Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: dreamlikeview    12/05/2013    20 recensioni
Louis Tomlinson è un tipo abitudinario, un imbranato e un nerd. Frequenta ogni giorno lo stesso bar, in cui Harry Styles lavora come barista, che conosce tutte le sue abitudini.
Accidentalmente, uno dei due si perderà nel mondo dell'altro, senza più trovare via d'uscita.
[Attenzione, Larry.]
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'All about them.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Desclaimer: I personaggi non mi appartengono, purtroppo, le loro azioni non sono scritte al fine di offenderli, e non scrivo per scopo di lucro.




Come on, come on
We were once
Upon a time in love
We're accidentally in love
Accidentally in love.
( Accidentally in  love - Counting Crows)

 
 

Louis Tomlinson era un tipo abitudinario.
Ogni mattina si svegliava verso le sette, si lavava e poi velocemente afferrava gli occhiali neri e spessi, la maglietta con lo stemma di Batman sul petto, un paio di jeans, le scarpe e si guardava intorno per assicurarsi che la sua collezione fosse in ordine, e che nessuno avesse toccato i suoi meravigliosi e preziosissimi fumetti. Li adorava tutti, dal primo all’ultimo. Era riuscito a trovare dei pezzi rari usciti quando lui era ancora in fasce, o ancora meglio, quelli usciti prima che lui nascesse. Guardò il poster di Nothstar appiccicato contro la porta, esattamente di fronte al suo letto- perché lui doveva vederlo ogni volta che apriva gli occhi e si tirava su- accanto alla porta c’era la scrivania, che portava su un PC portatile, e sopra di esso sul muro c’era una foto di Stan Lee a mo’ di quadretto. Accanto al computer troneggiava una statuetta (dimensioni venti centimetri d’altezza) di uno Stormtrooper, e appoggiate sopra al PC c’erano due chiavette USB, a forma di robot, una blu e una bianca.
Sulla parete accanto alla scrivania si trovava un poster gigante raffigurante tutti i Supereroi esistenti.  Al di sopra della scrivania c’erano diverse mensole, e su ognuna ogni tipo di fumetto era ordinato per grandezza, numero d’uscita e tipologia. E inutile dire che Louis ne avesse davvero fin troppi di fumetti. Tutti erano divisi su due mensole diverse – perché troppi – ed erano fermati da fermalibri di plastica, ognuno di un Supereroe diverso, spesso ogni serie di fumetti era delimitata da un fermalibri dello stesso eroe trattato nel fumetto (ad esempio, fumetti di Spiderman, fermalibri di Spiderman; fumetti di Batman, fermalibri di Batman), mentre sull’altra mensola aveva in bella mostra il cofanetto da sei dei film di Star Wars, tutta la collezione di film fatti dalla Marvel e dalla DC Comics. Sull’altra parete c’era l’armadio, anch’esso tappezzato sia all’interno che all’esterno di poster di Supereroi o personaggi di Star Wars, come dimenticare il poster attaccato nella porta dell’armadio di Harrison Ford? Impossibile. Sulla libreria invece, posta accanto al suo letto, ogni ripiano conteneva altri fumetti, quelli più preziosi e fragili, che non dovevano assolutamente essere letti o toccati, in alcun modo. Erano dei pezzi unici, e lui teneva a conservali, poiché essi valevano una fortuna. Non poteva mancare, su quella libreria la trilogia de “Il Signore degli Anelli” e un’altra serie di libri tutti fantascientifici, fantasy e simili. Come poteva mancare riproduzione della Spada Laser dei Cavalieri Jedi posta in cima alla libreria? Non poteva, di certo.
Accese un attimo il PC, sorridendo contemporaneamente alla foto di Stan Lee posta sopra di esso, e controllò i forum, ai quali per forza doveva essere iscritto altrimenti non sarebbe stato un vero fan, riguardanti sia i Supereroi che Star Wars.
Sì, poteva dirsi soddisfatto di tutto. Guardò l’orologio e si accorse anche quella mattina era stato puntuale, erano le sette e mezzo, lui era pronto, vestito e aveva controllato ogni cosa. Prese la sua tracolla, dentro la quale per forza c’erano un fumetto, una penna, un blocco per gli appunti e l’album da disegno con il set di matite. Sorrise soddisfatto, fece un rapido saluto alla sua adorata stanza e poi uscì da essa dirigendosi da sua madre in cucina. Come d’abitudine diede un bacio sulla fronte alla donna, e poi dopo averla salutata uscì dalla porta di casa, dirigendosi al solito bar, per la solita colazione, prima di andare a prendere il solito autobus che l’avrebbe portato al solito corso per fumettista che frequentava da un anno.
Era Aprile inoltrato e sebbene facesse ancora leggermente freddo, Louis stava bene con la sua maglia a maniche corte, e sorrideva dirigendosi verso il bar. Avrebbe visto il solito ragazzo riccio dagli occhi verdi e il suo cuore avrebbe perso il solito battito nel vederlo.
Non appena si trovò davanti la piccola caffetteria, entrò dentro, notando che la porta fosse aperta, e lo vide a smanettare al bancone, servendo un caffè ad un cliente. Adorava quel ragazzo, era la cosa più bella che avesse mai visto in vita sua, e non mancò di incrociare il suo sguardo una volta dentro, e perdersi in esso, per istanti lunghissimi. Gli sembrava di annegare, le sue iridi erano di un verde intenso, smeraldo, gli occhi più belli che avesse mai visto.
E “Buongiorno, Louis!” – esclamò il giovane al bancone, notandolo. Sorrise, e sul suo viso spuntarono delle adorabili fossette, in cui Louis avrebbe voluto seriamente affondare le dita.
“C-c-ciao Ha-Harry…” – disse a bassa voce, talmente a bassa voce che le parole arrivarono all’orecchio di Harry, il barista, come un sussurro.
“Il solito, immagino” – fece, senza staccare gli occhi da lui. E Louis annuì. Era abitudinario, chi non conosceva i suoi gusti o cosa volesse per colazione?  -“ho fatto in modo che il tavolo dove ti siedi sempre restasse libero, so che ti piace quello vicino alla finestra, così puoi osservare fuori” – sorrise ancora una volta, e Louis esultò dentro di sé. Il riccio lo conosceva così bene, nonostante non fossero amici.
“G-Grazie... s-sei sta-to do-dolce, i-io...”
“Va a sederti, ti porto la colazione, non vorrai far tardi!” – esclamò, servendo il caffè che stava preparando all’uomo seduto di fronte a lui. Louis fece un cenno con la testa e andò a sedersi al solito posto. Alzò lo sguardo e guardò fuori. Si perse nel mondo che fuori da quella finestra si era creato, mamme che correvano con i loro figli, studenti che correvano verso scuola, probabilmente in ritardo, fidanzatini che si tenevano la mano e si supportavano, amici che ripetevano negli autobus che sfrecciavano, insieme alle auto nelle strade di Doncaster, e il tutto era accompagnato da un tepore di inizio Aprile, collegato in qualche modo alla primavera che era alle porte.
Il riccio si avvicinò a lui dopo qualche istante, servendogli il solito cappuccino con panna e cacao, la brioches e dei biscotti. Tutto così dannatamente ordinario, e monotono.
Alzò lo sguardo verso il giovane e gli fece un sorriso. Chissà quanti anni aveva, frequentava l’università con lui? Non si era mai fermato a chiedergli qualcosa, conosceva solo il nome e sapeva che lavorasse in quel bar.
“Buon appetito!” – esclamò il ragazzo, tornando alle sue mansioni.
Louis sorrise leggermente, osservando il ragazzo ancheggiare tra la gente che arrivava, come lui, al bar per fare colazione prima di andare a lavoro, scuola o semplicemente per godere del buon servizio offerto dal luogo.
Consumò la sua colazione, e poi si recò alla cassa a pagare.
Il solito prezzo.
Tutto era solito. Tutto era uguale.
Niente era diverso.
Pagò la sua colazione, lasciando una buona mancia al riccio, perché diavolo se era bravo, e poi, come al solito si recò alla fermata dell’autobus, e poi andò a seguire il corso. Diamine, quel giorno era davvero ispirato, e non avrebbe di certo disegnato il solito supereroe inventato orrendo e senza personalità.
Quel giorno, due occhi verdi, dei capelli ricci e un paio di fossette erano così impressi nella sua mente, che faticò a dimenticarli per tutto il giorno.
Per fortuna, quella mattina nessuna delle sue solite disavventure era avvenuta, perché Louis Tomlinson, oltre ad essere un ragazzo abitudinario, era anche dannatamente imbranato, con la testa fra le nuvole.
 
Era passato un mese, circa.
Louis continuava ad essere un abitudinario, continuava a svegliarsi alle sette e compiere tutte le sue solite azioni, quella mattina però, qualcosa avrebbe sconvolto la sua routine. Qualcosa che lui dentro di sé aspettava da tempo, ma aveva smesso di crederci, forse quella mattina qualcosa sarebbe cambiato, così come era cambiato un mese prima quando aveva inventato un nuovo eroe, ancora non battezzato. Passava ore a scrivere, ad cercare ispirazione da ciò che lo circondava.
Quella mattina si era svegliato come sempre, aveva ammirato la sua stanza – a cui si era aggiunta una bellissima, per lui, ciotola porta-pop corn a forma di R2D2, uno dei robot di Star Wars - la scacchiera di Star Wars, un nuovo poster sulla parete accanto all’armadio con un’immagine di Loki con il dito puntato davanti a sé e sotto scritto “I want you to join in my army”, una riproduzione del mantello di Thor – finalmente l’aveva trovato, non poteva non averlo - e sorrise come un ebete ancora una volta. Si alzò, indossò la maglietta con lo stemma di Capitan America e aprì la sua nuovissima scarpiera decorata con i personaggi dei suoi fumetti preferiti e indossò le sue Toms bianche e blu con lo stemma di Capitan America. Come poteva non averle? Era da matti.
Afferrò la sua solita tracolla e salutò la madre con un bacio sulla guancia, come faceva tutte le mattine. Poi si defilò da casa, stando attento a non andare a sbattere da nessuna parte, e si recò al bar, prima di recarsi, come al solito, alla fermata dell’autobus per andare – stavolta – in biblioteca a studiare.
Percorse la strada a testa bassa, attento a non inciampare nella pavimentazione della strada, attento a non cadere nei suoi stessi piedi, e attento a non scontrare qualcuno, ma era veloce. Aveva voglia di andare in quel bar, anche se non doveva fare corsi, voleva fermarsi lì e osservare il bellissimo ragazzo dai capelli ricci che vi lavorava. Era quasi attratto da lui, aveva un certo fascino, che Louis non sapeva spiegarsi. Era dolce, sì, dolce lo era, si ricordava sempre che a Louis piacesse guardare fuori, e gli lasciava il tavolo vicino alla finestra, nell’angolo libero; gli portava il cappuccino con la panna e il cacao, le brioches e i biscotti, poi lo fissava mentre pagava, e poi lo salutava con un sorriso contornato da adorabili fossette sulle guance. Quel ragazzo era davvero perfetto, sotto lo sguardo vigile di Louis, non commetteva mai errori, era bellissimo, cosa poteva mai pretendere di meglio dalla sua vita, Louis?
Così, miracolosamente, arrivò al tanto atteso bar, e spinse la porta per aprirla, ma quella non tintinnò come al solito, restò ferma. Louis alzò lo sguardo di fronte a sé, e vide che effettivamente qualcuno ci fosse nel bar, ma stranamente non riusciva ad aprire la porta. Riprovò a spingere un paio di volte, quando un uomo, appena arrivato dietro di lui, tirò la porta, il tintinnio del campanellino posto all’entrata risuonò stridendo nelle sue orecchiee “Va tirata, imbecille, c’è scritto” – gli disse con tono divertito e derisorio,  Louis abbassò la testa mortificato. Non si era accorto della scritta, non si era accorto che la porta andasse tirata, lui aveva sempre spinto… forse non l’aveva mai aperta.
Entrò con la testa bassa nel bar, e sperò di non essere notato dal riccio, perché non voleva aver fatto una brutta figura davanti a lui, sarebbe stato peggio di sentirsi dire da uno sconosciuto che era imbecille.
“Ehi, Louis! In ritardo di dieci minuti stamattina, che è successo?” – la voce del riccio risuonò nella sua testa, e Louis si lasciò scappare un sorriso.
“Va tirata... la porta va tirata...” – biascicò senza rendersene conto.
“Oh, sì. E’ vero, non la chiudo mai, perché è odiosa, ma ci sono i condizionatori, fa caldo, ho dovuto chiuderla per forza!” – fece un sorriso mortificato, e gli alzò con due dita il viso. –“su, non è successo niente, non sai quante volte è capitato a me!”
E Louis, davanti a quelle fossette appena comparse sul viso dell’altro, si sciolse come neve al sole, evaporò come acqua sul fuoco. Non capì più niente, annuì energicamente e ringraziò il riccio, che subito dopo gli indicò un tavolino, il solito tavolino, e gli disse che gli avrebbe portato la colazione.
“Oh, Harry” – fece Louis, mentre il riccio si girava ancora verso di lui, con un sorriso speranzoso sul viso –“non è che... ecco, potrei restare per un’oretta? Oggi non ho lezione, e... ecco... dovrei fare una relazione e... quindi andare in biblioteca, ma apre tra due ore, e...” – il riccio lo fermò con un gesto della mano, sorridendo.
“Certo che puoi restare, tutto il tempo che vuoi. Magari appena finisce la bolgia mattutina... mi fai vedere uno dei tuoi disegni, ho... accidentalmente visto che vieni sempre con una cartellina da disegno”
“Certo, mi farebbe piacere!” – sorrise il castano, regalando un sorriso pieno di gioia al riccio, che subito ricambiò con un sorriso divertito e, come lo definiva Louis, pieno di fossette.
E fu così, che Louis passò almeno due ore nel bar ad osservare ogni movimento di Harry Styles, ogni tanto ne abbozzava qualche tratto sul suo blocco da disegno, poi passava a lavorare al PC accuratamente portato da casa, e batteva lentamente le dita sui tasti, aspettando che il riccio passasse, lo guardasse e poi lo salutasse con quel meraviglioso sorriso.
 
