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Autore: Gayzelle    10/05/2013    1 recensioni
Quando si pensa ad un'arpia, solitamente si immagina una creatura assassina, senza alcun sentimento.
Ma se una giovane arpia dall'animo ribelle infrangesse una regola fondamentale imposta dal suo mondo, cosa potrebbe accadere?
Quando amare può diventare un peccato mortale, il fato diventa particolarmente crudele.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arpie

Volgo lo sguardo al cielo offuscato dalla nebbia densa e grigia, profumata di pioggia e di resina di pino.
Il panorama che si estende sotto ai miei occhi è illuminato solo dal pallore della luna che scompare dietro la coltre compatta, disegnando aloni argentati.
Dischiudo le mie ali, scrollando un poco le gocce d’acqua che si sono posate sulle piume corvine, come fossero stelle cadenti che si muovono nella notte scura.
Socchiudo gli occhi e, con un agile movimento delle gambe, mi ritrovo a sovrastare l’albero in cui mi ero appisolata.
Il mio respiro si fonde nell’atmosfera irreale di quel luogo, dove la brezza amara arrivata dal nord penetra nelle narici provocando un piacevole bruciore, mentre i miei battiti cardiaci vanno al passo del lento muoversi delle ali.
Inizio a prendere quota e mi tuffo nel cielo notturno, annegando nell’oscurità quasi assoluta, se non fosse per i piccoli e lontani bagliori delle stelle.
Poco per volta il cielo si riempie di piccole gocce luccicanti, che s’infrangono sulla mia pelle come tanti piccoli cristalli, riempiendo il mio piumaggio di stelle.
Inizio una danza macabra a ritmo con lo scroscio della pioggia, avente come palcoscenico il manto oscuro e protettore della notte e come riflettori le miriadi di piccole stelle.
Mi avvito, salgo verso la luna e scendo fino all’erba bagnata, dispiegando di colpo le ali per potermi muovere aggraziata a pochi metri da terra.
Allungo una gamba verso terra e, il piacevole contatto con l’acqua gelida del laghetto, crea un brivido che mi percorre per tutta la schiena fino alla base della nuca, facendomi inclinare la testa.
Scruto nello specchio d’acqua e vedo ciò che sono ormai abituata a vedere e di cui per anni ho avuto vergogna o addirittura paura.
Un corpo umano, femminile, che ha per arti anteriori un paio di ali corvine e che al posto dei piedi ha due zampe da volatile, blu, con lunghi e affilati artigli.
Il colore non è dei più vivaci, ma ora me ne rallegro perché in questo modo posso volare indisturbata durante le ore notturne.
Le sfumature predominanti sono quelle che vanno dal blu scuro al nero, eccezion fatta per la pelle diafana che mette in evidenza i capelli piumati e le ali scure.
Vari segni ho sul corpo,  scure strisce verticali e orizzontali che ne fanno parte da sempre, ma anche segni di graffi fatti dai rami degli alberi e dagli animali solitamente predatori, che finiscono poi a divenire la mia cena.
I miei capelli sono lunghi e lisci, dello stesso colore delle acque scure e misteriose di questo laghetto, intrecciati a delle penne lunghe e rigide verso le punte, mentre sull’attaccatura le piume sono piccole e morbide.
Raggiungo la riva e mi adagio sull’erba bagnata, assaporando con la schiena le gocce sottili e pungenti come spilli mentre i miei capelli si appiccicano gocciolanti alle spalle e al viso.
Mi siedo su una roccia levigata e fredda che si specchia nel piccolo laghetto nascosto dalla nebbia,
sfioro l’acqua con la punta dell’ala, lasciando una scia che deforma il corpo al di là della pozza liquida.
A contatto con la pelle il liquido è denso come petrolio ma freddo come il ghiaccio e nella profonda oscurità esso nasconde milioni di segreti, per questo mi assomiglia.
