Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Macaron    14/05/2013    6 recensioni
"...Io rimango ad ascoltare e sul momento non riesco nemmeno a capire perché. Poi realizzo, è la sua voce non quello che sta dicendo. E’ la voce più blu che abbia mai sentito. Anche mentre sbuffa e borbotta frasi infastidite a un cellulare a me sembra di non aver mai ascoltato nessun suono così bello, nemmeno i concerti per violino..."
[...]
“ Suono il violino. Quando non ascolto lo scanner, e non ascolto Chet Baker, suono il violino. E deduco, deduco le vite delle persone dalle frasi che dicono, dal loro modo di scandire le parole.”
“ Mi piacerebbe sentirti suonare una volta. Magari quando avremo preso questo serial killer.”
Avremo. Dice avremo come se fossero una squadra e Sherlock sorride appena.
“ Magari.”

Sherlock, un ragazzo non vedente dalla nascita, ascolta al buio con lo scanner lo scorrere di Londra fuori dalla finestra. John si trova a cercare di far riaprire un caso che nemmeno esiste e un serial killer sente le campane e si reincarna ogni volta che sente la pelle tirare. E poi i tre mondi s'incrociano.
AU e Crossover con Almost Blue di Lucarelli.
Genere: Azione, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty , John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

“ Come sta?”

“ Come sta, Mary? Sta come ad uno a cui hanno ammazzato quella che era praticamente sua madre. Sta come uno che hanno provato ad ammazzare e che adesso ha dovuto lasciare tutte le sue cose per rinchiudersi in un monolocale di cui non riconosce l’odore.”

“ John…” Mano su mano, contatto.

“ Come sta? Non mangia. Non dorme. Ascolta musica triste. Direi che ha il cuore spezzato ma è Sherlock, come puoi sapere quello che sta davvero provando?”1

“ John…”

“ E poi che ne posso sapere io di come sta? Non sei tu la strizzacervelli?”

Mary sorride e continua a tenergli stretta la mano. Una ragazza normale a quel punto l’avrebbe già mandato a quel paese, ma Mary è una psicologa, Mary sa come trattare con le persone quindi sospira e gli continua a sorridere. Mary gli continua a sorridere e John non riesce a non pensare che Sherlock lo manderebbe a quel paese, che Sherlock non lo tratterebbe come un paziente.

“ John, non è stata colpa nostra. Non puoi davvero pensare che sia stata colpa nostra. Nessuno poteva sapere che l’Iguana lo stesse cercando, che l’avesse notato. Sherlock non rientra minimamente nel target delle sue vittime, non hanno avuto contatti prima d’ora. Non è stata colpa nostra.”

“ No infatti, non è stata colpa vostra. E’ stata colpa mia. “ John sposta la mano da quella di Mary. Non ha bisogno di sentirsi trattare, non ha bisogno di sentirsi un paziente. “ Sono stato io. Io l’ho portato fuori da Baker street. Io l’ho ossessionato perché cercasse quella voce verde. Io gli ho parlato di ascoltare concerti e mangiare cose che non gli piacciono. Io non l’ho protetto. Non è stata colpa vostra. E’ stata colpa mia.”

“ John…”

“ Non è colpa tua, Mary.” John le sorride perché davvero non è colpa sua di niente. Non è nemmeno merito suo di niente. “ Vado a dare il cambio a Lestrade, è in casa con Sherlock da ieri e penso che inizi a non poterne più di Chet Baker.”

Mary lo abbraccia forte. “ Non è colpa tua, John. Sei un poliziotto bravo, sei un bravo ragazzo. Sei bravo.”

E allora perché non sono riuscito a proteggerlo?, vorrebbe chiederle John mentre si allontana.

 

 

 

 

 

Probabilmente le cinque di pomeriggio non sono l’ora migliore per girare tutta Londra in metropolitana. Probabilmente le cinque del pomeriggio non sono l’ora migliore per girare per tutta Londra con una borsa di oggetti trafugati da una scena del crimine e con dei sacchetti di cibo take away, si dice John mentre entra nel monolocale in provincia dove hanno sistemato Sherlock e lancia svogliatamente la giacca su una sedia. Lestrade si è mostrato straordinariamente bendisposto a cedergli il posto, a dimostrazione del fatto che al momento il loro testimone non dev’essere al massimo della simpatia. Al massimo della simpatia per Sherlock, che forse è anche peggio.

Mentre entra nell’appartamentino John lo percorre rapidamente con lo sguardo. E’ spoglio, poco familiare, così diverso da dove viveva Sherlock a Baker street, una casa che sapeva di confusione ma anche di famiglia, di genio. L’appartamento dove l’hanno sistemato, anche se dire rinchiuso sarebbe più corretto, è freddo, non odora di casa, non odora di una mamma che passa a lasciarti i biscotti sul comodino.

Le persiane sono abbassate, e Sherlock è seduto ai piedi del letto praticamente immobile. Non si volta nemmeno mentre John entra e questo non preannuncia nulla di buono.

“ Ciao. Sono passato a dare il cambio a Lestrade…”

Nessuna risposta. Nessun cenno del capo. John è quasi tentato di avvicinarsi per controllare se Sherlock è ancora vivo.

“ Ti vedo bene, insomma considerando quello che è successo… L’appartamento non è troppo male vero?”

Nulla. Nessuna risposta di nuovo. Un altro buco nell’acqua.

“ Sono passato da casa tua prima di venire qui. Quelli della scientifica stanno facendo un casino assurdo, è tutto sottosopra…” John s’interrompe. Bravo John raccontagli di come gli stanno demolendo casa, è sicuramente il modo migliore per fargli passare il cattivo umore. Grandioso, vai così. “ Rimetteranno tutto a posto, stai tranquillo. Non sono riuscito a prendere molte cose, giusto un cambio. Anderson continuava a borbottare che si tratta di prove…”

“ Come se fosse capace di leggerle queste prove…” Sherlock alza appena il sopracciglio. Astio. Rispetto al nulla di prima è già qualcosa.

“ Sono passato anche a prendere qualcosa da mangiare, da un cinese vicino a Baker street. Ti piace il cinese, vero? Mi ricordavo di aver visto qualche pacchetto in giro per l’appartamento.”

“ Coreani.”

“ Come scusa?” Perché ha sempre la capacità di farlo sentire un idiota? E perché in quel momento non gli dispiace così tanto? Meglio sicuramente sentirsi trattare da idiota che sentirsi ignorato.

“ Non sono davvero cinesi quelli da cui hai preso da mangiare, nessun cinese userebbe un quantitativo così cospicuo di spezie e soprattutto di cumino. “

John si siede a sua volta ai piedi del letto.