Dopo ore due, si defilò dal bar, pagando le sue consumazioni e salutando il riccio con una stretta di mano, come al solito e si recò alla fermata, aspettando che il mezzo passasse da quelle parti in tempo. Appena l’autobus gli fu davanti, le porte si aprirono, e Louis, come al solito prima di salire sul mezzo, mise male il piede sul gradino, e quasi non si trovo faccia a terra, se non avesse avuto la prontezza di reggersi alla porta, prima di sentirsi spintonato e perdere di nuovo l’equilibro.
“Sta più attento, sfigato” – gli aveva urlato qualcuno da dietro, facendolo cadere con un tonfo.
“Oh giovanotto, vuoi una mano?” – chiese invece un simpatico vecchietto, passandogli accanto.
Louis scosse la testa e facendosi forza sulle braccia si alzò da terra, e si recò all’unico sedile vuoto, ma si rese conto che c’era il vecchietto che gentilmente gli aveva chiesto se volesse una mano, e non ci pensò due volte a lasciare il posto vuoto a lui, e a recarsi vicino alla porta di dietro e ad appoggiarsi contro la porta chiusa. Chiuse gli occhi per un attimo, e rivide quelli di Harry che si fondevano nei suoi, vide quelle maledettissime fossette, quel ragazzo stupendo che gli sorrideva ogni giorno, che sempre si faceva vedere sorridente, e mai triste.
Chissà cosa passava nella mente del riccio, quando lo incontrava.
Di certo, non poteva interessarsi a lui, nel modo in cui interessava a Louis, insomma, mica Harry poteva essere gay? Mica potevano piacergli i ragazzi come a lui? Non era possibile, era irreale, dannatamente irreale.
Con quella moltitudine di pensieri in mente, Louis attese che le porte si aprissero nei pressi della biblioteca piccola di Doncaster, in modo da poter continuare il suo lavoro per il corso. Lui era un precisino, doveva fare tutto nei minimi dettagli, e poi voleva prendere assolutamente un buon voto.
 
