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Autore: Lauretta Koizumi Reid    11/05/2013    4 recensioni
Avete letto il numero 77 di Detective Conan? Takagi è finito in una trappola mortale e tutta la squadra della polizia sta cercando di salvarlo, compresa ovviamente l’amata Sato. Dopo essersi lasciata scappare una battutina infelice con i Detective Boys, (cosa che avviene veramente nel manga ghgh ^^) ho provato ad immaginare i suoi pensieri (e questa è opera mia). E’ la mia prima storia su DC, incentrata su Sato e Takagi perché semplicemente li adoro! Buona lettura e...lasciate un commento!
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Miwako Sato, Wataru Takagi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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 Sato accelerò bruscamente.
- Sarete stanchi, vero? - disse rivolta ai ragazzini dietro di lei.
- No!
Due di loro si sporsero in avanti per parlare meglio alla donna.
- Piuttosto, non è preoccupata per l’agente Takagi? Quando si farà notte lui si addormenterà e potrebbe cadere!
- E’ vero!
- No... - rispose Sato sorridendo sovrappensiero - lui ha il sonno molto tranquillo!
Prima che potesse rendersi conto di ciò che aveva appena detto, frutto di un sincerità e di una spontaneità che non le apparteneva, un coro di voci infantili riempì la macchina:
- Eeh? Lei ha dormito insieme a lui??
- Siete molto amici!! - aggiunse l’unica femminuccia del gruppo.

Sato sentì immediatamente il sangue salirle alla testa, mentre raccontava una verità e una mezza bugia, riferendo di appostamenti passati insieme a Takagi, finiti nel sonno. Per fortuna quei bambini, per quanto svegli, si accontentarono della risposta e stettero in silenzio, finchè Sato non li portò tutti dal dottor Agasa.
Il silenzio che seguì permise alla donna di riflettere.
Quei ragazzini erano stati ingenui a crederle, sebbene abbastanza svegli da capire che se Sato conosceva il modo di dormire di Takagi non era certo solo per gli appostamenti, in cui era difficile addormentarsi sul serio.
Ferma ad un semaforo, sentì le sue braccia, di solito così forti e dai gesti così risoluti, tremare leggermente.

Se lo ricordava molto bene il sonno di Takagi, i suoi pugni chiusi come quelli di un bambino, la sua bocca, la sua immobilità e tranquillità, tradita solo da un respiro superficiale, leggero leggero, come se si stesse svegliando. E in effetti bastava un rumore a fargli aprire gli occhi, fosse anche soltanto la mano di Sato che cercava l’orologio sul comodino a tastoni.

Ricordava quella serata.
Era il compleanno di Yumi e tutta la squadra era andata a festeggiare i suoi 26 anni, in un locale dove il sakè scorreva come l’acqua. Si erano divertiti moltissimo, perfino lei: l’aria della sera era così dolce, e Takagi così maledettamente carino con quella semplice polo bianca, che per effetto del sakè, della torta, e di tante altre cose, aveva lasciato cadere tutte le sue inibizioni. Erano arrivati a piedi insieme a casa sua. Questo di solito era il momento in cui Sato accettava un casto bacio da Takagi, che non si allontanava finchè non era certo che la sua ragazza fosse entrata a casa, prudente come al solito.
Quella sera però Sato, con la vista annebbiata dal sakè o dall’audacia del proprio gesto lo aveva portato fino al suo appartamento.
 
Il clacson di una macchina la riportò alla realtà; il verde era uscito da almeno tre secondi e lei si era piantata in mezzo. Imprecando, ripartì. Forse era meglio che i suoi ricordi fossero stati interrotti in quel punto, a volte l’imbarazzo e l’emozione che provava ricordando quella notte era capace di estraniarla completamente dal mondo esterno, cosa pericolosa per un soggetto in divisa e distintivo come lei.

Tutto quello che era accaduto era un miscuglio di ricordi confusi che, suo malgrado, tornavano alla mente di continuo: il rumore delle pagine che sfogliava le ricordava il rumore dei vestiti che scivolavano via, il tintinnii delle porte dei negozi erano uguali al suono della cintura di Takagi appena tolta, gli ansiti affannati dei colleghi arrivati in ritardo che avevano corso per le scale, coloravano di rosso le sue guance.
Aveva preso lei l’iniziativa quella notte, ma era stato Takagi a condurre tutto, cosa che Sato non si aspettava, data la sua naturale timidezza. E dopo un tempo che le era sembrato un attimo, lui era sprofondato nel sonno e lei non era riuscita ad addormentarsi, ancora piena di batticuore e di ansia. Era rimasta un tempo infinito a contare i respiri di Takagi, a muoversi nel letto, facendolo destare. Se ne accorgeva. Era così stanca di svegliarlo di continuo che aveva sussurrato nel buio:
- Ma tu non dormi mai?
- Nemmeno tu! - era stata la gracchiante risposta - ti muovi!
- Scusa se non riesco a dormire, e comunque basta un niente che ti svegli anche tu!
- Sono fatto così...
- Voltati, che è tardi! Tra un po’ dobbiamo alzarci!
Takagi, con un sorriso nella penombra dell’alba, si era voltato, non prima di prendere la donna tra le braccia.
A quel punto, per le due orette rimaste, nessuno di loro due aveva più fiatato.
 
Ma tutto questo ormai non c’era più, pensò Sato scendendo dall’auto con gli occhi persi nel vuoto. Takagi era in trappola, poteva cedere alla stanchezza, alla mancanza di cibo, di acqua, al freddo!!
Gli occhi le si riempirono di lacrime. Stavolta era davvero grave.
Come si poteva essere così crudeli a da condannare a una tale morte un ragazzo così giovane?
Già una volta Takagi si era messo in pericolo di vita, ma stavolta era diverso. Ora non era più la donna insicura, severa e frenata che aveva baciato finalmente l’amato su un lettino d’ospedale, stavolta era una donna decisa, - una donna in tutto e per tutto in effetti dopo quella serata- , e assolutamente presa da Takagi. E non c’erano lettini d’ospedale.
Solo una rampa di legno sospesa, dove Takagi era imbavagliato, legato e immobile, fermo, perché al collo portava una corda: se Takagi, in un movimento brusco, fosse caduto di sotto, la corda si sarebbe stretta al suo collo, e sarebbe morto. O sarebbe morto comunque, in capo massimo a tre giorni.
Per qualcosa di cui, tra l'altro, non era colpevole. Le lacrime scesero lungo le guance e soffocò un singhiozzo.

No, pensò poi, asciugandosi il viso furiosamente, non permetterò che succeda. Se reso qui a piangere Takagi è spacciato, ma se faccio qualcosa riuscirò a salvarlo. Tirò un enorme respiro e a passo svelto si diresse verso l’ufficio.

Takagi sta lottando e lo farò anche io.

Aspettami. Sto arrivando.

Ti salverò. 
  
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