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Autore: HaruHaru19    09/05/2013    5 recensioni
JongHyun appoggiò la testa al muro dietro di sé e Kibum nascose il volto pensieroso tra le proprie mani, mentre SuJeon si accasciò contro il biondino alla ricerca di un conforto che nessuno poteva darle. Erano tutti e tre nella medesima, pessima e terrorizzante situazione. Si erano tutti e tre persi dentro un labirinto senza la possibilità di poter tornare indietro.
Il moro alzò lo sguardo e iniziò a fissare insistentemente la finestra di fronte a sé: se quella follia fosse andata avanti ancora per molto, sapeva che la poca sanità mentale che aveva gli avrebbe giocato un brutto scherzo e che, per la disperazione, sarebbe finito per volare fuori dalla finestra come un supereroe senza poteri per poi sfracellarsi al suolo.
Ma perché era finito in quella situazione? Cosa aveva fatto di male? E poi era sicuro che fosse la realtà? Più passava il tempo e più Kim JongHyun si convinceva che quello doveva essere un terribile incubo dal quale sperava di svegliarsi presto. Ma se era solo un incubo, perché allora non si svegliava?
Genere: Dark, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key
Note: OOC | Avvertimenti: Violenza
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Haru's blablabla: Sono in tremendo ritardo con questa one shot, in un ritardo di circa due mesi, per il quale mi inchino ai piedi di Denise alla quale questa OS è dedicata. So che doveva essere il regalo per il tuo compleanno, ma prova ad accettarlo comunque, va bene? :P

Probabilmente non scriverò più JongKey per i prossimi dodici anni, ma spero che questa sia di tuo gradimento, anche perché ho provato a inserire tanti dei tuoi elementi preferiti che a me risultano essere invece difficili da lavorare (JongKey, genere thriller, ambientazione scolastica etc). Anche se il tuo compleanno è passato da un pezzo, ti faccio comunque gli auguri perché non è mai troppo tardi per augurare belle cose a un'amica! ^^ Perciò...TANTI AUGURI!

A tutti voi altri che vi apprestate a leggere questa OS, ci tengo a farvi sapere che il genere non è decisamente quello che amo di più e che si tratta del mio primo approccio a questo tipo di stesura, perciò vi chiedo di essere clementi. Inoltre vi informo che ho tentato di creare un tipo di rapporto che raramente (se non addirittura mai) si è trovato all'interno di una fic tra JongHyun e Kibum: nonostante i contatti fisici siano stati da me ridimensionati al limite, ho cercato di trasmettere l'aspetto più profondo e psicologico che si va a creare tra loro.

Detto questo, non mi rimane altro che augurarvi buona lettura.


 

Honesty


 

Dopo aver infilato alla rinfusa la camicia dentro i pantaloni, Kim JongHyun spense quello che rimaneva della sigaretta che aveva appena fumato buttandola a terra per poi pestarla. Pigramente, afferrò la giacca della divisa scolastica e se la gettò sulla spalla sinistra dal momento che faceva troppo caldo per indossarla e, con la grazia di un bisonte appena svegliato, scese le ripide scale interne che portavano dal tetto della scuola al corridoio del terzo piano, nella zona Ovest dell'edificio, chiudendosi alle spalle la piccola porta di metallo arrugginito e creando così una barriera tra lui e il sole cocente. Erano le cinque del pomeriggio dell'ultima settimana di Giugno e il caldo era particolarmente insopportabile in quei giorni, talmente afoso che i vestiti si appiccicavano alla pelle a causa del sudore e, anche per questo motivo, Kim JongHyun aveva preso l'abitudine di farsi una giratina sul tetto della scuola alla fine delle lezioni, liberandosi di giacca e camicia e godendosi la sua sigaretta quotidiana, mentre il sole gli baciava imperterrito la pelle rendendola bollente.

JongHyun non era propriamente uno studente modello; non che gli mancasse la materia grigia all'interno della scatola cranica, ma la presenza di dedizione allo studio e voglia di applicarsi ad esso era decisamente scarsa. La sua insofferenza verso tutto ciò che riguardava il suo approccio alla vita scolastica gli aveva fruttato la perdita di un anno accademico e un appuntamento quotidiano con l'aula di detenzione, a fine di ogni ogni giornata: se c'erano degli esercizi da fare, Kim JongHyun non li faceva; se c'era un compito al quale adempiere, Kim JongHyun lo ignorava; se aveva cinque minuti di pausa nei quali poter rilassare i nervi fumandosi la sua sigaretta e avvelenandosi i polmoni, Kim JongHyun se li godeva fino in fondo. Però il ragazzo non superava mai il limite di una sigaretta al giorno, dopotutto i polmoni erano l'unica cosa di una certa importanza che non aveva ancora perso e, onestamente parlando, non era che se ne fregasse completamente del tutto della propria salute.

Canticchiando a mezze labbra la sigla della pubblicità di una nota marca di cereali che aveva visto alla televisione di recente, intrecciò le dita delle proprie mani tra di loro per poi allungare le braccia verso il soffitto, tentando così di sciogliere ogni muscolo della parte superiore dalla tensione accumulata nelle ultime ore. Arrivato di fronte alla porta dell'aula di detenzione, l'aprì ed entrò nella stanza, gettando una rapida occhiata ai pochi presenti che erano stati abbastanza stupidi da farsi mettere in punizione in una giornata adatta per fare un giro al parco con la propria fidanzata o con il proprio cane, tutto era soggettivo alla fine. Di certo però non era proprio il massimo delle aspirazioni di uno studente adolescente trascorrere una giornata simile chiuso in un'aula che somigliava di più a una giungla tropicale visto il caldo e l'umidità che vi erano, piuttosto che una normalissima stanza. Seduto al primo banco a destra, JongHyun riconobbe la figura di Lee HwaMin, un tizio dell'ultimo anno famoso per le ripetute risse all'interno del perimetro scolastico e non, che salutò con un cenno a malapena visibile del capo e il combina-guai gli rispose alzando di qualche centimetro appena le dita della mano. Non gli era mai piaciuta la sua faccia da falso arrogante, ma ormai i loro incontri nell'aula di detenzione erano diventati appuntamenti quasi quotidiani e JongHyun aveva fatto l'abitudine a vedere molto spesso la faccia da schiaffi di quel ragazzo , desiderando il più delle volte di prenderlo seriamente a pugni; così, tanto per. Un'altra veterana di punizioni si trovava al terzo banco della fila centrale, Cho SuJeon, una studentessa del primo anno che aveva fatto scalpore fin da quando aveva messo piede all'interno dell'edificio il suo primo giorno di vita liceale, nota per la sua mania di mandare su di giri, metaforicamente e fisicamente, la maggior parte degli studenti maschi dell'istituto, i quali agli occhi di JongHyun non erano altro che una disgustosa mandria di bestie in calore. Probabilmente la ragazza era finita in punizione perché colta in flagrante, oppure perché doveva fare un favore di qualche discutibile natura a qualche professore. Non che a JongHyun interessasse, ma per quanto ne sapeva al riguardo, tutto era possibile. In ogni modo, lei sembrava ignorare la presenza degli altri in quella stanza e JongHyun fece altrettanto.

Il moro si diresse al solito secondo banco nella fila a sinistra, quella vicina alle finestre aperte nella speranza di ricevere qualche spiraglio di aria fresca ogni tanto. Gettò la giacca della divisa sullo schienale della sedia e vi si sedette sospirando, prima di intrecciare le braccia sopra la superficie liscia del banco nascondendovi infine il viso. Non sapeva nemmeno perché era finito in punizione quel giorno: ricordava di essersi appisolato durante la lezione di matematica e poi di aver prolungato la sua siesta anche durante parte della lezione di inglese, dove era stato svegliato dal frastuono che la mano della professoressa aveva generato picchiando poderosamente contro il suo banco, così fastidiosamente vicino all'orecchio del ragazzo, tanto da destarlo dal suo sonno. Ebbene, per come la vedeva lui, quel pomeriggio di punizione non era altro che una buona scusa per continuare a fare quello che era stato costretto a interrompere, perciò affondò ancora più profondamente il volto tra i muscoli delle braccia, chiudendo gli occhi e sospirando.