 
Louis stancamente stiracchiò le braccia all’indietro tendendole al massimo, facendo scricchiolare le ossa delle scapole. Si tolse gli occhiali neri e squadrati, massaggiandosi il ponte del naso, prima di riappoggiarli, sbuffando. I piedi della sedia leggermente si alzarono, e Louis quasi cadde all’indietro, spalancò alla massima apertura i suoi occhioni azzurri, e si mantenne al tavolo sgangherato della biblioteca.
Si rimise dritto e tirò un sospiro di sollievo.
Maledetti esami che lo trattenevano in biblioteca fino ad orari improponibili – per quanto improponibili fossero le otto di sera.
Si alzò, attento a non cadere com’era suo solito fare, e si avvicinò ad un altro scaffale, gli serviva quel maledetto manuale. Lui non poteva non conoscere quella maledetta tecnica di disegno, doveva riuscire a trovare un manuale che avesse quella spiegazione, lui doveva eccellere. Scorse tutte le lettere, e dovette alzarsi sulle punte per vedere cosa ci fosse al ripiano superiore. L’altezza non era mai stato il suo forte.
Ritornò in basso, e con lo sguardo cercò uno sgabello. Doveva arrivare più alto.
Lo raggiunse e si riavvicinò alla libreria con quello, lo sistemò davanti a sé, e vi appoggiò i piedi sopra, issandosi. Teneva una mano su una mensola della grande libreria e con l’altra cercava il libro che gli serviva, sperando di riconoscerlo al tatto, perché, fondamentalmente, in quel momento stava solo attento a non cadere giù dallo sgabello. Dannazione, forse era più in alto, e lui era decisamente troppo basso, per questo si alzò sulle punte e cercò di raggiungere un punto più alto, fino a che una finta tosse e un “ehi!” non lo fecero sobbalzare e perdere l’equilibrio, facendolo scivolare. La sua mente non ebbe nemmeno il tempo di elaborare il pensiero “cadrò e mi romperò il sedere” che invece di sfracellarsi al suolo, cadde in un paio di braccia forti e muscolose. Gli occhiali volarono via dal suo naso, e, non appena si accorse di aver messo le braccia attorno al collo del suo salvatore, arrossì di botto.
“Ehm... io...” – cercò di balbettare il castano, senza riuscirci.
“Oops!” – fece l’altro sorridendo rimettendolo a terra. Louis si morse le labbra, e osservò il suo salvatore. Era alto, decisamente più di lui, le spalle larghe, le braccia muscolose, il viso paffuto, le guance all’apparenza morbide, e... gli occhi, diavolo quegli occhi, verdi smeraldo, o forse prato, forse tutte e due cose insieme. Erano meravigliosi.
Quello era il ragazzo più bello che Louis Tomlinson avesse mai visto. E…dannazione, è il barista, è Harry!
“Ciao...” – sussurrò Louis in imbarazzo.
Deglutì, lasciando ancora le mani appoggiate sulle spalle dell’altro, reggendosi ad esse, ancora scosso per la quasi caduta. Che prontezza di riflessi che aveva quel ragazzo. Gli occhi erano contornati da un paio di occhiali sottili, forse per aiutarsi nella lettura. La felpa fasciava perfettamente i suoi muscoli, cadendo morbida sulla pancia.
Louis sbatté le palpebre un paio di volte, prima di far affiorare un pensiero stranissimo nella sua mente.
Quel ragazzo era stato veloce, e lo aveva preso in braccio senza problemi.
“Co-cosa sei, una specie di Clark Kent?” – biascicò ancora imbarazzato.
“Ma cosa...? Sicuro di non aver battuto la testa, Louis?” – chiese Harry, divertito. Louis scosse la testa, sapeva di non dire scemenze. Lo aveva letto nei fumetti, Clark Kent, Superman, si presentava come un ragazzo normale, un giornalista qualunque, ma poi all’oscuro di tutti, di nascosto, salvava le vite delle persone che incontrava, così come Harry, presunto barista del bar di Doncaster, aveva salvato ben due volte la sua vita.
Il giorno prima lo aveva tratto in salvo da un camion, non sapeva come, Louis si era trovato spiaccicato contro l’asfalto, ed Harry sopra di lui con le braccia tese, lo sguardo preoccupato. E non poteva essere così veloce davvero. Doveva avere qualche dote nascosta, questo era più che certo.
“Sì, sì, non ho battuto la testa, Harry. Tu sei veloce, e forte!” – esclamò, ma poi abbassò di botto la voce –“a me puoi dirlo... ti fa male la kryptonite verde?”
Harry lo guardò di traverso e appoggiò una mano sulla sua fronte, credendo che il ragazzo stesse male, che avesse la febbre o qualcosa di simile.
“Louis, davvero, ti senti bene? Devo portarti in ospedale?”
Il castano, per tutta risposta, gonfiò le guance e sbuffò sonoramente.
“Voi supereroi, non volete mai svelare le vostre identità!”
Harry scoppiò a ridere e scompigliò i capelli di Louis, con fare dolce e premuroso, tanto che Louis si sforzò anche lui di sorridere. Era sicuro che Harry nascondesse qualcosa.
“Che ci fai qui, comunque?” – fece, cercando di sembrare più sicuro possibile, ed ignorare il tumulto di emozioni scaturite dentro di lui, al pensiero che Harry l’avesse preso in braccio, e il giorno prima gli avesse salvato la vita, sorrise spontaneamente, sciogliendosi al solo immaginare che Harry fosse il suo personale Superman. Doveva scoprirlo.
“Beh, hai dimenticato questo al bar” – estrasse dalla sua tracolla un foglio A4 –“così appena ho smontato sono salito sull’autobus per venire qui, e siccome ho chiesto alla bibliotecaria se avesse visto un certo Louis Tomlinson e mi ha detto che eri qui, ne ho approfittato per cercare dei libri, e poi sono venuto da te” – sorrise il riccio, facendo esplodere di nuovo il cuore dell’altro, che ora lo guardava incantato con una faccia da ebete e riprendeva il disegno che aveva dimenticato al bar.
Si poteva essere più sbadati di lui?
“Oh, g-grazie...” – sussurrò flebilmente, guardando il riccio.
“Di nulla, Louis. Senti, credi di riuscire a prendere il libro senza morire o vuoi che te lo prenda io?”
Louis abbassò lo sguardo, sentendosi improvvisamente in imbarazzo di fronte al ragazzo che lo aveva salvato. Era così che Lois Lane si sentiva al cospetto di Superman? Sentiva dentro di sé una sensazione stranissima, sentiva lo stomaco contorcersi, attanagliarsi, stringersi una morsa quasi dolorosa, ma piacevole, sotto lo sguardo preoccupato dell’altro.
Insomma, Harry Styles, un quasi Superman si preoccupava per lui, era evidente che qualcosa di molto positivo era accaduto per lui. Qualcosa dentro di lui si stava muovendo, e non ci pensava nemmeno ad ignorare il battito frenetico del suo cuore, non appena, alzando lo sguardo, aveva incontrato le gemme smeraldine dell’altro.
“Tu sottovaluti il mio potere” – borbottò Louis, allontanandosi da Harry e risalendo sullo sgabello per prendere il libro. Forse un po’ offeso, ma sicuramente in vistoso imbarazzo. Harry si lasciò andare in una risata divertita, senza fatica lo prese per i fianchi e lo fece ritornare con i piedi per terra.
“Che libro ti serve, nanetto?” – lo ribeccò. Louis si morse le labbra, e sorrise appena prima di fingere un tono offeso e dirgli il titolo del manuale che gli serviva. Senza fatica, Harry allungò il braccio verso il ripiano giusto e lo prese. Per un attimo, Louis credette che i suoi piedi avessero levitato. E di nuovo, la sensazione di trovarsi davanti Superman lo avvolse. Harry sorrise voltandosi verso di lui, e gli porse il libro che il ragazzo cercava prima.
“Grazie...” – sussurrò, indietreggiando appena e dirigendosi di nuovo al tavolo dove stava studiando. Harry fu più veloce, e lo raggiunse. Gli appoggiò una mano sulla spalla, e sorrise quando lo sentì sussultare al contatto con l’arto.
“Hai bisogno di un passaggio?” – chiese Harry, affiancandolo e sedendosi accanto a lui.
Louis sbadigliò sonoramente e scosse la testa. Non sapeva come sarebbe tornato a casa, ma doveva studiare ancora. La biblioteca chiudeva alle nove, ed erano ancora le otto. Aveva un’ora ancora, e doveva studiare.
“Non eri venuto con l’autobus?” – chiese, aprendo il manuale appena preso dal ragazzo, iniziando a consultarlo, sotto lo sguardo attento a lui. Gli sembrò quasi come se Harry gli facesse una radiografia. Si torturò le mani, per non fargli altre domande, e tenne lo sguardo fisso sul libro davanti a sé. Sentiva formicolare qualcosa dietro la schiena, come se fossero delle scariche elettriche che andavano dall’alto al basso sul suo corpo, e non riusciva a fermarle. Sentiva lo sguardo di Harry su di sé, e tremava quasi al pensiero che quel ragazzo gli avesse salvato la vita due volte.
“Sì, ma abito qui vicino, potrei prendere il motorino e accompagnarti. Non ci metterei molto.” – sorrise il ragazzo, stringendogli in modo amichevole una spalla.
“Ti sarei grato solo se tu avessi del caffè, davvero. Credo di potermi addormentare su questo manuale da un momento all’altro” – si stiracchiò all’indietro e dondolò sulla sedia, e ancora una volta rischiò di cadere. Harry, a quel punto, lo afferrò per le spalle, e lo fece alzare – senza alcuna fatica – dalla sedia.
“Tu, ora, invece vieni con me e ti fai riaccompagnare a casa, non accetto no.”
Louis avvampò. Non voleva andare via con Harry, insomma, sarebbe stato davvero imbarazzante.
Certo, si conoscevano abbastanza, non benissimo, e forse Louis doveva ascoltare quella vocina dentro di sé che diceva sì, sì, sì perché, diavolo, lui era cotto di Harry, dalla prima volta che era entrato in quel bar aveva capito che quel ragazzo aveva dentro di sé qualcosa di speciale. E forse doveva ascoltare quella vocina che scopri qualcosa in più su di lui, Louis, magari è lui il tuo Superman! – gli diceva. E magari avrebbe dovuto davvero ascoltarla quando gli sussurrava dall’interno bacialo, bacialo, bacialo, ma Louis non fece nessuna delle cose che la vocina gli suggeriva. Scosse energicamente la testa, rifiutando ancora il ragazzo, incapace, tuttavia, di parlargli.
“Come no? Louis, non puoi restare qui. Come ritorni a casa, dopo?”
“I-io…” – deglutì –“non lo so, ecco… insomma, non è una buona idea… e…” – balbettò, senza rispondere alla domanda del riccio, che scoppiò a ridere, e gli accarezzò il braccio fino ad arrivare alla sua mano piccola e delicata, intrecciandola con la sua grande e nodosa. Il liscio fremette al contatto, ed arrossì all’inverosimile. Harry gli rivolse un sorriso carico di affetto, e dolcezza, mentre Louis dentro fremeva, e mille scariche elettriche gli percorrevano tutto il corpo, al solo contatto con il riccio.
“Non hai risposto alla mia domanda, Louis” – fece fermando le risa e accarezzando con il pollice il dorso della mano del castano, che aumentò di poco la presa sulla sua mano iniziando lentamente a rilassarsi.
“B-Beh” – riprese a balbettare ancora. Dannazione, cosa gli faceva quel riccio? Lui doveva essere forte come i suoi eroi, non doveva essere debole come, come... come una donna. – “no, volevo dire che chiamerò mia madre e mi verrà a prendere lei, o prenderò l’autobus.”
“L’autobus, quando fa buio, non è raccomandabile ai bei ragazzi come te, lo sai, Louis?”
Il ragazzo avvampò di nuovo. Ma perché gli faceva tutti quei complimenti? Cos’aveva di speciale da meritarsi tutti quei complimenti? Insomma, era solo Louis Tomlinson, lo sfigato che disegnava di nascosto il bel ragazzo del bar, che andava tutti i giorni nello stesso bar, per abitudine, ma anche perché altrimenti non avrebbe visto lui, e ora proprio lui gli offriva un passaggio, lo salvava, e gli faceva complimenti?
Tutto nella sua mente era in subbuglio, si sentiva come Clark Kent davanti ad un cumulo di kryptonite, totalmente senza difese, debole... un brivido gli attraversò la schiena e quello lo spinse ad annuire, senza un apparente motivo. Non era bello, lui lo sapeva, eppure sapere che Harry lo considerava bello, lo faceva arrossire, sorridere ed esultare internamente. Si sentiva stranamente apprezzato e felice vicino a quel ragazzo tutto ricci e fossette.
“Appunto, quindi ora non posso proprio lasciarti senza passaggio. Aspettami qui, carino, vado a casa a prendere la moto.”
Certo che quel ragazzo era strano, andava a lavoro con l’autobus, ma a casa aveva una moto?
Tutto tornava. Probabilmente usava la supervelocità per spostarsi, non l’autobus, e si sarebbe fatto prestare la moto da qualche suo vicino, o a qualcuno. Un altro sorriso si dipinse sul volto di Louis, che era più che certo che quel ragazzo avesse qualche potere. Annuì energicamente e quando Harry lo salutò dicendogli che sarebbe tornato da lì a dieci minuti, Louis si catapultò sul foglio A4 che Harry gli aveva restituito. Prese a dare finalmente vita al protagonista del fumetto che sarebbe stato il suo progetto di fine corso, quello che avrebbe presentato come suo primo lavoro.
Sorrise tra sé e sé mentre disegnava con maestria e un po’ di goffaggine i tratti del viso, gli occhi, le orecchie, i capelli ricci a forma di nuvola, il collo, le spalle, il busto. E in dieci minuti il disegno era pronto.
Si ricordò che Harry lo avrebbe aspettato fuori, quindi raccattò velocemente tutte le sue cose, correndo fuori, dal suo Superman personale, imbarazzandosi, non appena il riccio gli porse un casco e gli fece segno di sedersi dietro di lui.
Imbarazzato a morte, si avvicinò al ragazzo e al mezzo di trasporto quasi terrorizzato. Forse avrebbe dovuto dire ad Harry della sua fobia delle moto, ma non lo fece, tanto il riccio l’avrebbe protetto, lui lo sapeva.
Indossò il casco e salì sul veicolo. Allungò le braccia verso i fianchi magri dell’altro, e intrecciò le mani davanti, sulla sua pancia. Quella vicinanza lo faceva morire dall’imbarazzo, ma si sentiva incredibilmente bene, forse perché era da una vita che voleva che qualcosa del genere accadesse con Harry, perché era tanto tempo che lui lo osservava senza mai ricevere attenzioni, e finalmente grazie a quel foglio A4 le stava ricevendo, sperava solo di non svegliarsi improvvisamente e ritrovarsi nel suo letto da solo, senza il calore del riccio tra le sue braccia, senza quella bellissima protezione che sentiva da quando il suo petto era entrato in contatto con la schiena larga dell’altro.
“Tieniti a me” – sussurrò Harry sfiorandogli delicatamente le mani intrecciate sulla sua pancia –“non ti farò cadere, promesso, ma tu reggiti.”
Louis annuì, e strinse più forte le mani sulla pancia dell’altro, la pancia – poteva sentirla – era incredibilmente magra, ma palestrata. Probabilmente il ragazzo era ben messo in fatto di muscoli, faceva incredibilmente fatica a stringersi a lui, dato che era quasi il doppio di lui in muscolatura. Appoggiò la guancia sulla schiena dell’altro, e quasi giurò di aver sentito qualcosa come il battito del cuore attraverso la pelle tesa di Harry, sotto la maglia di cotone.
Il ragazzo mise in moto il veicolo e Louis trattenne un urletto quando il giovane partì e sfrecciò per la strada davanti a loro.
Voltò leggermente il capo verso di lui, e sorrise, vedendolo rannicchiato contro la sua schiena, alla ricerca di calore, gli occhi chiusi gli conferivano un’aria da bambino, le labbra strette in una smorfia terrorizzata gli davano un’aria da cagnolino indifeso, e le mani strette attorno a lui, decisamente troppo tese, gli facevano intendere il suo bisogno di protezione e amore.
Amore?
“Louis, non mi hai detto dove abiti!” – urlò, risvegliandosi dai suoi pensieri.
“Oh, sì!” – esclamò il castano, alzò leggermente il viso dalla schiena dell’altro e gli urlò quasi nell’orecchio il suo indirizzo, per poi tornare a bearsi della protezione che il corpo dell’altro trasmetteva sul suo.
“Per Asgard!” – esclamò in un sussurro contro la maglietta leggera dell’altro, il viso premuto contro la sua schiena e il suo profumo nelle narici.
Il viaggio durò troppo poco e con disappunto, Louis scese dal veicolo del ragazzo. La cosa migliore della sua giornata, decisamente, era stata il tempo passato con lui.
“Grazie, Harry” – sussurrò restituendogli il casco.
Il riccio si tolse il casco con una lentezza disarmante – o forse era quello che parve agli occhi di Louis – si scompigliò i capelli ricci sistemandoli e gli rivolse un dolcissimo sorriso. Lo avvicinò per una mano e gli stampò un bacio sulla guancia.
“Prego, Louis” – sussurrò Harry, spostandosi dalla sua guancia al suo orecchio, solleticandolo con il suo naso –“ci vediamo domani al bar, ti aspetto”
Louis era immobile. Non riusciva a muoversi, a parlare, a... fare nulla.
Tutto ciò che la sua mente gli diceva era Harry, Harry, Harry; e poiBacialo, bacialo, bacialo; e ancoraNon farlo andare via, non farlo andare via. Di nuovo, Harry, Harry, Harry.
Ma tutto quello che Louis fece fu ricambiare il bacio sulla guancia, dirgli che si sarebbero sicuramente visti il giorno dopo, e lo salutò con la classica frase: “Buonanotte, che la Forza sia con te!”
 
 
Louis ormai aveva cambiato un’abitudine: invece di andare al bar e fare solo colazione, per poi andare a seguire il corso, o in biblioteca a studiare; andava al bar, faceva colazione e poi restava lì, a disegnare, e forse nel pomeriggio si recava in biblioteca, dove Harry Styles, puntualmente, lo andava a prendere, ma quella mattina qualcos’altro stava cambiando per il ragazzo nerd, tutto studio, fumetti e dvd.
Harry gli aveva appena servito la colazione e lui, insieme al cappuccino, le brioches e i biscotti, nascosto tra essi, aveva trovato un bigliettino. Louis si sistemò gli occhiali sul naso e lesse il contenuto del biglietto.
 