L’immagine di me stessa che si riflette non potrebbe essere più vera di ciò che è, la tristezza e l’immobilità delle acque mi rendono macabra e le tenebre inquietanti con cui sono dipinta, celano le mie paure e la mia vera natura, non quella di assassina divoratrice di uomini sfortunati che si ritrovano a vagare in questa ombrosa foresta, bensì quella di ragazzina dall’animo umano e infantile, che gioca con i gusci delle ghiande e che ruba le castagne alle famiglie di porcospini.
Al villaggio sono dipinta come un mostro dalla bellezza immortale, una ragazza con le ali d’aquila e dai capelli piumati, dall’espressione fredda e demoniaca allo stesso tempo, ma non si accorgono del velo di tristezza che ricopre i miei occhi di ghiaccio, il desiderio di essere compresa celato nel mio cuore.
Ho sempre creduto che sarei riuscita a vivere tra il cielo e la terra nel buio della notte, nutrendomi di selvaggina e di umani, volteggiando nell’aria gelida e nascondendomi nelle grotte, ma sento che manca qualcosa.
Mi chiedo cosa sia, il mio vorace bisogno di libertà è saziato fino in fondo e sono sicura di non sentire la mancanza di un genitore o tutore, che mai ho conosciuto.
I miei pensieri vengono interrotti da un fruscio alle mie spalle, c’è qualcosa di nascosto all’interno di un cespuglio.
Cena.
Sento ogni muscolo del mio corpo contrarsi e le gambe sono più che pronte a spiccare un balzo felino, le ali pronte a schiudersi per poter sorprendere la mia preda dall’alto ed avere il vantaggio su di essa.
Il silenzio che segue è riempito solo dai battiti del mio cuore nervoso che non aspetta altro che il momento fatidico, ho smesso quasi completamente di respirare nel frattempo e la mia bocca è contratta in un ghigno sadico e impaziente, completamente disumano.
Forse il mio desiderio di essere compresa deve restare solo un sogno irraggiungibile, il mio spirito è quello di assassina ed è impossibile cambiarlo.
Sposto lo sguardo per una frazione di secondo sullo specchio d’acqua al mio fianco e il mio viso contratto in quella smorfia mostruosa mi da un senso d’inquietudine, i capelli sono irti e gli occhi sono desiderosi di sangue mentre i canini sporgono dalle mie labbra.
Il fruscio si fa sentire nuovamente e io ho il corpo teso in avanti, pronto ad avventarsi su quel cespuglio; la mente sgombra da ogni pensiero e l’odore aspro del sangue nelle narici mi accompagnano sempre prima del banchetto.
Le foglie si scostano e una figura umana inizia a muoversi nell’ombra.
Spicco un balzo alimentato dalla potenza delle ali che tagliano l’aria violente e, ormai in preda alla follia, lancio un verso acuto, a metà tra l’urlo di una donna e quello di un aquila.
Calma, mi devo calmare, devo aprire gli occhi e guardare, non devo più nascondermi nel lago di sangue che vedo se li tengo chiusi.
Apro gli occhi di scatto e l’ombra indistinta dell’umano si è fatta nitida, è a terra che mi fissa, scorgo il terrore nei suoi occhi ma cerca di nasconderlo con un sorriso.
E’ un ragazzo giovane che avrà circa quattordici anni, è quindi un po’ più grande di me.
Ora che ci penso essere un’assassina provetta a questa età non è una cosa normale, ma io sono un mostro e non posso far altro per sopravvivere, per proteggermi da coloro che non hanno buone intenzioni o anche solo per nutrirmi.
Lo vedo alzarsi mentre io sono ancora sospesa in aria, crede forse di scappare?
Immagino la scena, lui che si volta e inizia a correre e io che lo inseguo volando tra le fronde degli alberi per poi saltargli alla gola.
Invece non si è ancora voltato, rimane lì in piedi e mi guarda senza più la paura negli occhi; quello sguardo mi ha come rapito, non riesco a staccare i miei occhi color del ghiaccio dai suoi verdi come smeraldi, forse è un trucco per distrarmi e uccidermi, per portarmi poi al villaggio come trofeo di caccia.
