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Autore: Dridri96    13/05/2013    3 recensioni
«è in ogni cosa, ma niente è adatto a lui.
Se lo incontri è la fine,
se lo sconfiggi è un nuovo inizio.»
La città è impazzita, nulla è come prima. Kyra è l'unica che può evitare la catastrofe, ma il tempo scarseggia. Avrà abbastanza forza e coraggio da non cadere nell'oblio?
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 20




 

EPILOGO





Riapro lentamente gli occhi a fatica. Tutto attorno a me è bianco e sfocato, ma dopo qualche secondo riesco a capire dove mi trovo: è la stanza di un ospedale.
Mi guardo lentamente attorno: sono parecchio confusa. Perché sono qua? Come ci sono arrivata? Cos’è successo all’ombra? Ho vinto? Dov’è Alex, lui sta bene? Devo cercarlo. Magari è qui anche lui...
Solamente ora noto la presenza di Eveline, seduta sulla sedia affianco al mio lettino. Ha la bocca spalancata e sta dormendo alla grande.
Scatto sul posto e mi sporgo verso di lei per abbracciarla, ma poi mi blocco. Non so da quante ore è qua, non so quando si è addormentata, non so quanto possa essere stanca. Credo si meriti un po’ di riposo e non voglio scocciarla.
Guardo il mio corpo: sembro perfettamente normale. Non sono attaccata a nessuna macchina, non ho nessun osso rotto, la mia testa funziona perfettamente. Sulle mie braccia e sulle gambe ho diverse fasce e bende macchiate di rosso. Noto affianco a me una sacca dello stesso colore: i dottori devono aver già riparato il danno più grave.
Tasto la mia guancia e sento delle linee irregolari e sporgenti. Sembrano quasi rughe. Chissà se mi rimarrà la cicatrice per sempre. Probabilmente, però, i medici hanno fatto il possibile per guarire le mie ferite.

Un solo dubbio pizzica la mia mente. 
Chi ha saputo dove mi trovavo? Chi mi ha portata qui? Davvero non riesco a spiegarmelo.
Alex. Lui era decisamente messo peggio di me. Perdeva sangue quando l’avevo lasciato.
Come ho potuto abbandonarlo privo di sensi in un vicolo, in mezzo a dei possibili pazzi omicidi? Poi ricordo: cos’altro potevo fare? Dovevo distruggere l’ombra, se mi fossi fermata ad aiutarlo saremmo morti entrambi.
Spero solamente che se la sia cavata, che stia bene, che non abbia riportato danni irreparabili. Non posso solamente sperare: devo verificare.
Silenziosamente scosto la coperta ed esco dal lettino. Su una sedia ci sono alcuni miei vestiti, così li indosso senza nemmeno guardarli. In punta di piedi mi dirigo verso il corridoio.
Sono fuori. Nessuno sembra notare la mia presenza, ci sono ben pochi medici in giro in questo momento. Guardo un orologio: sono le sei del mattino.
Vedo solamente alcuni parenti dei pazienti. Sono tutti preoccupati, alcuni piangono. Nelle stanze affianco alla mia ci devono essere pazienti messi davvero male, forse in fin di vita. La sola idea mi mette i brividi, nonostante nell’ultima settimana abbia visto e conosciuto la morte da vicino.
Spero solamente di non incontrare qualcuno che conosco, perché in questo momento ho solamente un pensiero nella mia testa e non voglio essere intralciata.
C’è un problema: non ho idea di cosa fare. Non so come si cerca un paziente in un ospedale, soprattutto senza chiedere indicazioni alle infermiere.
Posso fare solamente una cosa: controllare ogni stanza del mio piano. Nel caso non lo trovassi, chiederò a qualcuno di aiutarmi.
Entro di soppiatto nelle stanze del corridoio, ma quando ho finito di perlustrarle tutte non c’è ancora una minima traccia di Alex.
Cosa faccio adesso?