“Sei libero stasera? Magari usciamo, mangiamo una pizza, poi decidi tu tra: film, birra con gli amici o andare a ballare, dietro c’è il mio numero, fammi sapere.
Haz, x”
 
Louis avvampò e sorrise di rimando, guardando verso il bancone dove il riccio, mentre puliva, lo guardava fisso, quasi incantato, e il nerd non poteva far altro che sentirsi lusingato ed imbarazzato. Gli aveva chiaramente chiesto di uscire insieme, insomma.
Afferrò il cellulare dalla tasca e digitò in fretta un messaggio, con un sorriso ebete stampato sul viso.
 
“Liberissimo, se aspetti che finisca una parte del progetto per il corso, adoro la pizza! E... ti va una maratona di Star Wars?
Lou, x.
 
P.S. questo è il mio numero.”
 
Harry distolse per un attimo lo sguardo, per leggere il messaggio. Sorrise mentre lo apriva – le mani tremanti – e lo lesse tutto d’un fiato. Non poteva chiedere di meglio, avrebbe avuto Louis tutto per sé, per tutta la sera.
 
“Facciamo così, vengo a prenderti in biblioteca, ti accompagno a casa, tu sistemi tutto e io arrivo con le pizze, così facciamo la maratona che vuoi fare, ti va bene?”
 
Il cellulare di Louis squillò intonando la colonna sonora di Star Wars, e il castano sorrise notando che fosse di nuovo Harry, e non poté nascondere un urlo di giubilo interno. Non impiegò molto a rispondere.
 
“Sì, è perfetto! Grazie, sei un grande! A stasera,
Lou, x.”
 
Harry lesse ancora, e quasi rise a quel “sei grande”, aveva inteso che Louis volesse dire tutt’altro, ma non si era sbilanciato più di tanto. Dopo tanto tempo passato ad osservarlo in silenzio, aveva imparato tutto di lui, avrebbe potuto disegnarlo ad occhi chiusi, se avesse avuto il dono del disegno come il ragazzo per cui aveva una cotta.
 
“A stasera,
Haz, x.”
 
 
Louis era in biblioteca da un’ora. E tremava.
Quella sera, Harry sarebbe andato da lui, avrebbero mangiato insieme la pizza e avrebbero guardato Star Wars. Poteva esserci serata migliore di quella? No, di certo.
Per Louis Tomlinson, sommare Star Wars, alla pizza e ad Harry Styles era il massimo. Come poteva solo pensare di fallire durante quella serata? No, doveva dare il meglio di sé.
Quel pomeriggio, non riuscì a disegnare niente, e nemmeno a studiare, aveva la testa altrove. Sorrideva come un ebete e poteva sentire il suo cuore battere, al solo immaginare la vicinanza di Harry a sé.
Non aveva mai avuto dubbi sul fatto che gli uomini gli piacessero, fin da quando aveva preso una cotta enorme prima per Robert Downey Jr, e poi per Tom Hiddleston, e decisamente le ragazze non gli avevano mai fatto alcun effetto particolare. I suoi atteggiamenti poi, non erano – come dire – così mascolini, il suo fisico, per nulla palestrato, era minuto e sinuoso, come quello di una donna, e la sua voce acuta, delicata e per niente fastidiosa, richiamava ad una voce femminile. Lui non ostentava mai questo suo lato, lo teneva sempre nascosto, anche perché fino ad allora nessuno si era mai degnato di parlargli, di rivolgergli un’attenzione, o semplicemente di voler stringere amicizia con lui, nessuno  a parte Harry, ma Harry non era nessuno, lui era diverso, era quel qualcuno. Harry era... sì, era come Superman. Lo stava letteralmente salvando dalla sua solitudine, e dallo sprofondare solo nel mondo dello studio e dei fumetti, e Louis era più che felice che Harry fosse accidentalmente entrato nella sua vita, anche solo come amico, che stesse per cadere nel suo mondo. Appoggiò il gomito sul tavolo di legno e mise la guancia sul palmo della mano, fissò un punto fisso e riprese ad immaginare quanto sarebbe stato bello avere Harry accanto tutta la serata, e sospirò, come una ragazzina che ripensava alla prima cotta adolescenziale, come un bambino alle prese con il suo primo gioco figo, come la prima volta che si era trovato tra le mani un fumetto di grande valore. Si decise, finalmente, a chiudere il libro, quando erano le sei e mezza, sapeva che Harry fosse arrivato lì intorno alle otto, quindi inviò velocemente un messaggio al ragazzo, dicendogli che si sarebbero visti direttamente a casa sua, raccattò le sue cose, e velocemente uscì, salutando la bibliotecaria, dirigendosi subito dopo alla fermata dell’autobus.
Aveva improvvisamente voglia di riordinare casa sua.
Sentiva come se ci fosse qualcosa fuori posto, e doveva per forza riordinare tutto. Aveva avvisato, la mattina stessa, sua madre che un suo amico sarebbe andato per cena, e la donna – capendo male le parole del figlio – gli aveva detto che per caso dovesse andare dalla nonna a Londra, che casa loro era libera.
Inciampò una, due, tre, forse sei volte prima di riuscire a mettere piede sull’autobus, e vedere le porte chiudersi dietro di sé. Sorrise come un ebete – ancora – mentre il mezzo di trasporto lo portava a casa, e non badava nemmeno un po’ al fatto che il movimento dell’autobus lo facesse sbandare. Anche quel giorno, non aveva trovato il posto, come tutti i giorni d’altra parte, le sue spalle sballottavano sempre a destra e a sinistra sul vetro della porta, ma a lui non importava, non se ne curava, perché pregustava la serata perfetta che avrebbe passato con Harry, e non avrebbe mai potuto chiedere di meglio. Arrivò la sua fermata, e quasi dimenticò di scendere e inevitabilmente inciampò nella porta, e l’orlo della sua maglia rimase impigliato nelle porte dell’autobus, ma con un piccolo strattone riuscì a liberarsi prima che il veicolo ripartisse. Entrò velocemente in casa e urlò – come d’abitudine – che era tornato, ma non ottenne risposta, perché la madre – come gli aveva comunicato quel pomeriggio – non c’era.
Corse velocemente in casa sua, lanciando per terra la tracolla nera, si tolse con un gesto secco dei due piedi le scarpe lasciandole sull’uscio della porta, attento a non inciampare nei suoi stessi piedi, salì al piano di sopra a piedi nudi, e controllò che la sua stanza fosse in ordine. Una volta accertatosi di questo, si diresse di nuovo alle scale, per andare a vedere in che condizioni fosse il soggiorno con la speranza che sua madre lo avesse sistemato prima di andare via. Una volta arrivato alla fine delle scale, mise male il piede per terra, e scivolò. Batté forte il fondoschiena contro il materiale freddo e duro delle scale, e un gemito di dolore fuoriuscì dalla sua bocca, la sua solita sfortuna. Massaggiandosi la parte lesa, si recò in salotto dove trovò tutto immacolato: il divano candido con i cuscini colorati perfettamente in ordine, le mensole con i libri pulite, il pavimento chiaro perfettamente pulito e lucido; Louis sorrise davanti a tutto quello, e ringraziò mentalmente sua madre per aver sbrigato lei quelle “scomode” faccende. Corse verso l’entrata, raccolse la sua tracolla e le scarpe portando tutto in camera sua, dove afferrò il porta-pop corn a forma di R2D2 e lo portò in cucina. Si diede mentalmente dello stupido per non essersi cambiato prima di tornare giù, quindi ritornò al piano di sopra, inciampando ancora nelle scale, rischiando di battere il naso da qualche parte e dopo essersi concesso una doccia – attento a non scivolare sul piatto della cabina – tornò in camera sua dove prese la sua t-shirt grigia di Star Wars, su cui erano raffigurati i personaggi principali, e su cui svettava il logo della saga, e la indossò velocemente, per poi accorgersi che in tutto quello – tra decidersi a tornare a casa, prendere l’autobus, arrivare, assicurarsi che tutto fosse in ordine, cadere come un cretino, farsi la doccia – si erano fatte già le otto, e dannazione, Harry arriva a momenti! – pensò, infilò velocemente un paio di pantaloni di tuta grigi abbinati alla maglietta, afferrò i DVD dal ripiano della libreria e corse velocemente – di nuovo – al piano di sotto, ma mentre era circa a tre gradini dalla fine della scala, il campanello della porta suonò e Louis, esultando per l’arrivo di Harry, in ansia che non avesse ancora preparato niente di niente, mise male il piede per terra e scivolò di brutto per i tre gradini che mancavano alla fine della scala, fortunatamente ebbe la prontezza di riflessi di tenere in alto le braccia e salvare così i DVD.
“Ahia” – mormorò a se stesso, alzandosi con fatica da terra. Era già la seconda botta che prendeva nel giro di... quanto tempo è passato?
Abbandonò i DVD su un ripiano e corse, zoppicando leggermente, verso la porta, aprendola non appena si trovò davanti ad essa. Davanti a lui, c’era la creatura più bella che lui avesse mai visto. I ricci ricadevano sul suo viso pallido, risaltando i suoi occhi smeraldo stupendi, la t-shirt bianca con lo scollo a V metteva in risalto i suoi pettorali segnati da due rondini tatuate delle quali si vedevano le ali, i bicipiti erano ben fasciati dalle maniche corte della maglia, e un paio di tatuaggi si potevano intravedere spuntare da essi, le mani grandi tenevano i due cartoni con le pizze.
Louis deglutì un paio di volte prima di rendersi conto che di lì a qualche istante avrebbe sbavato vedendolo lì davanti; avvertì un leggero fastidio al di sotto dell’inguine, ma non ci fece caso, forse era solo una sensazione.
“Ciao Louis!” – esclamò pimpante Harry, facendo un passo verso di lui.
“C-Ciao Ha-Harry...” – balbettò il liscio, passandosi una mano tra i capelli fini. Le mani tremavano, e non capiva perché tremassero in quel modo, dannazione. Harry era pura perfezione, era un qualcosa di troppo per lui, qualcosa come... come se fosse astratto, e non riusciva ad immaginare che Harry avesse scelto lui proprio lui, tra tanti ragazzi, o meglio, amici che poteva avere. Era una cosa che non stava né in cielo né in terra.
“Carina la maglia, in tema con la serata?” – chiese il riccio, indicando la t-shirt del ragazzo di fronte.
“O-Oh sì! Star Wars, vieni dentro!” – esclamò tutto d’un fiato, spostandosi dalla porta, per permettere al ragazzo di entrare dentro. Gli fece strada verso la cucina, dove Harry depositò le pizze e Louis gli offrì qualcosa da bere.
“C-Come stai?” – chiese timidamente Louis, versandogli un bicchiere di coca-cola.
“Bene, ora che sono qui” – sorrise il riccio, guardandolo dritto negli occhi. Louis non era abituato a tanta schiettezza, e arrossì di botto. Lui, sì, era un tipo che girava intorno ai discorsi, non arrivava mai al sodo, tranne quando si trattava di qualcosa di cui fosse assolutamente sicuro. –“e tu?”
“Sto bene, sì, bene.” – no, no che non sto bene, sono agitato da far schifo, balbetto come se fossi davanti a chissà quale divinità e mi fa male il culo, per Asgard!
“Ehm, Louis?”
“Sì?”
“La coca-cola sta uscendo fori dal bicchiere” – fece Harry, indicando il bicchiere tra le mani del ragazzo che straripava coca-cola dai bordi, facendola riversare sulle mani piccole e delicate di Louis, che non appena si accorse del macello, distolse lo sguardo da quel dio greco che aveva davanti e si affrettò a pulire tutto, porgendo il bicchiere al riccio. Harry si lasciò scappare una risata divertita e intenerita, perché non si aspettava di fare quell’effetto al suo bel cliente, ma non volle infierire, così bevve in silenzio mentre Louis puliva il disastro.
“P-Preferisci mangiare prima o-o durante il film? Insomma... io...” – Harry sorrise appoggiando una mano su quella di Louis, e gli rivolse uno sguardo per tranquillizzarlo.
“Va bene, possiamo guardare il film mentre mangiamo, ci è permesso mangiare sul divano?”
“Sì! Mia madre non c’è, possiamo fare quello che vogliamo a patto che non sporchiamo nulla.” – Louis sembrò iniziare a sciogliersi e guidò il riccio nel soggiorno, abbandonando la pezza con cui stava pulendo il tavolo della cucina, e lo fece accomodare sul divano. Depositarono le pizze sul tavolino di vetro e Louis corse in cucina a prendere la famigerata ciotola a forma di R2D2 – riempiendola di patatine, pop-corn e salatini – le bibite che avrebbero bevuto durante la visione del film e una manciata di tovaglioli. Una volta in corridoio, prese anche i DVD abbandonati sul ripiano e tornò da Harry, che gli andò incontro e lo aiutò con gli oggetti.
“Che figa questa ciotola!”
“Lo so, è stupenda, è R2D2!”
Harry annuì senza capire e notò i DVD tra le mani del ragazzo.
“Non scherzavi quando dicevi Star Wars” – sorrise teneramente –“come mai proprio questo?”
“Tutti i miei credi religiosi sono basati su Star Wars!” – esclamò con enfasi il ragazzo, facendo ridere l’altro, che non riuscì a trattenersi. Quel Louis era davvero buffo, ma gli piaceva da morire per questo.
Harry guardò i DVD tra le mani del ragazzo, e inclinò la testa.
“Non erano sei?” – chiese.
“Sì, ho gli altri tre di sopra, ma noi vedremo questi! Vediamo la seconda trilogia per uscita, ma la prima per cronologia.” – spiegò con fervore –“iniziamo con La minaccia fantasma?”
Harry annuì ancora, senza capire quasi niente di quel che il ragazzo stava dicendo, tuttavia lo assecondò. Aveva così tanta voglia di passare qualche ora con lui, che non gli importava se avessero guardato Star Wars, o Shrek, o qualsiasi altra cosa, per lui era perfetto solo stare con Louis e basta. Tutto il resto era nulla.
Si sistemò sul divano, e il liscio inserì il DVD, sedendosi accanto al riccio, e premendo il tasto play.
Harry non sapeva nemmeno come avrebbe passato quelle ore a casa di Louis, sarebbero state ore di puro delirio.
 
