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Autore: Love_in_idleness    30/11/2007    4 recensioni
Canzone del mattino. Perché una nuova giornata sta sorgendo, dopo queste lunghe notti insonni. Lo sai che oggi termina un'epoca della nostra vita?
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Canzone del mattino

Canzone del mattino

 

Non lo faceva nemmeno apposta. Però mi feriva. Così in profondità che, pensai, mi avrebbe trapassato il petto con quelle scosse violente. Nemmeno io lo facevo apposta, ed ero così triste, così triste, che continuavo a bere sulla spiaggia per sentirmi ancora peggio e forse dimenticare quella strana fitta di gelosia lancinante. Finché non fui abbastanza devastato da lasciarmi cadere sulla prima sdraio libera, mentre attorno a me la mia festa – la nostra festa, continuava coi suoi ritmi ossessivi e la gente che andava e veniva ballando senza sapere nemmeno come ci fosse arrivata.

Tutto sommato sarebbe stato bello. Ma quel brindisi, no. No alla nostra lunga amicizia, no, non voglio brindare con te. Stai pensando che te ne andrai. Forse mi lascerai indietro. Forse semplicemente prenderai una strada diversa dalla mia, perché stasera si festeggia la fine di un’era, l’epoca in cui ci alzavamo tutte le mattine all’alba e facevamo la strada insieme per andare a scuola e ci vedevamo tutti i giorni almeno per sei ore al giorno, e io ti guardavo con la coda dell’occhio sperando sempre ogni volta di stupirti, di farti sorridere, di farti – innamorare. Lo so che non sono stato leale fino in fondo, ma questo era necessario, o il momento della separazione sarebbe stato molto più tempestivo, e irruente, e tu te ne saresti andato sbattendomi in faccia la porta, immagino. Per cui, alla fine, un po’ l’ho fatto per noi due. E un po’ per me, per continuare a godere quei momenti bellissimi insieme, così vicini, così semplicemente vicini. Che. Mi. Faceva. Male.

Sono ubriaco.

“Sono completamente ubriaco.” Gli dissi quando mi prese il viso tra le mani. “Non sono mai stato così ubriaco e così triste tutto insieme.”

“Perché sei triste la nostra festa?”

“Perché era l’ultima festa. E l’ultimo brindisi. E l’ultimo giorno forse e la mia ultima possibilità, e un po’ mi vergogno, un po’ soffro, un po’ ti odio e odio anche me e non me lo ricordo nemmeno più, ma so che sto male e c’è il motivo così dentro il mio stomaco in questo momento…”

“Stai dicendo cose senza senso.”

“No.”

“Sì.”

“Sei tu che non le capisci. Diciannove anni. Venti tra poco. Insieme. Io non voglio vedere la fine.”

“La fine di cosa?”

Fu allora che scoppiai a piangere. Come non mi succedeva da una vita, così improvvisamente, tremando come un bambino. Mi portai le mani sul viso, volevo coprirmi gli occhi ma le lacrime scendevano ed erano così grandi e calde e tonde che mi sembravano quasi l’alcol che avevo appena bevuto.

“Sei un deficiente,” Mi disse. “Non devi preoccuparti di nulla.”

Lo guardai negli occhi per un attimo lunghissimo. Verdi. Talmente verdi che brillavano chiari anche nel buio della notte fonda. Glielo dico. Tanto sono ubriaco. Tanto è tutto finito, quindi glielo posso dire. “Vorrei essere la tua ragazza, credo.”

Sorrise lievemente. “Lo sapevo già. Lo credo anch’io.”

“Ma sono un maschio.”

“Già.” Già. Lasciò appena cadere questa piccola parolina nel vuoto, rotolata nel mare rumoroso davanti a noi e completamente rattrappito nelle profondità della notte. Poi sorrise.

“Sei ubriaco anche tu!” Esclamai.

“Non così come te, stupido.”

