascun artiglio, ciascuna costola emanava un’aura oscura borbottante di rifrazioni sanguigne.

Gocce  di sudore  evacuarono  dallo spirito.
Il ragazzo  avvertì le tempie bagnate e la fronte che  doleva atrocemente.
I lunghi e selvaggi capelli castano scuro assorbivano,  tra le loro onde, gli aloni ansimanti delle fiaccole sentinelle.

- E’ magnifica, vero?

Il giovane si volse freneticamente alle proprie spalle.
Scanalò il tenebrore circostante.
Scorse la presenza di una creatura.

Un paio di occhi rossi dagli iridi spigolosi e una fila di sogghignanti denti spuntati…Era un cane.
Un cane spaventosamente bizzarro e grande. Pareva un ibrido tra un lupo nero ed un levriero. Aveva un corpo snello, forte e scannellato dettagliatamente da muscoli nervosi. Gli arti erano nodosi e dotati di sinistri unghioni.
La coda si mostrava simile a quella di una volpe mentre le orecchie  rettangolari richiamavano vagamente quelle d’una lepre.

Ohen era terrorizzato.
Il cosmo che proveniva dal canide non era normale e neppure apparteneva ad un semplice demone.
Espandeva il potere annientatore di un dio.

- Cosa c’è ragazzo? – domandò l’essere -  Hai prosciugato il fiume delle parole?

Rise facendosi avvolgere da fumi serpentini.
Mutò aspetto.
Apparve  un uomo dalla carnagione olivastra e di statura elevata. Aveva un corpo atletico smussato con elegante rozzezza: i contorni degli ampi pettorali e degli addominali  erano incisi violentemente con precisione geometrica. Le fibre dei deltoidi, dei bicipiti, dei quadricipiti emergevano striate e pulsanti di guerra. Diverse vene varicose sormontavano finemente gli avambracci e le mani lunghe e robuste.  
 
L’adolescente desiderava volare via di lì.
Non conosceva l’identità di quella macabra entità, ma  una cosa era certa: non aveva alcunché di greco o nordico. Il suo  capo era cinto da una corona   di mogano  ornata, al centro,  da un cranio di cane in ossidiana. Portava un gonnellino rosso scuro, una cintura nera orlata d’oro,  sandali infradito color inchiostro e  bracciali di ferro. Una coppia di spalliere appuntite e borchiate erano tenute ferme da spesse cinture di cuoio che s’incrociavano sul torace. Al centro di esse un diadema sanguigno ritraeva la lama di un pugnale.
Il viso del dio, dalle fattezze più inquietanti che belle, possedeva un’ affilatezza euritmica:  le mandibole scendevano taglienti; gli zigomi erano alti e sporgenti;  il naso segnava una sagoma sottile e diritta;  le labbra, non eccessivamente carnose, si coloravano di un marrone bruciato e riarso.
Le pietre più terrificanti erano gli occhi che, contornati pesantemente da  khol, saettavano allungati e crudeli. Le loro orbite rossastre contrastavano con le pupille che traforavano ruote di iridi giallo biancastro.
Una chioma liscia, nera, lunga fino a metà petto,  traspirava in una mobilità fluida ma inamidata. Ciascun cordoncino di capello era pesante, bagnato da riflessi bluastri, tagliato con tetra accuratezza. Le uniche scomposte ciocche oscillavano sull’alta fronte della divinità  dominata da sopracciglia di corvo.

Ohen respirò tentando di prendere coraggio.
Guardò lo spaventevole essere che aveva di fronte.

- Chi…chi diavolo sei? –  chiese con aggressivo timore.

- Per quale ragione ti dovrei guastare la sorpresa? – rispose il dio -  Avrai l’onore di conoscermi approfonditamente molto presto…Mi vedrai affianco del Sonno e della Morte, mi vedrai nel regno della Notte. Albergo vicino ai cieli del Sogno, della Morfia, dell'Illusione, della Fobia…Sono la Tempesta senza la quale il Sole non può proseguire la  corsa di rigenerazione nelle ombre e nel mattino. 

Ridacchiò ostentando placche di denti d’avorio seghettate. Delle gengive nere gliele ponevano in risalto crudamente.

- Che intendi dire? – esclamò il ragazzo.

- Non posso rivelare molto Ohen,  ma ti anticipo un assaggio di ciò che si prospetterà: otterrai la somma facoltà di indossare quella splendida panoplia differente da qualunque armatura di Atena.

- Cosa? ! Non capisco…

- Sei stato benedetto, mio caro giovane. Gli dei desiderano elargirti la loro magnanimità offrendoti una nuova via. Una dignità che nessuno è stato mai in grado di donarti. Vivrai veramente come si confà ad un guerriero della tua tempra.

