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Autore: Keenshadow    11/05/2013    1 recensioni
Un universo radioattivo in cui gli uomini stanno morendo sempre più velocemente, a causa della devastazione nucleare. Evelin, una giovane ragazza cresciuta nella Zona Contaminata del Texas, si unisce ad un gruppo di ricerca che sta studiando una soluzione alla contaminazione radioattiva tramite l'elaborazione, la ricerca e la protezione di fonti di cibo "pure": ovvero non modificate dalle scorie radioattive. Queste piante dovrebbero servire a creare un siero speciale, testato e programmato sul DNA della protagonista. I quali genitori, contribuirono alla fondazione e al reclutamento del gruppo di ricercatori. Evelin è l'esploratrice del gruppo: intraprende il viaggio per raggiungere la sede segreta del centro di ricerca e scoprire risorse utili ai fini della salvezza umana.
Può essere letta anche da chi, amando il genere distropico e d'azione, non ha giocato a Fallout, xkè non presuppone conoscenze di base relative ad esso.
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Nota per chi non ama aspettare: Questa storia avrà tempi un po' più lunghi per arrivare alla fine, rispetto a quella che ho pubblicato precedentemente. Ho mille idee per la trama e le sottotrame dei personaggi, ma devo ancora capire bene come svilupparle e intrecciarle.
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Era una vera fortuna che il guardiano delle munizioni fosse il più bell'uomo di quel piccolo villaggio fortificato. Uomo… quello era ancora da provare, però era sicuramente il più bello, e non era nemmeno stupido o antipatico, come aveva potuto constatare nelle occasioni in cui si erano parlati quella mattina. Era un'idea che le era venuta all'improvviso e sembrava anche vantaggiosa. Probabilmente non l'avrebbe nemmeno mai più rivisto, ragion per cui avrebbe potuto osare molto di più; senza contare che aveva disperatamente bisogno di munizioni.

Era arrivata in quel rottamaio di Wallplatoon la mattina prima dell'alba, con l'intenzione di recuperare un po' di equipaggiamento e vendere le cianfrusaglie. Aveva trovato buoni compratori per alcuni pezzi di ricambio, vestiti e altre cosucce racimolate in uno dei supermercati in rovina, che aveva liberato dai predatori. Doveva viaggiare leggera per poter meglio proteggere il suo carico speciale.

Girando tra i pochi locali comuni di svago e ed entrando in contatto con i residenti, era riuscita a guadagnarsi il diritto di un pasto alla mensa comune, durante il quale aveva conosciuto la sua vittima. Quell'individuo si chiamava Kiyle e faceva una guardia serrata alla sua capanna. Non aveva trovato altro modo di allontanare le persone che normalmente bazzicavano i dintorni di quel deposito, se non convincerli che il suo occupante fosse impegnato in qualcosa di privato. Concetto, la privacy, che a Wallplatoon sembrava essere tenuto in gran conto, dato che le poche donne residenti, sembravano rimanere nascoste nelle baracche.

Era talmente assorta dall'idea di quel mezzo piano, che entrò nel deposito senza bussare. La capsula di sonnifero non mancava, quindi era a posto. Il guardiano era lì. Chiuse la porta col chiavistello.

< Hei! Cosa succede? > domandò il guardiano colto di sorpresa. Prevedeva di svolgere la missione entro un mese, massimo un mese e mezzo, quindi avrebbe fatto in tempo a trovare un villaggio in cui ricevere il riparo adeguato nel caso ci fosse stato quell'inconveniente. Sì, era un doppio vantaggio. Lo baciò d'impeto, spingendolo verso la branda.

< Hei… a meno che non ti servano munizioni io non ho nulla da darti. Io mangio alla mensa >

< Non sono qui per avere qualcosa in cambio, sono qui per te > mentì cominciando a svestirlo. In realtà non credeva di aver mentito, in fondo non era un favore quello che gli stava facendo, più che altro pensava il contrario. Il ragazzo rimase di stucco, ma non rifiutò nulla. Sì, decisamente un vantaggio invitante. Solo quando furono svestiti la fermò: < Aspetta, non pensavo che l'avrei usato così presto, considerando la situazione qui a Wallplatoon… > si alzò, andò alla scrivania e prese qualcosa da un cassetto sbilenco.