I cartoni della pizza giacevano sul tavolino davanti a loro, la ciotola era stata svuotata e giaceva da qualche parte sul pavimento, solo le lattine di coca-cola erano ancora piene e giacevano sul tavolino davanti a loro, mentre Louis infervorato, spiegava il film al riccio, commentava le loro azioni, suggeriva ai personaggi cosa fare, e soprattutto ripeteva a memoria ogni singola frase del film. Ma Harry lo vedeva, vedeva quel luccichio negli occhi del liscio, vedeva il suo sorriso rilassato, lo vedeva stranamente allegro. Non si era mai dimostrato un ragazzo così espansivo come in quel momento.
“Ricordati, concentrati sul momento. Percepisci, non pensare. Usa il tuo istinto... E che la Forza sia con te!” –citò Louis, con la stessa intonazione con cui le frasi venivano dette, girandosi verso il riccio sorridendogli come un bambino alle prese con il suo primo gioco, e Harry non poteva fare altro che cadere sempre di più nel suo mondo, assecondarlo. Non aveva osato avvicinarsi a lui, credeva fosse ancora troppo presto.
Ma, a circa metà film, Harry sentì Louis tirare su col naso alla morte di Qui-Gon Jinn, il maestro Jedi di Obi Wan Kenobi.
“Lou, tutto bene?” – chiese avvicinandosi.
“S-sì, mi viene sempre da piangere in questo punto, scusa...” – fece allungandosi verso il tavolo per prendere un fazzoletto, ma Harry fu più veloce e afferrò un fazzoletto, portandolo agli occhi del ragazzo aiutandolo a togliere via i residui di lacrime versate per il personaggio del film.
Harry gli stampò un tenero bacio sulla guancia, che fece palpitare il cuore di Louis, pensando che non avesse mai visto un ragazzo più dolce, sensibile e tenero di quel ragazzo che aveva davanti a sé in quel momento.
Harry distese le braccia all’indietro alla fine del primo film, mentre Louis si avvicinava al lettore per mettere l’altro, ma lui voleva parlargli, voleva ascoltare la sua voce, Harry adorava la voce di Louis.
“E da quanto, ecco, sei appassionato di Star Wars?” – chiese, mentre il castano armeggiava con l’aggeggio elettrico.
“Direi... da sempre. Da quando ero piccolo e lo trasmisero in tv.”- sorrise alzando appena lo sguardo sul riccio, che si distrasse e si morse il labbro inferiore.
Dannazione, quanto era bello tutto concentrato e pensieroso?
“Ah, per questo conosci i film a memoria”
“A-ah.” – annuì il maggiore –“e li riguarderei per ore, ed ore! Ma un film è bello da guardare in compagnia, non credi?” – chiese infilando finalmente il disco e chiudendo il lettore, tornando dal giovane riccio.
“Sì, hai assolutamente ragione.”
“Qual è questo?” – chiese Harry curioso.
L' attacco dei Cloni.” – rispose Louis, rivolgendogli un dolce sorriso.
Il secondo film trascorse tranquillo, Louis continuava a ripetere le frasi come “Non so perché, ma sento che tu sarai la mia fine” – e spostava lo sguardo su Harry, oppure “Scusa maestro. Dimenticavo che non ti piace volare.” – e poi rideva a crepapelle, poi continuava a spiegare ogni mossa dei protagonisti, a dare suggerimenti a chi era nel film, facendo inevitabilmente intenerire e divertire Harry, poi ad un certo punto, socchiuse gli occhi e sbadigliò. Harry lo trovava estremamente tenero, erano quasi cinque ore che guardavano quei film, erano incredibilmente lunghi, e probabilmente Louis iniziava a stancarsi. Ed era adorabile quando si stropicciava l’occhio, poi borbottava qualche frase e ritornava a dormicchiare sul divano, mentre Harry non perdeva nemmeno una delle sue mosse.
Non appena il film finì, stavolta anche Louis stiracchiò le braccia verso l’alto – per fortuna era sul divano e non su una scomoda sedia della biblioteca, altrimenti sarebbe caduto – e poi controllò l’orologio.
“Oh, se vuoi smettiamo, magari... ti sei annoiato...” – bofonchiò, guardando il riccio, che ora lo guardava stanco, ma divertito.
“Volevi la maratona, maratona faremo. Non era mica una trilogia?” – sorrise.
Vide il viso di Louis illuminarsi, e poi il ragazzo annuì, afferrando anche l’ultimo.
“La prima trilogia per cronologia, la seconda per uscita” – fece con fare da sapientone Louis.
“Qual è il film?”
La vendetta dei Sith!” – esclamò, premendo play, sistemandosi sul divano, con le ginocchia piegate al petto, le braccia a cingerle un sorrisetto buffo e emozionato sul viso.
Tutto cambiò con il terzo film, non appena fu inserito, Louis si infervorò di nuovo. Probabilmente lo preferiva di gran lunga all’altro, per chissà quale motivo. Harry davvero non aveva mai guardato quei film, ma per Louis era disposto a farlo, e non se ne pentiva nemmeno un attimo. Non l’aveva mai visto così pieno di vita, ma in quel momento lo era. Era tutt’altra persona, era come se uno di quei Cavalieri Jedi fosse entrato dentro di lui, e lo spingesse a fare tutto quello, e lo vide nuovamente piangere quando Mace Windu, uno dei tanti personaggi, venne ucciso e –“Era l’unico che usava la spada viola” – si giustificò asciugandosi una lacrima.
“Ed è una cosa brutta?” – chiese allora Harry.
“Era solo potentissimo!” – esclamò Louis sollevandosi sul divano –“la spada viola è fatta di un cristallo particolare e lui era andato a cercarlo, per questo ce l’aveva solo lui! Ed è potente perché ha il controllo di una tecnica della Forza che in pochi sanno usare senza finire al lato oscuro” - spiegò, piantando le ginocchia su di esso, facendo ridere a crepapelle Harry -“e la tecnica di chiama Vaapad” – concluse fissando il riccio, che annuì e si appoggiò contro lo schienale del divano, e continuò a guardare quel film, o meglio, a guardare Louis mentre imitava i personaggi, ripeteva le loro battute e piangeva per chi moriva in esso.
Una sensibilità davvero fuori dal comune. Lui non aveva mai pianto per un film, o forse non ricordava nemmeno quale fosse stata l’ultima volta durante la quale aveva pianto, era un tipo dal classico “cuore di pietra”, quasi insensibile. Ma forse quel ragazzo dagli occhiali neri e spessi, gli improponibili capelli a scodella e le scaglie di cielo negli occhi gli stava facendo cambiare idea, con quelle convinzioni in testa, si spostò lentamente verso di lui sul divano fino ad arrivare ad un palmo da lui, facendo scontrare le loro anche. Fece per allungare un braccio dietro al collo dell’altro, ma...
“Comandante Cody, il tempo è arrivato. Esegui l'Ordine 66.” – si sentì dalla televisione.
“No!” – urlò Louis – “l’Ordine 66, no!”
Harry sobbalzò e si spostò di qualche centimetro da Louis, ritraendo il braccio. Non era un buon momento quello, proprio no.
“Ordine 66?” – chiese titubante.
“L’Ordine per cui i Cavalieri Jedi devono essere uccisi perché considerati traditori.” – spiegò il castano, mentre Harry si lasciò andare in una sommessa e silenziosa risata.
E mentre il film scorreva, e Louis gasato al massimo continuava a spiegare ad Harry, ma verso ad un certo punto del film quando Padmé Amidala, moglie di Anakin Skywalker, diventato poi Darth Vader, morì dopo aver dato alla luce i due gemelli, perché distrutta dentro e il parto non aveva fatto altro che affaticarla ulteriormente, fu Louis ad accucciarsi contro la spalla del riccio e piangere la morte del personaggio. Harry non seppe bene cosa fare, in quel momento. Era tutta la sera che provava ad avvicinarsi a Louis, e veniva sempre interrotto da qualcosa, ma in quel momento, quando si trovò con il castano tra le sue braccia, lì dove poteva stringerlo e farlo sentire al sicuro, dopo un attimo di smarrimento, gli accarezzerò la schiena lentamente con dolcezza, fino a che non sentì il suo respiro calmo e si accorse che si era addormentato come un bambino, diavolo, era adorabile, Harry non ebbe il coraggio di svegliarlo, e siccome erano quasi le quattro del mattino, si lasciò scivolare fino al bracciolo del divano di Louis, e, mantenendo il ragazzo, spostandolo contro il suo petto, evitando che si svegliasse,  stese anche lui. Percepito il movimento del corpo dell’altro, Louis non si svegliò, si limitò solo a trovare una posizione migliore e si accucciò meglio contro il petto ampio di Harry, che dopo avergli sussurrato un “grazie per la serata” ed averlo stretto ancora un po’ di più a sé con fare protettivo ed aver spento la tv, imitò l’altro ragazzo, sprofondando anch’egli nel mondo dei sogni.
 