“Mi odio per essere un maschio e per essermi innamorato così stupidamente di te e che sei il mio migliore amico e da domani sarà tutto diverso e queste cose, sai… mi fanno girare la testa. Mi fa male la testa. Lo dico perché dovevo dirtelo prima o poi e così è davvero più facile.”

“Non è mai facile.”

“Ma sei ancora qui.” Sorrisi, alzando lo sguardo al cielo per un secondo. Vertiginoso. “Sai, in questi ultimi anni ho cercato in tutti i modi di rendermi il più femminile possibile. Non perché ci sperassi. Ma invidiavo tutte quelle ragazze bellissime. Le ho guardate e volevo avere quei capelli lunghi, quelle mani curate, quei vestiti sempre a posto e la loro gentilezza che capisce le cose e le ripete in silenzio, delicatamente. Però non importa. Se dici che sarei la tua ragazza, ti credo. Sarei felice.”

“Sì, credimi. Stupido. Siamo perfetti insieme. La natura è stata crudele con noi.” Mi prese la mano per un attimo.

“Non possiamo neanche provarci?”

“Mi dispiace.”

“E’ un sì o un no?”

“Ora sei troppo ubriaco.”

Sabbia. Sabbia ovunque. Sabbia sotto i miei piedi nudi e freddi per il vento che ogni tanto si alzava a folate dal mare facendomi rabbrividire.

“Dov’è la mia morosa?” Mi chiese. Perché lo faceva? Lo odiai.

“A ballare. Con la mia e tutte le altre.”

“A ballare. Sì?”

“Sì. Ho detto loro che venivo a cercare le sigarette. Le ho perse prima. Non so dove. La spiaggia era bella e tranquilla e deserta e non girava così velocemente.”

Si guardò indietro un paio di volte. Ma non c’era nessuno, quasi, che arrivava nella nostra direzione. Solo io su una sdraio, lui davanti a me e la mia ubriacatura triste.

“Se ora ti bacio, domani te lo ricorderai?”

Sorrisi. Scossi la testa. “Baciami lo stesso. Puoi sempre baciarmi domani un’altra volta.”

Non mi ricordo quasi nulla di quel bacio. Ricordo vagamente che mi piaceva, e che poi io mi sono ritrovato seduto sulle sue ginocchia e volevo davvero fare l’amore con lui, ma mi diceva – quando sarai sobrio. Allora ne mancava di tempo. Su quel letto antico, quello alto, a casa sua, col baldacchino e le coperte ricamate a mano, e la finestra socchiusa per fare entrare di notte il profumo dei fiori e di giorno i raggi del sole. Ricordo questi dettagli così intimi. Eppure niente del nostro primo bacio.

 

La sera dopo è stata di nuovo una notte bianca. Non so bene perché. In quei giorni mi ero lasciato andare all’alcol per la disperazione. Lei e lui. Così belli insieme. Anche in spiaggia, l’uno accanto all’altro, passeggiando sul lungo mare, che mi sono chiesto per un giorno intero cosa stessi cercando di fare. Poi era arrivato il buio, e col buio la tristezza, e con la tristezza il vino.

Questa notte me la ricordo molto meglio. Ero ubriaco ma non al punto da dimenticare le cose. Siamo rimasti sulla spiaggia noi due, la sua ragazza e i nostri amici. Ricordo che non avevamo il costume da bagno perché il resto della serata l’avevamo speso in discoteca, che non avevamo gli asciugamani per tutti ma solo due coperte, e che non avevamo davvero più soldi. Ero andato a comprare le birre e il vino al supermarket per risparmiare e in una pasticceria avevo speso tutto quello che avanzava per una bottiglia di limoncello. Ma andava bene così. Da bere ce n’era per tutti, avevamo ben un asciugamano e due coperte e il bagno lo si poteva fare nudi, tanto era estate.

