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Autore: Kitri    14/05/2013    12 recensioni
Dopo la fine della loro storia, Usagi è in giro per l’Europa per una vacanza con le amiche, mentre Mamoru è a Parigi per iniziare una nuova vita. Breve Flash-fic immediatamente successiva a Come ogni volta, prima di scoprire cosa accadrà in futuro e se anche per loro ci sarà un lieto fine.
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Mamoru/Marzio, Seiya, Un po' tutti, Usagi/Bunny
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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MAMORU
 
 
 
«I passeggeri del volo diretto a Parigi sono pregati di presentarsi al varco».
La voce dall’altoparlante si diffuse in tutta la sala d’attesa.
“Ecco, ci siamo!” pensò Mamoru, mentre prendeva il bagaglio a mano e si dirigeva verso l’uscita indicata dall’annunciatrice.
Pochi minuti ancora e poi avrebbe detto definitivamente addio alla sua vecchia vita per cominciarne una nuova, per la seconda volta.
Alle sue spalle lasciava bugie, tradimenti, dolore, per inseguire la folle aspirazione di dimenticare. Un desiderio che era stato più forte della passione per il proprio lavoro, dell’affetto per gli amici di sempre, dell’amore per l’unica donna della sua vita.
 
Dal finestrino dell’aereo guardò il suo Paese scomparire piano piano, fino a diventare una macchia circondata dall’oceano, per poi sparire completamente sotto un letto di nuvole.
Poggiò la testa al sediolino, sospirando, nell’attesa che il segnale rosso si spegnesse e potesse finalmente slacciare la cintura di sicurezza.
Verde! Si liberò di scatto della fastidiosa imbracatura e prese il libro che prima del decollo aveva appoggiato sulle ginocchia.
«Signore, le è caduta questa!».
L’hostess richiamò la sua attenzione porgendogli una fotografia.
« Grazie!».
«È sua moglie? Siete davvero una bella coppia».
Mamoru la guardò un po’ stupito: in genere, le assistenti di volo erano sempre molto discrete. Ma con un mezzo sorriso le lasciò intendere di avere ragione.
Rigirò tra le mani la fotografia che era solito usare come segnalibro. Era un’istantanea scattata in primavera, nel giardino di casa Tsukino, con una vecchia macchina fotografica di Kenji.
Usagi era bellissima, mentre lo abbracciava e sorrideva verso la camera. E in quell’immagine Mamoru scoprì un se stesso diverso, come se fosse lei a farlo risplendere. Adesso si sentiva spento. Usagi era la sua stella e lui nient’altro che un pianeta che brillava di luce riflessa.
Osservò la scritta sul retro, “Usa & Mamo … per sempre!”.
Sorrise per quanto la sua Usagi fosse a volte infantile, ma quel suo lato era dolce ed estremamente disarmante, tanto quanto il suo lato sensuale e femminile, che lo aveva sempre fatto impazzire.
Gli sembrò di udire la sua voce che lo chiamava:
« Mamo-chan!»
e di avere tra le narici il suo odore di vaniglia e di rose.
La sua Usako!
L’unica donna per la quale aveva combattuto sfiorando a volte il ridicolo, proprio lui che non era abituato, ma che non aveva saputo tenersi stretta come il tesoro più prezioso della sua vita.
L’aveva delusa e l’aveva lasciata andare via.
L’aveva fatta piangere dieci, cento, mille volte!
Gli unici occhi che avrebbe voluto sempre veder sorridere, avevano versato litri di lacrime a causa sua e del suo essere un fuggitivo.
Avrebbe voluto proteggerla per sempre, ma aveva finito con l’essere lui stesso qualcosa da cui Usagi andava protetta.
Adesso, altre braccia l’avrebbero stretta, altre labbra avrebbero lambito la sua pelle di luna, altri occhi si sarebbero specchiati in quel mare cristallino, qualcun altro le avrebbe dato tutto ciò che lui non aveva saputo donarle.
Il solo pensiero gli procurava una morsa lancinante allo stomaco.
Un’amara consolazione il fatto che a migliaia di chilometri non avrebbe mai potuto vedere la sua Usako amare un altro.
Strinse i pugni fino a sentire dolore.
Poi, ripose la foto tra le pagine del libro e si costrinse a dormire, per non sentire il lungo viaggio, ma soprattutto per non pensare.
 