< Non voglio crearti problemi. > disse aprendo la bustina < E… mi farai l'onore di collaudarlo? > domandò con un'espressione maliziosa avvicinandosi alla branda. Evelin si alzò e lo tirò sopra di sè senza tanti complimenti, mentre lui la osservava: < Cazzo! Ma hai un fisico da soldato…! Cioè, intendo… a parte i dettagli… >

Evelin alzò gli occhi al cielo, sorridendo: < Vuoi tacere? "Onore", quale onore? Avrai la fila di donne tu qui! >

< Forse, ma la realtà è diversa… qui purtroppo è chi ha cibo proprio ad avere la fila... >

Cominciava a stufarsi di quelle chiacchiere, in fondo cosa importava se stava tradendo qualcuna, o altro? Prima avessero finito, prima avrebbe potuto addormentarlo e prendere le munizioni che le servivano. Gli avrebbe voluto dire semplicemente di tacere e scoparla, ma qualcosa la trattenne. Non aveva mai avuto per le mani un fisico così scolpito. Gli unici corpi che aveva mai toccato erano quelli dei predoni che impallinava nella Zona Contaminata, quando trafugava i loro averi. Nulla a che vedere con quello che la stava abbracciando in quel momento. Si sentiva a disagio: non era lì per essere abbracciata, ma per rubare le munizioni. Le sfuggì un'esclamazione di sorpresa per il dolore e solo allora si accorse di aver fissato lo sguardo sulla porta della baracca.

< Scusa, è… mi sono fatto prendere dal momento e da… bè, immagino che te l'abbiano già detto in parecchi… >

< Cosa? Chi? > domandò ritornando in sè, mentre il lieve dolore spariva. Che diavolo andava farneticando ancora?

< Bè… > esitò osservandola.

< E' la prima volta Kiyle, ora smettila di parlare e vai avanti > tagliò corto infastidita, senza intenzione di fare la preziosa.

< Cosa?! > rise < Mi stai prendendo in giro, vero… > domandò osservandola pensieroso. Evelin controllò il proprio stato con un'occhiata per sapere cosa vedeva: giaceva sdraiata sulla branda con le braccia abbandonate ai fianchi e il volto girato verso il muro.

< Cazzo, hai ventidue anni e mi dici che è la prima volta?! > rimase immobile a fissarla.

< Smettila, vuoi tacere? Non sono qui per sentirmi fare la predica o vedere il tuo stupore. Collauda questo preservativo e falla finita > terminò senza guardarlo. Così sembrava più semplice ignorare tutta quella situazione.

< Ok scusa, solo… ti trovo una bella ragazza, mi… bè, allora facciamo le cose per bene… > concluse cambiando discorso. Le prese il viso tra le mani: < E guardami. Non voglio farlo con un fantoccio, ok? > Evelin annuì, senza riuscire a sorreggere il suo sguardo.

< In viso > le disse prendendole le braccia e posandosele attorno alla schiena: < Ora baciami come hai fatto quando sei piombata qui dentro > le spiegò come se stesse tenendo una lezione.

Evelin chiuse gli occhi cercando di ignorare i battiti accelerati del cuore, mentre sentiva quella schiena scolpita scorrerle sotto i polpastrelli. Da quel momento fu tutta una discesa, o salita non lo sapeva più, ma immaginò che dipendesse dai punti di vista.

 


< Sembra che abbia superato il test > commentò alla fine il ragazzo con un sorrisino, appoggiando il viso rivolto verso il suo. Evelin chiuse gli occhi senza muoversi dalla sua posizione, elaborando le sensazioni provate, le braccia ancora strette attorno al giovane. < Kiyle… > sussurrò prima di riaprirli e riscuotersi dal torpore, ma non lo lasciò replicare: < Che ore sono? Spostati > disse spingendolo di lato.

< Hey…! E' stato così male?> protestò quello interdetto. Evelin si alzò per controllare l'orario: era ancora tardo pomeriggio, tra qualche ora avrebbero mangiato alla mensa.

< Non credevo di essere arrugginito così tanto… > commentò pensieroso sistemandosi a pancia in su sulla branda e fissando perplesso il soffitto. La fece ridere, e il suo sguardo perplesso si spostò su di lei: < Checcè? Sono anche ridicolo? >

< Un po'! > ammise tornando verso di lui.