L’adolescente guardò con ansioso scetticismo la corazza.
Le sue membra vennero squassate da brividi di incertezza e vulnerabilità.

- Che volete da me? – scandì spazientito.

- Vogliamo consentirti di realizzare un reale destino. Il Santuario di Atena vuole demolirti e giustiziarti in modo oltraggioso, lo sguardo dell'Ariete ti ha spudoratamente rinnegato come fossi la carogna di un infimo brigante…E’ questo l’orizzonte che più ti aggrada?

- Non me ne frega nulla della Grecia, delle stelle, degli dei! Desidero solo vivere! Vivere lontano e dimenticato! Vivere con Nemi e basta!

Il dio rise con rumorosa perfidia. Aveva una voce vecchia e  sgangherata che tuttavia lasciava cogliere note di giovinezza ferrata e spietata.

- Povero Ohen! Sei capace davvero di ignorare le traiettorie del nostro Empireo?

Il ragazzo gemette.
Un dolore allucinante gli martellò la fronte.
La toccò.
Dalle due macchie violacee sgorgava sangue. 

- Pazienta un altro po’ – sogghignò la divinità-  ogni interrogativo ti sarà rivelato e finalmente potrai compierti nel potere più immenso: resuscitare le tenebre e dominare la metamorfosi del nulla.

Il giovane  mise le mani sulle orecchie urlando.
Il sangue gli colava.
L’incomprensibilità  lo deteriorava.


- Ohen! Ohen!

Emerse da quel bagno d’incubo.
Sbottonò lentamente i tendaggi d’appannamento.

- Ohen!

Mise a fuoco: sopra di lui,  il visetto angustiato di Nemi.
Un’ampia e pesante tunica beige le evidenziava il corpo magrissimo. La nuvolosa chioma castano scuro le fumeggiava con agitazione.

- N-Nemi…- balbettò stemperato.

- Cielo! – fece lei – cosa ti è successo?!

Gli passò un panno inumidito sulla fronte.
Lui si alzò a rilento, intorpidito.
Squadrò la realtà circostante: era su un terreno erboso in discesa. Ad una dozzina di metri di distanza scorreva un torrente tra sponde di bambù e alberi di sandalo:  era un affluente del fiume Giallo.
Il ragazzo riacquistò la cognizione del tempo.

- Nemi! – rimbrottò teneramente – perché non sei rimasta dentro la vecchia capanna?!

- Non fare domande stupide! Potevo starmene  ferma quando ti ho visto svenuto qui per terra?! Dove stavi andando?! Non è neanche spuntato il sole!

- Ti sei buscata una bella febbre e  stavo cercando delle erbe per…aaah!

- Ohen!

Il viso del giovane era contratto in una smorfia sofferente.
Si toccò le due macchie violacee al di sopra delle sopraciglia: erano ferite.
La fanciulla tornò a disinfettarle preoccupata.

- Come mai ti sanguinano? Stai male?

- N-non ne ho idea…Qualche minuto fa non avevo niente…Ero vicino al fiume  e  improvvisamente mi è venuta un’orrenda nausea…Ho sentito il cuore che mi si fermava e poi…non ricordo…ho praticamente dormito…

Nemi lo fissò con gli  occhi marroni che splendevano sulla pelle di trasparenza emaciata.
Ohen tentò di tranquillizzarla con un’occhiata dolce e di fittizia sicurezza.
Non voleva provocarle altri turbamenti. Era meglio non raccontare il terribile sogno fin troppo razionale  per essere accantonato…Quell’armatura…Quella divinità…Erano elementi veramente allarmanti…

- Amore…- mormorò seria la ragazza – dimmi…c’è qualcosa di strano?

Il ragazzo fu costretto a sotterrare i  tormenti. Baciò sulle labbra l’amata:

- Non preoccuparti…i flussi energetici del cosmo fanno brutti scherzi…i poteri possono provocare strambi imprevisti…

- Sei sicuro? Non c’è nulla di grave?

- No. Ora l’unica cosa a cui devi pensare è guarire…Sei bella delicatina! E’ meglio che torniamo alla capanna…

Il giovane tirò fuori dalla tasca dei pantaloni delle piantine verdi.
Nemi sorrise tossendo.

- Sei in grado di preparare delle tisane risananti? – domandò un po’ scherzosa.