“ E comunque non ho fame.”

“ E comunque mangerai qualcosa. Lestrade mi ha detto che non hai toccato cibo da quando ti hanno portato qui e non t’azzardare nemmeno ad iniziare con quel delirio che la digestione ti rallenta perché con me non attacca.”

Sherlock sbuffa e John si gira a guardarlo. Ha gli occhi chiusi, i capelli tutti spettinati che gli incorniciano il viso e la testa appena appoggiata al letto. Non l’ha mai visto così fragile, non l’ha mai visto così ragazzino.

“ La moglie lo tradisce, sai?”

“ Mh?”

“ La moglie di Lestrade lo tradisce, John. Tieni il passo. Lo si capisce da come gli parla al telefono e lui ovviamente non se ne accorge, non io massimo per un poliziotto eh”

“ Se sei preoccupato che non possa proteggerti nel modo giusto, Lestrade è un ottimo…” Inizia John.

“ Non ho bisogno di qualcuno che mi protegga. Non ho bisogno che tu venga a salvarmi. Non ho bisogno che tu ti faccia mezza Londra sulla tube, e sì ho capito che sei stato sulla tube e che eri seduto vicino a una donna con un bambino piccolo, a cui anzi hai probabilmente lasciato il posto a sedere perché tu fai così, perché è quello che sei, solo per portarmi un cambio di vestiti o per assicurarti che mangi. Non sono un bambino, non ho bisogno che tu mi protegga. Non mi devi salvare, non sono una delle tue scene del crimine e tutto questo tuo comportarti da eroe romantico e…” Sherlock agita la mano davanti a sé come per scacciare qualcosa di sgradito. “… e sentimentale è davvero fuori luogo e inutile. Non ce n’è bisogno, non ne sentivo proprio la mancanza.”

Colpito. Colpito e affondato. Non si aspettava nulla di meno da Sherlock. Non poteva aspettarsi che gliela rendesse facile. Non poteva aspettarsi che gli dicesse che va tutto bene, che non importa se è in un gigantesco casino per colpa sua e che anzi “ che bello che tu sia passato a trovarmi, non vedevo l’ora di passare un po’ di tempo con te!”. Questa sarebbe una cosa da persone normali e Sherlock è tutt’altra cosa, è tutto tranne che normale. E’ irritante, è geniale, è arrogante, è Mister Ultima Parola, è fantastico ma sicuramente è tutto tranne che normale. E’ tutto tranne che normale e anche se in quel momento essere colpito sul vivo, essere colpito sulle sue mancanze, lo ferisce non riesce a dispiacersene davvero. Non lo vorrebbe diverso, non lo vorrebbe diverso nemmeno per un momento.

Sospira.

“ Prima ti ho detto che sono riuscito a portarti solo un cambio, però una cosa ad Anderson sono riuscita a rubarla…” e mentre lo dice non riesce a fare a meno di sorridere. “ Ti ho portato il tuo violino. Ho pensato che ti avrebbe potuto far sentire un pochino di più a casa.”

“ Non è il momento di suonare il violino, John.”

“ Non è il momento? E cosa vorresti fare allora?”

“ Voglio stare solo e in silenzio.”

“ E allora stacci solo e in silenzio.”

 

 

 

 

 

 

Mary Morstan era una ragazza normale. Era carina, non bella, non la classica bellona delle pubblicità, semplicemente carina. Non aveva il senso dell’umorismo di Woody Allen ma non gli assomigliava nemmeno fisicamente2 . Non era mai stata la prima della classe ma era diventata una brava psichiatra criminale. Era in gamba, non un supergenio ma in gamba. Era una brava ragazza con il suo carattere, con i suoi difetti, ma senza particolari eccessi. Si poteva dire che la sua forza, che il suo talento maggiore risiedesse proprio nella normalità. Non era una ragazza che faceva paura, era il genere di ragazza che piaceva ai genitori dei suoi fidanzati, era il genere di ragazza a cui era facile voler bene. Non era una ragazza per cui ti prendevi un colpo di fulmine, non era una ragazza con cui finivi a litigare perché era arrogante o supponente o qualcos’altro, era una ragazza normale.

A Mary piacevano le persone, anche quelle meno simpatiche. Da bambina sognava di fare l’infermiera per poter aiutare i pazienti e poi crescendo aveva compreso che le sarebbe piaciuto ancora di più capirle quelle persone e aveva deciso di dedicarsi alla psichiatria. Com’era finita a fare la psichiatra criminale non l’aveva ancora capito, ma era brava a farlo, funzionava bene in quello. A Mary piacevano le persone, le piaceva cercare di capirle, anche quando erano meno simpatiche, anche quando non avevano voglia di essere capite. A Mary piacevano le persone, anche quelle che non volevano essere capite, e anche per questo le piaceva John Watson. Mary non era mai stata davvero innamorata di John Watson. Si erano piaciuti, si erano divertiti insieme e aveva provato un naturale istinto di protezione nei suoi confronti, ma non era mai stata innamorata. Mary era una ragazza in gamba, era una ragazza con un buono spirito di autoconservazione e non si sarebbe mai permessa d’innamorarsi di qualcuno così emotivamente poco disponibile. Non si sarebbe mai permessa di avere di nuovo il cuore spezzato, non dopo che il suo primo grande amore, Alec Hardy3 nche lui ispettore, era morto lasciandola sola a rimettere a posto i pezzi. Non si sarebbe mai permessa di avere di nuovo il cuore spezzato e così non si era innamorata di John Watson. Le piaceva pensare che si sarebbero amati davvero in un’altra vita, che si sarebbero trovati al primo sguardo e avrebbero sentito che tutto era difficile e incasinato e perfetto e giusto, terribilmente giusto, ma sapeva che in questa non era possibile. Mary Morstan aveva avuto un grande amore e sapeva che non poteva aspettarsi che John si accontentasse di qualcosa di meno, di qualcosa di meno perfetto, di qualcosa di meno giusto. Mary Morstan era una ragazza normale e sapeva che in questo non c’era nulla di sbagliato, sapeva che questa normalità non era una mancanza ma sapeva anche che era non era abbastanza per John e sapeva che lei non si sarebbe mai potuta innamorare di qualcuno per cui non era abbastanza.

Mary Morstan era una brava ragazza, era una ragazza normale a cui piacevano le persone, a cui piaceva capire le persone anche quando non volevano essere capite.