< Bene…! > commentò sarcastico facendola sorridere ancora.

< Non sono molto esperta in questo campo, ma non credo tu sia arrugginito… > terminò accoccolandosi al suo petto e circondandosi la schiena con un suo braccio. Gli accarezzò la pancia e capì di aver fatto un'errore. Quegli addominali, il petto, le spalle, il collo, il viso, le labbra, le braccia, erano come una calamita. Per non parlare delle carezze. Non doveva pensarci troppo.

Si spostò sopra di lui per abbracciarlo meglio, e lui le baciò il viso. Se avesse potuto si sarebbe presa a schiaffi, per mandare via il formicolio delle sue labbra nei punti in cui erano state. Scivolò più in giù, appoggiando una guancia al suo petto e stringendo l'abbraccio sotto la coperta usurata. Non riusciva a stare ferma più di qualche minuto nella stessa posizione, era come se avesse bisogno di sentire sempre il suo corpo scorrere sotto le sue dita, o sulla sua pelle, per poterlo sentire veramente vicino. Come se il pensiero di tornare nella Zona Contaminata potesse trasformare in un miraggio quegli istanti appena trascorsi: lo avrebbe fatto sicuramente. Quella situazione era strana, insolita, quasi inquietante. Era bella in tutti i sensi.

< Tutto bene? > domandò perplessa la voce del ragazzo, interrompendo i suoi pensieri e i suoi movimenti.

< Sì, solo non mi è mai capitato di avere un corpo come il tuo tra le mani… Devi essere il più attraente del tuo plotone >

Le sorrise: < Può darsi… ma senti chi parla, flaccidina…! > ribattè sfiorandole gli addominali con un dito.

< Sono cresciuta e vissuta allenandomi nella Zona Contaminata, è una brava coach, sai? >

< Immagino! >

Era sicuramente meglio aspettare dopo la cena per farlo cadere addormentato, magari ci sarebbe stata di nuovo l'occasione per poter provare quell'esperienza per l'ultima volta. E così fu.
 

 

Dopo cena passeggiarono per il piccolo villaggio barricato e Kiyle le chiese se poteva tenerla per mano. Lo lasciò fare: decise che poteva permettersi ancora qualche momento di sogni. Parlarono della vita fuori e dentro il villaggio e del difficile futuro dell'America. Il terreno non dava segni di riprendere fertilità e nessuno, per quanto sperasse, credeva che sarebbe potuto tornare coltivabile. Parlarono dell'acqua, irrimediabilmente contaminata, come tutto il resto a partire dal cibo; di come e cosa un giorno si sarebbe potuto fare, per trovare una soluzione alla devastazione sterile e radioattiva dell'ambiente; di come lui avrebbe voluto poter contribuire alla ripresa di quel devastato pianeta, se fosse stato possibile.

Quando ebbero esaurito gli argomenti, gli occhi verde scuro del giovane la indagarono per qualche istante. Non andava per niente bene: doveva distrarlo prima che si facesse strane idee.

< Per quanto hai deciso di rimanere? > le chiese fermandosi di fronte a lei. Ecco i primi sintomi delle strane idee.

< Qualche giorno ancora > mentì sorvolando sui dettagli.

< E dove andrai dopo? > insistè indugiando ancora sulla balaustra di metallo su cui si erano fermati.

Le cose si stavano mettendo male. Sfoderò un sorrisino malizioso e gli si avvicinò abbracciandolo in vita: < Mah… per ora avevo in mente un certo posticino in cui poter passare una notte… mmm… > fece una pausa eloquente < niente male… > concluse allungandosi verso il suo viso per baciarlo. Kiyle sorrise di rimando e si abbassò per ricambiare: < Ora che abbiamo collaudato bene quella cosetta, possiamo anche approfittarcene… >

Quasi volarono verso la baracca delle munizioni e, la seconda, fu molto meglio della prima volta. Se solo fosse stato tutto diverso ci si sarebbe potuta davvero abituare.
 

La stava guardando in viso da un po', quando si preannunciò il segnale che le fece intendere il momento giusto per agire.