- Dubiti, mia cara? Devi rimetterti in sesto! Ormai siamo ai confini  del Tibet e i soldati del Grande Tempio sono lontani  parecchio…

- Non vedo l’ora che tutto sia finito…

- Hai ragione…Dobbiamo avere solo un po’ di pazienza…

I due si abbracciarono e salirono la collina per rientrare  nella  casupola  in cui erano rifugiati.

Ohen esaminò con sussultata attenzione il cielo…
Le orme serotine non erano state ancora congedate…Alcune nubi , somiglianti a gondole nere,  veleggiavano intransigenti e ciniche verso l’aurora nascente  come fossero coscienti che tanto sarebbero di nuovo risorte alla semina della notte successiva.

“ Un prescelto dell'Ariete,   nato durante l’equinozio di primavera con le macchie sanguinanti, aiuterà le tenebre a tessere il loro velo di morte. “*

Le parole di quella  profezia cominciavano  ad assumere una materialità  angustiante…
Il guerriero tentò inutilmente di trascurarle ma la voce del suo odiato e dipartito Maestro balzava nella mente…Era stato quell’uomo spregevole a rivelare  il vaticinio che circolava nel suo villaggio natale…
 
Doveva scaricare, scaricare…Gettare quelle scorie in abissi macellatori…
Sapeva che era improbabile.
Strinse a sé Nemi per avvolgersi in una catarsi, in un circolo antistaminico e frugale.

Dalla sommità d’uno sperone roccioso, una coppia di sagome aveva assistito alla scena.
Uno sguardo arancione. Uno sguardo viola.
Una chioma bionda e selvatica. Una chioma nera e piumata di rapacità.

Due mantelli rosso scuro.
Due offuscati sorrisi  di complicità.

Radamanthys ed Eaco avevano compreso che i tempi della loro attesa erano agli sgoccioli.
La missione si stava avviando  verso l’ovest nero…

 

 

Mu portava sulle spalle l’inerme Saga.
Camminava prudente sui sentieri della Morfia, dinanzi alla levigatezza  fidiaca degli archi.
Osservava le corone dei papaveri come fossero ali di farfalle etiliste di stordimento letale.
Aveva spalancato tutti i sensi affinché potesse recepire ogni briciolo di energia per giungere da Sion.
Nel suo cuore centrifugavano barbagli di paura, domande, ante che sbattevano e si aprivano in balia di correnti di scirocco o di phon…
Gemini gli aveva iniettato un subbuglio assai difficoltoso da seppellire: l’apparizione di quella  copia dai capelli argentei…il pugno che gli aveva assestato in preda ad un’innaturale rabbia…
Quanti truci misteri si dispiegavano all’ombra della Terza Casa?
Dovette  lasciarli da parte perché stava prevaricando un’angoscia più feroce: il pensiero di perdere la propria guida.

Cosa sarebbe successo se non fosse riuscito a riavere il Sommo Maestro?

Il ragazzo sentì i cantieri del proprio spirito barcollare…
Non poteva esistere l’ enzima in grado di catalizzare un processo distruttivo per l’Orrore?
Non ne poteva più.
Erano trascorse meno di due ore ma era come se stesse combattendo da un’eternità.
Il tibetano era pressato da noduli di lacrime, ville di decadenza…
Si trovava ramingo nello sconfinato regno di Morfeo, tra statue azzerate di virtù, corazze oplite rosicchiate dalla vacuità sfaccendata…
Ciascuna animo d’armigero era  un Orfeo piangente che aveva reciso le corde della propria cetra…

L’adolescente sbatté violentemente contro uno spettro d’efebica puerizia: sé stesso.

Grande Mu”…Meritava realmente tale appellativo?
Chi era?
Il prossimo cavaliere dell'Ariete? Un magnifico guardiano che avrebbe indossato vestigia di aurea essenza?
Chi era?
Un quindicenne orfano sballottato dalle furie degli astri?
Sì…aveva quindici anni. Solo quindici anni. Non era più un bambino e non era neanche un adulto. Nuotava nell’odioso canale dell’incompletezza, nella depressione di sentirsi un tetraplegico sogno che mai si sarebbe alzato.

Remava senza scorgere alcun colosso che fiammeggiava sul porto di una sublime Rodi.     
Sion non era lì…
Sion era seppellito lontano.

Il pianto iniziava ad arroventare la vista.

Mu desiderava essere tra le braccia della sua guida. Del suo Sacerdote.
Desiderava sentire le carezze che gli faceva da bambino quando gli  attenuava  la durezza degli addestramenti, quando gli faceva capire  che avrebbe sempre vegliato sulla sua corsa…
Gli conferiva la certezza che,  se avesse perso l’equilibrio ,  l’avrebbe afferrato. In qualunque giorno. In qualunque notte. In qualunque mondo.