Mary Morstan era una brava ragazza con un plico di appunti sui suoi pazienti da risistemare che l’aspettavano in casa, ed era questo quello a cui pensava mentre saliva in macchina senza guardarsi troppo in giro.

“ La dottoressa Morstan?” Una voce alle sue spalle. Una voce alle sue spalle e un coltello vicino alla sua gola. “ Jim Moriarty. Ciao.”

 

 

 

 

 

 

Siamo rimasti seduti in silenzio per un tempo davvero indefinibile. O almeno un tempo indefinibile per qualcun altro, in realtà siamo rimasti seduti in silenzio per quasi un’ora. John ha spiluccato distrattamente il pollo al curry e cardamomo, seriamente chi ordinerebbe il pollo al curry a un ristorante cinese?, ha mandato un paio di sms o più probabilmente ha consultato i risultati dell’Arsenal stando ai suoi mugugni di disapprovazione e all’odioso inno che è fuoriuscito dal suo cellulare, e poi è rimasto in silenzio. Non sono abituato ad un silenzio del genere, questo monolocale è così appartato che non si percepisce alcun rumore. Niente Baker street, niente taxi che suonano il clacson in continuazione, niente scanner, niente conversazioni, niente Londra. Solamente il silenzio e il mio respiro. Il mio respiro perché quello di John è talmente debole che ho quasi paura che si sia alzato e se ne sia andato senza che me ne accorgessi. Ho quasi paura che si sia offeso per il mio sarcasmo, per la mia mancanza di sensibilità, per le mie frasi sgradevoli e se ne sia andato davvero. Definitivamente.

“ Sono qui.” La voce di John vicino a me. La sua voce blu, sempre blu, sempre blu anche quando è arrabbiata e forse vorrebbe essere qualcos’altro. Non ho detto niente. Perché sente il bisogno di confermarmi la sua presenza? Non gli ho chiesto niente. Non gli ho detto niente.

“ Non ti ho chiesto niente.“

Lo sento sorridere mentre si sposta piano verso di me, le nostre ginocchia si sfiorano quasi.

“ Non ce n’era bisogno, hai arricciato un po’ il naso come se fossi perplesso. Come se stessi cercando qualcosa. Ho pensato che stessi cercando me, me o il pollo al curry ma visto che non mangi era più facile che stessi cercando me, così ecco sono qui.”

Ha ragione lo stavo cercando. Lo stavo cercando e non me n’ero nemmeno accorto, perché io non cerco le persone, perché io non ho bisogno di persone, e lui che si è fatto sfuggire un serial killer da sotto il naso se n’è accorto.

“ Tu di solito non vedi mai niente.“

Dice “ Di solito non si tratta di te.” E sorride ancora e la sua voce assume una sfumatura che non conosco. Non sono sicuro che mi piaccia. Non sono sicuro che non mi piaccia.

Dice “ Di solito non vedo mai niente ma di solito non si tratta di te. E di solito nessuno mi vede mai, ma di nuovo di solito non si tratta di te.”

E poi me lo sento così vicino che ho paura di non riuscire nemmeno a respirare.

 

 

 

 

 

 

 

 

“ Come faccio a sapere che sei tu?” ripete in continuazione e a me viene da ridere e rido. Se non sapessi che sono io, le dico, non saresti una brava strizzacervelli e forse non lo sei sul serio. Le dico questo e rido e lei trema e quasi piange. Rido forte mentre scaccio le campane dalla mia testa e lei quasi piange perché non è coraggiosa. Non è un poliziotto con la pistola e i coglioni giganti è solo una dottoressa. Non è nulla. E’ un incidente di percorso come quella vecchia. E’ parte del piano. E’ un mezzo per arrivare a destinazione. Non è nulla. Le persone muoiono. E’ quello che succede alle persone e a me viene solo da ridere a pensarci. Lei non è nulla.

“ Allora Dottoressa, ho bisogno di un favore adesso.” Le dico e la mia voce è calda e le si attacca addosso e lei stavolta piange davvero. “ Adesso ho bisogno che tu faccia una telefonata, che tu chiami il tuo capo, un tuo collega, tua madre, tua zia e mi dica dov’è che avete nascosto Sherlock Holmes, chiaro?”. Le dico così e lei annuisce. Non è coraggiosa, non è coraggiosa per nulla. Non fa nemmeno un’obiezione all’idea di tradire tutti i suoi colleghi, di tradire quel ragazzo. E’ troppo spaventata. E’ ridicola, e insignificante. Qualcuno nella mia testa ride ancora più forte di come sto facendo io.

“ Non tremare” Le dico e lei annuisce e cerca di controllare la sua voce mentre parla al telefono con una ragazza, una collega penso, e ripete due volte l’indirizzo e io già alla prima l’ho memorizzato alla perfezione. E’ spaventata. Non è coraggiosa, è solo una donna spaventata con un coltello alla gola ma non trema e potrei anche dire che è stata brava. E’ stata brava, sei stata brava le dico e lei piange ancora.

“ Sei stata brava, dottoressa.”

Perché lo fai?” mi chiede piano mentre tira su con il naso e prova ad asciugarsi le lacrime senza riuscirci. “ Perché lo fai?” mi chiede e in quel momento mi sembra meno una ragazza stupida e inutile, in quel momento mi dispiace quasi per lei. In quel momento mi dispiace quasi per lei ma non abbastanza da dimenticarmi delle campane.

“ Perché devo, dottoressa. Perché non ho alternative” le dico, e rido. E poi il coltello le si conficca nella gola.

 

 

 

 

 

John ha undici anni quando si scambia il primo bacio con una coetanea. Sono seduti sulle altalene vicino a casa e lei è rossa, con tanti riccioli disordinati, e piccolina ed è la migliore amica di sua sorella, Harry. John ha undici anni quando si scambia il primo bacio con una ragazzina di cui adesso non riesce nemmeno il colore degli occhi. John ha undici anni quando si scambia il primo bacio con una ragazzina sulle altalene vicino a casa e lei è carina e il bacio è umido e strano e non troppo sgradevole e dopo lei arrossisce e non ha il coraggio di guardarlo e per un attimo John si sente quasi innamorato.