Rimango all’erta e ad ogni suo movimento verso di me vado più in alto e più lontano, scappo da quel sorriso così affabile che ha catturato anche mia madre portandosela via per sempre.
Lo vedo chinarsi e raccogliere un ciondolo, credo sia appartenuto alla ragazza che l’altro giorno è affogata nelle acque scure del laghetto, staccandosela con forza prima di gettarsi nelle sue fauci gelide.
Vedo il pugno del ragazzo stringersi su quella collanina argentata e tante piccole gocce iniziano a solcargli il viso pallido, si porta il pugno chiuso all’altezza degli occhi e scosta una ciocca di capelli rosso fuoco dalla guancia.
Si gira verso di me e gli occhi umidi sono carichi d’odio profondo, un odio nero come la pece e soffocante come la mancanza di ossigeno.
So cosa pensa, crede che io abbia ucciso la ragazza, dopotutto sono un’arpia, sarebbe comprensibile, eppure non ho fatto niente, ma il fatto che lui lo pensi non mi va giù.
Inizio a scendere verso la terra anche se ho la consapevolezza che potrei finire uccisa, ma qualcosa mi spinge ad avvicinarmi a quel ragazzo che ora oltre ad essere carico d’odio, è anche impaurito, ha paura di me, ha paura di ciò che potrei fargli.
Appoggio una zampa sull’erba e inizio a camminare verso di lui, mi muovo impacciata per colpa delle ali e faccio in tempo a sentire qualcosa di tagliente sfrecciarmi sulla pelle.
Un rivolo di sangue inizia a sgorgare dalla vita, la pietra che mi ha provocato quel taglio è poco più indietro mentre colui che mi ha ferito è poco più avanti.
Mi fermo e guardo il ragazzo, sapevo di aver fatto male ad avvicinarmi ed ora lo vedo fuggire nella foresta.
Mai come ora mi sono sentita sola, sento il bisogno di sfogare la mia frustrazione, lui era diverso, non mi temeva per il mio aspetto, ma avrei fatto meglio a divorarlo subito.
Chissà se ad un’arpia è permesso innamorarsi di un umano, c’è una legge che vieta di innamorarsi di qualcuno appartenente a un’altra razza?
Mi incammino verso le acque misteriose, passo dopo passo, molto lentamente mi immergo fino al petto e per la prima volta il freddo mi da fastidio, la ferita non mi fa male, sono abituata ai tagli.
Ora ho capito cosa mi manca, voglio qualcuno con cui stare, a cui non dia fastidio il mio aspetto, che non mi giudichi per quello che vede o per quello che dicono gli altri.
Ormai sono quasi completamente immersa in quelle acque che sembrano ridere di me, sento i miei pensieri volare lontano e le voci della foresta non giungono più alle mie orecchie, se io morissi nessuno verrebbe a cercarmi, sono un mostro assassino completamente solo e mi merito questa fine, l’unica alternativa sarebbe perdere la memoria, dimenticare quel ragazzo in qualche modo.
Non sento più niente, sento solamente la mia anima che preme per uscire, il mio cuore che ha bisogno di pompare aria, l’aria che ormai sta a metri sopra di me.
Sorrido, spero che ci sia una specie di Paradiso anche per me, dove poter incontrare la ragazza del ciondolo e dirle che il ragazzo dagli occhi di smeraldo è venuto a cercarla, che non è stata dimenticata.
Sento qualcosa stringermi l’ala, forse è un animale che mi ha morso, ma tra poco non sentirò più nulla; mi sembra quasi di star risalendo in superficie trascinata da qualcosa, forse è solo l’impressione che da salire in Paradiso, oppure è un briciolo di speranza che mi vuol far credere che non tutto è perduto, che posso ancora andare avanti.
Ho il coraggio di aprire gli occhi e riesco a vedere, seppur in modo offuscato, qualcosa di scintillante che si stringe attorno alla mia ala sanguinante.
Socchiudo gli occhi per cercare di mettere a fuoco l’oggetto e riconosco la catenella appartenuta alla ragazza.