Un fastidio terribile al collo fece aprire gli occhi ad Harry, che si rese conto di essersi addormentato sul divano di casa di Louis, con il ragazzo dormiente tra le sue braccia. Immediatamente avvampò, vedendo che Louis avesse il viso premuto contro il suo torace, le gambe intrecciate alle sue e una mano poggiata con leggerezza sulla pancia del riccio. I capelli in disordine, sparpagliati sulla sua maglietta bianca, e Harry non resistette alla tentazione di infilare una mano dentro quei fili sottili e scuri. Harry stette attento a non svegliarlo, era davvero bellissimo con gli occhi chiusi, l’espressione rilassata e la bocca socchiusa. Aveva voglia di appoggiare le sue labbra su quelle fini e delicate del ragazzo che dormiva tra le sue braccia. Guardò l’orologio e si accorse che era quasi l’una del pomeriggio, diavolo, per fortuna che era domenica e non doveva andare al lavoro, ridacchiò sommessamente, afferrò il telecomando abbandonato accanto al castano, e accese la tv iniziando a fare zapping, cercando qualcosa di interessante da guardare. Louis si mosse leggermente tra le braccia del riccio, che sorrise teneramente e gli accarezzò la schiena, magari – pensò – avrebbero pranzato insieme e avrebbero passato anche quella domenica insieme. Per quanto la gente evitasse Louis, Harry voleva maledettamente passare del tempo con lui, magari conoscerlo più a fondo - e perché no? - uscire ancora con  lui. Sorrise spontaneamente quando il liscio si mosse ancora una volta, aprendo gli occhi.
Louis arrossì all’impazzata non appena si rese conto della posizione in cui erano. Le mani di Harry sulla sua schiena, le loro gambe intrecciate, il petto caldo e accogliente del riccio sotto la guancia, la pancia delineata sotto la mano. Sentiva il respiro sotto di sé, e non riusciva a credere di essersi addormentato in quella posizione la sera prima.
Ecco perché, nonostante fosse sul divano, si sentiva incredibilmente rilassato, era una bellissima sensazione.
Aveva paura ad alzare lo sguardo e ritrovarsi in quello del riccio, sapeva che si sarebbe perso in quello. Ancora intontito dal sonno, Louis poteva sentire il respiro caldo di Harry solleticargli il collo, e il cuore dell’altro battere ad un ritmo regolare, forse leggermente accelerato rispetto al normale, ma in quel momento, per Louis quel suono era il più bello che avesse mai sentito, più bello di qualsiasi canzone. Mosse leggermente la mano sulla pancia piatta dell’altro, e avvertì il cuore dell’altro battere più velocemente di prima, si lasciò scappare un sorriso spontaneo, e fece risalire la mano lungo l’addome dell’altro, arrivando fino al petto, che accarezzò lentamente.
Sentì Harry irrigidirsi sotto il suo tocco e fermò la mano, all’altezza del cuore del ragazzo.
“Chi ti ha detto di fermarti?” – sussurrò piegandosi al suo orecchio –“continua pure”
Louis arrossì appena, senza fiatare, né alzare la testa dal petto – in fondo gli piaceva quella posizione – e riprese ad accarezzare lentamente il petto di Harry, fino a che non sentì il riccio rilassarti.
Si rese conto solo in quel momento che fossero a casa sua, Harry si fosse svegliato prima di lui, e ora... cosa stava facendo esattamente?
Scattò in piedi, facendo sobbalzare Harry, e scivolò sul tappeto, mantenendo l’equilibrio per puro caso, mise male il piede sul pavimento e quasi cadde di nuovo, mentre il riccio lo fissava senza capire.
“Sono un pessimo padrone di casa, ma proprio terribile!” – strillò istericamente.
“Perché?” – chiese Harry.
“Mi sono svegliato dopo di te, e... oh, per Asgard, non lo so! Sbaglio sempre tutto e...” – Harry non gli diede il tempo di finire la frase, rimettendosi seduto, lo afferrò per i fianchi, tirandolo di nuovo sopra di sé, facendolo scontrare contro il suo petto. Si stese di nuovo tenendolo tra le braccia, e gli afferrò una mano riportandola sopra al suo petto.
“Continua con le coccole” – sussurrò – “va tutto bene, e poi mi piace stare così con te...”
Louis avvampò di nuovo, e riprese ad accarezzare il petto al ragazzo, lentamente, mentre l’altro riprendeva a fare zapping alla tv, fino a che...
“Oh mio dio!” – strillò Louis stringendo la maglietta di Harry con forza. -“stasera danno Thor!” – quasi urlò –“devo guardarlo assolutamente!” – si morse il labbro e alzò lo sguardo verso Harry. –“lo guardi con me?”
Harry lo guardò spaesato almeno per dieci secondi, senza capire cosa volesse quel ragazzo, ma quegli occhi, quell’espressione speranzosa, quello sguardo da cucciolo, la possibilità di passare altro tempo con lui messa su un piatto d’oro, lo spinsero ad annuire con un sorriso sul viso.
“Oh grazie, grazie, Harry!” – urlò tirandosi su e avvolgendo le braccia attorno al collo del riccio, affondando il viso nell’incavo di quello. Harry si lasciò scappare una risatina sommessa e ricambiò l’abbraccio stringendolo forte.
Louis, solo quando sentì che il ragazzo ricambiasse, si rese conto di quello che aveva fatto, e arrossì, senza azzardarsi a togliere il viso completamente scarlatto dalla spalla di Harry, che gli accarezzò la schiena lentamente, e lo tenne stretto per almeno dieci minuti.
Passarono insieme tutto il resto della giornata. Durante la serata, guardarono ancora la tv, ed Harry si intenerì ancor di più, e azzardò a dire che probabilmente si stava innamorando di lui, ma forse era un azzardo, era presto per parlare di amore nel loro caso, ma la sua compagnia gli piaceva, gli piaceva eccome.
A differenza della sera prima, però, Louis non si sistemò dall’altro capo del divano, ma si stese, appoggiando la testa sulle gambe di Harry, prima imbarazzato, ma quando sentì la mano di Harry accarezzargli il fianco si rilassò, e restò in quella posizione per tutto il film. Ma voleva anche scoprire qualcosa sul riccio, voleva che gli raccontasse qualcosa, e ne approfittò durante la pubblicità della fine del primo tempo.
Girò appena il viso verso di lui, e lo studiò dal basso: la mascella delineata, un accenno sottilissimo di barba sul mento, il naso perfetto, le guance paffute, edannazione, era davvero bellissimo.
“Ehm, Harry?” – chiese in un sussurro.
“Dimmi Louis” – rispose l’altro, abbassando lo sguardo verso di lui, facendo incrociare i loro occhi.
Non appena Louis incontrò lo sguardo di Harry restò nuovamente senza fiato, e mordendosi le labbra scosse la testa energicamente, senza dire una singola parola.
“Grazie per essere rimasto” – sussurrò accucciandosi di nuovo sulla pancia di Harry, voltandosi ancora verso la tv.
“Figurati, è un piacere”
 
 
“Quindi, aspetta, ricapitoliamo” – fece Louis, assorto nel racconto di Harry. Si erano incontrati nel bar – come ogni giorno – ed Harry, durante il pomeriggio – perché Louis quel giorno aveva deciso di restare senza andare in biblioteca - si era preso dieci minuti di pausa per parlare con Louis, il quale iniziò a riempirlo di domande fino a fargli scoppiare la testa, alle quali il riccio rispose senza mostrare il minimo accenno di noia. –“hai lasciato la scuola dopo il liceo, lavori qui tutto il giorno, e vivi da solo? Ma non hai nemmeno vent’anni!” – esclamò alzando teatralmente le mani al cielo.
“Sì, Louis, sono andato via da casa subito dopo il liceo e con un colpo di fortuna ho trovato lavoro qui. Sono stato da un paio di amici, e appena ho guadagnato abbastanza, ho affittato l’appartamento dove vivo, non è difficile.” – gli sorrise il ragazzo dagli occhi verdi rivolgendogli uno sguardo dolcissimo e carico di qualcosa che Louis non riuscì a definire a primo impatto.
“Come mai proprio Doncaster? Insomma, potevi andare a Londra, a Manchester o da qualsiasi altra parte, perché sei venuto proprio in questo paese così sperduto?”
“Non lo so, mi piaceva e poi adoro i posti sperduti, come dici tu.” – sorrise ancora una volta. Louis fremeva dalla voglia di chiederglielo, voleva venire a capo del suo mistero del “Superman di Doncaster”. Quella mattina, inoltre, aveva scoperto che era di Holmes Chapel, si era trasferito lì da un paio d’anni perché non si trovava bene con chi frequentava – e chissà perché! – perché diceva che la madre non capiva le sue esigenze. Louis si morse le labbra, doveva per forza chiederglielo.
“E-e, ecco, uhm, sai che esiste un cristallo verde fluorescente, che somiglia alla kryptonite?” – chiese imbarazzato, mentre Harry aggrottava le sopracciglia.
“A-ah, e allora?”
“Su di te ha effetto?” – chiese con l’aria di chi la sapeva lunga.
“Ehm, perché dovrebbe farmi male un cristallo?”
“Uhm, ehm” – abbassò di un tono la voce, avvicinandosi al riccio –“di me puoi fidarti, non dirò il tuo segreto a nessuno, dai, dimmelo!” – sussurrò battendo le mani davanti a sé, con fare emozionato.
“Louis, ma cosa...?”
“Sei velocissimo, mi hai salvato da quel camion, qualche settimana fa! E poi mi hai preso in braccio senza problemi quando sono caduto dallo sgabello, per non parlare della tua prontezza di riflessi quando hai bloccato la sedia da cui stavo cadendo” – si morse le labbra –“scommetto che vedi anche attraverso le cose con la vista a raggi x, e infiammi gli oggetti con lo sguardo.” – continuò scrutando l’altro che lo guardava con un’aria smarrita –“sicuramente saprai volare, mi fai fare un giro qualche volta?” – fece un sorriso a trentadue denti –“ e per forza di cose, hai un punto debole, la kryptonite verde, quel cristallo che ti dicevo.” – concluse.
Harry lo ascoltò, quasi con ammirazione. Lo stava davvero paragonando a Superman?
E’ una cosa... assurda!
Scoppiò a ridere lì davanti, a lui. Allungò la testa all’indietro, ridendo. Non poteva davvero crederci, non poteva credere che Louis gli stesse dicendo quelle cose, insomma, aveva ventuno anni, era più grande di lui, stava sicuramente scherzando. Cercò di calmarsi, ma quando riabbassò lo sguardo notò che l’espressione di Louis non fosse più allegra come prima. Ma che diavolo...?
Spostando con velocità la sedia per terra, Louis produsse un rumore fastidiosissimo, che fece sobbalzare il riccio.
“Ehi, ma dove...?”
“Devo andare in biblioteca.” – cercò di essere sicuro, ma l’inclinazione della voce spezzata da un imminente singhiozzo, lo tradì. Afferrò la sua tracolla e lasciò una banconota sul tavolino, dirigendosi velocemente alla porta, inciampando nei suoi piedi e nei piedi delle sedie tutt’intorno, fino a che non arrivò alla porta. La tirò con forza, senza ottenere nessun risultato.
Per Asgard, non ora! Non ora, apriti, stupida porta!
Eppure la porta andava tirata, ricordava bene la figuraccia dell’ultima volta. Afferrò la maniglia con entrambe le mani e tentò ancora di tirare. Fallì miseramente, e cercò un altro modo per aprire la porta. Il cervello, ovviamente, non gli suggeriva di spingere semplicemente. La gente intorno aveva iniziato a ridacchiare, e Louis era sempre più imbarazzato per l’ennesima figuraccia provocata dalla sua imbranataggine.
Harry si avvicinò a lui da dietro, spinse la porta, aprendola.
“Va spinta...” – sussurrò.
Louis avvampò e annuì.
“Lo sapevo, volevo solo vedere se te lo ricordavi tu.” – borbottò e senza salutare se ne andò, in fretta, senza accorgersi che il suo cellulare, maldestramente messo nella sua tasca, cadeva per terra e con un tonfo restava ai piedi di un Harry ancora confuso da ciò che gli aveva detto il castano e dalla sua strana reazione.
 