Guardò l’elegante palazzina che si ergeva davanti a lui.
République – 11, Rue de la Fontaine au Roi.
L’indirizzo era quello giusto.
«Buonasera! – disse, salutando il portiere – Sono Mamoru Chiba, il nuovo inquilino».
L’uomo sollevò lo sguardo dal giornale, togliendosi gli occhiali, e la sua bocca si aprì un largo sorriso.
«Buonasera, dottor Chiba! – rispose cordialmente – La stavo aspettando! Io sono Antoine».
Gli si avvicinò porgendogli la mano in segno di saluto. Poi, chinandosi a prendere le valigie, aggiunse: «L’accompagno subito nel suo appartamento».
«Non si disturbi con le valigie! Faccio da me».
Ma l’uomo insistette. Una valigia per ciascuno e si avviarono verso le scale.
L’appartamento era al secondo piano e, ovviamente, niente ascensore. Mamoru pensò comunque che il palazzo gli piacesse. Elegante, accogliente, pulito. Certo, con quello che pagava di affitto!
«Bonsoir, Antoine!».
L’attenzione di Mamoru fu catturata da una voce femminile e dal suo grazioso accento francese. Una ragazza dai capelli rossi scendeva le scale e sembrava essere piuttosto di fretta.
«Bonsoir, Mademoiselle Moreau!» le rispose il portiere.
La ragazza incrociò lo sguardo di Mamoru e gli sorrise, poi continuò la sua corsa.
 
L’appartamento era piccolo e grazioso e non mancava assolutamente niente.
Si affacciò alla finestra del soggiorno che dava direttamente sulla strada e constatò che anche il quartiere era di suo gusto, centrale, ma tranquillo. Con la metropolitana a due passi non sarebbe stato difficile raggiungere entrambe le cliniche, dove aveva già ottenuto un colloquio per la settimana successiva.
Con calma cominciò a sistemare le sue cose, prima di fare una doccia e andare a dormire stremato dal viaggio.
 
“«Ti amo, amore mio!» gli aveva sussurrato dolcemente, prima di baciarlo languida.
Poteva sentire le sue bollenti carezze mentre si adagiava sopra di lui.
Come erano belli i suoi occhi, come brillavano quei capelli che le ricadevano sul viso, come scottava la sua pelle!
La sua dolce e meravigliosa Usako!
Con un rapido scatto si era messo a sedere, ritrovando il suo viso a pochi centimetri dal proprio. Le aveva preso la testa tra le mani e aveva posato un bacio sul suo splendido sorriso.
E rideva divertita Usagi.
«Ti amo, piccola!» aveva sussurrato tra un bacio e un altro.
E Usagi rideva, rideva ancora.
Poi era scomparsa e, all’improvviso, le sue mani non stringevano più quel volto angelico, ma solo aria, fredda e inconsistente aria.
Usagi era distante e gli dava le spalle.
Continuava a sentirla ridere, mentre si allontanava sempre di più, mano nella mano con uomo che non era lui.”
 
Mamoru si svegliò di soprassalto. Era stato solo un sogno, il presagio di quanto prima o poi sarebbe sicuramente avvenuto e contro cui non avrebbe potuto fare niente.
Tale constatazione lo metteva sempre in crisi, per quanto cercasse di essere forte.
“Passerà!” cercò di autoconvincersi.
Guardò l’ora sul cellulare: le 7.30.
Tanto valeva alzarsi e scendere a fare un giro nei dintorni. Avrebbe fatto colazione in un bistrot, dopodiché di corsa a fare la spesa, visto che il frigo era vuoto.
I giri turistici li avrebbe rimandati al tardo pomeriggio o all’indomani.
 
