Anime & Manga > Il mistero della pietra azzurra
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Autore: Aya Lawliet ___backupFGI    12/05/2013    2 recensioni
Sanson non seppe mai quale fosse stato il momento esatto in cui si era innamorato di lei, né quando, come e perché lei si fosse innamorata di lui.
{Sanson/Marie ♥ accenni Jean/Nadia}
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jean Luc Lartigue, Marie Anne Löwenbrä, Sanson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Senza tempo ~

prompt: #005, strawberry jam

 

 

 

Tartesso, 1890

 

Si riunirono tutti tra risa e lacrime. Sanson non si rese conto di quanta paura avesse avuto finché Marie non gli volò tra le braccia, strillando incomprensibilmente, tempestandogli il volto di baci e il petto di pugni – aveva solo cinque anni, la piccola Marie, cinque anni e già aveva camminato dritto attraverso la fine del mondo. Non si rese conto neppure che piangeva finché non si sentì quell’acqua salata sulle labbra, e allora si chiese quanto si dovesse essere adulti per poter piangere di sollievo, quanto si dovesse aver sopportato – aveva sopportato tanto, la piccola Marie, così piccola e già aveva perso e superato e cercato di dimenticare così tanto. Una parte di lui avrebbe voluto cercare quel miserabile Ayrton e annientarlo seduta stante perché non le era vicino, non aveva saputo rassicurarla; un’altra avrebbe voluto soffiare la bella Icolina alle attenzioni del biondino imberbe, ricominciare la sua vita esattamente dal punto in cui l’aveva lasciata prima che il mondo impazzisse; un’altra ancora non voleva che accucciarsi a terra con Marie e ridere e piangere con lei. Non riuscì a far altro che stringerla e dirle che andava tutto bene, era tutto finito.

 

 

Le Havre, 1891

 

«Te ne vai anche tu?»

A volte Sanson dimenticava che Marie era solo una bambina. Gli succedeva regolarmente, anche in passato, a bordo del Nautilus quando la si sentiva biasimare gli atteggiamenti di Grandis ed Electra, sull’isola – che non era un’isola – quando la si scopriva tutta intenta a rammendare per l’ennesima volta il pallone del Gratan borbottando tra sé sull’inutilità degli adulti. Ma altre volte, quando si sentiva sola, ignorata, abbandonata, ferita, Marie metteva su quel suo inconfondibile broncio – lo stesso broncio che adesso faceva suonare amare le risate che riempivano quella buffa casa strampalata, il posto in cui la storia era cominciata e oggi finiva e ricominciava di nuovo.

Sanson le sorrise, molto vicino a lei, appoggiato alla stessa balconata dalla quale Marie guardava le stelle. «Non dirmi che ti dispiace restare qui con Jean e Nadia. Sarete la famigliola perfetta, voi tre.»

«Quattro» lo corresse lei macchinalmente, «dimentichi King.» Si dondolò sui piedi. «Non è questo.» Scosse tristemente la testa. «È solo che... io pensavo che finalmente saremmo stati insieme e felici, invece se ne vanno tutti. Il signor Nemo, nessuno mi ha spiegato bene dov’è andato. La signorina Electra non si è vista più. E la signorina Grandis, e Hanson, e tu» puntò su di lui uno sguardo talmente afflitto e accusatorio da farlo davvero sentire in colpa, «anche voi ve ne andate, venite qui per un giorno a farmi credere che non è cambiato niente e adesso ve ne andate.» Incrociò le braccia sul petto, come una piccola mamma arrabbiata, gonfiandosi tutta. «Dove vai, si può sapere? Perché non resti con Marie?»

Sanson non rise, non si domandò neppure quanto tempo fosse passato dall’ultima volta in cui Marie aveva parlato di sé in terza persona. Si chinò al suo livello, posando le mani sulle sue piccole spalle, parlandole da pari a pari – perché era giusto così.

«Stammi a sentire. Nessuno sta cercando di farti credere proprio niente. Le cose sono cambiate... Tu pensi di essere la stessa bambina che eri prima di lasciare Marsiglia, o prima di incontrare Gargoyle

Gli occhi di Marie si riempirono di lacrime, ma Sanson sapeva che non le avrebbe viste cadere, perché Marie era forte, forse molto più forte di tutti loro messi assieme.