 
Stava impazzendo. Gli tremavano le mani, aveva voglia di urlare e di piangere.
Come poteva essere così insensibile? Come poteva avergli riso in faccia?
Aveva solo esposto la sua teoria, anche fondata, non poteva avergli riso in faccia in quel modo, era da veri insensibili. Non era andato in biblioteca, né ai corsi. Era tornato direttamente a casa e aveva iniziato a mettere in disordine camera sua. Aveva disfatto il letto, lanciato scarpe ovunque, svuotato l’armadio, se non fosse stato troppo legato ai suoi fumetti avrebbe sparso anche quelli nella camera. Si mise alla scrivania, doveva disegnare, doveva riuscire a dimenticare ciò che quell’insensibile di Harry aveva fatto.
Afferrò una matita e tutto ciò che produsse fu un qualcosa di indefinito, per questo appallottolò il foglio e lo lanciò dietro di sé, facendolo finire tra le cose già in disordine della stanza. Proseguì così per un bel po’ di tempo, fino a che non si fece sera: disegnava, sbagliava, appallottolava e lanciava via, fino a che, stufo, spezzò a metà una matita.
“Oh, scusa, matita” – borbottò lanciandola tra i fogli. Si alzò e si diresse sul suo letto, buttandosi su a peso morto. Accavallò le gambe, e interpellò il poster sulla porta di fronte al letto.
“Tu che ne dici? Sono io paranoico?” – chiese –“mmh, sì, forse ho reagito male, ma mi ha riso in faccia!” – si imbronciò. A volte gli capitava di parlare da solo, non avendo amici a causa della sua “stranezza”.
Sbuffò girandosi su un fianco, e tirò le ginocchia al petto. Era davvero strana come situazione.
Non era tanto per il fatto che Harry avesse deriso le sue idee, ma che avesse riso in quel modo davanti a lui, brutalmente, sentiva come… ferito nell’orgoglio. Sentiva un dolore al petto, all’altezza del cuore che non sapeva spiegarsi. Stringeva la parte la maglietta nella mano sinistra, quel poco che bastava per sentire il suo cuore battere all’impazzata al solo pensiero di Harry, aveva un enorme peso nello stomaco, perché Harry aveva riso di lui.
Non ne poteva più di tutta quella negatività.
Era stata solo una brutta giornata, tutto sarebbe sfumato, e lui sarebbe stato di nuovo come prima. Perché Harry doveva sconvolgere così la sua vita? Oh, diavolo.
Si alzò di scatto dal letto, e si sfilò velocemente i vestiti, lanciandoli insieme agli altri dispersi per il pavimento. Il cuore martellava nel suo petto senza un vero motivo – o forse lui l’aveva capito – e il respiro si stava affaticando, non voleva piangere, non poteva. Lui era forte, lui era come i suoi Supereroi, lui non piangeva.
Afferrò velocemente il suo pigiama nero con  lo stemma di Batman e si buttò nuovamente a peso morto sul letto, cercando di sprofondare in un sonno profondo e non pensare a nient’altro.
Strinse forte gli occhi, e cercò di liberare la mente. Provò a fare un paio di respiri profondi, cercando di calmare il battito cardiaco, ma niente, non sembrava riuscire a calmarsi. Forse un bicchiere di latte freddo gli avrebbe fatto bene, dato che non aveva nemmeno cenato, e lui voleva già dormire. Forse sua madre lo aveva chiamato al cellulare, per dirgli per quale assurdo motivo non fosse in casa, o forse aveva dimenticato che quella mattina stessa gli avesse detto che andava con le gemelle ad una festa per bambini e le altre due sorella avrebbero passato la serata con le amiche. Scese al piano di sotto, attento a non inciampare, e una volta in cucina trovò sul tavolo un biglietto della madre. Ecco, lo avvisava appunto che sarebbe rimasto solo in casa.
A volte, gli sembrava di essere invisibile anche per chi lo circondava quotidianamente, come sua madre o le sue sorelle. Quante volte era capitato che si trovasse in cucina con loro, durante la cena, alle più piccole veniva chiesto com’era andata la giornata, se avessero fatto nuove amicizie o altro, e lui non si sentiva dire nemmeno un “e tu, Louis?” oppure “Tesoro, a te com’è andata la giornata?” o ancora “Avevi un esame? Perché non ce l’hai detto? Oh, piccolo, com’è andata?”
No, no, e no. Aveva smesso di tentare di parlare con la madre qualche anno prima, da quando si era iscritto al corso per fumettista. Cosa se ne faceva, sua madre, di un figlio disegnatore?
Per questo, si rifugiava nel suo mondo incantato di Star Wars, dei Supereroi, di tutto ciò che a lui piaceva, perché sapeva che in quel mondo non avrebbe sofferto, non ci sarebbe stato male. Erano anni che viveva così, ma non l’aveva mai ammesso, poi era arrivato Harry Styles, e… tutto era cambiato.
Non poteva farsi gli affari suoi?
Sospirò e aprì il frigo alla ricerca del latte, per il quale era sceso. Afferrò il cartone e bevve direttamente da esso, bagnandosi completamente le labbra, e un po’ anche il mento. Sbuffò posandolo di nuovo nel frigo e si sedette.
Non aveva più sonno, non aveva voglia di leggere, né di scrivere, né di disegnare.
Doveva stare davvero tanto male. Si passò una mano tra i capelli e afferrò il telecomando della piccola tv della cucina. Accese ad un canale qualunque e lasciò che le voci dei presentatori di un qualche programma che stavano dando gli riempissero le orecchie, in modo che ascoltando quelli, non pensasse più a nulla.
Ma, non appena si sedette tranquillamente sulla sedia, un dolore al petto si fece di nuovo presente in lui. Guardare la televisione, gli stava riportando alla mente qualche sera prima, quando lui ed Harry avevano fatto la maratona di Star Wars, lui aveva pianto come un bambino, tra le braccia di Harry, e poi si era addormentato su di lui, svegliandosi la mattina dopo nel torpore delle sue braccia.
Sospirò pesantemente, e lasciò che una sola lacrima gli rigasse il viso, prima di ricacciare indietro le altre. Doveva essere più forte di quelle maledette emozioni, doveva resistere.
Deglutì ancora una volta. Forse doveva mandargli un messaggio dirgli che scherzava, non era vero. Non voleva che Harry lo prendesse  per uno sfigato, non voleva esserlo per lui. Non si era mai sentito così.
Lui era imbranato, era fissato con i fumetti e Star Wars, studiava per diventare un fumettista, viveva in un mondo tutto suo, comprava ogni volta un gadget diverso su un sito online – ultimo acquisto i suoi meravigliosi boxer con i supereroi stampati sopra che in quel momento indossava – amava perdersi nei racconti fantastici, adorava credere che un ragazzo qualunque fosse un Superman capitato nella sua vita, ma aveva anche lui dei sentimenti, anche se li aveva assopiti da tempo. Perché nessuno lo capiva? Perché nessuno si sforzava mai di entrare nel suo mondo, invece di estrapolarlo sempre da esso con forza? Perché la gente non poteva accettarlo per ciò che era? Perché doveva adeguarsi lui agli altri? Perché anche Harry doveva lasciarlo così dannatamente solo? Perché doveva farlo sprofondare di nuovo nella sua solitudine?
Louis, da quando lo aveva incontrato, si sentiva meno solo, più accettato, forse amato, non lo sapeva, ma sicuramente con Harry nei paraggi lui non era solo. Lui era se stesso, e Harry fino a quel pomeriggio si sentiva anche accettato da lui, come poteva e averlo davvero lasciato solo, di nuovo?
Un’altra lacrima scappò dal suo occhio destro, e si disse che era perché nel film che era appena iniziato la ragazza protagonista perdeva il padre; fu seguita da un’altra e si convinse che era perché aveva sbattuto il ginocchio contro il piede del tavolo, ma quando esse furono davvero troppe, si rese conto che stava male perché ora anche Harry lo considerava uno sfigato, anche Harry aveva preso a considerarlo quello strano, quello senza palle, quello fissato. E la convinzione di ciò lo distrusse dentro, facendolo scoppiare in un pianto silenzioso con le braccia appoggiate sul tavolo chiuse a cerchio, la testa infossata nel centro, mille lacrime a rigargli il viso e quella convinzione nella testa.
Era tutto così dannatamente sbagliato, lui era dannatamente sbagliato.
Era ancora scosso dai singhiozzi quando sentì qualcuno suonare il campanello della porta, sobbalzò e alzò il viso dalle sue braccia e guardandosi intorno spaesato.
Chi mai poteva essere?
Lui non aspettava nessuno, insomma, era sicuro che sua madre avesse le chiavi, e che le sue sorelle fossero tornate con lei, o avessero dormito dalle amiche, non avrebbe mai aperto, questo era sicuro.
Lo scocciatore se ne sarebbe andato dopo aver capito che in casa non ci fosse nessuno. Si riappoggiò sulle sue braccia, mentre le lacrime iniziavano a fermarsi. Era davvero una brutta sensazione quella che sentiva, ma non voleva esagerarla troppo. Stava peggio di quando Phoebe aveva strappato la prima pagina di uno dei suoi fumetti, o di quando era arrivato in ritardo alla prima uscita di un’importante libro. No, quello era dolore vero. Non aveva mai provato qualcosa del genere, era qualcosa che lo logorava dentro.
Qualcuno bussò ancora, e ancora e ancora, fino a che Louis non si infastidì al punto tale da alzarsi ed andare ad aprire. Aprì la porta con una lentezza disarmante, fino a trovarsi davanti la faccia sorridente di Harry, che, non appena notò i suoi occhi tristi, rossi e gonfi, si storse in una smorfia di disappunto.
“Ha-Harry!” – fece Louis con la voce tremante, passandosi la manica del pigiama sugli zigomi e sul mento –“che-che ci fai qui?”
“Louis, che diavolo…? Ma perché piangi?” – chiese tutto d’un fiato, sbilanciandosi verso il ragazzo in lacrime davanti a lui. Gli afferrò il viso con due mani, guardandolo dritto negli occhi, e finalmente capì.
Louis stava cercando di mandargli un messaggio, di dirgli che aveva bisogno di lui. Che in lui vedeva il suo Superman, colui che l’avrebbe salvato da tutti e da tutti, colui che l’avrebbe portato via dalla sofferenza. Perché non l’aveva capito subito? Perché diavolo doveva essere stato così stupido?
“I-io, niente, sto bene” – fece Louis.
Harry annuì, e decise che per una volta, avrebbe dovuto fare qualcosa contro la logica, contro qualsiasi serietà mentale.
“Ti ho riportato il cellulare” – disse solamente mettendogli il cellulare tra le mani, poi gli posò un bacio sulla guancia, e si defilò da lì. Aveva bisogno di una cosa, per fare ciò che voleva fare, e non poteva dare troppe spiegazioni al ragazzo. Ma quando Louis lo vide allontanarsi ancora, la piccola speranza nata quando l’aveva visto fuori dalla porta, svanì nel nulla.
 
