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Autore: Lady Five    10/05/2013    7 recensioni
Che ne è stato dell'ex equipaggio dell'Arcadia dopo che il capitano lo aveva sbarcato sulla Terra per poi sparire nello spazio? Tutti hanno provato a rifarsi una vita, ma qualcuno non si è mai rassegnato a quella separazione.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Tadashi Daiwa, Yuki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Breve storia che cerca di riempire il vuoto tra la fine della serie “classica” ed Endless Odyssey. Il tema “che cosa è successo dopo” in realtà è già stato trattato egregiamente da molte autrici, questa è una versione un po' più intimistica, raccontata da Yuki (forse la storia che sento più 'vicina' è “L'emozione non ha voce” di danish...).
Ho rimescolato un po' le carte, perché Tadashi è il “vecchio” personaggio, e non ho considerato che anche Mayu era rimasta sulla Terra.

I personaggi di questa storia, scritta senza scopo di lucro, appartengono al venerato maestro Leiji Matsumoto.

 

ORA CHE E' TUTTO FINITO

Quando lui ci lasciò sulla Terra e l'Arcadia sparì per sempre alla nostra vista, credetti davvero che non sarei sopravvissuta a quel dolore. Lui aveva sempre detto che noi eravamo liberi, ma in quel caso non ci aveva lasciato scelta. Aveva deciso che il nostro pianeta aveva bisogno di noi. Aveva pronunciato dei discorsi molto nobili, “costruite una nuova storia”, “dovete fare cose importanti”... e se n'era andato. E perché, poi? Per quale motivo lui non poteva far parte di quella storia? Forse perché uno come lui non si sarebbe mai adattato a una vita “normale”? Perché ormai lo spazio si era impadronito della sua anima? Nessuno lo sa. Nessuno, in verità, glielo chiese nemmeno. E lui non diede alcuna spiegazione. Non ne aveva mai date in vita sua, del resto.
L'unica certezza è che non si era minimamente posto il problema che forse anche noi avevamo bisogno di lui... io, soprattutto.... Possibile che non si fosse accorto del mio sguardo smarrito? Aveva salutato tutti, a tutti aveva affidato un compito... tranne che a me.

Per non pensare, per non soffrire, forse anche perché ormai ero abituata ad obbedirgli, i primi mesi mi ero buttata a capofitto in quel difficile lavoro di ricostruzione. Non nascondo che all'inizio l'atmosfera era esaltante: l'entusiasmo, la voglia di fare, la solidarietà, erano palpabili ovunque, sia tra noi, ex membri dell'equipaggio dell'Arcadia, sia tra gli altri terrestri. Il passato sembrava dimenticato, tutti ci sentivamo uniti da uno scopo comune.
E non posso nemmeno negare che in effetti un po' la Terra ci era mancata, quando stavamo lassù... la luce del sole, le albe e i tramonti, l'avvicendarsi delle stagioni, la natura in tutte le sue molteplici manifestazioni...
In poco tempo, non so nemmeno io come, ero diventata un punto di riferimento, insieme a Tadashi. Nonostante la nostra giovane età, ci eravamo trovati a coordinare diversi progetti, anche le autorità per molte questioni si appoggiavano a noi. Probabilmente perché le nostre esperienze precedenti erano un po' fuori dal comune e avevano affinato alcune nostre abilità, come la capacità di prendere decisioni difficili molto in fretta.
Tutta quell'attività frenetica fu la mia fortuna, perché durante il giorno non avevo tempo per pensare ad altro, e la sera ero talmente stanca che mi addormentavo all'istante.
Lavorare insieme in quel contesto finì per avvicinarmi molto a Tadashi, più di quanto fosse mai accaduto prima. Più di quanto avrei voluto. Entrambi eravamo soli al mondo, non avevamo più una famiglia, i nostri unici amici erano la ciurma dell'Arcadia. Ciurma che però pian piano si disperse: dopo poco tempo, chi aveva un luogo o un affetto a cui tornare, chi aveva ancora un famigliare, un amico, una casa, giustamente vi tornò. Alla fine restammo soltanto noi. Io, che apparivo forte e decisa, ma in realtà mi sentivo morta dentro, e lui, che invece sembrava avere trovato il suo posto nel mondo, la sua dimensione. E che pareva non chiedere nient'altro, se non restarmi accanto.
Non avrei dovuto cedere, lo so. Ma ormai avevo perso ogni speranza. Se per un po' avevo voluto credere con tutte le mie forze che lui sarebbe tornato, prima o poi, almeno per salutarci, per vedere come ce la cavavamo, adesso sapevo che non l'avrei più rivisto. Mai più. E quindi della mia vita sentimentale non m'importava più nulla. Non avrei mai più incontrato un uomo come lui. Non avrei mai più amato nessuno come amavo lui. Queste erano le mie uniche certezze. Punto.
Ma la solitudine è una cattiva consigliera, soprattutto per chi non ha nemmeno un padre, una madre, un fratello, un'amica... E spesso spinge a decisioni profondamente sbagliate. Avrei voluto essere forte e coerente fino in fondo e farcela da sola. Ma non ne sono stata capace. L'affetto di Tadashi era caldo, sincero, discreto. Le sue parole gentili, i suoi gesti premurosi, scivolavano come miele sul mio cuore dilaniato.
Malgrado tutto, prevalse l'istinto di conservazione. Malgrado tutto, scelsi di continuare a vivere, e nel migliore modo possibile. Magari, con il tempo, non dico che avrei dimenticato... ma forse mi sarei rassegnata. Come tanti, in fondo. La felicità di quel ragazzo era contagiosa. E per un po' mi illusi che potesse funzionare.