Era carico di sacchetti della spesa e si fermò davanti all’ingresso della palazzina, cercando goffamente di estrarre le chiavi dalla tasca. Con una spallata aprì il portone, per lasciare poi che si richiudesse da solo alle sue spalle. E fu in un attimo, senza sapere né come né perché, che si scontrò con qualcuno.
«Oh, je suis désolé, monsieur!».
Mamoru riconobbe la voce della ragazza dai capelli rossi della sera precedente.
«Ti sei fatto male? Che disastro, lasci che ti aiuti!» aggiunse poi lei, chinandosi per aiutarlo a raccogliere quello che era caduto nello scontro.
«Sempre di fretta, eh?» le chiese Mamoru ironico, incontrando i suoi occhi.
La ragazza arrossì leggermente, forse per la figuraccia, forse imbarazzata dallo sguardo del bel ragazzo di fronte a lei.
«Sono in ritardo per il lavoro!» si scusò.
Mamoru sorrise.
«Lascia, raccolgo io. Corri al lavoro!».
La ragazza annuì e subito si voltò per seguire il consiglio.
Due passi e si bloccò di colpo, come se si fosse ricordata, all’improvviso, di qualcosa di importante. Si voltò, porgendogli la mano.
«Comunque mi chiamo Michelle e abito nell’appartamento sopra al tuo».
«Io sono Mamoru».
«Ci vediamo e scusami ancora» disse velocemente la ragazza, prima di correre via come una furia.
Mamoru la guardò perplesso.
“Che tipo strano!” pensò sorridendo.
 
La prima settimana della sua nuova vita passò velocemente, tra cose da sistemare a casa e colloqui da preparare.
Si concesse qualche passeggiata solitaria la sera e qualche breve giro turistico della città.
I rapporti sociali furono limitati a qualche scambio di battute con il portiere Antoine e con la sua stramba vicina, che aveva soprannominato Uragano Michelle, sempre di corsa e sempre agitata. Quasi non si rese conto che erano già trascorsi sette giorni, durante i quali, stranamente, non aveva avuto né il tempo né la voglia di pensare a ciò che si era gettato alle spalle.
Ma, prima o poi, sarebbe arrivato il momento di mettersi in contatto con qualcuno, per far sapere che era ancora vivo e stava bene.
Così, quella mattina, si alzò proprio con quella intenzione.
Rimandò la telefonata a Kaori di qualche giorno, mentre scartò l’ipotesi di chiamare Heles, vista la reazione che lei aveva avuto prima della sua partenza.
Il telefono di Motoki squillava.
« Mamoru?».
«Sì, sono io! Come stai?».
«Benone … e tu?».
«Me la cavo!».
«Com’è Parigi? Cominci già ad ambientarti?».
«È bellissima ed è più grande di quanto ti immagini. È praticamente impossibile ambientarsi in una settimana, però non posso lamentarmi».
«E il lavoro?».
«Ho due colloqui fissati per questo pomeriggio».
«Andrà sicuramente bene, col curriculum che hai!».
«Heles? Avrei voluto chiamarla, ma con la scenata che mi ha fatto prima di partire … ho preferito rinunciare».
«Hai fatto bene! Mi dispiace dirtelo, ma ce l’ha ancora a morte con te! Ha visto tutto come un tradimento da parte tua … ma che ci vuoi fare? Lo sai, è così! sempre drastica nei suoi modi di ragionare. Ma dalle il tempo, le passerà!».
Mamoru ascoltava in silenzio. Un tradimento. Heles, come al solito non aveva tutti i torti.
«Proverò almeno a mandarle un messaggio per sondare il terreno» disse.
«Come preferisci, ma non ti aspettare che sia dolce con te».
«Dolce? E quando mai lo è stata?».
Entrambi scoppiarono a ridere.
«Bene … ehm … vuoi sapere di qualcun altro?- aggiunse Motoki tornando serio. Ma sentendo che Mamoru esitava a rispondere continuò – Vabbè, te lo dico io! Gli specializzandi sono tutti in ferie. Usagi è a casa dei suoi, poi partirà per una vacanza con le amiche. Non so dove andrà. Ho chiesto un po’ in giro di lei perché volevo parlarle e sapere come sta, ma a quanto pare attorno a lei aleggia il mistero più totale. Sembra che tutti si siano messi d’accordo per proteggerla e tenerla lontano da me e Heles. Mi dispiace, non so dirti altro!».
Mamoru esitò ancora qualche minuto.
«Ok … - fu l’unica parola a riguardo che Motoki gli sentì pronunciare e sembrò quasi che Mamoru non vedesse l’ora di chiudere la conversazione – Ci sentiamo presto, allora?».
«Buona fortuna, amico mio!».
Mamoru sorrise.
«Grazie! Ciao».
Riagganciò e andò a prepararsi la colazione, malinconico, pensieroso.
Avrebbe preferito non sentir parlare di Usagi e continuare a illudersi che lei fosse stata solo un miraggio, un bellissimo sogno.
Il pensiero che lei appartenesse alla realtà e che altri potessero vederla e parlare con lei, sapere cosa faceva e come stava, non gli faceva per niente bene.
Usagi e tutto ciò che aveva portato con sé erano reali, ma non facevano più parte della sua vita. Era questo che ancora non riusciva ad accettare.
“Passerà!” continuava a ripetersi, sforzandosi di essere razionale e di non lasciare che i sentimenti prendessero il sopravvento.
Ma che senso aveva parlare di razionalità quando di mezzo c’era il suo amore per quella dolce creatura?
È vero, aveva ascoltato solo la ragione quando aveva deciso di lasciarla andar via, ma il suo cuore continuava, ingiustamente e dolorosamente, a reclamarla.
L’unico sollievo, in quel momento, era sapere che lei non fosse sola e avere la consapevolezza che le sue amiche e la sua famiglia le sarebbero state vicino.
La famiglia Tsukino, la meravigliosa famiglia di Usagi!
L’avevano accolto da subito come un loro familiare, gli avevano fatto capire cosa significasse il calore di una vera famiglia.
Prima o poi, avrebbe dovuto chiamare Kenji e Yumiko e scusarsi con loro per non aver mantenuto la promessa, per non essere stato in grado di rendere felice la loro Usagi.
Chiamarli e scusarsi era il minimo che potesse fare. Certo non in quel momento, però. C’era il rischio che Usagi fosse in casa. Avrebbe aspettato che lei partisse per la vacanza.
Nel frattempo, c’era anche qualcun altro con cui scusarsi: Heles.
Prese il telefono e cominciò a digitare un messaggio. Poche righe. Con lei non servivano frasi ridondanti e troppi giri di parole, Heles era concreta e adesso anche enormemente adirata con lui.
 
