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Autore: vannagio    12/05/2013    9 recensioni
«Questa è la televisione, capitano. Non ci sono copioni da recitare».
«Sì, invece. La redazione del David Letterman Show ci ha fornito la scaletta dell’intervista due giorni fa». Un campanello di allarme suonò nella testa di Steve nel vedere la faccia di Stark. «Tu l’hai letta, la scaletta, vero?».
Stark roteò gli occhi.
«Ecco, vedi? La tua è una mentalità troppo vecchio stampo, rigida, ancora imbrigliata da tabù che ormai non esistono più. Invece la televisione è dinamica, spontanea, la televisione è improvvisazione. E chi, tra noi due, è il maestro nell’improvvisazione? Ricordi? Tu piano d’attacco. Io… attacco!
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nick Fury, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elivelivolo e dintorni '
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Pensiero felice




«Sai qual è la prima cosa che faccio, non appena ci tiro fuori da questo merdaio, Greg?».
«Non ne ho la minima idea, McCallan».
«T’ho detto che devi chiamarmi Bree, cazzo. Consideralo il mio ultimo desiderio».
«Va bene, allora. Non ne ho la minima idea, Bree».
Nel capanno in cui erano stati rinchiusi l’aria era afosa e malsana. Greg si sentiva come un tacchino messo a cuocere nel forno. A causa della febbre alta, cadeva spesso in uno stato di semi-incoscienza, dal quale si svegliava sempre appiccicoso di sudore e col pagliericcio umido di urina ed escrementi incollato alla faccia. L’unica cosa che Greg desiderava in quel momento era una vasca colma di cubetti di ghiaccio e tanto, tanto, tantissimo sapone di Marsiglia.
«Vado da Grande Jack, a farmi fare un pompino con i fiocchi. Oh, te lo giuro, Greg. L’unica cosa che mi impedisce di impazzire in questo momento è pensare alla bocca di Grande Jack. Alla sua bocca, e al suo grande pisello». Bree aveva uno sguardo sognante. «E tu? Ce l’hai un pensiero felice?».
Vasca. Ghiaccio. Sapone. E...
«Be’, devo dire che parlare di pompini e piselli mi aiuta molto, grazie tante. E comunque voglio proprio vedere come farai, a tirarci fuori da qui. Fino ad ora sei solo chiacchiere».
«Oh, piantala! Tanto l’ho capito da un pezzo che ti piace la banana. Forse riesci a ingannare gli altri, perché sei uno che preferisce darlo. Ma non me, che preferisco variare».
Greg decise di ignorarlo.
Parlare delle loro preferenze sessuali in quel posto non era esattamente una mossa vincente. Le torture erano già parecchio fantasiose così, senza che McCallan desse ai loro carcerieri nuove idee. E poi la gamba rotta, che sembrava un frutto maturo tanto era gonfia e rossa, bruciava come l’inferno e lasciava spazio a pochissimi pensieri coerenti: preferiva risparmiarli per cose più importanti, tipo trovare un modo per salvarsi il culo.
Greg provò a cambiare posizione, ma con le braccia legate dietro la schiena era costretto a fare leva sulle gambe. Si morse la lingua a sangue per non urlare e alla fine finì di nuovo con la faccia sul pagliericcio merdoso. Un moscone si posò sulla punta del suo naso.
«È messa proprio male».
McCallan (o Bree, o come cazzo voleva essere chiamato) era seduto di fronte a lui, con la schiena poggiata alla parete del capanno. A Greg non piacque il modo in cui lo guardava, come il prete che sta per dare l’estrema unzione. Quasi quasi lo preferiva quando parlava di pompini e piselli. Quel pensiero gli diede la forza di girarsi su un fianco, gemendo e imprecando.
«Carino quel tatuaggio», disse Bree. «Proprio sopra al cuore. Deve avere un significato particolare. Cos’è, cinese?».
Greg sputò il pagliericcio che gli era finito in bocca. «Ti sembra il momento?».
Bree fece spallucce, per quanto le braccia legate dietro la schiena glielo permettessero.
«Non è che ci sia altro da fare qui fino alla prossima tortura, quindi…».
«Giapponese, non cinese. E non ha nessun significato particolare. Una cosa tipo Onore e Lealtà».
Bree sogghignò, ma non insistette. Purtroppo però ormai il Settore Proibito della sua mente si era aperto.
«Si chiama Leo», disse Greg.
«Come?».
«Il mio pensiero felice, si chiama Leo».
Un rumore improvviso interruppe la loro conversazione. Bree si fece subito serio.
«Stiamo per ricevere visite, Greg».