Ma, passato il momento della ricostruzione, nel giro di un paio d'anni tutto lentamente, ma inesorabilmente, rientrò nella “normalità”. Noi continuammo a collaborare con il governo, ma, mentre Tadashi ne era entusiasta e si dedicava anima e corpo al suo lavoro, io mi sentivo sempre di più un pesce fuor d'acqua. La routine, giorno dopo giorno, erodeva l'equilibrio che con tanta fatica ero riuscita a creare dentro di me. Niente sembrava avere un senso. Ero ormai rassegnata, sì, a sprofondare sempre più nella depressione, quando accadde un fatto destinato a cambiare un'altra volta la mia sorte.
Abitavamo in una piccola casa in periferia, praticamente quasi in campagna. E in un prato lì vicino un giorno atterrò, o per meglio dire, quasi precipitò, una vecchia astronave. Il comandante era un uomo di una certa età e ci disse, quando accorremmo per verificare che non ci fossero feriti, che avevano un semplice guasto tecnico, che avrebbero potuto facilmente riparare con i pezzi di ricambio giusti. Non conoscevano però la città, quindi... visto che eravamo così gentili... se potevamo procurarglieli noi... Tadashi disse subito di sì ed entro sera aveva già recuperato tutto l'occorrente.
Io invece mi insospettii. Si spacciavano per un cargo mercantile, ma io non avevo perso il vecchio istinto e intuii subito che si trattava di fuorilegge. Contrabbandieri, probabilmente. O pirati. Altrimenti, per esempio, si sarebbero limitati a chiedere informazioni e poi si sarebbero arrangiati da soli. Invece, era evidente che non volevano farsi vedere troppo in giro. E poi... il nome del comandante, Silver... chiaramente un soprannome, che soltanto chi aveva bazzicato certi ambienti poteva conoscere. Quell'antico romanzo, L'isola del tesoro, non mancava mai nella biblioteca di ogni nave pirata che si rispetti!
Il mio cuore, a questo pensiero, cominciò a battere all'impazzata. Capii che era ciò che, senza saperlo, stavo aspettando. Non avevo molto tempo per riflettere. Una volta riparato il mezzo, sarebbero ripartiti nel giro di poche ore. Così decisi.
Parlai con il comandante, mentre Tadashi non c'era. Gli chiesi di poter andare con loro. All'inizio, naturalmente, lui non capì, e fu molto riluttante. Per convincerlo, dovetti rischiare e dirgli la verità, rivelargli che conoscevo molto bene quella vita, perché ero stata un membro dell'equipaggio dell'Arcadia, e volevo tornare a farla. Un'esistenza tranquilla e senza scosse non faceva per me. A quel punto, non sollevò più obiezioni e mi disse di tenermi pronta per la partenza, l'indomani.
Difficile descrivere come mi sentissi in quei momenti. Eccitata, spaventata, un po' folle... Ero perfettamente cosciente della ragione, l'unica ragione, per cui desiderassi andarmene con quegli sconosciuti. Volevo ritrovarlo. Speravo che, tornando a vagare nel cosmo, prima o poi l'avrei incontrato. Una pazzia. Quante probabilità c'erano? Una su un miliardo era già un calcolo ottimista! Ma dovevo provarci, o sarei morta del tutto.
Così preparai i bagagli.
La parte più difficile, più dolorosa, fu dirlo a Tadashi. Sì, avrei potuto anche andarmene senza spiegazioni, o lasciargli soltanto un biglietto. Ma mi sarei sentita un mostro di insensibilità, dopo quello che c'era stato tra noi. E lui meritava di essere trattato da uomo.
Solo che l'addio fu ancora più straziante di quanto avessi immaginato. Tadashi non si arrabbiò, non fece scenate. Ma non dimenticherò mai l'ombra di disperazione che calò sul suo sguardo.