Le ragazze avevano acceso il falò con il nostro vecchio libro di francese che qualcuno aveva ancora nel bagagliaio della macchina e ora si divertivano a bruciare Hugo e Flaubert e Stendhal. Nessuno voleva bruciare i poeti.

“Facciamo il bagno?” Mi disse.

“Non ho il costume.”

“Spogliati. Non avrai vergogna?”

“No, certo che no.”

Avevo molta vergogna. Ma l’acqua era nera come il cielo e a parte il falò e un lampione lontano sulla strada non si vedeva alcuna luce.

In un certo senso era davvero bello, era fantastico galleggiare su quella superficie tanto scura da sembrare densa, completamente libero, lontano. I miei pensieri in alto mare agitati dal limoncello. Stavo così bene, sarei potuto rimanere in acqua per l’eternità a guardare con la testa alta il cielo e le stelle luminose e la luna calante.

E alla fine non c’era più nessuno. Tranne io e lui. Che mi prese e mi disse: “Nuota un po’ di qua.” Dietro gli scogli, dove nessuno poteva vederci.

“Ti ricordi nulla di ieri sera?”

“Vagamente.”

“Lo sapevo.” Stai sorridendo? Forse preferiresti se ti dicessi che non ricordo nulla, che non è successo nulla. Non so per quanto tempo è rimasto lì a fissarmi. Doveva essere passata mezz’ora da quando ero entrato in acqua e stavo morendo di freddo, ma sarei rimasto lì assiderato piuttosto che lasciare andare il suo sguardo per una volta così intimo e penetrante ed eloquente.

“Hai freddo?”

Annuii. Mi abbracciò. Non un abbraccio da amici, lo riconoscevo. La sua ragazza diceva che i maschi non si abbracciano mai in maniera tenera, tranne quando sono ubriachi, e così era anche per noi. Solo che in quel momento, tra l’acqua gelida e il vento e l’ora non lo eravamo più nemmeno lontanamente.

“Allora non ti ricordi che ti ho baciato?”

“Sì, un po’ – ma puoi farlo di nuovo.”

E lo fece di nuovo. Tra la spalla, e il collo, e la guancia, e poi dentro la mia bocca, e mi sentivo sciogliere, avevo dimenticato il freddo, il vento, le onde, l’acqua; la testa mi girava ancora ma per un motivo molto più interessante. Mi stava toccando in punti in cui non ero mai stato toccato da un maschio, sul torace, sul dorso, sulle cosce. Tra le gambe. E io le aprii, le gambe, per accomodarlo, per farlo entrare dentro di me.

Allora interruppe il bacio. “Non si può. Qui.”

“Cosa?”

“Non è ancora ora.”

E tornò indietro sulla spiaggia.

 

Era quasi l’alba. Le sei e mezza del mattino e io non avevo chiuso occhio per colpa di tutti i pensieri confusi che si agganciavano alla mia testa e mi lasciavano come stordito. Stava albeggiando. Sarebbe stata una brutta giornata, immaginavo dalle nuvole. E io avevo freddo per i vestiti e i capelli ancora bagnati e perché l’asciugamano era fradicio e le coperte coprivano altre persone. Così mi alzai.

“Vado a cercare un forno che apra. Volete qualcosa?”

Qualcuno mugugnò sotto le coperte. Andai lo stesso. Lui mi bloccò sul lungomare, appena messo piede fuori dalla spiaggia. “Vengo con te,” Disse solo.

Camminammo in silenzio – non avevamo mai camminato in silenzio per molti anni. E non era il silenzio della persone che non hanno niente da dire, perché dovevamo parlare, e anche molto, piuttosto il silenzio di chi è imbarazzato.

La panetteria più vicina, l’avevo vista quel pomeriggio, era in fondo alla prima via a sinistra del lungomare. Ne avevamo di strada. Era aperta. Chiesi al panettiere se poteva venderci qualcosa, e lui disse di sì, ma solo focaccia normale. Appena sfornata, fragrante.