Dopotutto, non gli dispiaceva neanche più di tanto rimanere a scuola oltre l'ordinario orario scolastico; anzi, c'erano delle volte in cui JongHyun prolungava la sua presenza nell'edificio di sua spontanea volontà. Non aveva mica fretta di tornare a casa, tanto non c'era nessuno ad aspettarlo tra quelle quattro mura. Circa tre anni prima mentre lui, i suoi genitori e la sua noona stavano tornando da un saggio di danza di sua sorella maggiore, uno scontro frontale tra la loro macchina e un veicolo guidato da un maledetto ubriaco che aveva invaso la corsia opposta, gli aveva tolto tutto. Suo padre, sua madre e pure la sua noona avevano perso la vita e, anche se il ragazzo era stato l'unico tra i sopravvissuti, era quasi come se quell'incidente avesse ucciso pure lui. Ripensandoci, fu proprio dopo il funerale dei membri della sua famiglia che JongHyun aveva iniziato a fumare, ad andare male a scuola e a non darsi importanza. Per come la vedeva lui, la vita improvvisamente si era tramutata in banale sopravvivenza e riteneva che non avesse senso sacrificarsi per rendere la sua vita migliore: avrebbe fatto quel minimo che serviva per sopravvivere di giorno in giorno, fino a quando la morte non sarebbe giunta a prenderlo con sé, portandolo via da quel mondo infame. Quell'attimo di riposo comunque non durò a lungo perché, dopo solo qualche secondo, JongHyun riaprì gli occhi a causa del nodo che gli si era formato alla bocca dello stomaco non appena era entrato nella classe. Aveva infatti visto qualcosa di inusuale, qualcosa che lo aveva lasciato interdetto fino a quel momento anche se non lo aveva dato a vedere. Ma adesso doveva controllare se quello che aveva visto era solo frutto della sua immaginazione, se il sole di quel pomeriggio gli aveva procurato seri e permanenti danni cerebrali, surriscaldando il cervello tanto da indurlo ad avere allucinazioni. Volse la testa quel tanto che bastava per riuscire a fissare un punto dietro di sé, osservando da sopra la propria spalla.

Ed eccolo ancora lì. Non era stata un'illusione ottica.

Seduto all'ultimo banco della stessa fila, immobile e etereo, con la sua solita espressione impenetrabile stampata sul volto, Kim Kibum fissava un punto imprecisato di fronte a sé. JongHyun conosceva il ragazzino, più piccolo di lui solo di un anno e poco più. Dopo la non ammissione alla classe successiva, il moro si era ritrovato nella stessa classe del più piccolo, finendo così per fare la sua conoscenza. Nonostante tutto però, JongHyun non poteva dire di conoscerlo veramente: trascorreva quotidianamente ore e ore con lui nella stessa stanza, ci aveva anche parlato qualche volta, ma la natura schiva del più piccolo e l'apparente insofferenza di Kim JongHyun per qualsiasi cosa animata o meno che lo circondava non avevano aiutato molto lo sviluppo di una normalissima convivenza collegiale tra loro, anzi. Kibum era un persona relativamente tranquilla, non parlava quasi mai a meno che non fosse interpellato e i suoi voti erano leggermente superiori rispetto alla media; il più piccolo sembrava essere una tra le tante banalissime persone che erano brave in tutto, ma che non eccellevano mai in niente. Eppure JongHyun aveva l'impressione che dietro quel viso di porcellana si nascondesse molto di più rispetto a quello che il più piccolo permetteva agli altri di vedere. Il moro credeva che dietro quegli occhi impenetrabili e quegli strani capelli biondi che brillavano come una matassa di fili d'oro, si nascondesse in realtà un ragazzo davvero tanto intelligente, forse anche troppo e che, proprio per mantenere segreta questa sua capacità al fine di rendersi la vita più semplice, fingeva di essere imbevuto della scialba mediocrità adolescenziale, quando invece Kibum era in realtà un eccellente calcolatore che osservava tutto e tutti e pianificava le sue mosse fino all'ultimo dettaglio. L'unica cosa che JongHyun non aveva realizzato era che, se aveva capito così tanto riguardo al biondo, allora anche lui non era poi così male come osservatore.

C'era però qualcosa nel ragazzino che lo disturbava: ogni volta che i loro sguardi si incontravano infatti JongHyun sentiva una scarica elettrica attraversargli tutto il corpo, lungo tutta la spina dorsale e il più grande non lo sopportava. Eppure finiva sempre col posare i propri occhi sul più piccolo, quasi inconsciamente, così come stava facendo in quell'esatto momento. Improvvisamente però Kibum, quasi come se sentisse il peso dell'attenzione dell'altro su di sé, smise di fissare il punto indefinito che stava fissando e guardò JongHyun dritto negli occhi. Il moro abbassò istintivamente lo sguardo, fingendo di non star osservando Kibum, e affondò nuovamente il viso tra le proprie braccia incrociate sul banco.

Perché quel biondino gli faceva un tale effetto? Era bastato uno sguardo durato solo una manciata di secondi per farlo sentire nudo, come se Kibum riuscisse a vedere il vero JongHyun attraverso la maschera che il più grande indossava, come se riuscisse a percepire il dolore che lo tormentava perennemente. E la cosa turbava JongHyun, non gli piaceva per niente.

Gettando una rapida occhiata all'orologio appeso sulla parete di fronte, JongHyun realizzò che il tempo per la punizione era già iniziato e l'unico ad essere assente era proprio il professore che avrebbe dovuto tenerli d'occhio. Il moro trovò esilarante il fatto che nessuno degli studenti in quella stanza era mai arrivato puntuale per l'inizio delle lezioni, eppure erano addirittura d'anticipo per la detenzione. Quella constatazione ovviamente non includeva il sempre-in-orario Kim Kibum, e infatti JongHyun non riusciva a comprendere il motivo della presenza del biondino: probabilmente si era solo dimostrato più intelligente di qualche professore e il docente in questione, umiliato dalla superiorità di Kibum, lo aveva spedito in punizione pomeridiana per ripicca. Per esperienza, JongHyun sapeva che una cosa simile era più che possibile.

Il professore comunque arrivò, trafelato e con un'espressione così stanca da rendere palese il fatto che quello che aveva meno voglia di stare là dentro era proprio lui. L'uomo gettò un'occhiata ai presenti e, accertatosi del fatto che chi doveva esserci c'era, evitò accuratamente di sprecare energie nel fare il breve appello. Si sedette al suo posto dietro la cattedra sbuffando e tirò fuori il giornale, mettendosi a leggere senza una parola. Gli studenti tirarono fuori i loro quaderni iniziando a fare i rispettivi compiti, l'unica cosa permessa durante l'ora di punizione: niente battute, niente chiacchiere, niente risate. Solo silenzio e studio. Tanto studio.

Kim JongHyun, avendo dimenticato per caso il proprio zaino a casa, si ritrovava adesso ad essere senza libri né quaderni. Passò una mano lungo il sottobanco e vi scoprì esserci fortunatamente un libro dimenticato da qualcuno che, con totale noncuranza, aprì davanti ai suoi occhi iniziando a leggere. Si trattava di un libro di letteratura straniera, scritto in quello che a JongHyun sembrava essere inglese, ma non ne era del tutto certo. Finse di concentrarsi sulle parole straniere che aveva di fronte, tanto per evitare l'ennesima strigliata da parte del professore per la propria negligenza, ma in realtà la sua mente era ben lontana dal leggere quello che vi era dentro il libro, anche perché sarebbe stato già un notevole passo avanti se il moro avesse compreso almeno una decina di parole per pagina.