Mu…”
   
Il ragazzo sentì il cuore infiammarsi.

Mu…”

Era un tono caloroso, dimesso, dipanante di forza disarticolata.
Era lui.
Sion.

Smettila di piangere…”

- Maestro! – sussurrò il tibetano lacrimando.

Non piegare…il capo…Tu…tu…sei il Grande Mu...”

Il cosmo dell'uomo si ammutolì.
Una tenue scia di sole scaldò le frigorifera volta della Morfia per poi sciogliersi.

Mu seguì la sua provenienza.
Captò le vibrazioni della Guida.
Erano deboli ma il sonno non le aveva ancora estirpate.

Riuscì a sorridere.
Riuscì  ad odorare il tatto della luce.

L’origine di un legame sconfinato di cateratte.
Si addentrò nell’ingenuità…
Nel biancore di un piccolo di quattro anni. 
 

 
Effusioni di giallo. Giallo semolato, pagliato. Giallo imprendibile.
Mulinavano, in quelle aste di luce, microscopici acini di polvere : moscerini albini che si scatenavano in danze di sonnolento e dolce nervosismo.
 
Le falangi solari si conficcavano nel tempietto dell'Ariete bianco.
Dalle finestre tondeggianti, della parete di levante,  si calavano fascine dorate che irroravano tutto l’interno.

Il piccolo Mu rimirava l’ariosa navata centrale sorretta da una dozzina di  colonne lignee.
I capitelli e gli abachi erano decorati da motivi floreali ed  eleganti scie d’edera che si attorcigliavano lungo i fusti cilindrici.
La ricchezza di quegli ornamenti s’integrava con la ieratica  sobrietà delle pareti, affrescate soltanto da un  lieve rosso che vaporava  torpore  influenzale.

Magnifica era la possente statua del Montone.  Torreggiava, nella zona absidale,  su un altare di granito  intagliato da  cellette esagonali  similari a quelle di un apiario.
L’animale era stato raffigurato in procinto si saltare col cranio inclinato e regalmente ammonitore. Il corpo lanoso e forte possedeva la materia porosa del calcare. Le zampe snelle e muscolose erano di legno massiccio dipinto d’oro. Le corna  circolari,  di un’ illibatezza demoniaca,  avevano la solidità dell’avorio.  Nelle orbite oculari della sacra creatura erano stati incastonati due rubini. 

Dinanzi a quel monumento , stava un uomo: un giovane d’immensa e solatia avvenenza.
Portava una semplice camicia  bianca orlata di amaranto e  pantaloni grigio perlacei. Le forme belle e atletiche del suo fisico restavano foderate in una fortezza di Priamo e in un’ amabilità da cherubino.
I capelli lunghissimi ,  un po’ scossi all’estremità, parevano tratteggi  di lacrime d’astri dorati. Tra quei filamenti si perdevano biglie  d’arcobaleno e berillio.
La meraviglia che piacque più di tutte a Mu fu il viso. Le gote e il naso erano  spatolati  da un ‘atemporale freschezza, la bocca si mostrava squisita di gardenia, gli occhi  , leggermente a mandorla, lasciavano brulicare un vermiglio sanguigno e abissale di vita. Nessuna patina cruenta caldeggiava su di essi. La mondezza di quella coppia di medaglie poteva essere sfogliata come un sacro vangelo.
Due nei viola chiaro conferivano pregio ad una fronte forbita.
 
- Sei cresciuto, Mu.

La voce dell'uomo si sposò incantevolmente con la tenerezza di un fascinoso  sorriso.
Il bambino restò ammaliato e in soggezione.
Ruotò gli occhi prima a destra dove stava la madre, poi a sinistra dove si trovava il padre.
I genitori lo rassicurarono con sguardi limpidi e amorevoli.
Era giunto il momento di conoscere il leggendario Cavaliere dell'Ariete, colui che  sarebbe stato la sua Guida. 
Mu non aveva compreso fino in fondo il significato di quel termine, ma aveva intuito che il misterioso guerriero rappresentava qualcuno di enormemente importante. Qualcuno che lo avrebbe cambiato per sempre. Sentiva un gioioso timore che non era ancora in grado di leggere ed apprendere.

- Su, tesoro. Vai…- gli bisbigliò la mamma.

- Stai tranquillo – lo incoraggiò il papà.

Il piccolo avanzò di qualche  mingherlino  passo.
S’inchinò, un po’ maldestramente, cercando di proporsi il più composto possibile.

L’uomo gli andò in contro flemmatico e morbido.
Si chinò davanti a lui  guardandolo con divertito affetto.