Lui mi guardò e tirò fuori il portafogli dalla tasca dei jeans. Venti centesimi. Trenta. Trentacinque. Cinquantacinque. Arrivava a un euro e ventisette e io a settantacinque centesimi. Pazienza. Speriamo che qualcuno abbia i soldi per l’autostrada o torniamo a casa in autostop.

Mi sedetti su un gradino qualsiasi e cominciai a mangiare la mia metà della focaccia ancora calda.

“Non hai niente da dirmi?”

“Vorrei dirti molte cose. Vorrei chiederti cosa vuoi da me e non so se mi piacerebbe la risposta. Ma ti prego, non comportati in questo modo.”

“Ti ho solo detto che non è ancora ora.”

“Perché ci sarà mai l’ora?”

Finì di mangiare e si accese la sigaretta. L’ultima.

“Fai un tiro che non ho i soldi per comprarmi un pacchetto nuovo.”

“Povero ma felice.”

“Io sono molto felice, sai.”

“E di cosa?”

“Di sapere tutti questi tuoi segreti. E sono felice che riguardino me.”

Sorrisi. “E’ bello, vero? Credo di non essermi mai innamorato così – intensamente. E mi dispiace che sia complicato.”

“Non è più complicato. Ci ho pensato davvero, e, sai, è tutto nelle nostre teste. Almeno, all’inizio. E ora sono passati anni.”

Spense il mozzicone di sigaretta sotto la scarpa e si alzò. “Andiamo Principe Azzurro?” Mi porse la mano. Era calda. Quasi tremava. Lui era caldo, come pervaso da un’eccitazione crescente. Lo seguii fino alla porta di casa e su per le scale, e poi appena chiusa la porta dietro le nostre spalle cominciò a spogliarmi con irruenza, con passione. E’ arrivata l’ora.

 

[Aubade]

 

Quel mattino lasciammo la finestra socchiusa. Come mi sarebbe piaciuto. Dopo mi addormentai quasi subito, mentre lui era sceso per cercare un tabaccaio perché aveva trovato dei soldi nella tasca di un paio di jeans, ma le macchinette si spengono alle sette e i negozi aprono alle otto. Quindi niente fumo tra le sette e le otto. Puoi venire a dormire con me. Lo sentii rientrare piano, spogliarsi e scivolare sotto il lenzuolo. Mi baciò la fronte.

“Ho incontrato gli altri. Ho detto che potevano anche andare a casa stamattina se volevano. Ho scroccato sei euro per l’autostrada e tre sigarette che devono bastare.”

“Mm.”

“E ho lasciato la mia ragazza.”

 

___

E' una fic un po' strana... L'ho scritta quest'estate al mare coi miei amici. Fondamentalmente è successo tutto ciò che è descritto, bagno escluso, ma il mio character doveva provare un po' di vergogna. Ovviamente, la mia *emh emh* capacità a leggere ogni rapporto sociale maschile in chiave yaoi ha fatto il resto. Soprattutto la prima parte ha qualcosa di frammentato e vago - volevo scrivere una sintassi ubriaca. Da quando ho letto i modernisti non riesco più a scrivere coerentemente. Ogni tanto si infilano pensieri, cambio interlocutore a caso...

Il titolo è in riferimento a una poesia di Larkin. E' una poesia molko angosciante, la mia è una vera Aubade ^_^, c'è il mattino, c'è il letto, c'è l'amore... in realtà, è la seconda di due one-shot che ho scritto quest'estate riguardo allo stesso tema, cioè la fine di un periodo della mia vita -il liceo- che per me ha comportato la fine di inevitabile di molte amicizie. Ero un po' depressa, volevo pensare che non sempre le amicizie finiscono semplicemente perché si cambia vita.

 

Ringrazio in anticipo chiunque leggerà e magari chi lascerà un commento.

 

Kisses,

Love-in-idleness

   
 
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