Nel silenzio interrotto solo dal fruscio della penna che scriveva sui quaderni e delle pagine che venivano girate, una voce proruppe e JongHyun iniziò a guardarsi attorno cauto, senza neanche alzare la testa. Con i gomiti posizionati sul banco e le guance posate sui pugni chiusi, il moro lanciò uno sguardo alla propria destra potendo così osservare gli altri studenti e il professore che, pensierosi e curiosi si osservavano l'uno l'altro tentando di capire a chi appartenesse quella voce. Era una voce bassa e quasi gracchiante allo stesso tempo. JongHyun si voltò realizzando che l'unico che non poteva vedere era Kibum, ma anche senza guardarlo poteva dire con certezza che non si trattava della voce del biondino, che infatti stava ricambiando il suo sguardo in silenzio, la bocca completamente serrata.

<< Facciamo un gioco. >> disse la voce << Questa sarà la classe dell'onestà per oggi. Io so che voi tutti siete persone che nascondono la loro vera identità, ma oggi vi costringerò a rivelarvi per quelli che siete realmente. E non provate nemmeno a pensare di poter mentire: io saprò se state dicendo la verità o una bugia, e sappiate che c'è una punizione per i bugiardi. Chiunque oserà mentirmi, morirà. >>

La voce sparì così come era apparsa e i presenti iniziarono a fissarsi l'un con l'altro, chiedendosi che razza di scherzo fosse mai quello. Il docente sembrava essere particolarmente stizzito dalla situazione. Si alzò e battendo i palmi sulla cattedra iniziò a inveire contro gli studenti, pensando che si trattasse di una loro idea.

<< Chi diamine ha organizzato questa farsa?! Avanti, il responsabile venga immediatamente qua e gli insegnerò io come ci si deve comportare in un ambiente scolastico! >> gridò il professore, ma i tre ragazzi e la studentessa rimasero ognuno ai propri posti, muti e immobili.

JongHyun lanciò un'occhiataccia a HwaMin, convinto che fosse lui il responsabile di quella messa in scena: il moro sapeva di essere innocente, il professore era fuori questione, così come Kibum, e SuJeon sembrava essere del tutto disinteressata alla faccenda; perciò l'unico a poter aver architettato tutto rimaneva HwaMin. Però forse poteva essere SuJeon l'ideatrice dello scherzo oppure, ripensandoci, anche Kibum sembrava essere una pedina giocabile.

Tutto si complicava così.

JongHyun riaffondò la faccia tra le braccia sbuffando. Cosa c'era di complicato? Non faceva differenza chi fosse stato a organizzare quell'assurdo scherzo; lui non era Sherlock Holmes e neanche gli interessava esserlo. Chiunque fosse, era solo uno stupido bambino in cerca di attenzione e il moro sperava solo che quello scherzo fosse già finito dal momento che si era già stancato di tutto ciò. Ma si sbagliava alla grande e la voce tornò infatti a parlare.

<< Non è uno scherzo, spero lo abbiate capito. Anche perché, volenti o nolenti, uscirete da questa stanza solo quando lo vorrò io. Per il momento sarete rinchiusi qua dentro, almeno finché non rivelerete i reali voi stessi. >>

Alzando la testa verso l'angolo dell'aula, JongHyun notò la piccola scatoletta bianca traforata dell'altoparlante e un sorriso nacque spontaneo sulle sue labbra. Chiunque fosse il responsabile, aveva sicuramente un complice che in quel momento stava giocando con l'altoparlante, una volta che era riuscito a entrare in qualche modo nell'ufficio del preside. Il moro si rilassò sulla sedia, dandosi dello sciocco per essersi dato tanta pena per scoprire cosa stesse accadendo, ma SuJeon non sembrava avere la stessa opinione del ragazzo e corse invece verso la porta, tentando inutilmente di aprirla.

Ma bravo, chiunque tu sia: ci hai pure chiuso a chiave dentro l'aula. Pensò JongHyun in un misto di sarcasmo e ironia.

SuJeon, corse dalla parte opposta della stanza, dritta verso le finestre nel tentativo di aprirle, ma le trovò sigillate. JongHyun osservò la scena con le sopracciglia aggrottate: era sicuro che quella finestra fosse aperta quando era entrato nella classe, si era seduto proprio in quel punto per poter godere del leggero venticello che soffiava dallo spiraglio aperto. Quando e come diavolo si era chiusa? Il moro pensò che poteva essere stato grazie a SuJeon che, con la scusa di precipitarsi verso le finestre, le aveva in realtà chiuse.

<< Spostati. >> ordinò con poco garbo alla ragazza, scansandola con una mano, e questa obbedì.

JongHyun tentò a sua volta di aprire la finestra, ma la trovò blindata, come se qualcuno l'avesse sigillata. Tirò più forte due, tre, quattro volte, ma l'esito era sempre lo stesso. Provò a fare lo stesso con la seconda e anche con la terza finestra, ma senza risultati. Le mani del ragazzo iniziarono a sudare, mentre la gola si faceva sempre più secca. JongHyun odiava quella sensazione, gli ricordava troppo l'esperienza dell'incidente. Non sopportava l'idea di rimanere rinchiuso da qualche parte; bastava solo l'idea di non avere via d'uscita a farlo iperventilare e a mandarlo fuori di testa. Il moro ricordava la sensazione delle lamiere premergli contro i muscoli e lacerargli la carne, mentre il ricordo dell'odore di bruciato e del fumo gli invadeva le vie respiratorie; se solo avesse chiuso gli occhi, avrebbe potuto giurare di essere in grado di vedere le fiamme che lo circondavano.

<< Ma che diamine...! >> urlò afferrando un banco e lanciandolo contro il vetro della finestra.

Aveva perso il lume della ragione, ma un moto di soddisfazione iniziò a calmarlo mentre attendeva di udire il suono del vetro che si fracassava, ma l'unico rumore stridente fu il grido di SuJeon. Il banco rimbalzò contro la finestra come se questa fosse stata di plastica o di un qualsiasi altro materiale infrangibile e ricadde ai piedi del ragazzo, il quale si era spostato appena in tempo con un'espressione sconvolta.

Quello scherzo iniziava davvero a dargli ai nervi.

<< E' inutile tentare di scappare. Ve l'ho detto: uscirete solo quando lo vorrò io e non sarò soddisfatto finché non svelerete i vostri veri volti. Anzi, il prossimo che tenterà di uscire dall'aula senza il mio permesso, morirà. >>

SuJeon iniziò a lamentarsi e a piagnucolare dicendo che non potevano uscire e che sarebbero tutti morti là dentro. HwaMin si alzò di scatto, stufo delle lacrime della ragazza.

<< Smettila di piangere, SuJeon! Se quello che dice è vero, allora dovremo cooperare tra di noi per trovare una via di uscita! >> disse, prima di sparire con un sonoro pop. Solo i suoi vestiti rimasero per mezzo secondo per aria, dove fino a un attimo prima si trovava la figura dello studente scomparso, per poi cadere a terra.

Se quello che dice è vero, allora devo trovare il modo di liberarmi di questi perdenti. Non ho alcuna intenzione di morire, disse una voce inconfondibilmente uguale a quella di HwaMin, ma nessuno riusciva a capire da dove fuoriuscisse.

Kibum scattò in piedi non appena vide lo studente smaterializzarsi davanti ai suoi occhi. Le mani stringevano convulsamente il bordo del banco, tremanti, mentre fissava i vestiti giacenti a terra. Lo stesso faceva JongHyun e i due finirono con l'osservarsi a vicenda, entrambi palesemente terrorizzati.

<< Non vi avevo avvertiti che sareste morti se aveste detto una bugia? >> la voce tornò a penetrare le loro menti.

Calma, si disse Kibum. Non c'è motivo di allarmarsi: non c'è certezza che quel ragazzo sia davvero morto, forse è solo scomparso. Però è anche vero che non ho mai visto qualcuno sparire così nel nulla...

Kim Kibum si portò una mano all'altezza del petto cercando di far rallentare la velocità dei battiti cardiaci e nel frattempo la voce tornò a parlare.

<< Ecco il primo che se ne va, dopo aver svelato quale vile e falso doppiogiochista fosse. >>

<< State zitti! E' meglio non parlare! Non siamo ancora sicuri che chi dice una bugia venga ucciso realmente, ma per il momento è meglio starsene in silenzio! >> JongHyun non riuscì a impedire a se stesso di diffondere quell'avvertimento, ma non sparì come l'altro ragazzo dal momento che lui intendeva seriamente il bene di tutti i presenti.