Mu alzò timidamente le lunghe ciglia nere.

- Sono il Maestro Sion  Fau-Do – si presentò dolcemente il paladino – i tuoi genitori ti avranno parlato di me, immagino.

Il piccino annuì in silenzio.

- Sei mio allievo da tanto tempo – svelò il cavaliere- ti vidi  la prima volta quando avevi meno di un mese.

Mu  venne fulminato da un’inattesa visione…Si vide frangibile e ancora minuto, avvolto nei panni del prologo vitale.
Un vigoroso braccio lo avvolgeva protettivo. Un viso meraviglioso lo illuminava. Una mano gli toccava la fronte…

- Piccolo Mu… in nome d’Atena, t’infondo tutta la luce del mio bene, affinché dentro di te si svegli l’energia latente del  cosmo… Sarai il mio apprendista e giuro, sul sangue del mio cuore, che ti condurrò sulla via della Luce e della Conoscenza. Che l’Occhio dell’Ariete dimori perennemente nel tuo animo e vegli sul tuo destino.

Il bambino spalancò lo sguardo. Era riuscito a rammemorare  un lampo di quel giorno…quel giorno in cui Sion lo benedisse nominandolo  discepolo…
Un gesto lo colpì particolarmente: la propria mano minuscola che afferrava,  giocosa e piena di fiducia,  un  dito del Maestro…*

- Hai dei poteri speciali – gli disse l’uomo guardandolo profondamente.

-    Sì – ammise piano il bimbo – riesco…a…muovere le cose s-senza toccarle…

- In che modo?

- Con questa…

Mu si tamburellò una tempia.

- Sento che c’è qualcosa dentro la mia testa che mi fa fare dei pasticci…

- Dei pasticci? – chiese Sion sorridendo.

- Sì- confessò il piccolo chinando il capo e raccogliendo le mani dietro la schiena  - faccio volare gli oggetti ma poi li rompo. Non riesco a tenerli in alto. Io non sono cattivo. Non voglio far arrabbiare il papà e la mamma. Mi sento tanto triste quando rompo un piatto o un vaso…

Il Maestro rise tenuemente sfiorandogli una guancia con le dita.

- La mente è uno strumento molto difficile da usare – gli spiegò – ti insegnerò a controllarla, così diventerai bravissimo! Solleverai anche  oggetti molto grandi!

L’apprendista lo fissò pieno di entusiasmo.

- Davvero? – domandò – farò volare le rocce?

- Certo! Ogni cosa enorme…adesso però devo mostrare all’Ariete che sei mio allievo.

- Non lo sono già?

- Sì, ma è fra tre mesi che daremo inizio agli addestramenti. Con questo piccolo rito entri nella  schiera  dei paladini di Atena, la dea che difende la pace.

- Che cosa dovrò fare?

- Nulla. Basta che mi segui.

L’uomo si eresse in piedi afferrando con delicatezza la manina destra di Mu.
Lo guidò verso l’altare del Sacro Montone.

Mentre camminavano il fanciullino s’ipnotizzò al contatto della pelle del saggio. Il palmo di quella mano era caldo,  plissettato da lotte, annaffiato dal sudore di afferrare codici di verità occulte.
Era giovane l’ epitelio ma un’anzianità ermetica e mesta ne affaticava la  verginità ormai vidimata dal disincanto della sofferenza.
Il piccolo non era ancora in possesso di una lucidità adulta però già si arrampicava, con empatia,  su  quei i terrapieni  di segreti.
Sion lo lasciò un attimo.
Si inginocchiò  davanti l'Ariete prendendo una chiave riposta su un piccolo treppiede di rame dalle zampe caprine.
La facciata frontale dell'altare cubico era in realtà un’anta. Una serratura microscopica si confondeva nel telaio della ricca decorazione.
Il cavaliere aprì quel portoncino come se dovesse far uscire uno spiritello da una dimensione fantastica.
Estrasse fuori un vassoio di alabastro sul quale erano posati un rasoio bronzeo, un bacile intarsiato di sagome  di loto,  un’ oinochoe * colma d’acqua e un panno di seta. 

Mu osservò interrogativo e un po’ agitato la lametta che aveva il manico a forma di testa d’ariete.

- Non preoccuparti – disse il Maestro placidamente – non sentirai male.

Reclinò la caraffa di terracotta e  riempì la ciotola decorata con i fiori.
 Si accostò all’ apprendista prendendogli lievemente il mento tra l’indice e il pollice.
Con la mano libera bagnò  il pannetto di stoffa e gli deterse  l’arcata sopraccigliare. Afferrò  poi il rasoio e iniziò a grattare piano, piano.