Alzo lo sguardo e vedo una mano affusolata tentare di prendere qualcosa nell’acqua, mentre in superficie la figura del ragazzo di prima si agita sporgendosi sempre di più, finché non cade nelle acque oscure che non hanno pietà per nessuno.
Risalgo verso la luce pallida che sfiora la superficie e che illumina il viso del mio principe, rendendolo di una bellezza così irraggiungibile e divina da essere anche inquietante.
Ormai l’ossigeno di cui avevo bisogno per vivere ha cessato il suo viaggio nel mio corpo e i battiti del mio cuore si fanno sempre più lenti, ma devo salvarlo, se morisse anche lui non potrei mai essere felice nell’oltretomba.
Il suo corpo sostenuto dalle mie ali corvine è leggero, ma da l’impressione di essere già morto tanto è immobile.
Dopo attimi che sembrano interminabili riemergo in superficie insieme a lui e subito acquista il peso dato dall’atmosfera diversa che c’è qui sulla terra.
Respiro avida l’aria che ho intorno, riempiendo i polmoni fino allo stremo, nuotando convulsamente verso la riva e trasportando il corpo immobile del ragazzo.
Lo sdraio a terra sull’erba umida di rugiada che inizia a mischiarsi al rosso vivo del sangue scuro e denso che cola dalla mia ala, le piume corvine inzuppate di acqua si staccano vicino all’area della ferita e galleggiano sul laghetto vittorioso, capace di portare un’arpia incontro alla morte.
Cado pesantemente sulle gocce d’acqua dai riflessi vermigli, posate sui fili freschi e verdi dell’erba,
chiudendo gli occhi d’istinto e digrignando i denti.
Sarebbe stato meglio se fossi morta, ma non sarei mai stata felice se per il mio egoismo fosse morto anche il ragazzo di cui il nome mi è ancora sconosciuto.
Osservo la mia ala, è stata ferita dal ciondolo tagliente della catenella che ora si è attorcigliata alle piume, il taglio è poco profondo, ma brucia come le braci ardenti sulla pelle.
Mi volto lentamente, cercando di non muovere troppo l’ala dolorante, e dei morbidi ciuffi color cremisi mi solleticano il naso.
Trovarmi accanto all’umano che mi ha fatto capire cos’è l’amore, mi infonde una sensazione di calore affettuoso e mi fa dimenticare la mia natura assassina.
 Osservo la luna che sta sparendo dietro alle montagne bianche di neve mentre il sole neonato colora le nuvole di rosa pastello e di un giallo pallido.
Un fruscio al mio fianco distoglie la mia attenzione dal cielo e sposto lo sguardo sul viso ancora pallido di colui che mi è accanto, lo vedo girarsi verso di me e aprire gli occhi smeraldini che sovrastano tutti gli altri colori che ho intorno.
Sono come ipnotizzata da quello sguardo così gentile, così rassicurante, che sembra scrutare la mia anima attraverso gli occhi, mi da la sensazione di potermi capire solo guardandomi.
Mi alzo tossendo, dimenticandomi dell’ala ferita che inizia subito a bruciare al minimo movimento, ma cerco di non darlo a vedere, digrigno i denti e emetto dei mugolii gravi.
Sbatto le ali per cercare di farle asciugare, ma l’idea è pessima e un gemito spira dalle mie labbra.
Vedo il ragazzo fissare prima il mio viso e poi puntare gli occhi sulle piume corvine di una delle mie ali, si alza e si avvicina ad essa mentre io lo guardo diffidente ma affascinata dal suo sguardo serio.
Mi sorride dolcemente e, con movimenti lenti e delicati, disincastra la catenella argentata, distogliendomi dal dolore con la sua espressione.
Una volta tolta, la immerge nell’acqua e mi si avvicina nuovamente, tendendomi la mano con il ciondolo; arrivato a pochi passi da me, s’inginocchia chinando il capo in segno di rispetto.
-Ciò che voglio non è venerazione,- Dico, mostrando la mia voce ad un umano per la prima volta.