La classe ancor più vuota di prima cadde in un silenzio assordante, dove tutti vedevano bene di tenere le proprie bocche chiuse.

<< Siete intelligenti a non parlare di vostra spontanea volontà, ma ora cambiamo modalità di gioco: io farò delle domande e voi risponderete. E sappiate che, chi si rifiuterà o impiegherà più di dieci secondi a rispondere, morirà. Adesso è il turno del secondo giocatore: professor Kang... >>

Il docente trattenne a stento un conato di vomito causato dalla paura e tremò sentendosi chiamare in causa.

<< E' vero o non è vero che ha immaginato più e più volte di avere un rapporto di natura sessuale con la sua studentessa Cho SuJeon? >>

Il professore sbiancò sentendosi porre quella domanda. Sembrò annaspare alla ricerca di ossigeno, volse la testa a destra e a manca cercando una via di uscita dalla quale poter scappare pur di non dover rispondere alla domanda. L'uomo non era stupido; aveva avuto la dimostrazione che mentire lo avrebbe portato a morte certa, perciò non dire la verità era fuori questione, però ammettere il fatto era imbarazzante e patetico. Dopotutto quella ragazzina poteva benissimo essere sua figlia, anzi era pure più giovane, però l'idea di morire non lo attirava per niente. E da quanto aveva visto, i veri pensieri potevano essere uditi da tutti, una volta morto. Perciò, tanto valeva...

<< E' v-vero... >> ammise infine abbassando la testa mortificato.

SuJeon lo guardò con disprezzo e altrettanto fecero sia JongHyun che Kibum. Nessuno dei tre studenti pensava che quel professore dall'espressione perennemente annoiata nascondesse una natura così perversa e l'idea che nel mondo ci fossero persone simili faceva rivoltare loro lo stomaco.

<< Bene così. Finalmente qualcuno che dice la verità. >> tuonò la voce << E per quanto riguarda te, Kim Kibum? Hai avuto anche tu pensieri simili? >>

JongHyun si voltò di scatto per osservare Kibum, preoccupato. Il biondino sembrava prendersi del tempo prima di rispondere e il più grande temette che stesse per mentire.

<< Dì la verità, Kibum-ah! >> gridò JongHyun senza pensarci, per poi portarsi una mano alla bocca una volta realizzato cosa aveva appena fatto.

Il più giovane tra i due ragazzi guardò l'altro e, sempre mantenendo il contatto visivo con lui, rispose << No, non ho mai avuto pensieri simili riguardo a SuJeon-ssi. >>

Nella stanza regnò il silenzio per un paio di secondi e infine la voce parlò << Dice la verità. >>

La ragazza sospirò sommessamente, sollevata all'idea che in quel mondo ci fosse ancora qualcuno con un minimo di decenza.

Kibum guardò l'altro ragazzo per un attimo ancora, sorridendogli dolcemente e ringraziandolo mentalmente per essersi preoccupato per lui.

Il moro si sentì sollevato: non solo Kibum era ancora vivo, ma aveva avuto la prova che il biondino fosse la persona, misteriosa certo, ma seria e di buon cuore che aveva sempre immaginato che fosse.

<< Sentite... >> il professore sembrava essere tornato di nuovo in grado di parlare << HwaMin è scomparso, ma non c'è il suo cadavere, quindi non possiamo essere sicuri che sia stato ucciso: magari è uscito dall'aula e adesso è libero! >>

Potrebbe essere...Kibum non fece neanche in tempo a formulare quel pensiero che anche il docente scomparve davanti ai loro occhi con un sonoro pop, così come era successo precedentemente a HwaMin.

Chissà se uno di loro è talmente idiota da crederci e da tentare di uscire dall'aula senza permesso. Da quanto mi sembra di capire, più ci decimiamo e prima questo gioco finisce. La voce dell'uomo vibrò nell'aria mentre i suoi vestiti cadevano fruscianti a terra e lì vi rimanevano.

<< E fuori anche il secondo bugiardo. >>

<< Maledetto... >> SuJeon si lasciò scappare quell'imprecazione.

<< Taci, stupida ragazzina! >> subito la voce intervenne per zittirla << Comunque sia, siete stati i più onesti e di conseguenza vi meritate un premio. >>

Un click sommesso risuonò nel nuovo silenzio della classe e i tre studenti si voltarono verso la porta che lentamente si stava aprendo.

<< Forza, vi siete meritati il diritto di poter uscire dall'aula per il momento, ma vi avverto che non potete lasciare questo piano dell'edificio. >> la voce li mise in guardia.

Con il sospetto e un velo di paura negli occhi, i due ragazzi e la ragazza si avvicinarono alla porta e il moro, mantenendo la sua facciata di super-uomo, afferrò la maniglia della porta e mise per primo piede fuori dalla stanza. In parte timorosi e in parte curiosi, uscirono tutti e tre, JongHyun in testa al piccolo gruppo, seguito da Kibum e infine da SuJeon che si nascondeva terrorizzata dietro alle spalle del biondino, tenendosi ben salda con entrambe le mani al polsino sinistro della giacca della sua divisa.

Kibum voleva girarsi e gridarle di smettere di tremare e piagnucolare perché anche lui era terrorizzato, ma di certo non sarebbe servito a niente comportarsi come stava facendo la ragazzina dai capelli rossi, eppure trattenne dentro di sé le proprie emozioni perché sapeva che urlarle contro sarebbe stato tanto inutile quanto iniziare a piangere. Mantenne invece la sua concentrazione sul ragazzo che gli stava di fronte, più grande di età ma più piccolo di statura rispetto a lui, che in quel momento si stava atteggiando a eroe impavido, ma il biondino era certo che pure il cuore del moro stesse tremando di paura, anche se non lo dava a vedere agli altri due.

Percorsero in silenzio il corridoio fino ad arrivare alla fine di esso, dove si sedettero a terra. La voce taceva e loro non sapevano che fare per uscire da quell'edificio e far terminare di conseguenza quell'incubo, al di fuori del fatto che non potevano uscire dalla scuola. Ad essere precisi, non potevano neanche andare oltre il terzo piano. Erano in trappola nella loro stessa scuola, prigionieri di se stessi e marionette nel gioco di quello psicopatico che si nascondeva dietro alla sua voce gracchiante e che si faceva chiamare dio.

JongHyun appoggiò la testa al muro dietro di sé e Kibum nascose il volto pensieroso tra le proprie mani, mentre SuJeon si accasciò contro il biondino alla ricerca di un conforto che nessuno poteva darle. Erano tutti e tre nella medesima, pessima e terrorizzante situazione. Si erano tutti e tre persi dentro un labirinto senza la possibilità di poter tornare indietro.

Il moro alzò lo sguardo e iniziò a fissare insistentemente la finestra di fronte a sé: se quella follia fosse andata avanti ancora per molto, sapeva che la poca sanità mentale che aveva gli avrebbe giocato un brutto scherzo e che, per la disperazione, sarebbe finito per volare fuori dalla finestra come un supereroe senza poteri per poi sfracellarsi al suolo.

Ma perché era finito in quella situazione? Cosa aveva fatto di male? E poi era sicuro che fosse la realtà? Più passava il tempo e più Kim JongHyun si convinceva che quello doveva essere un terribile incubo dal quale sperava di svegliarsi presto. Ma se era solo un incubo, perché allora non si svegliava?

Mentre i ragazzi avevano le menti occupate a ragionare su cosa realmente volesse quella voce da loro, la melodia ritmata di una suoneria giunse alle loro orecchie, catturando la loro attenzione.

Le teste di Kibum e JongHyun si voltarono di scatto verso SuJeon mentre la ragazza, dopo un momento di paralisi totale derivante dalla sorpresa, infilò la mano nella tasca della giacchetta e tirò fuori il cellulare che stava suonando imperterrito. I tre studenti si guardarono per un attimo, realizzando che quel piccolo aggeggio elettronico rappresentava il loro unico strumento per poter uscire da lì. Come avevano fatto a dimenticarsi dei cellulari?