John ha diciassette anni quando perde la verginità sul letto della casa al mare della sua ragazza. In realtà Claire non è proprio la sua ragazza e mentre perde la verginità su un letto con le doghe sfondate non si sente particolarmente innamorato ma solamente molto eccitato. Claire non è proprio la sua ragazza ma a John non importa nemmeno perché è bella, è la classica bella ragazza con il seno grande e gli occhi chiari e mette sempre vestiti scollati e quindi anche se John non è tanto innamorato di lei non importa, non importa davvero. Claire ha la vita sottile, le gambe lunghe e il seno prosperoso e mentre la spoglia John si ritrova a pensare a come lei corrisponda a tutti i cliché moderni di bella ragazza, a come non sia niente di più e niente di meno. Se fosse nata quaranta o cinquant’anni prima Claire probabilmente avrebbe i capelli un po’ cotonati, la vita meno sottile e il seno meno prosperoso per adeguarsi agli standard del momento. John ha diciassette anni quando perde la verginità e mentre si alza dal letto quando hanno finito quella che vede è solo una bella ragazza, una bella ragazza e basta.

Il corpo di Sherlock è così magro sotto di lui che quando lo accarezza ha quasi paura che possa spezzarsi, rompersi in mille pezzi. John lo spoglia piano nella penombra dello squallido monolocale che sembra scomparire dalla sua vista, e sorride un pochino sentendolo tremare sotto le sue mani. Sherlock ha ancora i capelli un pochino umidi, dev’essersi fatto una doccia prima e lui come al solito non deve averlo notato, e i suoi occhi sono del colore più bello e indefinito che abbia mai visto. Sherlock è magro e spigoloso, è tutto quello che le altre ragazze e donne che ha visto nudo non sono, è tutto quello che le altre persone non sono. Sherlock è magro e pallido e il suo corpo è pieno di piccoli nei e John si sente un po’ stupido e romantico a immaginarli come tante costellazioni. John si sente un po’ stupido all’idea di fare quest’osservazione ad alta voce e sentir Sherlock sbuffare e definirlo sentimentale e non riesce a non sorridere e perdere qualche battito. Il corpo di Sherlock è magro, spigoloso e John non riesce a fare a meno di pensare alla prima volta che ha visto una ragazza nuda, non riesce a non pensare al corpo della prima ragazza che ha toccato e a come gli sembrasse bello e comune, e così poco giusto. Il corpo di Claire era un corpo pensato per piacere, il corpo di Sherlock è magro, e spigoloso, e baciarlo lo fa tremare così tanto che ha paura di svenire, ed è anche bellissimo ed è vero e John è felice.4

 

 

 

 

 

 

“ Buongiorno Sally, sono la dottoressa Morstan. Sì sì tutto a posto. Avrei bisogno dell’indirizzo dell’appartamento di Sherlock Holmes. No non quello di Baker Street, quello lo conosco già ovviamente. Sì quello dove l’avete sistemato. 187 di Gower Street?5 Sì perfetto, grazie mille. No non si disturbi vado con la mia macchina.”

 

 

 

"Ti rende così vulnerabile. Ti squarcia il petto, ti apre il cuore, e così qualcuno può entrarti dentro e rovinarti. Ti costruisci le tue difese. Ti fai la tua bella corazza, per anni, perchè nulla possa farti del male, e poi un idiota, uguale a tutti gli altri idioti del mondo, entra nella tua vita... E tu gli dai un pezzo di te, senza che lui te lo chieda. Lui fa qualcosa di stupido, tipo baciarti o sorriderti, e così la tua vita non ti appartiene più. L'amore ti rapisce. Ti entra dentro. Ti dilania lasciandoti a piangere al buio. E così una semplice frase come 'forse dovremmo solo essere amici' o 'come mi capisci' si trasforma in una scheggia che ti squarcia il cuore." (...) Fa male. Non solo nell' immaginazione. Non solo nel pensiero. E' un dolore dell'anima, del corpo, un dolore che ti penetra nel profondo e ti lacera. Niente dovrebbe poter fare tanto danno. Soprattutto l'amore." Rose Walker sull’amore, di Neil Gaiman.

 

 

Il corpo di John è morbido e caldo e asciutto e le sue mani sono sicure mentre mi spoglia ed è tutto quello che non sono io. Il corpo di John è morbido e caldo e il contrasto con il pavimento gelido è quasi inebriante. La pelle di John è calda, così calda che sembra scottare sotto le mie dita, e non si è fatto la barba da due giorni probabilmente per colpa mia, probabilmente perché era troppo impegnato ad evitare che venissi ammazzato. Il viso di John è pieno di tante rughe e quando le sfioro sorride e da vicino io non riesco nemmeno a decifrarne l’odore e io queste cose di solito le capisco e non so se mi piace non capirle, non so nemmeno se non mi piace. So che mi sento fragile e insicuro e nella mia vita sono stato tante cose ma non sicuramente quelle. Io sono un genio, sono quello che vede le cose anche quando non può, sono quello che capisce. Sono arrogante, sono imperturbabile, mio fratello direbbe che sono un ragazzino supponente ma insicuro e fragile non lo sono mai stato. Non così. Non come mi sento adesso mentre John mi spoglia e mentre sento il suo respiro bollente sul mio viso, mentre sento le sue dita che giocano con i miei capezzoli e non ho bisogno di sentirlo parlare per sapere che sta sorridendo e che sto sorridendo anche io. Sto sorridendo anche se mi sento fragile e imperfetto e non so come funzionino queste cose, non so come funzionino i sentimenti, non so come funzionino tutte queste cose fatte di pelle e di contatto. Io capisco la chimica, capisco le reazioni matematiche, capisco come le note si legano tra di loro ma i sentimenti e la pelle e il contatto non sono il mio campo. Io non so davvero come andare avanti, John. Questo non è il mio campo, penso. Questo non è il mio campo gli dico e nella mia voce c’è una sfumatura, c’è un colore che non riconosco. Dove sono? Dove mi stai portando? “ Non è questione di campo, Sherlock.” Dice e me lo sento ridermi addosso e tremare un pochino. “ Non è davvero questione di campo, Sherlock. Siamo noi due.” Dice e sento che sta arrossendo mentre mi parla sul collo e non so se sia vero, non so se sia davvero così facile ma mi piace sentirglielo dire.

Il corpo di John è morbido e caldo e trasparente e avvolgente e mentre mi gira mi sembra che lui sia dappertutto. Il corpo di John è morbido e caldo e anche se non parla a me sembra di avere le orecchie piene della sua voce blu, sembra che mi stia raccontando qualsiasi cosa. John mi accarezza le labbra con le dita e dice “Succhia.” e sento i suoi polpastrelli sotto la mia lingua e me lo sento addosso, mi sembra che sia dappertutto. Mi sembra che il mio mondo sia racchiuso in quel contatto e non ha senso, non ha senso perché io non penso queste cose, perché io non sono sentimentale, perché io non penso queste cose. Mi sembra che il mio mondo sia racchiuso in quel contatto e non ha senso e invece ha senso, ha senso davvero. E poi John scivola piano dentro di me e io non riesco a sentire nient’altro che i gemiti e gli ansimi di John che si confondono con i miei. Poi John scivola piano dentro di me e il mio mondo è racchiuso in quel contatto, e il mio mondo diventa blu. John geme e bacia piano il mio orecchio e mi ripete che sono perfetto e il mio mondo diventa blu. John geme e l’unica cosa che riesco a sentire è la sua voce, la mia voce blu. Ciao.

