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Autore: _io    14/05/2013    4 recensioni
"Dell'empio che mi trasse al passo estremo, qui attendo la vendetta"
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Al superficiale occhio di un visitatore distratto, Knigglinton potrebbe apparire un grazioso villaggio alpino disperso nel profondo mare di nulla che lo attanaglia;
ma se egli si concedesse una più ampia veduta di ciò che lo circonda, comprenderebbe che la verginità e la purezza di quel suo silenzio altro non sono che un lugubre segno di ciò che la cittadina è:  un relitto della realtà.
La melodia che il paesaggio rievoca è la eco di mille gioie perdute, e i lamenti che sopra s’innalzano sono tristi e colmi di un malinconico vuoto; si dirigono a nord, sorvolano i monti e le colline, oltrepassano il Doubs e il Weimar e giungono sino alle città vicine ove gli abitanti sordi, camminano per le strade indifferenti ai pianti.
Ecco, Tranvelling è uno di quei borghi di apparenze e inganni la cui sorte ha posizionato all’estremo meridione di Knigglinton, da cui elevati monti lo separano, le Streimbelgs;
Lì vive di infelici sorrisi il signor Serg Rolpollee, il quale, assorto nei suoi più mutabili pensieri, distrutto dalla propria razionalità, ha compreso il mondo e per questo ora ne è schiavo.
Non assume l’atteggiamento di un pazzo eppure chi lo accompagna nei suoi discorsi lo diventa, non adotta comportamenti esagerati né sconvenevoli, ma convive con gente teatrale e priva di onore.
Egli incontra quotidianamente il dottor Henric Johann Gerorge Sauft, morto del suo stesso veleno, la cui tristezza è dovuta all’ essere consapevole della propria debolezza che è la speranza invana di tornare a vivere gli anni in cui la vita non era solo un ricordo e non era lui l’ombra di sé stesso.
Il loro rapporto è di sostenimento reciproco, sebbene formalmente siano lo psicologo e il paziente, in realtà non vi è ruolo da recitare nella loro commedia se non quello di una fratellanza reciproca: se il dottor Sauft tristemente ammette di non meritare la carica di psicologo essendo pazzo, Rolpolle afferma sorridendo del suo unico sorriso felice, che non vi è miglior uomo di un pazzo per guarire un pazzo dalla pazzia completa.
Il dottor Sauft, il cui nome è di convenienza poiché egli né ha tanti come le sue personalità che sono mille e nessuna, avaro di conoscenza e bramoso dell’eternità a cui nessuno può giungere, aveva ingenuamente creduto a sir Mef  Woland Dolovai con il quale cercando l’infinito era giunto alla morte.
Dolovai abita dirimpetto alla villa di Rolpollee, il quale nutre un sincero e noto timore verso quell’inquietante personaggio, dimostrata dalla innaturale goffaggine assunta dinnanzi ad egli nei rari casi in cui si incontrano.
Essendo Dolovai, una delle figure più agiate economicamente, possiede ricchezze di inestimabile valore artistico e storico, di cui la più raffigurativa del suo potere si colloca all’entrata dell’ immensa area boschiva di sua proprietà.
Conferisce spettralità all’abitazione, quell’imponente e maestosa statua parlante e cerea che reca la scritta “Dell’empio che mi trasse al passo estremo, qui attendo la vendetta”, e nonostante di essa non si ricordi l’origine, né l’occasione in cui fu scritta, né a chi sia rivolta l’ira con cui le lettere minacciose sfiorano la morte, Rolpollee pur soffrendo per la sua scarsa audacia, la teme come farebbe chi ancora è cullato dal respiro della vita.
Il colossale monumento raffigura in vesti borghesi un uomo dalle evidenti origini patrizie, il cui sguardo è autorevole ma pur meschino e vile, proprio di chi, abituato alla nobiltà, l’ha persa.
Ed è forse quel suo occhio temerario e imprudente ma non coraggioso, ad impadronirsi delle notti insonni del signor Rolpollee, a causarne le più terribili immaginazioni  e i più tesi incubi: le sue notti vivono delle parole morte della statua parlante che invoca sussurrando silenziosamente a sillabe aspre e amare, con suono grave e pesante colmo di odio e disprezzo profondo,  lo sconosciuto nome di Nod Ivan Iannicov.

 
 
  
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