La rossa si portò velocemente il telefono all'orecchio dopo aver premuto il tasto di accettazione della chiamata. Non diede neanche tempo al chiamante di proferir parola che subito iniziò a riversare una fiume di richieste di aiuto, tentando di spiegare in che razza di situazione assurda fosse finita. Tanto improvvisamente e inaspettatamente quanto il suono che era giunto alle loro orecchie, il telefono esplose e SuJeon cadde a terra. Kibum soffocò un grido di terrore coprendosi la bocca con le proprie mani, mentre JongHyun fissò a lungo la metà del viso completamente sfigurata e sanguinante e gli occhi vitrei della ragazza.

Bastò un'ultima occhiata al corpo senza vita della rossa che JongHyun si mise rapidamente le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa alla ricerca del proprio cellulare e, una volta trovato, si catapultò addosso al biondo cercando anche il cellulare dell'altro.

<< Dobbiamo liberarci di questi affari... >> disse tra sé e sé il moro prima di correre fino alla fine del corridoio, dove si trovavano le rampe delle scale e per un attimo Kibum temette che il più grande volesse tentare di fuggire dall'edificio ottenendo come risultato un'atroce morte, ma JongHyun si limitò a gettare i telefoni giù per la tromba delle scale. Nessuno dei due ragazzi sapeva se rappresentavano un pericolo per loro, ma se le sparizioni precedenti dei ragazzi non erano una prova di morte certa, il corpo morto e martoriato della studentessa lo era eccome, perciò JongHyun aveva ben visto di prendere ogni precauzione possibile.

Il moro si assicurò di vedere i due apparecchi telefonici frantumarsi al suolo dopo un volo di tre piani e poi tornò indietro. Rientrò nell'aula che avevano lasciato poco prima e il biondo ebbe un fremito di paura che non riuscì a nascondere, terrorizzato di vedere di nuovo il più grande imprigionato in quella classe maledetta, ma JongHyun uscì dalla stanza così come vi era entrato dopo solo una manciata di secondi, con la giacca della divisa su di una spalla, e Kibum tirò un sospiro di sollievo nel vederlo sano e salvo.

Il maggiore tra i due studenti superò l'altro senza tanti complimenti e andò a coprire il volto deturpato di SuJeon con la giacca per poi afferrare Kibum per un braccio.

<< Andiamo via da qua... >> gli sussurrò con un tono di voce più gentile di quanto avesse voluto che fosse, prima di accompagnarlo fino alla fine del corridoio.

Il biondino si lasciò guidare senza opporre resistenza, dal momento che era troppo shockato per fare qualsiasi cosa: la pozza di sangue fresco della ragazza che si allargava a vista d'occhio sul pavimento era ancora impressa nella mente di Kibum, sebbene ormai si trovasse parecchi metri dietro di loro.

JongHyun non sapeva se la regola del “non abbandonare il terzo piano” si riferisse soltanto al fatto di non poter scendere o se includeva anche il non salire sul tetto e di conseguenza non osò tentare la fortuna decidendo che non sarebbero usciti dai confini del terzo piano. Giunti alla rampa delle scale, i due studenti voltarono a sinistra percorrendo il corridoio dell'ala Nord del terzo piano e, giunti alla fine di quello, si sedettero per terra poggiando le spalle al muro. Il moro sospirò esausto chiudendo gli occhi, mentre Kibum teneva lo sguardo perso e fisso su un punto non ben definito del pavimento e l'attenzione per tutto ciò che lo circondava sembrava essere inesistente. JongHyun si riprese velocemente e si mise ad osservare l'altro, percorrendo con lo sguardo tutto il suo profilo, e rimase sorpreso dall'assenza totale di Kibum. Era la prima volta che lo vedeva così perso nei propri pensieri: solitamente era solitario e riservato, ma il suo sguardo era sempre attento e vigile, pronto ad osservare tutto e tutti. E invece adesso era completamente disperso nel proprio mondo, probabilmente ancora sconvolto per la scena alla quale aveva appena assistito. Lo stesso valeva però anche per JongHyun, seppur il più grande non lo desse a vedere.

<< Hey, biondino. >> tentò di attirare la sua attenzione e constatò con sollievo di esserci riuscito quando lo sguardo di Kibum si incatenò al suo << Hai fame? >>

Il ragazzino annuì timidamente, ma poi un pensiero improvviso gli balenò in mente.

<< La mensa si trova al primo piano, come facciamo? E comunque non ho soldi con me... >>

JongHyun ci pensò su per un paio di secondi e poi trascinò con sé l'altro ragazzo fino a metà del corridoio che avevano appena percorso perché era quasi certo di aver notato un distributore automatico di snack passandoci davanti. E infatti eccolo lì.

Il moro infilò la mano nella tasca destra dei pantaloni e tirò fuori il portafoglio, costatando di avere solo poche migliaia di won a disposizione. Sicuramente non sarebbero bastati per zittire i morsi della fame di entrambi perciò, senza tanti complimenti, JongHyun mise i propri soldi in mano al più giovane e gli disse di prendere quello che più gli andava di mangiare, tanto lui non aveva fame.

Maledette sigarette mangia-soldi.

Onestamente, dopo lo shock iniziale, JongHyun si era già arreso a quella situazione. Era già da tempo che agognava una scusa qualsiasi per tornare alla terra e smettere di essere l'unico che soffriva per quella situazione. Si era stancato di essere l'eroe tormentato dai rimorsi e dai rimpianti di quella faccenda, ma non c'era molto che potesse fare al riguardo. La morte sembrava essere l'unica via di uscita possibile, ma la sua convinzione secondo la quale il suicidio fosse un atto da vigliacchi non gli permetteva di porre fine alla propria vita di sua spontanea volontà. Si era ovviamente lasciato andare, ma riteneva più giusto aspettare che fosse la morte a venire incontro a lui e non viceversa. Sembrava quindi che quel momento fosse giunto, eppure non riusciva a non pensare a Kibum. Kim JongHyun non temeva la morte, ma probabilmente il biondino era di opinione diversa.

Cos'era quell'attaccamento improvviso alla vita che percepiva dentro di sé? Doveva essere a causa di Kibum, sicuramente. Il moro sapeva che se fosse morto, l'altro non sarebbe sopravvissuto a lungo da solo, per questo si sentiva così. O per lo meno, gli piaceva pensarla a quel modo.

Mentre Kibum selezionava un pacchetto di patatine, una barretta di cioccolato e una bottiglietta d'acqua, JongHyun si sedette nuovamente per terra e aprì il portafoglio che teneva ancora nelle proprie mani. Ed eccola lì. La foto di SongDam, sua sorella maggiore, che custodiva gelosamente e con cura. Di tutti i membri della sua famiglia che aveva perso a causa di quell'incidente stradale, SongDam era quella che gli mancava di più. JongHyun osservò con attenzione i capelli castano scuro che ricadevano lisci ai lati del viso delicato e ben proporzionato, gli occhi che non venivano tralasciati dal sorriso e che si incurvavano così come le labbra della bocca... Diamine, quanto era bella. Se fosse vissuta abbastanza a lungo da arrivare a desiderare di sposarsi, il ragazzo sapeva che per lui nessuno sarebbe stato abbastanza bravo, buono, bello per meritarsi il cuore di sua sorella ed era certo che le avrebbe messo i bastoni tra le ruote molte volte, magari guadagnandosi anche qualche scappellotto ben assestato come punizione per le sue interferenze.

JongHyun chiuse di scatto il portafoglio, mentre Kibum si sedeva accanto a lui. Non avrebbe retto ancora a lungo con l'immagine della ragazza sotto gli occhi, senza finire con lo scoppiare a piangere. Non era proprio il momento, non certo ora che il biondino lo stava guardando con un'espressione già abbastanza piena di pietà per lui.

<< Era tua sorella, vero? >> chiese Kibum con voce ferma e JongHyun si meravigliò più che altro per il fatto che il più piccolo si fosse rivolto per la prima volta direttamente a lui, piuttosto che per il tono risoluto col quale aveva parlato.