E se fosse in pronto soccorso? In rianimazione? In coma?
Sento l’ansia crescere e attanagliarmi lo stomaco. Sto andando nel pallone. Mi guardo intorno ma non so cosa fare, dove cercare. Mi avvicino ad un’infermiera, sperando che non mi rimandi nella mia stanza.
«Mi scusi, sa dov’è Alex Hunt?», ma proprio in quel momento lo sento.
«Saprebbe dirmi qual è la stanza di Kyra Baker?». Sta parlando con un’infermiera. Lo vedo ora, anche lui ha la camicia da notte dell’ospedale, sotto la quale indossa una maglietta e dei jeans.
«Alex!», urlo, prima che l’infermiera possa bloccarmi e ricondurmi nella mia stanza. Lui si volta e il suo sguardo si illumina quando incontra il mio. Corriamo l’uno verso l’altra e poi ci abbracciamo. È un abbraccio così lungo, così carico d’affetto che vorrei non finisse mai.
Trattengo le lacrime insensate che cercano di farsi strada nei  miei occhi e lo stringo a me, mentre lui mi accarezza i capelli affettuosamente, posando un bacio di tanto in tanto.
Quando mi lascia andare lo osservo da capo a piedi: credo abbia una fasciatura sui fianchi, visto il rigonfiamento, parecchi graffi sulle braccia e sul viso, coperti da bende o cerotti. Mi accorgo solamente ora che per camminare si aiuta con una stampella. Niente di rotto, niente di irrecuperabile con un po’ di riposo.
Noto che anche lui si è appena accertato delle mie condizioni di salute, ma sto decisamente meglio di lui.
Apre la bocca, commosso, per parlarmi, ma proprio in quel momento...

«Voi due dovete tornare nelle vostre stanze», esclama una delle infermiere, avvicinandosi a noi.
Alex si volta scocciato, e finalmente riconosco il vecchio bullo che tanto odiavo.
«Ma le pare il caso di rovinare un momento del genere? Grazie per aver spezzato l’atmosfera da film commovente, davvero! Ha un sesto senso che le suggerisce quando è un buon momento per rompere i coglion...»
«Li accompagno io in camera, non si preoccupi». È lui. È la sua voce e non proviene più da un cellulare. Mi volto ed è dietro di me, sorridente, con le braccia spalancate che mi attendono. E io mi ci tuffo, senza esitare un attimo.
«Papà!», esclamo, piangendo a dirotto, senza riuscire a trattenermi. Finalmente è qui con me, finalmente sono al sicuro, siamo al sicuro, e niente e nessuno ci dividerà più. Mi sembra ancora così strano poterlo toccare di nuovo.
Con tutto quello che era successo, ero certa che non lo avrei mai più rivisto. Invece sono sopravvissuta e lui è qui con me.
«Andiamo», sussurra, baciandomi la fronte. Poi accompagna entrambi in camera mia, cercando di  non farsi notare dalle infermiere, ancora ammutolite dalla risposta di Alex.
Io mi distendo di nuovo, non perché mi senta stanca ma perché costretta dai due uomini che mi osservano preoccupati, e Alex si siede nel lettino affianco al mio.
Eveline finalmente si è svegliata: ci siamo salutate con baci e abbracci, mentre lei arrossiva davanti ad Alex e si faceva piccola dall’imbarazzo. Pensavo che dopo tutto questo il loro rapporto sarebbe cambiato, ma visto il loro passato non potevo aspettarmi che andassero improvvisamente d’amore e d’accordo. Ci vorrà del tempo.