 

 

 

 

“ Dottoressa Morstan? Dottoressa Morstan si sente bene? Cazzo, Dimmok è tutto pieno di sangue qui! E’ un fottuto lago di sangue!”

 

 

 

Perché mi stai fissando?

 

 

 

John è rimasto seduto su quello stesso pavimento, quello del freddo e squallido monolocale, con la testa di Sherlock appoggiata sulle sue ginocchia semplicemente ad ascoltarlo respirare e ad accarezzare i riccioli che gli ricadono scompostamente sulla fronte. Nessuno dei due ha parlato, come se avessero entrambi paura di spezzare non solo il momento ma anche loro stessi con le parole, ma a John sembra di non aver mai vissuto un momento così intimo con nessuno.

Sherlock ha gli occhi chiusi, le gote ancora arrossate e il suono del suo respiro è così bello che pensa gli possa spezzare il cuore. Rimarrebbe per delle ore intere ad accarezzarlo senza dire nulla, godendosi solamente la cruda bellezza del momento, ma visto che alla fin fine è un uomo pratico e non un qualche poeta moderno fa un respiro e si decide a parlare. Non li spezzeranno le parole, non possono spezzarli quando sono state quello che li ha uniti.

“ Sai, pensavo che forse potresti voler sapere come sono fatto. Giusto per sapere, eh. Non è che debba interessarti per forza.” Forse le parole non possono spezzarli ma sicuramente possono creare dei momenti molto imbarazzanti. “ Insomma, sono biondo, asciutto, altezza media.”

“ No.”

“ No?”

“ Un po’ sotto la media, e comunque no non voglio saperlo.”

“ Come diavolo fai a sapere che sono meno alto della media inglese?” Come diavolo fa a fargli venire voglia di prenderlo a pugni e baciarlo ogni volta che apre bocca?

 “ Eri sopra di me nemmeno mezz’ora fa, so quanto sei alto, tieni il passo John. L’ho sentito.”

Sherlock esita. “ E comunque no non voglio sapere come sei fatto.”

John si rabbuia e smette improvvisamente d’accarezzarlo.

“ John, le cose per me non funzionano come per te. Per me le parole non hanno lo stesso significato, le immagini non hanno lo stesso significato.” Sbuffa allontanando con la mano tutte le immagini che non può vedere. “ Per me le persone non sono bionde con gli occhi blu o more con gli occhi verdi, o grasse o con un neo. Per me quelle parole non hanno significato, non sono nulla. Non descrivermi come sei, non aspettarti che io veda qualcosa che non posso vedere. Non ha senso.”

John ricomincia ad accarezzarlo dolcemente e senza dire nulla. Rimane semplicemente in attesa.

“ Non aspettarti queste cose, non funzionano per me, non hanno mai funzionato. Io ho il mio modo di vedere le cose, io so come sei. Io ti vedo.”

“ Mi vedi?”

“ Ti ho sempre visto.” E John pensa che sia vero, vero come poche cose al mondo.

“ E come sono?”

“ Tu hai i capelli biondi, hai la pelle trasparente e la voce blu. E odori di darjeeling lasciato troppo tempo in infusione e di adrenalina. E io non vedo il fatto che sei più basso della media, o che non sei asciutto come vorresti, vedo il fatto che le tue ginocchia non sono ruvide e la mia testa si riesce a incastrare bene in quella nicchia.”

“ La pelle trasparente e la voce blu. Mi piace.” John lo ripete un paio di volte e ride. Si sente bene, bene e basta. “ Spostati dai.” Sherlock si siede al suo fianco.

“ Scendo a prendere qualcosa da mangiare.”

“ C’è già da mangiare, l’hai portato prima. Il pollo al curry.”

“ E tu non l’hai toccato nemmeno con un dito quindi scendo a prenderti qualcos’altro.” Ride ancora. “ Mi chiedo come tu abbia fatto a sopravvivere fino adesso.”

Sherlock sbuffa. “Era facile in realtà quando non c’erano agenti di polizia che rivelavano il mio indirizzo a dei serial killer. Dovresti licenziarlo John.”

“ Non posso licenziarlo.”

“ Perché? E’ un idiota.” Sherlock è cristallino nelle sue affermazioni, come sempre.

“ Sherlock, tutti per te sono degli idioti. Anche io.”

Sherlock arriccia il naso contrariato. “ E quando mai l’avrei detto?”

John ride più forte.

“ Non lo sei per la maggior parte del tempo. Facendo un rapido calcolo direi che sei idiota per cinque o sei ore al giorno. E’ un ottimo risultato.”

Ride anche lui e per qualche minuto rimangono così  come due ragazzini.

E’ Sherlock a parlare, finalmemente. “ Mince pie. Vorrei delle mince pie.”

“ Sherlock dove trovo delle mince pie in questa stagione?”

“ Sei riuscito a trovare un cieco, dovresti riuscire a trovare delle tortine.”

“ In realtà ti hanno trovato Lestrade e Mary io manco volevo cercarti.”

“ Perché tu non ti accorgi di niente John. Tu guardi ma non osservi.” Lo dice con una voce così seria che John è quasi tentato di abbracciarlo forte.

“ Ma c’è qualcuno che ti prende sul serio quando te ne esci con queste cazzate? Tutta questa pappardella del grande genio funziona davvero? Ok un’alternativa alle mince pie? Nel caso tutto lo Yard fosse troppo impegnato per mettersi a cercarle, sai com’è.”

“ Banoffee pie6 e del tè. Non una di quelle pacchianate in bustina che mi ha lasciato Lestrade, del vero tè. Earl Grey possibilmente. “

“ Non arriverai ai trent’anni se mangi questa roba, lo sai vero?” Sbuffa e inizia a vestirsi. “ Sarà una lunga perlustrazione, a dopo Mr. Spock.”