Il moro annuì.

<< Deve mancarti molto, immagino. >> riprese Kibum.

<< Quasi quanto l'ossigeno. >> rispose l'altro, stupendosi per la facilità con la quale le parole uscivano dalla sua bocca. Forse, ipotizzò JongHyun, era a causa del fatto che anche Kibum era orfano di padre e per questo riusciva a parlare più apertamente con lui dal momento che si sentiva sulla stessa lunghezza d'onda. Certo, non aveva la minima idea del rapporto che l'altro ragazzo aveva col padre, ma se era anche lontanamente simile a quello che lui aveva con la propria sorella, allora doveva soffrire molto anche lui. Doveva essere in grado di capirlo.

<< Mi dispiace. >> disse infine il biondino abbassando lo sguardo e JongHyun gli lanciò un'occhiata esterrefatta e divertita.

<< E di cosa? >> rispose ridendo, tanto per sdrammatizzare la situazione e alleggerire l'atmosfera che si era fatta insopportabilmente pesante.

Come se la morte dei suoi familiari fosse stata causata da Kibum. Come se fosse stato il biondino l'ubriaco alla guida della macchina che era andata a fracassarsi contro quella dei suoi genitori.

<< Tu non hai mica fatto nulla, tranquillo. >> sorrise JongHyun, scompigliandoli i capelli in un gesto affettuoso.

Kibum spezzò la barretta di cioccolato e ne offrì la metà al moro. Dopotutto i soldi per comprarla gli erano stati offerti, ma soprattutto era già giunta l'ora di cena e il più piccolo era certo che anche l'altro stesse patendo a causa dei crampi della fame e voleva aiutarlo in qualche modo. Anche se l'idea che il cibo a loro disposizione sarebbe presto finito e che loro non potevano abbandonare il terzo piano di quell'edificio gli assillava la mente, consumandogli i nervi dalla preoccupazione.

Mangiarono e bevvero quel poco che avevano e Kibum trovò la forza per bere dalla stessa bottiglia dalla quale aveva bevuto anche un'altra persona, superando lo scoglio della sua avversione nei confronti di tali gesti. Non si era mai giovato di nessuno e mai avrebbe pensato che sarebbe arrivato a condividere una bottiglietta d'acqua, senza l'uso dei bicchieri, con un'altra persona. Neanche se tale persona fosse stata Kim JongHyun, per il quale avrebbe dato volentieri la propria vita, se solo il moro l'avesse chiesto.

Evidentemente lo spirito di sopravvivenza spingeva le persone a fare addirittura certe cose e Kim Kibum non faceva eccezione.

Si era fatta notte e i due ragazzi dormivano stesi per terra, lungo il corridoio, utilizzando la giacca di Kibum, ridotta ad una palla informe di tessuto, come cuscino.

Il più piccolo si svegliò a causa della schiena dolorante. Non era assolutamente abituato a dormire per terra e il silenzio assordante unito al buio più totale, lo metteva a disagio e non favoriva per niente un sonno tranquillo. In più gli occhi gli bruciavano. Aveva ancora le lenti da quella mattina e avrebbe voluto davvero togliersele se solo non avesse avuto l'occorrente per disinfettarle dentro lo zaino, così come gli occhiali da vista, e lo zaino non si trovasse nella classe che avevano abbandonato quel pomeriggio. Il che di per sé non creava un grande problema, se si escludeva il fatto che senza lenti e occhiali il biondino era praticamente del tutto cieco, ma il corpo martoriato di SuJeon sì e Kibum non aveva alcuna intenzione di avventurarsi fin laggiù da solo e, d'altra parte, non voleva neanche svegliare JongHyun solo perché aveva paura di un corpo morto. Inoltre il moro sembrava dormire profondamente e disturbarlo così pareva a Kibum un gesto di maleducazione espresso ai massimi termini.

Non ti sei mai curato di lui e dei suoi sentimenti prima d'ora e vuoi iniziare proprio adesso?

Kibum trasalì non appena udì quelle parole e, terrorizzato si voltò verso l'altro ragazzo. Sforzò gli occhi doloranti e vide che JongHyun era ancora perso nel mondo dei sogni, perciò trasse un sospiro di sollievo all'idea che l'altro non avesse sentito ciò che la voce aveva appena detto.

Non preoccuparti, lui non può sentirmi: sta dormendo troppo profondamente, ma soprattutto non mi sente perché adesso sono solo nella tua testa, Kibum.

Il biondo fremé di terrore puro e la paura iniziò a insinuarsi dentro di lui, scendendo in profondità, lacerando quel poco di serentità che aveva accumulato durante le chiacchiere di quella sera. Lo sentiva, lo percepiva dentro la sua mente e la cosa non gli piaceva affatto.

<< Esci dalla mia testa! >> ordinò sibilando il ragazzo afferrandosi forte il capo con entrambe le mani.

E' questo che vuoi, piccolo? Lascio te e vado a fare un salutino negli incubi del tuo amico? Sai cosa sta sognando adesso, Kibum? Sta rivivendo il momento in cui la polizia gli riportò la notizia della morte dei suoi genitori e della sua tanto amata sorella, mentre il dolore causato dall'incertezza e dai sensi di colpa per essere l'unico sopravvissuto della sua famiglia, lo stanno divorando vivo adesso come allora. E tu, Kibum? Non li senti i sensi di colpa che ti scavano la voragine nel petto? Non senti le fiamme dell'inferno che invocano a gran voce il tuo nome? Sii sincero, Kibum. Parlagli onestamente. Di cosa hai paura? Temi forse che la verità lo porterà lontano da te? Che finirà con l'odiarti e disprezzarti?Oh, certo che è così, ma ti ho avvertito, Kibum: io punisco i bugiardi...

<< Esci dalla mia testa! >> gridò a gran voce il ragazzo, realizzando solo successivamente che così facendo avrebbe svegliato l'altro studente.

E infatti Kim JongHyun aprì gli occhi e si alzò di scatto, allarmato e vigile.

<< Cosa c'è?! >> chiese.

Il più giovane cercò di sviare l'attenzione del moro dall'accaduto usando una scusa poco plausibile.

<< I-io...Niente, ho solo visto uno scarafaggio e ho avuto paura. >>

JongHyun lo guardò per un attimo ancora, forse per niente convinto dalla motivazione di quel grido, ma alla fine la stanchezza vinse e si sdraiò di nuovo per terra.

Non sapeva neanche che ore fossero, non aveva neanche l'orologio.

Dannati smart phone: fanno tutto, ma quando si rompono, ci si riscopre incapaci di fare qualsiasi cosa se privati dei propri cellulari.

<< Mettiti a dormire, Kibum-ah. >> gli consigliò il ragazzo, mentre richiudeva gli occhi, tentando di riprendere il sonno interrotto.

<< Non ci riesco. >> rispose l'altro.

<< Provaci. >>

JongHyun si girò da un lato e poi di nuovo dall'altro, non riuscendo a trovare una posizione abbastanza comoda per appisolarsi un po'. In più, Kibum che lo guardava contorcersi sul pavimento come una bestiolina finita in una trappola, non aiutava di certo a conciliare il sonno. E poi cos'era tutto quel caldo assurdo? E' vero che si trovavano a fine Giugno e che, nonostante fosse notte inoltrata, l'umidità soffocante tipica di Seoul in estate si appiccicava imperterrita alla pelle, ma il moro trovava difficile pure il semplice atto di respirare!

JongHyun si mise faticamente a sedere e si sbottonò la camicia della divisa, per poi sfilarsela e gettarsela ai piedi, frustrato. Si sdraiò nuovamente assaporando il piacere che gli donava la sensazione della pelle accaldata e sudata a contatto con il pavimento fresco. Voltandosi poi verso sinistra, dando le spalle al biondo, chiuse nuovamente gli occhi.

Kibum si ritrovò a lasciar vagare lo sguardo lungo la schiena nuda del moro, poi lungo le braccia e di nuovo sulle spalle...Un brivido gli corse lungo la schiena, ma s'impose di mantenere la calma. Non era il momento adatto per certe cose.

