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Autore: Notthyrr    13/05/2013    1 recensioni
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

[Versione in Prosa della Divina Commedia di Dante, scritta perché sia accessibile a tutti. Avvertenze all'interno!]
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Canto III


Come vidi il mio maestro arrestarsi davanti a quell’oscuro ingresso, anch’io mi fermai, studiando con occhio curioso quell’entrata sorretta da pilastri di pietra grigia mangiata dal tempo e dai rampicanti che, avviluppati attorno alle colonne scanalate, le conferivano un’aria antica e tetra; solenne.
Facendomi più vicino per osservare meglio, potei notare dei caratteri incisi sul basso architrave, intagliati nella pietra probabilmente da tempo immemorabile, ma ancora perfettamente leggibili se non per le edere che vi pendevano sopra, bramose di divorare ogni centimetro di roccia. Passai una mano sulla superficie ruvida e non levigata, scacciando i rampicanti e le ragnatele.
«“Per me si va ne la città dolente…”» cominciai a leggere, seguendo il bassorilievo con le dita. «“Per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore; fecemi la divina podestate, la somma sapïenza e ‘l primo amore. Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterna duro. Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate.”1»
Leggendo quello, un lungo brivido mi attraversò la schiena e, questa volta, seppi bene che non era da attribuire al freddo. Mi rivolsi a Virgilio, che mi scrutava in silenzio, aspettando che reagissi in qualche modo. Doveva comunque aver notato il lieve tremare nella mia voce nell’articolare quell’ultima frase.
«Ciò che leggo non mi è di gran conforto…» cominciai, nascondendo un certo imbarazzo.
Il poeta annuì comprensivo: «Siamo arrivati, ormai: oltre questa soglia è meglio abbandonare ogni timore, poiché la paura può essere fatale per l’uomo. Qua dentro incontrerai la gente di cui ti ho parlato e, se vuoi uscire con ancora le tue facoltà, è meglio per te che la viltà ti lasci alle spalle.»
Disse quelle parole come se quanto mi comandava fosse la cosa più semplice del mondo e mi prese la mano per infondermi coraggio.
Al mio fianco, entrò nell’apertura, immergendoci entrambi in un buio ancor più fitto di quello della selva, che andò presto, però, schiarendosi, stingendo nel cremisi di fiamme il cui crepitare mi giungeva assordante alle orecchie. Sopra di noi s’andava delineando la volta di una galleria coperta di asperità che pendevano minacciose sulle nostre teste. Attorno, la roccia nera rifletteva le vermiglie lingue delle fiamme e ci rimandava le nostre ombre, cupe e distorte.
Quando un grido di dolore e un forte lamentarsi cominciò a sovrastare il crepitio del fuoco, la presa sulla mano di Virgilio si fece più forte e, spaventato, mi ritrassi appena indietro, verso la parete rocciosa.
«Non aver timore, Dante.» mi rimproverò solo, procedendo verso la luce proiettata dalle fiamme.
Giungemmo quindi su un sentiero illuminato di vermiglio che svoltava a destra per evitare un ampio fossato. Le mie parole non potranno mai riportare con esatta precisione l’orrore che vi vidi, poiché la mia mente era confusa dalle grida e dai lamenti di dolore di quanti correvano a pochi passi dai nostri piedi. Gente completamente priva di veste ‒uomini, donne e pure bambini, il cui corpo era inverosimilmente traslucido e leggero come quello della mia guida ‒marciava a gran velocità e senza sosta, arrivando al limitare del fossato soltanto per poi tornare indietro. Agli strepiti che mi frastornavano, ferendomi le tempie, si univano imprecazioni e grida iraconde che si confondevano nel tumulto e nello sbattere di corpi contro corpi, impedendomi di udire l’effettivo significato di quelle disperate invettive.
«Virgilio…» lo richiamai, vedendo il suo sguardo perso oltre il fossato. «Chi sono costoro? Perché corrono in codesto modo?»
Il poeta si volse verso di me e sospirò, tornando poi a seguire la folla che si accalcava e si spingeva: «Ci troviamo ora in un luogo che ancora non è Inferno, ma comunque accoglie anime di uomini che sono morti. Antinferno, lo chiamano, e Ignavi essi sono nominati. Costoro sono vissuti senza alcun merito, ma senza macchiarsi di qualche grave colpa. In vita loro non presero mai una posizione. Assieme a loro, corrono pure gli angeli che non si schierarono né con Dio né con Satana e che ora non sono né servi del Signore, né prìncipi del Diavolo. Guarda tu stesso, che cosa li muove a spingersi.»
E, dicendo quello, mi additò un vessillo azzurro che, sopra le teste che si confondevano tra pelle e capelli, svolazzava leggiadro e mai veniva acchiappato.
«Loro che non sono mai stati da nessuna parte, ma sempre in mezzo han viaggiato…» mi spiegò il maestro. «… ora sono costretti a inseguire per sempre un’insegna, tanto che qualsiasi altra pena sarebbe loro più gradita. Ma della loro sorte non c’importa. Vieni: non possiamo già fermarci qui.»
Il poeta strattonò la mia mano e mi obbligò a seguirlo, facendomi aggirare il fossato. Passando accanto alle anime affannate, m’accorsi che quegli uomini, sgraditi a Dio e al Diavolo, non solo erano nudi e spinti da misteriosa forza a inseguire quel drappo celeste, ma erano tormentati da mosche e da vespe che li perseguitavano, rigandone il volto di sangue che, mescolato alle lacrime di dolore e disperazione, insozzava il suolo ai loro piedi, pullulante di vermi.