«Quello che abbiamo vissuto non è una cosa che ci si possa semplicemente lasciare alle spalle. È una cosa che ti cambia, e tu te ne accorgi. Alcuni di noi vogliono andare avanti e alcuni altri vogliono solo un po’ di maledetta normalità – e sono sicuro che la voglia anche tu.» Sorrise ancora, più sincero, stavolta. «Ecco perché devi restare qui con la tua nuova famiglia, mentre io me ne torno a girare il mondo. Ho scoperto che ha molte avventure in più da offrire, oltre che alle belle ragazze.»

Marie si ritrasse da lui e si strofinò il naso con il dorso della mano, ancora imbronciata, ma con le guance asciutte. Poi lasciò emergere un sorrisetto.

«Va bene. Basta che alla fine torni sempre da me.»

Sanson scoppiò a ridere. «Ma come, adesso sono io tuo marito? E il povero King?»

Marie gli mostrò la lingua e in un attimo scappò dentro, verso quelle risa che risuonano sempre alla vigilia di un addio, quando si rievocano i vecchi ricordi appena prima di lasciare spazio alla costruzione di quelli nuovi.

Sanson si alzò e riprese la stessa posizione, gomiti sul parapetto, occhi tra le stelle, per chiedere a un cielo tutto umano se avrebbe mai rivisto la bimba che per prima gli aveva insegnato a essere una persona migliore.

 

 

Parigi, 1897

 

Aprì gli occhi e batté le palpebre un paio di volte. La stanza era buia, ma al chiarore della finestra aperta sulla luna riuscì comunque a distinguere una figuretta in piedi accanto alla porta. Represse un gemito istintivo, sostituendogli appena in tempo un verso impastato che avrebbe voluto essere una domanda.

«Non riesco a dormire» giunse dall’ombra la vocina di Marie.

Sanson si sollevò su un gomito e si passò una mano sulla faccia, rimuginando – non per la prima volta – sulle colpe inammissibili di Jean. Guardò di nuovo verso la porta e cominciò a vagliare ogni possibilità – non era più tanto piccola da addormentarsi con un libro di favole, doveva inventarsi qualcosa alla svelta, l’aveva detto a Jean che stava sbagliando persona – ma la fatica di mettere in moto il cervello gli fu risparmiata dalla vista della figuretta che chiudeva la porta, si avvicinava al suo letto e senza tanti complimenti si accoccolava sotto le coperte al suo fianco. La fissò, attonito.

Sentì distintamente la voce di Grandis che gli gridava nell’orecchio qualcosa a proposito di indecenza e immoralità.

Era tutta colpa di Jean, anzi, a pensarci bene era sempre colpa di Jean. E no, una luna di miele non era affatto una giustificazione sufficiente.

 

«Sanson, non ti chiedo altro che di farle compagnia. King verrà con noi perché Nadia vuole trovargli una compagna, e lei si annoierebbe a morte, sola nella nostra casa piena di invenzioni incomplete e potenzialmente pericolose...»

«Ti rendi conto che il vero problema non sono le invenzioni incomplete e potenzialmente pericolose, ma il fatto che chiudere un’adolescente e un uomo maturo in una casa per due mesi può sembrare una situazione disdicevole? Specie se l’uomo maturo sono io.»

Jean aveva riso. «Disdicevole? Marie ha appena dodici anni. È una bambina... E ha chiesto espressamente di te.»

Sanson aveva sputacchiato un tè che il disagio e la distrazione avevano reso troppo dolce. «Chiedilo a Grandis. O magari a Electra. Ha già un figlio suo, è sicuramente più pratica di me in queste cose, non osare negarlo.»

«Oh... Non ci avevo pensato.» Jean aveva assunto un’aria sinceramente perplessa. Tipico. Grande acume per i quadri generali, pessima attenzione sui dettagli – proprio come Hanson. «Perciò... devo dire a Marie che non hai voglia di stare con lei?»

L’aveva guardato con quegli occhioni tondi che l’età adulta non aveva cambiato, e Sanson aveva pensato a quelli di Marie e si era sentito in trappola.

 

Era stato così improvviso e inaspettato che non si era neppure accorto dell’oggetto che si era portata dietro fin sotto le coperte: fu il tintinnio del metallo contro il vetro a scuoterlo dall’inerzia.