-non voglio essere venerata per la mia natura assassina e per la paura che si nutre nei miei confronti, bensì per ciò che sono realmente e che solo guardando attentamente si può scorgere,
per la mia natura di ragazzina che ho celata nell’anima e che solo qualcuno puro e di sincero può scorgere.-
-L’ho capito fin da subito, non sei un mostro, l’aspetto è ciò che s’imprime di più nella mente e a volte ci si basa solo su quello, ma bisogna essere saggi per riuscire a guardare con il cuore già dal primo incontro.- Risponde il ragazzo alzando il capo e mantenendo un’espressione seria e sincera, con gli occhi velati di dolcezza.
A quelle parole sono io a inginocchiarmi, la sapienza umana, per quanto rara, è forse la più elevata di tutte.
-Ti inchini sempre davanti a chi ti ha ferito?- Mi chiede lui sorridendo.
Sgrano gli occhi e sposto lo sguardo sul taglio che ho ancora sul bacino, ormai rimarginato, e mi rialzo lentamente, voltandomi verso la foresta.
-Aspetta! Prendi questa.- Poggia la mano sulla mia scapola facendomi girare delicatamente, intreccia le braccia al mio collo e allaccia la catenella argentata, mentre le mie guance nivee s’imporporano, lasciandomi interdetta sul da farsi.
Mi allontano di qualche passo e sfioro la collanina con le piume, per essere sicura che ci sia veramente.
-Perché me l’hai data?- Chiedo atona, cercando di non lasciar trasparire il minimo sentimento.
-Mi ricordi mia sorella, quella che è annegata.- Risponde con un sorriso tirato, sussurrando l’ultima frase.
-Come posso ricordarti un’umana dall’aspetto nobile e femminile, l’esatto contrario di me?- Dico sprezzante.
Ridacchia un po’, ma torna serio prima di rispondere.
-E’ qui che tutti sbagliano, anche tu ti sei basata solo sull’aspetto, ma in realtà lei, come te, era ribelle e desiderava essere guardata nell’anima. Ma aveva una vita molto più travagliata di quel che sembrasse, era infatti la sacerdotessa del villaggio e non poteva mostrare la sua “vera natura”, è per questo che…- Si interrompe, gli occhi luccicano e si gira a guardare il laghetto solcato dai riflessi del sole.
Sto in silenzio, lo guardo attentamente e cerco di cambiare argomento con una domanda.
-C’è una legge nel vostro villaggio che vieta di innamorarsi di qualcuno appartenente ad un’altra razza?-
-Sì, soprattutto se la razza in questione è pericolosa per noi umani.- Dice guardando il cielo.
Assottiglio gli occhi, è lampante che si stia riferendo a me.
-Ma le regole sono fatte per essere infrante, non trovi?- Conclude la frase guardandomi negli occhi, lasciando una traccia indelebile di quel colore così intenso nella mia iride di ghiaccio.
Un umano e un’arpia uniti, due razze anticamente simili ma che poi si sono divise per le differenze evolutive, gli uomini hanno rinunciato alla libertà per dedicarsi alla cura delle piante e degli animali utili per la nutrizione, vivendo alla luce del sole, mentre le arpie volano di notte cacciando le belve selvatiche e abbandonandosi alla più completa libertà.
Forse è questo che mi trattiene dal gettarmi fra le sue braccia, legarmi a qualcuno mi impedirebbe di volare in qualsiasi ora della notte e dovrei abituarmi al sole per vedere il ragazzo che mi ha rubato il cuore.
-Tu mi ruberesti anche le ali.-  Dico con lo sguardo basso.
-Mi toglieresti la libertà e per tutta la mia vita rimpiangerei la brezza notturna che mi sferza il viso e le stelle luminose, guide del mio cammino.-
-Se è la prigionia che ti preoccupa, io sarei il tuo principe e tu la principessa, non il re e la serva. Saresti libera di venire qui ogni volta che ne sentissi il bisogno e potremmo fare da esempio agli abitanti del villaggio, mostrando loro che non sei crudele.- Dice lui passandomi le dita tra i capelli.