«Allora, chi ci ha portati qua?», domando mentre mio padre si siede sul mio letto.
«L’autista che era dietro di voi. Per fortuna non vi siete rotti niente, ma Kyra, la prossima volta che esci vorrei che tu mi avvertissi... soprattutto se esci con qualcuno che ha preso da poco la patente. Al terzo tentativo», spiega mio padre, rivolgendo un’occhiata diffidente ad Alex, che, come me, è alquanto perplesso.
«L’autista... uscire...?». Non capisco. Posso avere i ricordi annebbiati, ma di una cosa sono certa: non è un incidente stradale ad averci portati qua.
«Non ricordi? Avete fatto un incidente andando al cinema. Credo». Sto per controbattere. Dopo tutta la fatica, la sofferenza, il dolore che abbiamo passato per riuscire a distruggere l’ombra nessuno si ricorda niente? Com’è possibile? Come si può dimenticare qualcosa del genere?
Ma quando apro la bocca per rispondere, Alex mi interrompe.
«Sì, andavamo al cinema a vedere un film horror. È colpa mia». È così credibile, mi chiedo come faccia a mentire così bene. Ora come giustificheremo il fatto di essere stati in auto assieme?
I nostri sguardi si incontrano: mi suggerisce di seguire il suo piano e non insistere con la storia dell’ombra, e io faccio come ha detto lui.
«Oh sì, ora ricordo. Forse lo shock per l’incidente mi ha fatto rimuovere quell’istante dalla memoria», dico, portando la mano alla fronte. Spero solamente che non mi facciano fare alcun esame sull’amnesia.
«Da quando andate al cinema assieme?», domanda evidentemente scocciata Eveline, ma poi si ritrae, cercando di nascondersi dallo sguardo di Alex.
«Beh, noi...», e ora che scusa mi invento?
«È da qualche settimana che ci sentiamo ogni tanto, avevamo legato al corso di pronto soccorso. Ironico, vero?». Geniale. È l’unico corso che seguiamo assieme e al quale Eveline non partecipa. È un genio. O forse solamente un gran bugiardo.
«Oh. Non lo sapevo», risponde Eveline rivolgendomi uno sguardo di rimprovero. So che dovrò spiegarle tutto, ma ogni cosa avrà il suo momento. Ora non posso preoccuparmi anche del suo umore. So quanto sia arrabbiata per la mia amicizia col ragazzo che le ha rovinato la vita, e per il fatto che gliel’abbia nascosta, ma non posso farci niente. Mentirle era necessario. O almeno, sarà necessario finché io e Alex non capiremo cos’è successo.
«Per fortuna non vi siete fatti  niente di grave. Ovviamente io e te ne parleremo a casa», dice mio padre con sguardo severo, gonfiando il petto e puntandomi un dito contro, ma nessuno dei due gli crede e così scoppiamo entrambi a ridere.
So che mi farà una piccola predica, ma finirà sempre nello stesso modo: capirò i miei errori, mi prenderà in giro per quello che ho fatto, rideremo e poi sarà di nuovo tutto come prima.
Non è lui che mi preoccupa ora.
«Potete lasciarci un attimo soli?», domando gentilmente. Eveline e mio padre mi sorridono ed escono.

Io e Alex ci guardiamo un attimo e prima che possa parlare lui mi ha già capita.
«Lo so, non ha senso». Mi ammutolisco immediatamente. No, non ha senso.
«E se avessero ragione loro? E se avessimo fatto un incidente e avessimo immaginato tutto?», domando spaventata. Non so perché il pensiero di essermi immaginata tutto mi spaventa ancora di più. Era tutto così reale... non può essere stato tutto finto.
E poi come avremmo potuto immaginare la stessa cosa?
Eppure qualcuno ci ha visti schiantarci con un auto, ci ha soccorsi e portati qua. Come potevamo lottare contro l’ombra e fare un incidente nello stesso istante?
Alex mi guarda perplesso. Non c’è altra spiegazione plausibile, ci siamo immaginati tutto. Dall’ombra, alla lotta, alla pazzia, al caos, alla distruzione. Non c’era niente di vero.
«Come abbiamo fatto a sognare la stessa cosa?», domanda perplesso, con lo sguardo basso e le mani congiunte.
«Non lo so. Che ne dici di vedere com’è il paese qua fuori?».
Ci sporgiamo alla finestra e guardiamo ciò che ci circonda. Non ci sono tracce di incendi, nessun edificio crollato, nessuna vetrina rotta, niente di niente. È tutto come è sempre stato: pulito e ordinato.
Le persone passeggiano tranquille, vedo anche degli abitanti che pensavo fossero morti. C’e anche Anne, la vedo salutare una donna che ero certa di aver visto stesa sul marciapiede solamente due giorni fa.
Come può essere?