Immagino tu abbia già deciso, e che qualunque cosa io dica o faccia non cambierai idea..”
Scossi la testa, compiendo uno sforzo sovrumano per non piangere.
Poi mi abbracciò e mi sussurrò all'orecchio:

Salutamelo, quando l'avrai trovato.”
Sussultai.

Ma... chi?”
Lo sai chi...”
Allora compresi. Compresi che lui sapeva. L'aveva sempre saputo.
A quel punto non potei più trattenere le lacrime, annichilita dal senso di colpa. Non tanto per quello che stavo per fare, ma per quello che avevo fatto in passato.

Mi dispiace tanto!”
Mi prese il viso tra le mani, asciugandomi le lacrime con i pollici.

Non è colpa tua. Ho sperato tanto che il mio amore bastasse per tutti e due, ma non è stato così... sono io che ho sbagliato, non poteva funzionare. Adesso devi cercare seriamente di essere felice, non accontentarti più di un surrogato.”
Avrei preferito mille volte che mi schiaffeggiasse. Ma lui non tentò nemmeno di combattere. Perché tanto sapeva che avrebbe perso. O forse - pensai con amarezza - mi amava al punto tale da lasciarmi libera di seguire il mio cuore, anche a costo di farsi spezzare il suo.

Io... tornerò a trovarti qualche volta.”
No, è meglio di no. Sarebbe troppo pericoloso. E adesso me ne vado, se non ti dispiace. Preferisco non vederti partire.”
Mi diede un ultimo bacio e uscì di casa, senza darmi il tempo di aggiungere altro. E che cos'altro avrei potuto aggiungere, se non che gli auguravo con tutto il cuore di dimenticarmi in fretta e di essere felice anche lui come meritava, molto più di me?

Così partii con quelli che sarebbero diventati i miei nuovi “colleghi”. Erano esattamente quello che pensavo: pirati, predoni dello spazio, chiamateli come volete. Niente a che vedere con gli ideali romantici di Harlock e dell'Arcadia. Non erano dei violenti, però. Ricorrevano alle armi solo in caso di effettiva necessità.
Il comandante era un vecchio “lupo dello spazio” e divenne presto quasi un secondo padre per me. Si prodigò per farmi accettare dal resto dell'equipaggio e, appurato che provenivo da una buona scuola, mi affidò compiti via via più difficili e di responsabilità. In breve diventai il suo primo ufficiale, ruolo che non c'era mai stato su quella nave. Dopo qualche tempo gli rivelai anche il principale motivo per cui mi ero imbarcata con loro, ma forse quello l'aveva capito da un pezzo. Cercò di aiutarmi come poteva, contattando vecchi amici e fuorilegge come lui, per avere informazioni, segnalazioni. Ma senza successo. Harlock sembrava proprio sparito, inghiottito dagli spazi siderali. O forse, semplicemente, non voleva farsi trovare.
Un brutto giorno ci fu uno scontro molto aspro con una banda rivale, e il capitano fu ferito a morte. Sembravo destinata a perdere irrimediabilmente tutte le persone a cui volevo bene. In quanto primo ufficiale, presi io il comando per un po', ma poi fu lo stesso equipaggio a chiedermi di assumerlo in via definitiva. E così cominciò la mia esperienza di comandante di una nave pirata... come lui...

Scoprii che ci stavano dando la caccia. Non solo a me, che ero effettivamente tornata a essere una fuorilegge, ma a tutti gli ex membri dell'Arcadia in quanto tali. Non sono mai state chiare le ragioni di questo voltafaccia da parte delle autorità terrestri. Probabilmente eravamo finiti nel mirino di qualche esponente del governo o dell'esercito con manie di carriera, o in qualche sporca lotta di potere, chissà... Ero preoccupata, soprattutto per Tadashi. Il Dipartimento per la preservazione della quiete spaziale non mancava di comunicare regolarmente alla tv le liste dei “criminali” catturati, ma Tadashi non vi compariva mai. Forse si era messo in salvo su qualche altro pianeta. O forse aveva amici potenti, che lo proteggevano. Mi auguravo che fosse così.
Il resto lo sapete. La trappola, la mia cattura, la condanna a morte, la liberazione... Alla fine, dopo anni passati a cercarlo inutilmente nel cosmo, era stato lui a trovare me. E a salvarmi la vita ancora una volta.

E ora che è tutto finito, il pericolo, la paura, il senso di vuoto e di solitudine, questa assurda e crudele separazione, non mi lascerò più mettere nel sacco. Non gli permetterò di abbandonarmi ancora, a qualunque costo.
Così gli dirò tutto. Non ho più niente da perdere, e di tempo ne abbiamo perso anche troppo. Mi dovrà ascoltare, e dovrà darmi una risposta. Dovrà guardarmi negli occhi e convincermi che non prova niente per me.
Dimmelo, capitano, dimmelo che non mi ami, se ne hai il coraggio! Se hai il coraggio di mentire.

  
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