Doveva parlare. E onestamente.

Doveva dire all'altro come stavano realmente le cose. Forse quella situazione assurda era solo un incubo, un terribile sogno attraverso il quale la sua coscienza gli mostrava quanto ingiusto e vile fosse stato il suo comportamento fino a quel giorno. Ma era giunto il momento di cambiare le carte in tavola, perché JongHyun non si meritava un trattamento simile. Era scoccata l'ora di renderlo partecipe del lato oscuro di Kim Kibum. Una parte covata volontariamente nell'ombra, affinché nessuno la vedesse mai perché, il biondino ne era certo, JongHyun non avrebbe apprezzato. Ed era questo il motivo principale per il quale il più piccolo aveva mantenuto quel suo segreto tanto a lungo: aveva paura di perdere JongHyun, sebbene l'altro non fosse mai stato suo in alcun modo.

Kibum si accucciò accanto al più grande e con una mano andò a sfiorargli una spalla, ricevendo come risposta un grugnito: lo stava ascoltando.

<< L'ubriaco che ha causato l'incidente stradale nel quale è morta la tua famiglia, era mio padre. >> confessò sfibrato.

Il moro scattò subito a sedere non appena udì quelle parole e si mise a fissare l'altro ragazzo come se avesse avuto davanti agli occhi un fantasma.

Non lo sapeva. Sinceramente, non sapeva che l'altro tizio morto nell'incidente fosse il padre di Kibum. Non aveva voluto sapere riguardo i particolari della dinamica dell'incidente, né tantomeno gli interessava il nome dell'uomo che reputava un assassino. Avrebbe mostrato dispiacere per la perdita di Kibum, se solo il padre di lui non avesse ucciso i suoi genitori e sua sorella, ma non ci riusciva. Dopotutto non era successo che anche quell'uomo fosse rimasto vittima innocente dell'incidente, ma bensì era colpevole. Si era ubriacato e poi si era gettato nel traffico, talmente imbevuto di alcool da rendersi incapace di prevedere la tragedia che avrebbe causato di lì a poco. Ma nessuno l'aveva obbligato a ridursi in quello stato, nessuno al di fuori di se stesso. Per questo motivo JongHyun non riusciva a provare pietà per quell'uomo. Non era in grado di perdonare quello che aveva fatto. Per questo non rispose, ma si limitò invece a fissare Kibum dritto negli occhi.

<< Mio padre era un uomo violento e amico della bottiglia. Tornava dal suo bel lavoro in banca che gli permetteva di ottenere un più che cospicuo stipendio alla fine del mese e rincasava nel suo bel appartamento di Gangnam dalla sua docile e bella moglie e dal quel figlio che, a detta di tutti, era pressoché perfetto con il suo fine aspetto, il carattere così riservato e calmo come quello della madre e i voti scolastici altissimi. >> Kibum iniziò a spogliarsi delle maschere che aveva indossato fino a quel momento e mise a nudo la propria anima. Parlò col cuore in mano, era il momento di redimersi. Iniziò a narrare la propria visione della storia e JongHyun rimase in assoluto silenzio ad ascoltarlo, senza proferir parola. << Eppure lui non era felice. Entrava in quella casa con l'umore che ti aspetteresti da un condannato a morte, sembrava che dovesse salire sul patibolo. E allora, per provvedere in qualche modo all'insoddisfazione che gli causava quella sua infelicità, si attaccava alla bottiglia di vino, soju, liquore...Qualsiasi cosa trovasse che fosse abbastanza alcolica da fargli dimenticare persino quale fosse il suo stesso nome. E poi inizava lo spettacolo, se così lo vogliamo chiamare. Il suo bersaglio preferito era mia madre, così debole e indifesa, rappresentava per lui la preda perfetta con la quale divertirsi un po' prima di farla fuori. La maltrattava in ogni possibile e immaginabile: la offendeva, la umiliava, la massacrava di botte e abusava di lei in continuazione. Ho vissuto questi momenti da che ho memoria e mi ripromisi che un giorno, quando sarei stato grande e forte abbastanza per oppormi a quella bestia, avrei salvato quella donna troppo debole e l'avrei portata via da quell'inferno. E una sera di circa tre anni fa capitò proprio quello che avevo sempre immaginato che sarebbe accaduto, prima o poi: lui tornò a casa ubriaco fradicio e violento più che mai. Forse si era pure fatto di qualcosa, ma non potevo dirlo con certezza. Comunque sia, entrò in casa e iniziò a urlare contro mia madre, rinfacciandole il fatto che era colpa sua se lui era così infelice e depresso e che sarebbe stato tutto migliore se lei non ci fosse stata più. Ero terrorizzato dall'idea che quella sera ci sarebbe scappato il morto, se non avessi fatto niente per fermarlo. Così iniziai ad attaccarlo verbalmente: volevo far sì che la sua attenzione si spostasse da mia madre a me. E ovviamente lui non aspettò un secondo prima di rispondere alle mie provocazioni. Si avventò su di me e io incassai senza troppe pretese tutti i colpi che altrimenti sarebbero andati a mia madre. Quando ebbe finito, sentendosi finalmente soddisfatto e pieno di sé, prese le chiavi di macchina e se ne andò. Mia madre venne ad abbracciarmi e in quel momento realizzai che non sarei mai stato abbastanza forte da riuscire a cacciarlo via dalle nostre vite. Doveva sparire per mano sua .E confesso che fu questo il motivo principale per cui non lo fermai. Pensai che sarebbe stato molto meglio per tutti se si fosse schiantato contro un muro con la sua bella e costosissima macchina sportiva. Speravo che accadesse, era l'unico modo per liberarsi di lui. Però credimi se ti dico che non ho pensato alla possibilità che potesse fare del male a qualcun altro di esterno alla nostra famiglia. Se avessi saputo, se avessi anche solo immaginato, che avrebbe coinvolto nell'incidente anche la tua famiglia, lo avrei trattenuto a casa anche con la forza. Probabilmente avrebbe sfogato tutta la sua rabbia su di me fino ad uccidermi, ma lo avrei preferito di gran lunga se quello avrebbe significato non farti soffrire così tanto. Mi dispiace per te, mi dispiace così tanto che non riesco nemmeno a trovare le parole giuste per esprimerlo. Sono stato io colui che ha permesso alle cose di andare nella maniera in cui sono andate e me ne pento per ogni brandello di carne del mio corpo. Questo è tutto. Ho ritenuto che tu avessi il diritto a sapere la verità prima di finire questo “gioco”. >>

JongHyun lo squadrò allibito, la bocca spalancata dallo stupore. Non aveva idea dei retroscena appartenenti alla vita privata di Kibum. Non sapeva nemmeno che loro due fossero uniti da un evento così tragico in comune. Non sapeva neanche come reagire a tutta quella confessione del più piccolo. Il moro non riteneva l'altro colpevole della morte dei suoi parenti: certo, se lui avesse bloccato il proprio padre, adesso i suoi genitori e sua sorella sarebbero ancora vivi, ma con alta probabilità sarebbe stato Kibum a morire. Dopotutto però che colpa ne aveva? Non era stato mica il biondino a salire ubriaco e drogato su una macchina e a guidarla contromano. Non aveva colpa se suo padre era stato un mostro. Anche lui aveva sofferto abbastanza.

JongHyun non riuscì a trovare le parole adatte per rispondere: ogni cosa sembrava essere superflua, stupida, superficialmente insulsa. Solo una domanda continuava a martellargli dolorosamente in testa, chiedendo a gran voce una risposta.

<< Perchè ora, Kibum? >> chiese << Perché hai deciso di raccontarmi tutto ciò proprio ora? >>

Il biondo si fece scappare involontariamente un sorriso sghembo nell'udire quella domanda. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Che temeva l'opinione del più grande? Che aveva paura che, una volta scoperta la verità, lo avrebbe odiato per sempre? Che non avrebbe sopportato, in tal caso, la sua ostentata indifferenza nei suoi confronti perché quel ragazzino tosto e dal carattere apparentemente ostile rappresentavano per Kibum il massimo a cui uno potesse sperare di essere?