Allora è vero, era tutto finto. Le persone non possono resuscitare.
Io e Alex ci guardiamo. È assurdo, mi sarei aspettata di tutto, ma non questo.
Tanta paura, dolore, fatica e per cosa? Per un sogno.
Dovrei sentirmi sollevata. Allora perché mi sento così arrabbiata, perché sento un peso aggiungersi sul mio cuore?
Voglio avere delle prove. Devono esserci delle prove che dimostrano l’esistenza del demone. Deve aver lasciato delle tracce da qualche parte... Il male non passa mai inosservato.
Alex si accorge della mia frustrazione e mi accarezza una spalla.
«Lo so, è uno shock, ma è meglio così. Dopotutto avrebbe potuto tornare, sarebbe stato pericoloso». Lo guardo e lui cerca di infondermi la sua convinzione, ma non ci riesce. Capisco che anche lui si sente come me.
Era tutto finto. Faccio fatica ad assimilare queste tre semplici parole.
«Ma noi avevamo vinto! Abbiamo sofferto così tanto...». Alex mi stringe la mano e mi rivolge uno sguardo di conforto. Mi appoggio su di lui, mentre con una mano mi accarezza la schiena. Poi balzo in piedi.
«Allora come facevamo ad essere in auto assieme? Come facciamo ad avere queste ferite?». La mia speranza non fa a tempo a radicarsi in me, che Alex la spegne.
«L’ombra deve aver creato la finta situazione perfetta prima di andarsene: ha fatto tornare tutto come prima, ci ha messi in un auto e fatti schiantare assieme per spiegare le nostre ferite».
Ha ragione. Sì, dev’essere andata così. Dopotutto che senso avrebbe avuto per l’ombra mostrare la sua esistenza, se questo comportava anche ammettere il suo fallimento? Chiunque avrebbe preferito sparire nel nulla. Questo potrebbe provare l’esistenza del demone, ma ormai nessuno dei due ne è più sicuro. Non è una prova sufficiente. Può essere solamente un’ipotesi. Perfino io percepisco i miei ricordi ingarbugliarsi e farsi sempre più sfocati... la cosa strana è che prima speravo che la mia mente rimovesse tutti quei ricordi impregnati di paura e orrore, ma ora che stanno svanendo così facilmente vorrei tendere una mano e afferrarli. Dimenticare mi fa pensare di essere impazzita.

Torno a sedermi, frustrata.
Io so quello che ho visto. Ho sofferto tanto per salvare questa città e per cosa? Perché nessuno lo sappia. È come se non avessi fatto nulla. Forse in effetti, non ho fatto nulla.
Le immagini dei giorni appena trascorsi scorrono davanti ai miei occhi e iniziano a farsi sfocati. E se davvero non fosse mai successo niente?
Un sogno. È stato tutto un sogno.
Non appena sentiamo dei passi  torno a distendermi sotto le coperte. Entra un medico con una cartellina in mano e subito ci fissa con sguardo di rimprovero.
«Le infermiere mi hanno detto che volete stare nella stessa camera, quindi parlerò direttamente ad entrambi». E così si mette a fare l’elenco delle ferite riportate da ciascuno: bruciature, lividi, tagli più o meno profondi, contusioni...
La sua voce profonda e lenta mi sta facendo venire sonno, così chiudo gli occhi, mentre Alex mi guarda e alza gli occhi al cielo esasperato, mimando con la bocca la voce del medico e tirando fuori la lingua. Non riesco a fare a meno di sorridere, mentre lentamente lascio che il mio cervello si spenga.  
Smetto di ascoltare il dottore e sto per addormentarmi, quando la mano di Alex stringe la mia così forte da farmi sobbalzare.