Dopo circa mezz’ora di lacrime, il campanello suonò di nuovo con insistenza, e Louis si trovò ad andare ad aprire la porta con gli occhi troppo gonfi e troppo stanchi per restare aperti.
Si trovò davanti ad un Harry incredibilmente bello, con un paio di occhiali neri simili ai suoi troppo finti, gli occhi brillanti di nuova speranza, e le fossette a decorargli gli angoli della bocca.  
Louis storse il naso vedendolo, non aveva proprio voglia di essere illuso ancora.
“Harry, ma cosa…?”
Improvvisamente il viso di Harry si contorse in una smorfia di dolore, il ragazzo si accasciò per terra tenendosi la pancia. Non sapeva se faceva bene o no la parte, ma si rese conto di farla perfettamente quando Louis si abbassò insieme a lui per capire cos’avesse.
“Diavolo, Louis, allontanati da me, sei la mia kryptonite!” – fece ridacchiando, interrompendo subito la recita, notando l’espressione sorpresa del ragazzo di fronte a lui.
“Cosa…?”
“Non avevi chiesto il mio intervento?” – continuò il riccio, beandosi dello smarrimento del ragazzo di fronte a lui.
“No, io…”
“Come no? Allora Superman cos’è venuto a fare qui?” – finì di confonderlo, aprendo la camicia bianca che indossava, facendo saltare tutti i bottoni, rivelando una t-shirt blu con  lo stemma di Superman e il cartellino ancora attaccato al colletto di essa. Louis sgranò gli occhi, ma il riccio non vi badò. -“sono velocissimo, e super forte! Vuoi vedere?” – fece Harry alzandosi da terra, tirando con sé il liscio, per poi mettere un braccio attorno alle sue spalle e tirarlo su con l’altro mettendolo sotto le sue ginocchia. Il castano immediatamente non capì, e avvolse le braccia attorno al collo del riccio stringendosi a lui. –“e posso anche farti volare” – sussurrò, stavolta, appoggiando le labbra contro la tempia di Louis, che si strinse a lui più forte e scoppiò di nuovo in lacrime.
La consapevolezza che Harry lo accettasse, abbatté definitivamente tutte le sue difese, rendendolo vulnerabile, più di quanto già non lo fosse. Il riccio si rese conto che il suo gesto fosse stato apprezzato, quando sentì le labbra di Louis premere contro il suo collo, e mille scuse silenziose fuoriuscire da esse. Ma non era Louis quello che doveva essere perdonato, era Harry che non aveva capito fino in fondo quando il liscio avesse bisogno di lui, del suo affetto, della sua amicizia, del suo amore.
Lo riportò in casa chiudendosi la porta alle spalle, portandolo fino alla sua stanza, sotto le direttive dell’altro ragazzo, e sorrise intenerito quando Louis, sceso dalle sue braccia, gli mostrò la camera, scusandosi timidamente per il disordine che aveva creato poco prima, elencandogli tutte le cose che aveva, facendogli vedere la sua collezione, e pian piano vide anche le lacrime svanire dai suoi occhi, e finalmente capì di aver fatto la cosa giusta. Finalmente aveva reso felice qualcuno senza fare apparentemente niente di eccezionale, solo fingendosi un Superman immaginario.
“Adoro il tuo pigiama, sai?” – gli chiese mentre lo prendeva per i fianchi e lo avvicinava a sé. Louis sorrise timidamente, si alzò in punta di piedi e “hanno tanto freddo” – sussurrò, appoggiando una mano sulla guancia di Harry, congiungendo la fronte con quella del ragazzo davanti a lui, facendo quello che avrebbe dovuto fare fin dal primo momento che l’aveva incontrato. Appoggiò le labbra su quelle di Harry, sfiorandole appena, suggellando le sue labbra con quelle morbide e carnose del riccio di fronte a lui.
Harry non impiegò tanto a ricambiare il bacio, afferrando Louis per i fianchi, e tirandolo di più a sé, congiungendo i loro petti, avvolgendolo completamente con le sue forti braccia, facendolo sentire protetto da tutto e tutti. Fece scendere le braccia sui glutei del ragazzo, e Louis sussultò staccandosi un attimo dal bacio.
“Fidati, ti farò volare” – sussurrò contro le sue labbra.
Louis chiuse gli occhi annuendo e riprese a baciare l’altro ragazzo con foga, che lo sollevò facendogli allacciare le gambe attorno al suo bacino. Louis si sentì in alto, alla stessa altezza di Harry, e trasportato dalle emozioni trasmesse da quel bacio, gli sembrò di librarsi nel cielo azzurro, sotto un sole cocente, che però non poteva sciogliere le sue ali, come era successo ad Icaro, le sue ali erano forti, erano resistenti, non l’avrebbero fatto cadere, perché, semplicemente, le sue ali erano Harry.
Louis premette tutte e due le mani contro le guance di Harry, baciandolo ancora e ancora e ancora, fino a che il riccio non si decise a muoversi, portandolo verso il letto. Louis si irrigidì non appena sentì il materasso morbido sotto di sé, ma non si mosse dalla posizione, restò attaccato ad Harry e non si oppose quando le labbra di Harry ritornarono ad appropriarsi delle sue. Si baciarono ancora, fino a che Harry non abbassò le mani sui pantaloni del pigiama di Louis, abbassandoglieli. Louis fremette, e strinse più forte le gambe attorno al bacino di Harry, vincolandolo a sé, alle sue labbra. Harry, più forte di lui, si liberò dalla sua morsa e scese lungo l’addome di Louis, ma arrivato in basso…
“Ma cosa diavolo…?” – fece indicando i boxer di Louis, rossi e bianchi, con al centro la stampa di tutti i supereroi.
Louis avvampò, ma si lasciò andare in una risata divertita.
“Ti piacciono? Belli, vero? Li ho presi su un sito ad un prezzo stracciato!” – strillò nascondendo l’imbarazzo crescente dentro di lui dietro quella risata e l’espressione sicura –“s-se li vuoi, te li regalo al tuo compleanno, ecco.”
Harry scosse la testa ridendo. Louis gli piaceva, e doveva accettare anche questo suo lato un po’… bizzarro. Si alzò sui gomiti e si riavvicinò a lui.
“Sta zitto e baciami, stupido.” – fece, congiungendo le sue labbra alle sue.
Magari Harry non era davvero un supereroe come Louis voleva, magari Harry non aveva dei poteri eccezionali, magari era un ragazzo qualunque, ma non per Louis. Per Louis, Harry era un angelo, il suo angelo, il suo Supereroe, colui che l’aveva portato via dalla solitudine, che l’aveva salvato, e continuava a salvarlo. Poteva non essere un Superman per il momento, ma per Louis, Harry era il suo Superman personale.
 
 
Two years later.
“Harry, Harry!” – urlò Louis fuori di sé, entrando in casa sua. Stavano insieme da due anni, da quella sera in cui Harry era tornato da Louis per portargli il cellulare, che poi si era tramutata nel giorno in cui si erano trovati, finalmente.
“Cosa c’è, piccolo?” – chiese facendo sbucare la testa dal divano, mentre il ragazzo si avvicinava a lui.
“Ho finito, ho finito il mio primo fumetto!” – urlò felice.
“Fa vedere! Non mi hai mai voluto far vedere nessun tuo lavoro per scaramanzia!”
“Prevenivo la sfortuna.” – borbottò. Gli passò una cartellina di carta arancione. La scritta su di essa recitava il titolo: Edward, the Super Human.
Harry sorrise, con tanto di fossette, aprendo la cartellina.
In essa erano raccolte le avventure di un certo Edward, un barista qualunque che con la sua forza e determinazione, aiutava le persone, e aiutava un certo William a tornare con i piedi per terra.
“Oh Louis, ma… siamo noi due” – indicò il primo disegno, che raffigurava, appunto, Edward. Riccio, con le fossette, e gli occhi verdi. Louis arrossì di botto e annuì.
“B-Beh, sì. Non ti ho mai detto, c-che, ecco, insomma, ehm, uhm.” – tossì –“ho preso ispirazione da te.”
“Ispirazione? Direi che hai disegnato me, amore.”
Louis avvampò di nuovo, e annuì ammettendo tutto. Aveva rappresentato lui, perché era lui che l’aveva salvato, che l’aveva fatto uscire dalle sue abitudini, che gli aveva fatto conoscere la vita.
“Beh, sei il mio Super Umano, cosa vuoi di più?” – bisbigliò dandogli un bacio a fior di labbra. E in quel momento lo sentiva, doveva dirglielo, gli esplodeva nel petto e ormai era tanto che lo provava, e non aveva avuto il coraggio di dirlo. Harry come sempre lo aveva capito, ed aspettato. E ora, lo guardava nei suoi occhi verdi smeraldo, splendenti.
“Ti amo” – sussurrò Louis con gli occhi socchiusi, il respiro che si infrangeva sulle sue labbra, il cuore che palpitava nel petto. Aveva sempre fatto tutto con lentezza, troppa lentezza, e pensava che questo avesse allontanato Harry da lui, invece Harry non se n’era andato. Aveva preso Louis con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, con le sue stranezze e la sua intelligenza.
“Lo so” – rispose beffardo il riccio. Louis sgranò gli occhi –“Star Wars, Il ritorno dello Jedi, terzo film della prima trilogia in ordine di uscita, terzo nella seconda trilogia in ordine cronologico, sesto se uniamo le due trilogie.” – spiegò Harry ridendo, mentre Louis si distendeva in una risata. Ebbene sì, era accidentalmente entrato nella vita di Louis, e inevitabilmente caduto nel suo mondo, trascinando, però, anche il castano nel suo. –“scemo, ti amo anch’io.”
“Diavolo, mi hai fatto prendere un colpo!” – rise il più grande unendo le sue labbra a quelle del riccio in un bacio delicato, lento, casto. Un bacio che sapeva di loro, del loro amore e di tutte le cose belle che esistevano al mondo, un bacio nel quale si persero, nel quale si dichiararono il loro amore, scambiandosi una promessa silenziosa.
“Non c’è che dire, l’allievo supera il maestro!”
 

I can be no Superman,
But for you I'll be Superhuman
I wanna save you tonight.
(Save you tonight - One Direction)





NO, JIMMY PROTESTED!


Buona festa della mamma a tutta la fascia d'ascolto!
Allora da dove inizio? Mmh. Allora.
E' nata da una discussione con Lu - sì, sempre lei - su fb sotto una foto di Louis con la statua di Iron Man. E dopo un po'... gente, io non ho resistito alla tentazione di scrivere di Louis Nerd. Insomma, è l'amore.
Guardatelo! 
Comunque, credo che se non fosse stato per Lu io non avrei potuto scrivere nemmeno la descrizione della stanza, mi ha istruito su tutto. E anche le frasi e le cose di Star Wars, non ne sapevo niente - ma mi è venuta voglia di vederlo lol - sii fiera di me, Lu!
Ha una storia burrascosa questa OS, tra pen drive non ritrovata e.. altro.
So, spero vi sia piaciuta.
Avete visto quanto è fluff? Non scrivo solo angst, su, su.
Bene, io vi lascio. Vi adoro, siete l'amore tutti voi!
Spero vi sia piaciuta anche questa mia ennesima OS.
Bene, io vi lascio. 
Che la Forza sia con voi!  
-volevo troppo concludere così lol -

P.s ringraziamo sempre Lu per quel magnifico Banner. E' l'amore, non è vero? Su, su.
P.p.s. Ho riletto, ma sapete che son vecchia, e qualche errore mi scappa, perdonatemi, ssssu. <3

   
 
Leggi le 20 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: dreamlikeview