«Stai... mangiando?»

Non distingueva il suo viso, ma la sentì trattenere il fiato.

«Marmellata di fragole» sussurrò, sollevando il barattolo e il cucchiaino con fare colpevole; «l’ho presa in cucina, mi era venuta fame. Ti dispiace?»

Sanson imprecò mentalmente contro Jean, di nuovo, come aveva preso a fare ogni volta che non sapeva cosa dire a Marie. Casa sua era piccola e disordinata, non era il posto adatto per una ragazzina... Era piuttosto questo a dispiacergli. Lui non poteva sperare di divertirla con incredibili macchine come Jean o Hanson, né certo con aneddoti romantici come Grandis, né con spettacoli e numeri di agilità come Nadia. Non aveva la pazienza di King e non possedeva la quantità di giocattoli che ormai dovevano riempire la casa e la vita di Electra. Eppure, Marie voleva stare con lui.

Ricadde sul cuscino con uno sbuffo. «Dormi.»

Un rumore diverso, di vetro su legno, gli disse che Marie doveva aver abbandonato il barattolo di marmellata a un destino solitario. La sentì muoversi ancora un po’, forse in preda all’insonnia, forse chiedendosi cosa stessero facendo Jean e Nadia e King in quel momento. Infine, ancora la sua voce nel buio.

«E il bacio della buonanotte?»

Già con gli occhi chiusi, Sanson si girò sul fianco e alla cieca trovò i suoi capelli. Le posò un bacio da qualche parte tra la fronte e il naso. Marie ridacchiò.

«Che scemo che sei, Sanson. Non si fa così.»

Il sapore di fragola lo colse del tutto impreparato – persino la voce scandalizzata di Grandis gli arrivava attutita, adesso. Mentre Marie gli si stringeva addosso e finalmente si addormentava, lui restò immobile senza più alcuna traccia di sonno, a riflettere sul fatto che a volte Jean dimenticava che Marie aveva smesso già da molto tempo di essere una bambina.

 

 

Le Havre, 1901

 

Contro ogni buonsenso era tornato a trovarla ogni anno, e ogni volta l’aveva trovata più bella e più donna. Il tempo aveva avvolto la vivacità della ragazzina nella naturale dolcezza di una giovane dama; non aveva la misteriosa sensualità di Nadia alla sua età, non aveva nulla delle donne che l’avevano attratto entro i confini del suo vecchio mondo di ladro gentiluomo – era solo la sua piccola Marie e al tempo stesso non lo era più.

Sanson non seppe mai quale fosse stato il momento esatto in cui si era innamorato di lei, né quando, come e perché lei si fosse innamorata di lui. Sapeva che era così e basta.

I lunghi capelli di Marie si mescolavano all’erba e ai fiori, il suo bel vestito si era macchiato di terra e della voglia di correre, ma gli occhi erano fissi nei suoi, come in ascolto di tutti i suoi pensieri.

«Potrebbe essere un errore.»

«Non me ne importa.»

«Potresti aver confuso un sentimento con un altro.»

«Non l’ho fatto.»

«Potrei essere tuo padre.»

«Non lo sei.» Marie lo prese per mano e lo accolse nell’erba piena di sole. «Una volta ho detto a Jean che mi sarei sposata prima di lui. Vedi di non farmi aspettare ancora.»

Sanson la baciò. Le sue labbra sapevano ancora di fragola, il tempo non esisteva più, il mondo non era mai impazzito.

 

 

Marsiglia, 1902

 

La stanza in cui ogni giorno sedeva a scrivere era la più calda e la più luminosa di tutte, anche se era lei la luce più intensa. Lei che ogni giorno sedeva poco lontano, cantava, cuciva, gli portava la colazione – e c’era sempre della marmellata di fragole.

«Quindi è qui che sono finite tutte le avventure che sognavi?»

La penna tracciò un punto fermo alla fine di un brano in cui un uomo e una bambina sfrecciavano lungo una fila di binari a bordo di un vecchio carrello, verso un orizzonte ancora da scoprire. L’uomo chiuse il libro, si stiracchiò e abbracciò sua moglie alla vita, per sentire il calore del suo ventre direttamente sulla guancia.

«Di cosa stai parlando? Le sto ancora vivendo. Sono così tante che è tempo di raccontarle tutte...»

   
 
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