***


«JD sarà subito da voi». Darla, così aveva detto di chiamarsi la cassiera del negozio di tatuaggi, prese Greg sottobraccio e lo trascinò fino al piccolo divano malconcio nello stanzino adibito a sala d’attesa. «Ecco, mettetevi comodi».
Greg obbedì, un po’ impacciato, e non poté fare a meno di sospirare di sollievo, quando Leo prese posto accanto a lui impedendo a Darla di fare altrettanto.
«Sul serio, amico. Sei come miele per le api», commentò Leo, quando Darla non fu più a portata d’orecchio. «Qual è il tuo segreto? Dimmi come fai!».
«Smettila di dire scemenze!».
«Scemenze? Non hai sentito cosa ha detto? Per mettersi comodi quella intendeva lei a cavalcioni sulle tue ginocchia, dai retta a me».
Greg fece spallucce, perché non sapeva cosa rispondere. Non era mai stato bravo con le ragazze, di solito erano loro a fare la prima mossa e certe volte, si vergognava ad ammetterlo, non se ne accorgeva neanche. Lui si limitava a essere… be’, se stesso. Con Kazuko era andata così.
«Come l’hai trovato questo posto?», chiese Leo.
«Me lo ha consigliato Quinn. Presente? Frequenta la mia stessa palestra. Grosso come un armadio a quattro ante, con uno strano tatuaggio sotto l’occhio, piercing ovunque, pantaloni cargo, anfibi militari…».
Leo sorrise. «Ma che? Gli hai fatto la radiografia? Sì, ho capito di chi parli. Lo stronzo che è uscito con Laila e l’ha fatta piangere. Perché esce sempre con stronzi puttanieri? Posso esserlo anche io, stronzo e puttaniere, intendo… se è quello che vuole».
Greg storse la bocca in una smorfia.
«Devi lasciarla perdere, a te serve una brava ragazza. Una come la mia Kazuko».
«Laila è una brava ragazza, solo che ha gusti discutibili in fatto di uomini. E poi a me piacciono le ragazze con le forme al posto giusto. Senza offesa per Kazuko, eh?».
«Figurati!».
Leo si guardò intorno, a giudicare dall’espressione più per noia che per vero interesse. Greg lo fissava in silenzio, mentre lui contemplava le stampe appese alle pareti, che ritraevano tatuaggi di ogni forma e tipo. C’era anche un cartello con su scritto: “Si informa la gentile clientela che i disegni stellina, infinito, carpa arcobaleno e farfalla non sono più disponibili”.
«Sei proprio sicuro di volerlo fare?», chiese Leo dopo un po’.
«A Kazuko piacciono i tatuaggi e a me piace lei. Perché no?».
«Perché un tatuaggio è per tutta la vita. E se poi vi lasciate? Saresti costretto a leggere il suo nome, tutte la mattine, davanti allo specchio».
Greg rise e gli scompigliò i capelli affettuosamente.
«Come siamo melodrammatici, oggi!».
«Non trattarmi come un ragazzino solo perché sei venti centimetri più alto di me!».
«Scusate, sto interrompendo qualcosa?».
Greg e Leo sussultarono quasi contemporaneamente.
Un tizio dai capelli lunghi e neri, tatuato letteralmente dalla testa ai piedi, li stava fissando con un sopracciglio inarcato.