Mu chiuse le palpebre.
Avvertì i dentelli della lama raschiare  via la peluria che gli sormontava gli occhi. Era un’aratura fresca, gentile, pareggiabile alla levità dell'arco di un violoncello.
Le dita di Sion rivelavano suoni felpati di farina che lievita...

- Che il trono della tua mente sia  sgombro di nubi – proferì austero e soave il giovane – che le orecchie dei tuoi occhi possano udire sempre le lettere della verità. Che nessuna spiga vuota e riarsa contamini i campi dei pensieri che prenderai e farai nascere.

Passò un’ultima volta il lembo di stoffa inumidito sulla fronte di Mu.
Il rituale di purificazione della psiche era stato ultimato.

Il bimbo guardò la sua Guida. Guardò quell’eroe che l’avrebbe accompagnato.
Era bellissimo. Nelle membra. Nel vento che sprigionava. Nel cremisi degli occhi che cospargeva profumo di nobiltà ed empireo.

Dov’erano le ali di quel cavaliere?
Dov’era l’aureola che sorgeva sulla sua cuprea criniera?      

Il fanciullo balbettò  con speranzosa devozione:

- Voi… sarete…. il mio Spirito Custode?

Sion sorrise lasciando scintillare la sua collana di denti d’oro bianco.
Accarezzò i capelli dell'allievo luminosi d’innocente lilla.
 
- Certo, Mu.

- Diventerò un cavaliere?

- Diventerai un cavaliere fortissimo perché sarai un grande uomo
.
 

Una loggia di marmo bianco, sorretta da quattro colonne a forma di alloro, proteggeva una scultura d’elaborata raffinatezza.
Era un altare con le sembianze di un vetrato fiore di loto.
Gli enormi petali dischiusi erano rivolti verso un cielo cucito di nebbia.
Sovra i loro pistilli, d’artificiosa spugnosità , giaceva un uomo dai lunghi capelli biondi.
Era fasciato da sarmenti umidi come muschio, pomellati di papaveri.

Mu aveva trovato Sion.
Aveva udito la catena dei suoi battiti. Aveva raccolto le impronte del suo karma nell’atmosfera e nelle terminazioni della mente.

Doveva liberarlo.

Egli stava resistendo alla magia di Morfeo. Ansava, sudando freddo, comprimendo le meningi dell’intelletto inumanamente.
La fronte era corrugata e vibrante di risolutezza sanguinante.
Dalle mani e dal collo le arterie sporgevano soffocate e livide. 

Mu adagiò il corpo di Saga al suolo e si avvicinò al loggiato che opprimeva il saggio.

- I vostri patimenti sono finiti, Maestro.

Protese le braccia in avanti. Fulgori dorati gliele dipinsero di consonanze sideree…
L’Occhio dell'Ariete gli lumeggiò purpureo.
Doveva sprigionare sia temperanza che distruzione poiché bisognava annientare l’incantesimo della Morfia e preservare l’incolumità di Sion.

Chiuse lo sguardo.
Alzò le mani al cielo…
Fiumi di stelle sciolte si concentrarono sulle palme.

Spalancò le palpebre con iridi d’acqua fiammata.
Lanciò impetuosamente i bracci.

- Sturdust execution!!

 Gorghi di orbite galattiche divorarono marmi, colonne, carni vegetali.
Schegge di colonne, di petali pietrificati si devolsero in un annichilimento d’oro.

Bianco d’infinitezza.
Giallo di saline solari.
Ocra di piramidi.
Grigio di dolce spegnimento.

Sion, sdraiato supino a terra, non aveva più alcuna catena di morfina.
La sua tortura era cessata.
Lo spirito si sgonfiava di tossina…
La tranquillità non trovò tempo di sbocciare.

Il Regno del sonno prese ad oscillare improvvisamente.

Due fenditure fulminarono l’aria.

Morfeo ed Icelo comparvero davanti a Mu.

Erano rimasti sdegnati e stupefatti da quel prodigio di forza sovrannaturale.