< Evelin > le accarezzò una guancia senza fretta, prima di continuare: < Ti amo. Ci ho pensato un po', ma ora ne sono sicuro >

Peggio di così non sarebbe potuta andare, un'altra farneticazione.

< E'…  strano, presto, ma è vero > terminò fissandola negli occhi in attesa delle sue parole. Si mise a ridere: < Non fare lo stupido, Kiyle. Io tra qualche giorno me ne andrò e dopo non ci rivedremo più. Non mi sembra proprio il caso di dire queste stronzate > lo stroncò senza mezzi termini.

Il ragazzo abbassò lo sguardo, ma subito dopo tornò ad osservarla sorridendo: < Già, hai ragione, sono uno stupido, ma questa notte ti amo >

< Ok, così forse va un po' meglio > rispose alzandosi < Mi dimentico sempre di tenere sotto controllo l'ora, quando sei nei paraggi > continuò con noncuranza.

Il ragazzo si mise su un fianco, tenendola d'occhio, come se potesse vederla sparire da un momento all'altro. Lo guardò e sorrise, cercando di essere rassicurante. Rovistò tra i suoi vestiti in cerca della capsula di sonnifero e del Pip-Boy, quindi, con la scusa di rimettere a posto il palmare da polso, diede le spalle al ragazzo e si posizionò la capsula tra i molari, attenta a non schiacciarla. Tornò alla branda: < Comunque la notte è ancora giovane, quindi sarà meglio godersela, no? >

< Immagino di sì > rispose stringendola al suo fianco. Evelin spostò la coperta sulle proprie spalle, lo sdraiò a pancia in su e si mise a cavalcioni sul ragazzo, chinandosi per baciarlo.

< Wow! Ti devo prendere in parola…! > le disse prima di entrare in contatto con le sue labbra. Premette la capsula sui molari sotto la sua lingua e questa cominciò a rilasciare il sonnifero. Si ritirò svelta dalla sua bocca, fingendo di essere attratta dal suo collo. Il metodo migliore per essere sicuri che si addormentasse era farlo parlare, quindi appena ebbero finito, gli chiese di parlargli della vita che conducevano le ragazze in quel villaggio. Non fece in tempo a finire la domanda che lui si era già accoccolato su un fianco, ad occhi chiusi, cingendola in vita.


Appena fu sicura che non si sarebbe svegliato, sgattaiolò giù dalla branda e si vestì. Riuscì a scassinare la serratura del baule più grande e prese le cartucce per il mitra a canne mozze e il fucile d'assalto. Le dieci millimetri erano in un cassetto, con qualche calibro dodici e i relativi caricatori. Le sostituì con le sue, decisamente più usurate, e prese anche qualche bomba a mano, in caso di evenienza. Richiuse il lucchetto del baule e si mise il gilet porta oggetti. Si agganciò il cinturone in vita e si assicurò che tutte le fondine fossero ben fermate: cosce, caviglie e spalla. Infine si infilò la bandoliera con le cartucce dei mitra e controllò che il ragazzo fosse ancora addormentato. Molti dei momenti passati in sua compagnia erano stati nuovi e null'altro che quei momenti: niente ansia, niente fughe, niente aggressioni, niente sparatorie. Era riuscita per poche ore a dimenticare tutti i pericoli e le privazioni della Zona Contaminata. Erano stati solo due giorni, ma due giorni come non avrebbe mai più potuto vivere. Senza pensare, prese un foglio di carta e una matita spuntata dalla scrivania, quindi cominciò a scrivere:

"Non mangio le cartucce, però, per mia fortuna il loro custode è un gran bel ragazzo.
Quando ci rivedremo te le renderò. Nel frattempo non masturbarti troppo pensando a me!

Addio Kiyle, non ti dimenticherò,

ma tu scordati presto di me ok?

Evelin"
 

Pose il biglietto a terra accanto alla branda. Passò le dita sul suo braccio scultoreo e lo osservò un momento. Chiuse gli occhi e si alzò. Si voltò verso la porta, riaprì gli occhi, e uscì nella notte silenziosa. La quiete era spezzata solo dai gemiti dei rottami di ferro e plastica con cui era costruito il villaggio di Wallplatoon.

  
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