***


«Stiamo per ricevere visite, Greg».
Da fuori proveniva il raschiare della chiave dentro la serratura arrugginita. Con un colpo di reni che gli causò una fitta lancinante alla gamba ferita, Greg riuscì a mettersi seduto. Giusto in tempo per vedere la porta del capanno venire spalancata da un calcio e per farsi accecare dalla luce di mezzogiorno. Fermo sulla soglia, a stagliarsi contro tutto quel bianco abbagliante, c’era la sagoma imponente e minacciosa di un uomo. Quando la porta venne chiusa e gli occhi si furono riabituati al buio, Greg si ritrovò faccia a faccia con il muso sghignazzante dell’uomo.
«Oh, è Pedro!», esclamò Bree. «Cosa c’è sul menù, tesoro? Brodaglia e calci sui denti?».
Pedro rispose in portoghese, o una lingua che assomigliava al portoghese. Greg non parlava portoghese, o quello che era, ma la strizzata che Pedro si diede al pacco fu molto esaustiva sulla qualità del suo commento. Bree rispose con uno sfarfallio di ciglia e un sorriso dalle mille promesse che lasciarono Greg di stucco.
«Cosa diavolo hai in mente?».
«È inutile che bisbigli, tanto Mr Galanteria non capisce un cazzo di inglese».
Greg non ebbe la possibilità di replicare.
Pedro lo afferrò per la gola e gli ficcò in bocca una bottiglia. Lo costrinse a mandare giù due sorsi d’acqua, subito seguiti da un paio di cucchiaiate di una poltiglia che sapeva di terra e fagioli. Quando finalmente lo lasciò andare, Greg non fece in tempo a riprendere fiato: Pedro gli tirò un calcio nello stomaco e lui si ritrovò per l’ennesima volta a mangiare il pagliericcio lurido del capanno, con la sensazione di avere un buco grosso come una palla da football al posto della pancia.
Bree disse di nuovo qualcosa, ma Greg non capì cosa. Forse perché stava parlando in portoghese. Forse perché era troppo intontito dal crampo allo stomaco e dalla febbre per dare un senso ai suoni che fuoriuscivano dalla bocca di Bree. Ciò che sicuramente comprese, invece, furono le intenzioni di Pedro, che aveva fatto cadere a terra il pentolino della poltiglia e si stava avvicinando a Bree con una mano alla cintura.
«Non so cosa gli hai detto, Bree, ma credo che tu ti sia trovato un fidanzato», biascicò Greg tra un colpo di tosse e l’altro.
«Meglio di niente. Guarda lì che artiglieria!».
Bree fissava Pedro dritto negli occhi. Sempre sfarfallando le ciglia. Sempre con quel sorriso dalle mille promesse sulle labbra. Greg si concentrò su quel sorriso e pensò a Leo, il suo pensiero felice. Ma quando il sorriso di Bree scomparve dietro la figura massiccia di Pedro, portandosi via anche il suo pensiero felice, Greg capì che stava per accadere il peggio e che doveva fare qualcosa. Si guardò intorno con frenesia, il pentolino era a pochi passi da lui, forse se strisciava un po’…
Un urlo rauco, subito attutito.
Greg si costrinse a non voltarsi. Leo, pensa a Leo. E al dannato pentolino. Aveva un manico abbastanza appuntito, perfetto per tagliare la corda ai polsi e affondare nella schiena enorme di Pedro. Striscia, Greg, striscia, non voltarti, non guardare. Bravo, ignora il dolore, forza, ci sei quasi. Il suo naso stava già sfiorando il metallo. Adesso doveva solo far passare le braccia oltre il sedere e sotto le ginocchia. Dai, Greg! Pensa a Leo, forza!
Il pentolino venne scalciato via e rotolò lontano in un tramestio metallico.
«NO!».
«Che cazzo volevi farci con quella latta? Prepararmi il pranzo?».
Greg sollevò lo sguardo e sgranò gli occhi.
Bree era in piedi, illeso, con un sorrisone da Stregatto che si allargava sulla sua faccia come una lama. Esattamente come la lama sporca di sangue del coltellaccio che Bree stava ripulendo sui pantaloni.
«Ci crederesti? Mi ha slegato». Alle sue spalle, il cadavere di Pedro giaceva prono sul pagliericcio lurido. «Aveva un coltello assicurato alla cintola, e mi ha slegato! Idiota del cazzo! Se mi chiamano Mano Lesta non è solo per le seghe spettacolari che faccio». Quando la lama fu abbastanza pulita per i suoi gusti, Bree la usò come specchio per rimirare il suo riflesso. «È incredibile! Due giorni di torture e sono sempre uno schianto!». Finalmente si ricordò di Greg, che ancora lo fissava a occhi sgranati, e si affrettò a slegarlo. «Cos’è quella faccia meravigliata? Te lo avevo detto che ci avrei tirati fuori dal merdaio, uomo di poca fede!».
Nonostante lo stupore, Greg ritornò subito nei panni del soldato.
«Ce ne sono ancora parecchi, lì fuori. Ed io con questa gamba ti sarei solo di impiccio».
«Non ci provare nemmeno a dire quello che stai pensando. Ti riporterò dal tuo Leo». Bree ammiccò. «Anche perché sono curioso di conoscerlo».
«Hai solo un coltello e un moribondo: non puoi farcela».
«Ti sbagli, tesoro». Bree rinfoderò il pugnale e tornò dal cadavere. «Avevo ragione su Pedro: il suo è proprio un gran bel pezzo di artiglieria». Così dicendo, sotto lo sguardo incredulo di Greg, raccolse da terra un fucile e lo imbracciò, sorridente. «Archimede aveva bisogno di una leva. Alla zia Bree basta un fucile carico».