Un alone allocroico s’espandeva dalle membra del guerriero.
Il suo torso, denudato, non era offeso da alcuna piaga di sofferenza. Ogni livida smaltatura di contusione pareva svanita.
La belle ed eleganti spalle non erano ammaccate da pesi. Sane e respiranti sembravano lisciate dall’ eccelso scalpello di Dedalo. I pettorali,  vigorosi di delicatezza, si muovevano lasciando udire il repertorio della teda cardiaca. Gli addominali, isole di simmetrica dolcezza,  emergevano come coltivazioni dalla superficie d’un’alluvione.
Il viso del giovane aveva assunto un’immobilità apollinea, analoga a  quella di un kuros anacronistico e contemplativo.
I cerchi delle pupille non bucavano più gli iridi. Restavano due sfere di verde lacustre bollate di gelo.
Le labbra erano serrate in una solidità di diafana quarzite.
I capelli lunghi e lisci danzavano con casta sregolatezza, simili alle indomite ed intoccabili ninfe di Artemide.

I figli di Ipnos indugiarono paralizzati.
Si sentirono inaspettatamente tumidi di tensione.

Mu stava lasciando sfociare una potenza quasi divina.
Bellerofonte doveva rifulgere il tal modo quando cavalcò Pegaso col brando sguainato per trucidare la laida Chimera.

- Sei stato bravo, Ariete – ghignò  nervoso l’Incubo – non sono convinto, però, che ti lasceremo svolazzare via di qui…

Il dio cercò di apparire il più minaccioso possibile ma persino lui stesso si accorse che la propria voce era settica di insicurezza. Somigliava al ringhio di un cane braccato in un vicolo mattonato. 

- Hai la faccia tosta di  guardarci in quel modo! Pensi realmente di farcela?

Mu si limitava a fissare i due dei con solenne e temibile inespressività.
Morfeo aggrottò le sopraciglia essiccando il volto in un tremolio inquieto.
Capì che qualcosa non andava.
Capì che le metope di marmo che componevano i frontoni del piano si stavano sbriciolando lentamente.  Lui e il fratello avevano creduto di poter incidere, a tutto tondo, la sequenza di un facile trionfo.

Si stavano sbagliando.
Non conoscevano veramente la natura dell’occhio dell'Ariete.
Non avevano previsto che Mu sarebbe stato in grado di issare vele d’incontrollabile incendio.

- Vedrai cosa significa sentirsi a pezzi,  ragazzetto! – ruggì Icelo.

- Fermati!

Il Maneggiatore del Sogno trattenne l’aggressore per una spalla.

- Diamine, Morfeo! Ammazziamo quest’insetto e prendiamo il medaglione!

- Sciocco ! Non hai percepito nulla?! L’allievo di Sion nasconde qualcosa! Dobbiamo essere accorti!

- Bene! Allora  portiamolo con noi e facciamolo cantare! Chissà se non ritornerà  a leccare  melma! 

Si scagliò animalescamente contro il cavaliere.

- No! Icelo!

L’Incubo afferrò , con la mano  artigliata, la gola di Mu.

Avrebbe dovuto ascoltare il fratello.

Il ragazzo gli attanagliò  l’ avambraccio e sgretolò, come fosse malta marcia, la corazza che lo proteggeva.

La morsa di quelle dita era eguale alle fauci di una  tigre asiatica.

Il Re della Fobia spalancò le palpebre sconvolto: i pezzi  dell’armatura  caddero  a terra. Rumoreggiarono  simili ai cocci di una misera anfora di birra.
L’ autocratica e spregiudicata  sbronza dell'orrore ormai stava per finire. 

Un terribile miasma di bruciore spolpò  l’aria.
Il demonio vide  la pelle del proprio arto ricoprirsi di  ulcere che  pulsarono vermiglie per poi esplodere sputacchiando sangue. Tutte le fibre delle carni si afflosciarono somiglianti  ad albumi e tuorli d’uovo che si spappolano. La putredine fece colare i tessuti  rendendoli marroni di palude.
Il bianco  delle ossa , lubrificato di bava muscolare,   emerse duro e sordido.    

Il demonio gridò aprendo la bocca spropositatamente  . Era osceno come una decrepita bagascia che ha ancora il vigore di gemere d’orgasmo.

Mu guardava il mostro  senza  scrupolo  di pietà.
Restava  micidiale e distante, rassomigliante alla fiera Giuditta che decollò Oloferne.

Spinse via il nemico con gelata violenza.

- Bestia demente! – esclamò Morfeo  – ti avevo avvertito!

- Quel figlio di una lurida scrofa! -  barrì il fratello-  giuro che lo squarterò dai testicoli al cervello!

L’ignobile essere vomitò una rivoltante  miscela di sangue , bile  e pezzetti di vene che parevano millepiedi avvelenati.

- Fai davvero schifo – disse il Re della Morfia stomacato- meriti di affogare nella tua sozzura come un porco  ma, ahimè, non posso lasciarti.