 

 

 

 

Capisco che non è John ancora prima che metta piede nell’appartamento. E’ l’odore a dirmelo. Odore di lavanderia, di vestiti appena ritirati dalla lavanderia, invece dell’odore del grasso e della pistola. Capisco che non è John ancora prima che metta piede nell’appartamento e i suoi passi me lo confermano. John ha il passo deciso anche quando zoppica, John non esita mentre appoggia il piede per terra. I passi che sento li ho già sentiti anche se a distanza ma li riconosco, perché io riconosco le cose, perché io ricordo tutto quello che conta, perché questo è quello che sono.

Dovrei stupirmi? Dopo che un agente di Scotland Yard ha fatto uccidere la mia padrona di casa dovrei davvero stupirmi di ritrovarmelo qui? Non mi stupisco e mi soffermo invece a pensare che John dovrà davvero licenziarlo Dimmok se mi ritroveranno morto in un lago di sangue. C’è un limite all’essere idioti.

Dovrei scappare? Dovrei avere paura? Non sono fatto in questo modo. Il fatto che mi sia abbandonato a dei sentimenti per qualche ora, con John solo con e per John, non mi rende una donnicciola in pericolo, non mi rende più spaventato.

Rimango immobile e aspetto di sentire la sua voce.

Dice:“ Jim Moriarty. Ciao.” Dice:“ Ma tu lo sai già vero?” e la sua voce è verde, ed è ruvida e viscida al tempo stesso.

 

Lui mi sta aspettando. So che mi sta aspettando come io ho sempre aspettato lui. Perché lui è l’unico che riesce a vedere gli animali che mi strisciano sottopelle. Lui è l’unico che lo sa. Lui non è come Carl Powers, non è come Victor, non è come tutti gli altri. Lui non è facile. Non è noioso. Non è un idiota. Lui non scappa, non scappa come ha fatto sua madre, lui mi aspetta perché ci siamo sempre aspettati.

Dico:“ Jim Moriarty. Ciao.”  E lui rimane immobile arricciando appena il naso. Dico: “Ma tu lo sai già vero?” E so che è così.

 

 

“ Tu l’hai sempre saputo Sherlock, perché tu mi vedi.” Dice così e mi viene quasi da ridere, dice così e io non ho paura, non ho paura e sono solo curioso di sapere cosa succederà. “ Tu mi vedi Sherlock.” Dice e io penso a John che non vede niente e che vede me e per un attimo, per un attimo solo ho paura.

“ Tu non hai paura di me.” E strascica per un tempo interminabile la r della parola paura.

“ Ovvio che non ho paura di te, non sono un idiota.” Non è del tutto falso. Non ho paura di lui, non ho paura di come possa finire ma c’è una parte di me che ha paura.  “ Ovvio che non ho paura di te, non sono un idiota e tu sei pazzo.”

 

Molly aveva paura. Victor Trevor aveva paura mentre sgranava gli occhi e guardando il coltello che avevo in mano continuava a ripetere il mio nome, come in una preghiera. Irene che nelle foto che mi mandava sembrava così bella e seducente e sicuro aveva paura e la voce che le tremava. La dottoressa aveva così tanta paura da farmi pensare all’inutilità del coltello. Sherlock non ha paura. Sherlock non ha paura di me e mi vede e anche se continuo a sentire le campane sembra che questo possa distrarmi per qualche minuto. Fino al prossimo rimbombo.

“ Come fai a vedermi? Come fai a vedermi sottopelle?”

 

Continua a chiedermelo. Continua a ripetere quella frase. Continua a pormi quella domanda “ Come fai a vedermi sottopelle?”. E’ quasi una cantilena, è quasi come se stesse andando a tempo di musica. E’ un metronomo, è come se ci fosse un metronomo nella stanza. E’ come se ci fosse un metronomo nella tua stanza.

“ Perché io sono come te, ed è per questo che mi hai cercato. Perché io non sono come tutti quei ragazzini stupidi che hai ucciso, perché io posso vederti e sono come te.” Non sono sicuro sia la frase giusta, dev’essere la frase giusta. Qui non si tratta di sentimenti, non si tratta di contatto, qui si tratta di leggere le persone e io questo lo so fare. Dev’essere la frase giusta.

 

Lui è come me. L’ho sempre saputo. Lo sapevo quella notte in quell’edificio semi abbandonato quando mi è passato davanti e mi ha guardato e mi sono sentito nudo anche se avevo una maschera cucita sulla pelle. Lui la sente la mia necessità, sente che non ho alternative. Mi sembra che la pelle faccia meno male, mi sembra che il mio corpo non si ribelli più alla sua stessa natura. Mi sento più leggero. Lui non è come tutti gli altri, non è un idiota. Lui mi vede. Mi sento più leggero, se solo le campane smettessero di suonare. Smettete. Smettetela.

“ Tu sei come me.” Ripeto. E poi glielo chiedo perché devo saperlo, perché dev’essere così. “ Tu le senti le campane? Le senti anche tu vero?”

 

Le campane. Così sono le campane quelle che sente. Doveva essere per forza qualcosa di musicale, si capiva dal modo in cui ondeggiava e non riusciva a stare fermo mentre parlava. Tempo scandito. Metronomo. Campane. Musica ad alto volume anche se stai parlando a qualcuno su skype. Cuffie. Probabilmente anche adesso porta delle cuffie. Rumore per scacciare le campane. Le campane dell’inferno? Un infanzia con qualche trauma religioso? Probabile. Poco interessante. Inutile ai fini di rimanere vivo. John l’avrà capito? John sapeva delle campane? Non me lo ricordo. Non me ne ha mai parlato quando leggeva i fascicoli, ne avrà parlato con quell’inutile psichiatra. L’inutile psichiatra: un pensiero fastidioso. Il pensiero di John in questo momento: inutile e poco produttivo, impossibile da scacciare.

“ No, non le sento le campane.” Sento il suo respiro più vicino. “ Non sento le campane. Devono darti fastidio, devono darti molto fastidio, devono farti male.” Empatia, partecipazione. Mia madre mi diceva che dovevo essere più empatico, Mrs. Hudson non me l’ha mai detto. Questa cosa dei sentimenti è evidentemente una fregatura.  “ Ma io non le sento, sai perché? Perché io sono come te, ma tu non sei come me.”

 

Non le sente. Non sente le campane. Come fa a non sentire le campane quando tutta la stanza sta tremando? Come fa a non sentirle lui che è come me? Stanno rimbombando nella mia testa. Stanno per far cadere il palazzo. Nessuno sente mai le campane ma lui non è tutti gli altri. Lui mi vede. Lui vede i ragni che mi camminano sottopelle. Lui mi vede. Deve sentire le campane. Deve sentire le campane. Perché non senti le campane? “ Io sono come te ma tu non sei come me.” Io sono come te ma tu non sei come me. Non sei come me. Non sono come lui. Lui non sente le campane e io voglio solo che smettano. Voglio solo che le campane smettano. Non sono come lui. Devo essere come lui. Devo essere come te.