“Ho deluso tutti, lo so. Ma non prenderla come un tradimento, per me sei e sarai sempre la sorella che non ho mai avuto. Ti voglio bene!”
 
Al contrario delle sue aspettative la risposta di Heles non tardò ad arrivare.
 
“Va’ al diavolo, Chiba!”
 
Sì, decisamente Heles era ancora, esageratamente, arrabbiata con lui. Certo che non conosceva mezze misure! Ma presto avrebbe sicuramente capito e avrebbe accettato la sua decisione. Per ora sarebbe stato meglio non insistere e lasciare che la rabbia sbollisse.
 
Erano quasi le sette di sera e percorreva la strada che dalla metro di Place de la République conduceva alla sua abitazione. Era contento. Entrambi i colloqui erano andati più che bene. Ma lui aveva scelto la seconda clinica, la Saint-Claude.
D’istinto, era quella che lo ispirava maggiormente, senza contare che era molto più vicina e raggiungerla, anche in caso di emergenza, sarebbe stato molto più facile.
Stava pensando che avrebbe avuto sicuramente bisogno di una macchina e che magari, inizialmente, avrebbe potuto prenderne una a noleggio, quando all’improvviso si sentì chiamare.
« Mamoru!».
«Uragano Michelle!» rispose, riconoscendo subito quel grazioso accento francese, con cui la ragazza pronunciava il suo nome, accentando simpaticamente l’ultima sillaba.
«Stai tornando a casa?» chiese la ragazza.
«Sì. Come mai non sei di corsa oggi?».
«Oggi niente lavoro».
«Bene! Pensavo di andare a prendere un aperitivo prima. Visto che sei libera vieni con me?».
La ragazza lo guardò un po’ titubante. Cercò di capire se quell’invito fosse sincero o fosse solo un gesto di cortesia dettato dalle circostanze.
Mamoru comprese la sua esitazione.
«Dai, festeggiamo il mio nuovo lavoro!».
Michelle mostrò un sorriso contento.
«Hai trovato un lavoro? – chiese e, vedendolo annuire aggiunse – Allora, accetto volentieri».
E insieme si avviarono verso uno dei bistrot lungo il canale Saint-Martin.
 