***


«Puoi farlo?», chiese Greg.
Il tatuatore (JD si chiamava) alzò gli occhi dal foglietto, sul quale Greg aveva tracciato gli ideogrammi che componevano il nome Kazuko, e gli rivolse una di quelle occhiate da far gelare il sangue nelle vene.
«Sì, credo di sì».
«È il nome della mia ragazza», si sentì in dovere di precisare.
Il sopracciglio di JD ebbe un fremito.
«Non avevo dubbi. È sempre il nome di una ragazza. Questo, o una qualche frase filosofica…», il del cazzo sembrava sottinteso, «…tipo Onore e Lealtà o Dragone Imperiale. Da quando è cominciata questa moda…», di nuovo, il del cazzo sembrava sottinteso, «…ho tatuato così tante frasi, da potermi vantare di saper scrivere fluidamente in giapponese».
Mentre JD preparava gli strumenti, Greg cominciava a pentirsi amaramente di aver chiesto a Leo di aspettare in sala d’attesa. Si sentiva a disagio a stare sulla poltroncina, senza maglia addosso, sotto lo sguardo sprezzante di quel tizio. E Leo sapeva sempre come sdrammatizzare. Non che avesse paura, era in grado di mettere K.O. individui ben più grossi (e comunque, in confronto a lui, JD era tutto tatuaggi e ossa), ma…
Qualcosa di freddo gli sfiorò la pelle e Greg sussultò come un ragazzino.
«Rilassati, Capitan America. Se scatti così ogni volta che ti tocco, potresti ritrovarti con la scritta idiota sul petto. Con gli ideogrammi giapponesi basta uno sbaglio e sei fottuto».
«Scusa».
L’angolo destro della bocca di JD si arricciò appena. A Greg non piaceva notare certi dettagli, ma era più forte di lui, non poteva farne a meno. Per esempio, adesso non poteva fare a meno di constatare quanto JD stesse meglio con i capelli legati.
«L’idea di farti bucherellare non sembra piacerti molto, vero?».
«Come? Oh, uhm… alla mia ragazza piacciono i tatuaggi, volevo farle una sorpresa».
«Già, anche questo è molto tipico».
L’ago cominciò a ronzare. Non appena Greg si rese conto che non sarebbe stata una faccenda dolorosa (sentiva appena un leggero punzecchiare), gran parte della tensione si allentò come un elastico slabbrato. Certo, c’era sempre il fatto che JD si era chinato su di lui, che l’espressione concentrata sul suo viso, mentre lavorava, era qualcosa di ipnotico, che la sua mano sinistra poggiava a palmo aperto sullo sterno di Greg per distenderne la pelle, e che in quella posizione Greg poteva studiare molto da vicino i tatuaggi sulle sue braccia…
«Rilassati, Campione».
Greg annuì. E decise di concentrarsi su altro. Su Leo, e su quello che avrebbe detto, se lo avesse visto piagnucolare come un bambino per un piccolo e insignificante ago.
Il ronzio, JD e i suoi tatuaggi sparirono immediatamente.