«Infine avete entrambi uno strano segno sul collo... Non abbiamo mai visto nulla di simile. Nessuno ha mai visto nulla di simile. Sembra una ferita quasi extraterrestre... qualcosa di... soprannaturale. E ve lo dice uno che non crede in queste baggianate. Se siete d’accordo vorremmo procedere con qualche esame più approfondito per scoprire la causa di tale marchio e trovare la cura adatta». Io e Alex ci guardiamo, sorridenti, ed entrambi scuotiamo la testa.
Perché la verità è che nessun esame potrebbe svelare la vera causa di questa ferita. Ce l’abbiamo solo io e Alex, è il nostro marchio. Il marchio che dimostra l’esistenza dell’ombra, che dimostra che la nostra sofferenza è esistita, che abbiamo davvero vinto, che la nostra fatica ha portato ad un risultato, che abbiamo salvato questa città.
Alex mi sorride, intrecciando le sue dita alle mie, mentre i suoi occhi si illuminano come non li avevo mai visti fare.
Dimostra che tutto quello che abbiamo vissuto era vero, e solamente noi possiamo saperlo. 
L'ombra è stata distrutta, abbiamo vinto. Abbiamo vinto assieme.




Angolo Autrice_ 

Ehm... okay, bene *prende respiri profondi*. Questo era l'ultimo capitolo, l'epilogo *piange disperata*
No scusate è che, capitemi, sto tipo sclerando D: scrivere è sempre stato il mio sogno (da piccola non so quante storie ho iniziato a scrivere su word che puntualmente cancellavo per vergogna, LOL ) e sapere che qualcuno ha letto questa storia (ed è pure piaciuta! :O ) mi fa sputare arcobaleni :')
Anyway, prima di passare ai ringraziamenti, spero che il capitolo finale vi sia piaciuto e non vi abbia deluso (o posso prepararmi il fagotto e andare a vivere sotto un ponte) :D E spero che vi sia venuto qualche dubbio almeno all'inizio :') sì, dovevo finire lasciandovi almeno per qualche secondo con un po' di suspance, se no non ero io :D 

Ora passiamo ai ringraziamenti ç__ç *prende i fazzoletti*
Ringrazio tutte le meravigliose persone che hanno recensito o anche solamente letto la storia, davvero! VI  AMO! Senza di voi non ci sarebbe stato tutto questo (e magari pensate: MEGLIO, ma lasciatemi fangirlizzare da sola un attimo :') )
Un ringraziamento speciale va a Evangelina87 e Kijijale, le mie sorellone che da subito hanno seguito questa storia :) Se non fosse stato per voi non avrei mai preso coraggio e pubblicare qualcosa di mio (anche se in piccolo) sarebbe rimasto solamente un sogno !
A _awkward che si è affezionata così tanto alla storia e in così poco tempo :') Leggere le tue recensioni  è stato bellissimo, se non ne scrivevi una pensavo che il capitolo facesse schifo :')
E ovviamente, ultima ma assolutamente non meno importante, a quella meraviglia di IlariaJH, che ha accettato di leggere questa storia e che mi ha fatta ridere/sentire in colpa/ esultare con le sue immancabili recensioni :3 davvero, sono felicissima di averti chiesto di leggere questa storia e non sai quanto vorrei abbracciarti in questo momento :3 

Grazie ancora a tutti voi di cuore!  E' come se lasciassi andare la prima piccola parte di me e mi mente una malinconia assurda ç___ç  Sappiate che siete stati tutti il mio "motore" e che è stato un onore avervi come lettori :')

Ok, la smetto di annoiarvi con le mie scemenze da sognatrice romanticona, che vi avrò già fatto le palle quadrate (che finezza babba bia) :D
Ora me ne vado, a malincuore ç___ç spero di vedervi alla prossima storia! <3 


ps: Se volete sto scrivendo una ff su Hunger Games, per chi volesse seguirmi ancora :3 Si chiamerà Forced to be fierce,  per altre info sulla storia scrivetemi qui o so twitter (sono @wdridri ) 
pps: WAAAAAAA VI AMO.

GRAZIE 



DriDri_

  
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