Mi avvicino, gli sono davanti. Sono così vicino da poterlo sfiorare con il mio respiro.

“ Io non sono come te.” Ripeto e lui sorride. Ho capito. Ha capito.

“ Voglio essere come te. Voglio essere come te.”

Adesso lui ride ma non riesco a sentirlo perché le campane sono troppo forti. Cosa mi sono perso? Non mi sono perso nulla, lo so. Ho capito.

“ Voglio essere come te. Voglio essere te.” Dico.

E poi tiro fuori un coltellino.

Voglio essere come te. Voglio essere te.

 

Dice: “ Voglio essere come te.”

Dice:  “Voglio essere te.”

 

John Watson capisce ancora prima di entrare nell’appartamento che c’è qualcosa di strano. La porta non è stata chiusa a doppia mandata e lui chiude sempre a doppia mandata. Non ha chiuso lui la porta. Non ha chiuso lui la porta pensa mentre la spalanca e contemporaneamente tira fuori la pistola. Ti prego fai che non sia troppo tardi. E poi l’urlo. E poi un urlo che John non dimenticherà mai. Un urlo  che è più di un suono, che è più di un immagine, che è più di un colore. Un urlo così non lo dimenticherà mai perché fa a pezzi ogni cosa, perché gli riempie le orecchie e lo fa quasi svenire. Dio, quell’urlo.

 

E poi quell’urlo, un urlo così verde da fare a pezzi ogni cosa. E poi il suono di un colpo di una pistola. E il sangue che schizza ovunque, e so che sta schizzando ovunque semplicemente lo so, e poi John.

E poi John che mi chiama. E poi John che urla “Sherlock!” e la sua pistola che fa fuoco. E poi John che mi chiama e mi corre vicino, mi cade quasi addosso e trema un po’ e ripete il mio nome come se fosse una preghiera e tutto si riduce a quello. A John che chiama il mio e alla sua voce blu che spazza via tutto quello che c’è stato prima. John.

 

 

 

 

 

 

Mi sono sempre piaciuti i vestiti eleganti. Anche quando mi travestivo, anche quando ero obbligato a fingermi un hipster avevo sempre una gran cura per i vestiti. Bei vestiti, begli oggetti, belle cose.

Dove sono adesso non posso indossare vestiti eleganti. Indosso una tuta durante il giorno e un pigiama durante la notte. E’ morbido e informe. Non è elegante, non è un tessuto costoso, non mi piace sentirlo sulla pelle. Kate, la ragazza che si occupa di me per la maggior parte del tempo, ha detto che il grigio della tuta mi dona, che è un colore che sta bene con i miei colori. Così ho scoperto che indosso una tuta grigia.

Dove sono adesso non posso indossare vestiti eleganti ma non penso m’importi più perché tanto non riesco più a vederli. Non vedo i colori, non vedo il taglio della stoffa, non vedo come mi dona. Non vedo più nulla.

Kate dice che mi comporto bene e il suo tono della voce è affabile. Non avevo mai fatto caso alle voci, non pensavo che potessero davvero significare qualcosa, non riuscivo davvero a sentirle con tutto quel rumore nella mia testa. Kate è gentile non come tutte le altre infermiere, loro sono sgradevoli, loro sembrano essersi dimenticate dei loro doveri unicamente perché ho sterminato una decina di persone come se una persona cieca non meritasse assistenza solo perché “cattiva”. Sono tutte così stupide e al tempo stesso sono tutte così necessarie, è frustrante. Kate è gentile e ha attaccato al lettore mp3 dei bigliettini di materiali e dimensioni diverse in modo da permettermi più facilmente di premere i tasti. Ho chiesto al mio avvocato di fare domanda per un giradischi perché i giradischi sono più semplici da usare, anche ad occhi chiusi, i giradischi li riesci a sentire sotto i polpastrelli. Se avessi un giradischi sarei indipendente e potrei sentire la mia musica, sempre jazz e blues e sempre Almost Blue come lui, senza dover chiedere in continuazione alle infermiere. Sarebbe più semplice. Mi piace la musica. Mi piace la musica adesso che posso sentirla davvero. Forse mi sarebbe piaciuta anche prima.

Ci sono giorni in cui la testa mi fa così male che nemmeno la musica riesce ad aiutare. Sono giorni in cui, nonostante le medicine e nonostante i due interventi che i medici hanno ritenuto necessari dopo la lesione che mi sono procurato con il coltellino, mi sembra che i nervi vogliano esplodere. Sono giorni in cui dalle tempie d’irradia un dolore che sembra coprire tutti gli altri suoni. Sono giorni terribili, sono giorni in cui il dolore quasi rimbomba nella mia testa e in cui faccio di nuovo fatica a pensare, faccio di nuovo fatica a mettere in fila i miei pensieri. Ma nemmeno in quei giorni sento le campane. Quelle non le sento più.

 

 

 

 

 

 

Il 221B di Baker street è più ordinato da qualche mese a questa parte. Tenere gli oggetti ordinati aiuta le persone non vedenti, permette loro di essere indipendenti e autonome direbbero i medici. In ogni caso io continuo a lasciare le mie cose ovunque, quella dell’ordine è un’idea di John. Ripete ovvietà come “Se non mettessi lo shampo nel frigorifero poi non saresti obbligato a chiamarmi quando vai a lavarti i capelli.” E non ha senso perché lo chiamerei comunque perché è più comodo che sia lui a passarmi le cose, rispetto al fatto che sia io a prenderle. Comunque adesso il 221B di Baker street è un appartamento con una qualche sembianza d’ordine. E con un frigorifero con dentro del cibo, cibo vero. Cibo che io non mangio ovviamente, perché John non è bravo a cucinare e perché in ogni caso io non mangio, non mangio pasti sani preparati in una cucina che non sapevo nemmeno di avere e non mangio in generale. Qualcosa mangio ovviamente, take away thailandese, qualche cucchiaiata di risotto quando John insiste così tanto da farmi sperare di diventare anche sordo, e toast e marmellata con il mio earl grey molto zuccherato la mattina prima di uscire. La colazione è l’unico pasto della giornata. John si siede sul tavolo di fronte a me, non penso ci sia nemmeno bisogno di spiegare come faccio a saperlo, apre il giornale e inizia a leggermi le notizie e io dico cose come “Noioso. Banale. Da dilettanti.” E John ride, ride e mi scompiglia i capelli ancora umidi per la doccia e dice che per me è tutto noioso perché sono un genio e capisco le cose prima degli altri ma che loro persone comuni trovano interessanti i fatti di cronaca. Come se John fosse davvero comune.