***


Greg picchiettò le nocche sullo stipite della porta, reggendosi su una stampella. Bree, che era davanti allo specchio intento ad allacciarsi i polsini della camicia, si voltò e gli sorrise.
«Entra, entra. Sempre che tu sia capace di reggere tanto splendore, è ovvio».
«Stai andando da Grande Jack?».
Bree aprì l’armadio e ne tirò fuori una giacca scura, molto elegante.
«Siamo tornati da una settimana, ho aspettato fin troppo per quel pompino. Tu, invece? Quando pensi di ricongiungerti al tuo pensiero felice?».
Greg abbozzò un mezzo sorriso.
«Non saprei. È in licenza. Tornerà alla base tra qualche settimana».
Bree inarcò un sopracciglio, mentre indossava la giacca.
«Non avevo capito che il tuo Leo lavorasse qui allo SHIELD».
Greg distolse lo sguardo. «Non lo avevi capito perché non te l’ho mai detto».
Bree incrociò le braccia al petto e assunse una posa pensosa. «Leo, Leo, Leo. Perché improvvisamente questo nome mi suona familiare?». Sgranò gli occhi e la sua bocca si aprì in una O di stupore. «Oh, cazzo! Non sarà per caso Leo Schmidt? L’ingegnere? Fidanzatissimo Leo Schmidt? Fidanzatissimo Con Una Ragazza Leo Schmidt? Sei innamorato di un ragazzo etero?».
«Be’, credo si tratti solo di una cotta, in realtà».
Dall’espressione sul viso di Bree, Greg capì che era arrivato il momento di tagliare la corda. Girò sui tacchi il più velocemente possibile, per quanto le stampelle glielo permettessero, e guadagnò l’uscita dell’alloggio. Ovviamente non poteva sperare di seminare Bree tanto facilmente: se lo ritrovò alle calcagna in men che non si dica.
«Come è successo? Quando? Perché?».
«Ci siamo conosciuti al college, lui era una matricola, io all’ultimo anno. Eravamo solo buoni amici. Poi, anni dopo, ci siamo rincontrati qua. E…», Greg fece spallucce, «…niente, siamo ancora amici. Solo buoni amici».
Bree gli si piazzò davanti a muso duro senza alcun preavviso. Per fermarsi in tempo e non finirgli addosso, Greg rischiò quasi di perdere l’equilibrio e cadere per terra.
«Andiamo!». Bree batté le mani, in un gesto impaziente. «Gira quelle stampelle e seguimi».
«Seguirti dove?».
«Da Grande Jack. Quel pompino serve più a te che a me. Prima, però, devi cambiarti».
«Primo, non vado da nessuna parte con te. Secondo, i vestiti che indosso vanno più che bene».
Bree alzò gli occhi al cielo.
«Greg, tesoro, non ti ho mai detto nulla a riguardo perché non volevo essere scortese, ma… sai da cosa ho capito che tra noi due non ci sarebbe mai stato niente oltre l’amicizia?».
Greg assunse una finta espressione indignata. «E da quando saremmo amici, noi due?».
Bree ignorò la battuta, ma lo guardò dall’alto in basso con la faccia di chi ha appena ingoiato un limone.
«L’ho capito dal tuo pessimo gusto in fatto di moda, mio caro».


***


«Ho una piccola sorpresa per te, amore».
Il caratteristico sorriso saggio di Kazuko affiorò spontaneamente sulle sue labbra.
«Davvero, di cosa si tratta?».
Greg si sfilò velocemente la maglia e Kazuko rise.
«Be’, questa non è proprio una sor… oh!».
«Ti piace?», chiese lui, nervoso.
Kazuko rimase silenziosa per parecchi minuti, in contemplazione del tatuaggio, con entrambe le sopracciglia inarcate e le labbra dischiuse a sillabare un muto ooooh di meraviglia. Poi le sopracciglia si rilassarono in un’espressione serafica, la muta esclamazione di stupore venne sostituita dal solito sorriso saggio e, finalmente, alzandosi sulle punte dei piedi, Kazuko baciò Greg.
Sulla guancia.
«Non preoccuparti, Greg. L’ho sempre sospettato, in fondo».
Lui era confuso. «Sospettato… cosa?».
Lei rise di nuovo, mentre accarezzava il tatuaggio e seguiva col dito indice le linee sinuose degli ideogrammi. Quando si spiegò, ogni parola coincise con una carezza su un ideogramma diverso, come se stesse sillabando la scritta con le dita.
«Che sei gay ma ancora non lo sai. È scritto proprio qui».







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Note autore:
Due storie parallele che vedono Greg protagonista. Con questo extra ho voluto dare un po’ di spazio a Greg che, poverino, viene sempre messo in ombra dalla prorompente personalità di Bree. Tengo a precisare che Kazuko non ha sofferto molto: aveva sempre sognato essere l’ultima donna di un uomo. XD
JD e Darla sono stati presi in prestito da quest'altra mia storia. Quinn e Laia, invece... chi li riconosce avrà due cuoricini.
Come sempre ringrazio Dragana e Ottonovetre, le mie betasexyassistenti. Alle quali questa volta si aggiunge anche Evilcassy.
Grazie anche a tutti quelli che passeranno da queste parti.
A presto, vannagio
   
 
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