C'era così tanto che Kim Kibum vedeva nell'altro che tutti gli altri ignoravano o addirittura tentavano di cambiare: Kim JongHyun era forte, era risoluto, era astuto e ben saldo nella convinzione delle sue idee e principi. Kim JongHyun era l'emblema di tutto ciò che il più piccolo avrebbe voluto essere: con anche solo la metà dei pregi dell'altro, era certo che avrebbe potuto far qualcosa di concreto per migliorare la sua vita e soprattutto quella di sua madre.

Ma Kibum era stanco. Gli dolevano tutte quante le ossa e i muscoli erano come ingessati. Aveva fame, aveva sete, aveva sonno e quei dannati occhi non la smettevano di bruciare. Infine, se non aveva capito male, lo scopo del gioco era far dire la verità ai giocatori e, nel caso in cui questi mentissero, di punirli con la morte. In più, da che mondo è mondo, ogni gioco finiva quando tutti gli sfidanti perdevano e un solo giocatore vinceva la partita. E per come la vedeva il biondo, Kim JongHyun si meritava un po' di felicità e gloria e, se quello era l'unico modo per redimersi e allo stesso tempo dare al moro un motivo per non odiarlo, allora Kibum non vedeva altre vie d'uscita.

JongHyun lo guardava con occhi spalancati e Kibum potè giurare di vedere stelle brillare in quei pozzi scuri.

Sì, Kim JongHyun meritava la vittoria molto più di lui.

<< Perché non mi piaci per niente, Kim JongHyun. E non mi interessava assolutamente nulla di cosa avresti potuto pensare di me. >> mentì e, subito dopo, scomparve con un sonoro pop.

E poi per Kim Kibum fu solo tutto nero.

Game over, ragazzi.

JongHyun si svegliò con un rantolo, scattando in piedi. Era madido di sudore, nel suo letto, e il sole era già alto.

Era terrorizzato e non riusciva togliersi quell'orribile sensazione. Era come se avesse perso qualcosa o qualcuno di molto prezioso per sempre. Scivolò fuori dal letto, si lavò e si vestì in un baleno e, gettando un'occhiata fugace alle foto dei suoi genitori e di SongDam appese lungo il corridoio della casa deserta, corse fuori.

La sua scuola non era lontana da casa. Fortunatamente, l'avrebbe raggiunta in meno di dieci minuti di corsa. Il ragazzo si sorprese alla formulazione di quel pensiero. Da quanto si sentiva fortunato a vivere vicino a scuola?

Non fece neanche in tempo a trovare una risposta che già aveva dimenticato la domanda. C'era qualcosa che gli premeva di più rispetto a quelle sciocchezze. Doveva affrettarsi...

Arrivò velocemente all'edificio scolastico aiutato anche dal fatto che non avesse con sé lo zaino con i libri. Aveva solo le chiavi di casa nella tasca dei pantaloni della divisa, mentre non c'era stato verso di ricordarsi dove avesse messo il cellulare.

Correndo oltre il cancello, sentì delle studentesse parlare del fatto che il professor Kang fosse improvvisamente morto d'infarto quella notte e ogni cosa gli ritornò in mente come se gli fosse stata premuta dentro il cervello come una scatola contenente una quantità sproporzionata di informazioni.

Mentre correva senza fiato verso la propria classe, JongHyun cercò con lo sguardo HwaMin: se il professor Kang era morto anche nella realtà, allora era probabile che anche agli altri che avevano perso durante il gioco, fosse capitata una sorte simile nella realtà. Non vide neanche l'ombra del ragazzo e il terribile presentimento che covava dentro di sé si fece sempre più opprimente man mano che saliva gli scalini due a due. Corse lungo il corridoio, guadagnandosi un paio di ramanzine da parte dei professori che ignorò e, con somma gioia che gli donò un minimo di speranza, incrociò lo sguardo di Cho SuJeon, viva e vegeta, che camminava nella direzione opposta alla sua e che distolse lo sguardo come se niente fosse mai accaduto. Infine giunse alla propria classe completamente affannato, ma si gettò comunque contro la porta e la spalancò. Alcuni dei suoi compagni si voltarono a guardarlo, chiedendosi perché mai facesse tutto quel casino mentre altri, impegnati a chiacchierare tra loro, lo ignorarono. Ma lui non c'era.

Dove diamine era?

Si sedette al proprio posto, chiudendo gli occhi e cercando di regolarizzare il respiro. Piegò la testa all'indietro, mentre lo sconforto e la delusione gli attanagliavano le budella. Aveva iniziato a immaginarsi i peggiori scenari quando una voce lo chiamò, distogliendolo dai suoi pensieri.

<< JongHyun hyung? >>

Il moro non fece in tempo ad aprire di nuovo gli occhi che già era in piedi, dritto come un fuso ed estremamente sconvolto. Davanti a lui, con due cellulari nelle mani, Kim Kibum si ergeva in tutta la sua statuaria perfezione.

<< Credo che questo sia tuo. >> disse porgendo al più grande il telefonino che teneva nella mano destra << Li ho trovati sulla rampa di scale della zona Ovest. Funzionano. >>

JongHyun prese il proprio cellulare e se lo mise in tasca per poi tornare a guardare, inebetito, Kibum. Senza dire una parola si gettò tra le braccia del biondo e lo strinse forte a sé, mentre nella classe si levavano fischi, risatine e battute rivolte ai due ragazzi, ma JongHyun non se ne curò affatto: l'importante era che la terribile sensazione di oppressione che avvertiva al cuore fosse completamente sparita.

Non aveva perso niente e nessuno. Kibum era vivo e ogni cosa appariva ora così perfetta.

Alla fine il moro decise di sciogliere l'abbraccio; afferrò l'altro per una spalla e lo condusse fuori dall'aula. Erano in anticipo, le lezioni non erano ancora cominciate.

<< Ti avverto qui e adesso >> disse il maggiore dei due quasi fuori di sé << Se menti di nuovo come hai fatto stanotte, io...Io...Io non lo so cosa ti faccio, ma stai pur certo che te ne pentirai amaramente! Non puoi farmi preoccupare così! Ho quel maledetto pop che mi rimbomba ancora nel cervello! >>

Kibum lo ascoltò con un'espressione scettica e un sorrisino stampati sul volto e poi lo rassicurò sul fatto che non avrebbe più mentito.

<< Scusa, hyung >> aggiunse poi il biondo << Ma perché ti sta così a cuore la mia onestà? >>

<< Perché l'onestà è una cosa importante, non l'hai ancora capito, dopo stanotte? >> rispose JongHyun << E dato che a me non è stata data la possibilità di parlare onestamente, allora lo farò adesso di mia spontanea volontà: voglio che tu non dica bugie perché voglio che tu sia vero con me. Sii onesto e ti prometto che tutto andrà bene, ma soprattuto non voglio più temere di perderti. >>

<< La vuoi sapere una cosa, hyung? >> chiese Kibum.

<< Cosa? >>

<< Sei proprio melenso, mi fai venire il diabete! >> scherzò il più piccolo.

<< Ah, sì? Vediamo se così ti passa, allora! >> esclamò il morò inziando a strofinare forte con le nocche la testa bionda del ragazzo.

Kibum lanciò un grido scherzoso e si divincolò dalla presa dell'altro, ridendo, per poi posare un braccio sulla spalla del più grande mentre si incamminavano verso la classe.

<< Quindi questo coso funziona ancora, eh? >> chiese JongHyun tirando fuori il suo cellulare dalla tasca << Che roba. Ha fatto un volo di tre piani ed è come nuovo. Dovrei fare quel gioco con qualche persona di mia conoscenza che deve ripagarmi di un torto. Se la regola del cellulare vale anche per le persone, allora non si farà poi così male... >>

<< Hyung! >> esclamò Kibum, mentre le loro voci si facevano sempre più ovattate man mano che si avvicinavano alla classe e venivano coperte dal vociare degli altri studenti.

<< Lo so, lo so...Scherzavo! >> si affrettò a dire JongHyun << Si può sapere dove hai il senso dell'umorismo? >>

  
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