Vado sulle scene del crimine adesso, e suono il violino. Non che mi piaccia davvero suonare per qualcuno ma Mrs. Hudson diceva sempre che non dovevo sprecare il mio talento per la musica e inizio a pensare di essere più sentimentale del previsto. John dice che in realtà mi piace perché quando suono posso dimostrare quanto sono bravo, posso mettermi in mostra e io adoro queste cose. Quando lo dice sbuffo e rispondo che è un idiota e John non se ne va mai e questo mi piace.

Vado sulle scene del crimine e assisto agli interrogatori. E’ stata un’idea di Lestrade a quanto pare. Ha detto qualcosa come “ Ma visto che è così bravo a leggere le persone non potrebbe esserci d’aiuto sui casi?” Penso che abbia visto troppe puntate di Lie to me7 ma alla fine si è rivelata una buona idea. Loro interrogano le persone, mi leggono i dati e io come al solito vedo quello che loro non notano. E’ interessante. Dimmok sembra ogni volta più provato e nessuno si offende particolarmente per essere trattato come un idiota, cosa che comunque di solito è, io mi limito ad affermarlo. Ogni tanto collaboro anche con John e allora cerco di limitare gli insulti e lui cerca di vedere qualcosa di più dell’ovvio e presta particolare attenzione al fatto che io non venga ucciso. Ogni tanto collaboro anche con John ma di solito preferisco le volte in cui non succede, in cui ognuno si dedica ai suoi casi. Quelle volte rimango ad aspettare John sveglio e quando torna all’appartamento si siede ai piedi del divano, mette il vinile di Almost Blue, e inizia a raccontarmi la sua giornata e io deduco le persone per lui. Non è sempre interessante, la maggior parte dei casi di cui si occupa Scotland Yard sono giusto da 5 o 6, ma John ripete un sacco di volte “Fantastico!” ed è piacevole. Poi mentre il disco finisce e Londra inizia a spegnersi John dimentica i casi e parla, parla e basta. Racconta di noiose telefonate con la sorella, racconta di quando era nell’esercito, racconta di quando andrà in pensione e della villa nel Sussex che gli piacerebbe prendere per noi, per invecchiare insieme e io mi trattengo dallo sbottare qualcosa tipo “Sentimentale!”. Quelle volte John parla e io mi perdo ad ascoltarlo, come quella prima notte sempre con Almost Blue in sottofondo. Quelle volte John parla e io mi perdo ad ascoltarlo e i suoi capelli sono biondi, la sua pelle è trasparente e la sua voce è blu. Quelle volte John parla e io mi perdo ad ascoltarlo e la sua voce è la voce più blu che io abbia mai sentito e questo è abbastanza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Solito pippone e blabla: Finita! *sospirone* Riuscire a mantenere IC i personaggi quando devi unire due mondi diversi non è che sia proprio una passeggiata e per come la vedo mantenere davvero IC Sherlock quando lo si associa a situazioni amorose è praticamente impossibile, aggiungiamoci l’età inferiore e la cecità, quindi un pochetto l’ho sicuramente perso per strada ma ho cercato di fare il possibile =) Jim invece è molto più ispirato al personaggio del libro perché aveva una caratterizzazione così bella che non mi andava di sprecarla, diciamo che ho giocato più con le situazioni della serie. Lo spiegone nel suo brano finale spero non appesantisca la situazione ma temevo che non si capisse assolutamente quello che era successo forse perché io non capisco mai le cose -_-

Grazie a chi l’ha letta, seguita, recensita, a chi mi ha aiutato quando ero lì che borbottavo cose come “Non ci sarà mai la scena del confronto finale, la odio! Adesso faccio un finale aperto e sticavoli!” e a chi ha trusteggiato nel giallo [Ciao Nat! ] e a chi ha parlato con il timer della cucina perchè era troppo presa con la lettura della storia [Ciao Cri, la citazione di Gaiman è anche merito della tua AU perchè mi è venuta in mente lì] =) Ormai vi meritereste tutto un afternoon tea con anche le alzatine country, e se passaste dalle mie parti prometto di fornirvelo =) .

Hu nel brano finale di Jim all’inizio volevo inserire Sebastian al posto di una fanciulla a caso  come infermiere, omaggio alle MorMor, ma Lucarelli che per un certo periodo sfornava un libro al giorno ha scritto una sorta di seguito di Almost Blue che è davvero ingestibile come crossover/au perché andrebbe rivoltato come un calzino [ma è bellissimo e malinconico] e in quel seguito c’è un killer che è praticamente un cecchino e io mi sono così affezionata a questi personaggi che mi piace pensare che magari quando sarò ad aspettare altri millemila anni per la quarta stagione di Sherlock un tentativo si potrebbe fare. Mi sono voluta lasciare la porta aperta diciamo =)

A sto giro per concludere in bellezza ci sono pure un miliardo di note, avevo la logorrea.

 

 

1 Questo dialogo è praticamente ripreso dal libro, anche la parte del non mangiare, non dormire e ascoltare musica. Quando l’ho incrociato mi è sembrata una coincidenza troppo bella.

2 Il discorso sul talento della normalità e la frase su Woody Allen vengono da Alta fedeltà di Hornby.

3 Alec Hardy è il personaggio interpretato da David Tennant in Broadchurch, che va assolutamente vista perché sono otto puntate di pure emozioni, e insomma diciamo che Mary come talento ha sicuramente quello di avere buongusto in fatto di maschietti.

4 “Invece Flora era bellissima ed era vera, e Graziano era felice.” Cito a memoria ma quel paragrafo è ispirato a quella frase di Ti prendo e ti porto via di Ammaniti.

5 Sarebbe l’indirizzo di Speedys. Ho pochissima fantasia sulle strade londinesi.

6 Ho la bizzarra convinzione che a Sherlock piacciano le mince pie,forse perché quelle che mangia nella 2x01 ci assomigliano parecchio. Invece la banoffee pie è una torta fatta di panna, mou e banane e Benedict in un video l’ha definita il suo dolce preferito. Volendo evitare i tè troppo corposi l’earl grey è azzeccato ad abbinarsi alle torte di crema e frutta. Se non faccio l’angolo della cucina non mi diverto.

7 Lie to me è una serie tv in cui il protagonista è un esperto di comunicazione non verbale che riesce a capire se la gente mente, giusto per riassumere.

  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Macaron