Agguantò malamente  il diavolo che , col volto cosparso di  rughe sudate e rabbiose, continuava ad abbaiare folle ed indecente.
L’avambraccio rinsecchito, grondante di secrezioni fumanti e scure, suscitava un effetto di schifosa ironia.

- Hai vinto questo duello, Mu dell'Ariete – pronunciò metallico Morfeo – ricordati però che la guerra contro l’oscurità non conoscerà mai termine. Crolla la Notte, sale il Giorno. Perisce il Giorno e domina di nuovo la Notte. Fai parte del ciclo di questo mondo. La terra ha bisogno delle tenebre. Voi avete bisogno delle tenebre…per non vedere il prossimo e per non vedere come siete costruiti. La vostra forza è un sogno dalle gambe fasulle.

Sparì , assieme ad Icelo,  in una perturbazione  viola e picea.
I teli dell'Incubo e della Morfia vennero smantellati come un macabro circo.
Non restarono che rigature di cenere mortuaria.
Orbite vacanti di teschi ghignanti e lacrimanti.

Ciascuna orma nefasta si squagliò.

Si delinearono i colonnati e le navate della Casa dell'Ariete.
Si udì la notte che avvolgeva il Grande Santuario.

I panneggi della realtà erano stati di nuovo bonificati.

Mu tornò al suo candore consueto.
La luminosità donatagli da l’Occhio dell'Ariete si estinse.
L’amuleto si ammortì in una solenne ed inspiegabile normalità.

- Mu…

Il ragazzo si girò.
Sion si era alzato stancamente da terra.
Gli sorrideva ammaccato e colmo di profonda gratitudine.

- M-Maestro!

Dimentico di ogni prassi di formalità, corse ad abbracciare il suo Protettore.
Lo strinse forte abbandonandosi a lacrime di terrore scongiurato, di caos annegato, di incubo abbandonato.

Sion  lo avvolse  con tenerezza, trasmettendogli  palpiti d’intenso affetto.

- Mai cesserò di ringraziare Atena – mormorò commosso –La più grande benedizione di questa mia esistenza da cavaliere è averti come discepolo.

L’eco della luna proiettava le ombre dei due guerrieri sui candidi pavimenti di marmo.
Un abbraccio.
Un sigillo d’incorruttibile infinito.
Nelle gocce del Tempo. Nei sospiri d’inesauribile platino delle stelle.



 

 

Note inerenti ai capitoli precedenti:

Seguo una logica insensata perché son frutto di un abominio *” : cap 12 – lande violentate

“ Ohen” * :  per approfondire o rivedere  il personaggio  torna ai cap 3 – l’aspro viso della lotta, cap 4 – fuga nel buio, cap 5 -conchiglie di storie : cercando l’orizzonte. 

“ Un prescelto dell'Ariete,   nato durante l’equinozio di primavera con le macchie sanguinanti, aiuterà le tenebre a tessere il loro velo di morte. “* :cap 5 -conchiglie di storie : cercando l’orizzonte.

“ Un gesto lo colpì particolarmente: la propria mano minuscola che afferrava,  giocosa e piena di fiducia,  un  dito del Maestro…*:  cap 8 – le magie di Lindo: nelle camere di Sion.


note generali:

oinochoe* : è una brocca a bocca rotonda, dotata di un unico manico  verticale  per versare i liquidi.

 

 

Note personali:
Ciao a tutti!! ^^  mi dispiace non essere riuscita ad aggiornare a fine aprile ma questo capitolo ( unito ad altri impegni) si è mostrato più arduo del previsto…perdonate la lunghezza però non potevo ulteriormente frammentarlo…ne andava per la narrazione!
Come avete notato non è la terza parte del 13 ma è diventato direttamente un unico capitolo 14! XD Finalmente la parte con Icelo è terminata!!! Ovviamente gli dei non terminano di rompere le scatole in modo definitivo! Eh! Non sarebbe normale, no? ;)  Tra l’altro in questo episodio fa la comparsa una nuova e misteriosa divinità….ih!ih!ih! Sono stata contenta poi di aver ripreso Ohen anche perché sarà un personaggio molto importante…e qui non aggiungo altro ( l’avete compreso chiaramente XD)
Il cap 15 sarà piuttosto “ sereno” e leggero ma non mancheranno altri retroscena ;) non vi garantisco al 100% un aggiornamento entro la fine di maggio…io spero di farcela…nel caso non ce la facessi a giugno è sicuro u.u…ripeto, mi auguro di riuscire anche prima ;)
Spero che stiate gradendo questa storia!!
Continuerò a spremermi come un limone per cercare di dare sempre qualità!

Ringrazio tutti i lettori che seguono e recensiscono!! ^^

   
 
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