Mi allontano di scatto da quel tocco demoniaco e angelico allo stesso tempo, capace di incantare persino Medusa.
-Niente da fare. Dimenticati di me. Verrà un giorno in cui le altre razze saranno comprese dall’uomo e in quel giorno sarò lì, al tuo fianco, ma fino ad allora fai come se non mi avessi mai conosciuto e continua la tua vita.-
Detto questo mi stacco dalla terra con un battito d’ali, sollevando una nube di polvere che inghiotte la figura del ragazzo mentre tossisce, chiudendo gli occhi.
Un buon momento per scappare.Penso.
Ma non riesco a non rivolgermi a lui per l’ultima volta per chissà quanto tempo e sussurro la parola “Arrivederci” , troppo simile ad un addio.
Volo veloce verso le montagne dove il sole tramonterà questa sera, svanendo poco dopo come un sogno ad occhi aperti.
Dopo cinque anni torno finalmente in quella foresta, dove ho compiuto il peccato più grande: innamorarmi di un umano.
Ho appena compiuto i diciotto anni, sono ormai adulta, ma ricordo quel giorno come se fosse ieri.
Sto mantenendo la mia promessa, noi creature magiche abbiamo aiutato gli esseri umani in una battaglia contro La Morte, guadagnandoci la loro fiducia e giungendo ad un accordo: noi non avremmo più potuto attaccare l’uomo, mentre esso si impegnava a rispettarci come loro pari.
Le unioni tra razze sono ora ben accette.
Arrivo al villaggio e chiedo del ragazzo ad una signora verso la cinquantina, che risponde alla mia domanda con un sospiro e con un cenno del capo mi indica un punto triste a sud del villaggio.
Mi dirigo lì e un gruppo di persone in lacrime attira la mia attenzione; sono radunate intorno ad un blocco di marmo sdraiato per terra, riportante un nome e una foto.
E’ lui.
Le scritte incise riportano due data e una frase: 1999-2018 Caduto durante la sanguinosa guerra che ha colpito i due mondi, quello dei vivi e dei morti.
Lacrime impetuose iniziano a scivolare lentamente lungo le mie guance e cado in ginocchio singhiozzante, sotto gli sguardi stupiti e apprensivi della gente che mi è attorno.
Faccio scivolare delicatamente le mie ali corvine sulla tomba bianca e poggio la mia fronte su di esse, mi sembra di piangere lacrime di sangue tanto è il dolore che provo in questo momento.
-Andatevene tutti!- Inizio a minacciare la gente che è intorno a me, ringhiando e mostrando i denti appuntiti, alzandomi sulle gambe barcollanti e spalancando le ali tenendo chinata la testa.
Non ci pensano due volte a lascarmi sola e, piangendo, mi accovaccio al fianco della tomba, sussurrando parole in antica lingua celtica come una cantilena, per tenere lontani gli altri spiriti.
-Visto? Ho mantenuto la promessa. Ora starò qui finché il tempo non ci riunirà e io potrò finalmente abbracciarti senza che nessuna legge ce lo vieti, vedrai.-
Mi appoggio alla lapide avvolta dal freddo, le mie lacrime si ghiacciano mentre scivolano sulle guance e la mia pelle viene avvolta dalla brina invernale.
La Morte soffia sul mio collo e mi tende la mano, guardo per un’ultima volta il mio viso sereno come di chi si addormenta e afferro le dita ghiacciate e scheletriche di colei che toglie la vita, lasciandomi trasportare nel cielo come se fosse una cara amica.
Mi ritrovo sdraiata su un tappeto d’erba, fresca e verde come non mai prima d’ora, e vedo venirmi incontro una figura conosciuta.
Il sorriso dolce che non ha mai abbandonato il suo viso pallido e i capelli rossi risaltano nella nebbiolina di nuvole, ma ciò che brilla come una pietra preziosa sono gli occhi, che, come le stelle, mi faranno da guida in questa nuova vita.
-Ti ho aspettata per tutto questo tempo ma finalmente ora siamo insieme, e questa volta sarà per sempre.-
 
 
 
  
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