Nauseato, distolsi lo sguardo e mi apprestai a seguire Virgilio in una nuova galleria.
«Maestro, ma… se questi sono qui, allora dove sono le anime in procinto di trapassare e scendere più in basso in questo Inferno illuminato da fioca luce?»
«Pazienta, Dante. Vedrai con i tuoi occhi una volta giunti sulle rive dell’Acheronte.»
Zittito da quella secca, seppur garbata, risposta, camminai a passo svelto al fianco del poeta, che presto mi riportò a veder la luce, affievolitasi nello stretto condotto che stavamo percorrendo.
Sbucammo su una spiaggia di sabbia rossa che digradava sino a congiungersi con l’acqua nera e torbida di un largo fiume. In esso, bagnava i piedi e le gambe una lunga fila di anime che si apprestavano ad attendere una piccola imbarcazione che riuscivo a scorgere venir in senso contrario al lento scorrere del rio. Su di essa, un vecchio curvo sul remo la spingeva verso la riva, verso i morti che là l’attendevano, muovendo quel palo con tanta forza che riusciva senza sforzo apparente a contrastare i gorgoglianti flutti. Cereo era il suo volto, pallida la sua carnagione e a quella candida visione incorniciata dai bianchi capelli che scendevano radi sulle spalle e confluivano nella barba dello stesso colore si contrapponeva il nero della lunga veste strappata e sgualcita che lo ricopriva tutto, lasciando visibili le sole mani che reggevano il remo e il piede destro, distinguibile ogni volta che la nave si abbassava per combattere il flusso del fiume.
«Guai a voi, anime prave! Non ispirate mai veder lo cielo: i’ vegno per menarvi a l’altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo.2» lo sentii gridare mentre muoveva il remo verso le anime che, meccanicamente, si spostavano indietro per lasciar approdare il bianco nocchiero. La sua voce profonda e tonante sovrastava il lagnarsi delle anime che bestemmiavano e piangevano, consce di star per abbandonar per sempre la riva sicura per il luogo dell’eterna tortura.
«E tu che se’ costì, anima viva, pàrtiti da cotesti che son morti.3» m’ordinò poi piantandomi in volto i suoi occhi di brace. Fui paralizzato dal suo sguardo, cosicché non trovai la forza di muovermi e rimasi al mio posto, dietro le anime che attendevano il traghetto.
Così lui, vedendo che non mi allontanavo: «Per altra via, per altri porti.» mi spiegò, sempre gridando. «Più lieve legno convien che ti porti.4»
Mentre questi cedeva il passaggio a un gruppo di anime che, strillanti e imprecanti si sistemavano sul fondo della barca, Virgilio si fece avanti, venendo in mia difesa: «Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare.5»
Il vecchio lo guardò coi suoi occhi fiammeggianti, poi volse la barca con le anime sopra e scomparve oltre i neri flutti dell’Acheronte, traghettando le anime all’altra riva mentre altre si accalcavano sguazzando nelle acque ancora basse.
Grato per aver allontanato da me quell’incombente e inquietante presenza, mi volsi verso il mio maestro, con un interrogativo sulle labbra: «Virgilio…» lo richiamai ancora. «Perché questi si spingono e accapigliano per giungere oltre, quando potrebbero restare qua e attendere in eterno che la loro sentenza non sia emessa?»
Comprensivo come sempre, il poeta rivolse lo sguardo al gruppo di morti che si ammassavano in attesa del ritorno di Caronte, il traghettatore di morti: «Devi sapere che, una volta defunti, essi non sono più padroni della loro mente, come già ti ho detto. Essi sono spinti dalla giustizia divina e a essa non sanno opporsi, per questo si spingono per attraversar per primi il fiume e giungere laddove essi meritano. Il loro timore, la loro paura che fino a qui li ha accompagnati, diventa ora desiderio.»
Stavo per replicare, mostrando di aver compreso, quando la terra tremò forte, come mai aveva fatto in superficie e le fiamme tremolarono per un solo secondo, prima di esplodere in così tanta luce che non mi rievocò certo la paura iniziale, poiché mi accorsi di non poter provare più alcun sentimento, tanto era, forse lo sconforto o la sorpresa. La vista mi si offuscò d’improvviso e sentii le mie gambe cedere a un peso troppo gravoso per poter essere sorretto dalla mia schiena, che si afflosciò, lasciandomi cadere a terra come se un improvviso e pesantissimo sonno mi avesse colto.
 
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1 Versi 1-9
2 Versi 84-87
3 Versi 88 e 89
4 Versi 91 e 93
Versi 94-96






 
Note: Che dire: sono stata una discreta bugiarda. "Tra due settimane il Canto III avevo detto e cos'è passato? Un mese? Due? BohBoh...
Ok, non c'è molto da dire, a parte che è uno dei miei canti preferiti, quindi immagino che la descrizione risulti un po' pallosa dal momento che ho cercato di ricreare l'ambiente esattamente com'era nella mia testa (cosa alquanto complicata).
Se qualcuno è sopravvissuto alla lettura, mi congedo sperando a breve in un Canto IV (eh no, non mi va di rifare la solita figura...)
Come sempre, recensioni sono ben gradite.
Grazie per l'estenuante fatica,

~Notthyrr
  
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