«Allora, di che lavoro si tratta? – chiese Michelle sorseggiando il suo bitter rosso –Aspetta, lasciami indovinare … secondo me sei … un avvocato!».
«Un avvocato?» replicò Mamoru divertito.
«Hai l’aria triste e malinconica. E sembri un tipo piuttosto solitario».
Il ragazzo la scrutò sollevando un sopracciglio, non sapeva se incuriosito dall’ impressione che la ragazza aveva di lui oppure da quella visione categorica degli avvocati.
«Dunque, secondo te gli avvocati sarebbero tristi e solitari?».
«La maggior parte di quelli che ho conosciuto sì».
«E ne hai conosciuti tanti?».
«Abbastanza per affermare che sono così. Allora? Sei o non sei un avvocato?».
Mamoru scosse la testa, quasi desolato di dover smentire quella sua buffa convinzione.
«Mi dispiace, non lo sono!».
Michelle lo osservò perplessa.
«Ah no?».
«Sono un medico».
«Wow … è sempre utile conoscerne uno e, soprattutto, uno che abita al piano di sotto».
« Già!».
Mamoru rise per la spontaneità di quell’affermazione.
«E di cosa ti occupi?».
«Sono un neurochirurgo».
«Oh … così apri cervelli!».
«Beh … più o meno! E tu cosa fai? Che sei sempre di corsa e sempre agitata già lo so, sarei curioso di capire il perché».
Michelle arrossì leggermente. Trovava strano che a un ragazzo bello come Mamoru, e per di più un professionista affermato, potesse interessare la vita di una come lei.
E in effetti, lo stesso Mamoru non sapeva trovare una spiegazione razionale per cui si trovasse in quel bistrot seduto insieme a quella strana ragazza. Fisicamente non lo attraeva, non era per niente il suo tipo, e in genere era sempre stato piuttosto schivo con le donne in generale, nel senso che non aveva mai dovuto chiedere, tranne che a Usagi, ovvio. Però, quella ragazza gli metteva allegria e c’era qualcosa di lei che inconsciamente lo attirava.
«Studio Dipinto e Restauro all’Accademia delle Belle Arti – si decise, infine, a rispondere Michelle – e lavoro part-time in una galleria d’arte. Il sabato e la domenica, invece, vendo i miei dipinti a Place du Tertre, a Montmartre».
«Così sei un’artista … ».
La ragazza arrossì ancora, mentre Mamoru la fissava con il suo sguardo penetrante che metteva decisamente soggezione.
« … e cosa dipingi?» continuò Mamoru curioso.
«Non ho un soggetto preferito. Dipingo quello che mi ispira e che mi trasmette forti emozioni».
«Uno di questi fine settimana verrò a farmi un giro a Montmartre. Sono proprio curioso di vedere i tuoi quadri!».
La ragazza sorrise, per l’ennesima volta imbarazzata da quegli occhi blu, e si passò nervosamente la mano tra le morbide onde rosse.
Mamoru se ne accorse e sorrise a sua volta, abbassando lo sguardo sul suo aperitivo.
Era sempre lo stesso l’effetto che faceva alle donne. Un tempo ne andava fiero, ma da quando Usagi era entrato nella sua vita, la cosa lo metteva a disagio. E di certo non era sua intenzione imbarazzare quella ragazza.
«Vado a pagare e poi torniamo a casa, ok?» esclamò alzandosi.
 
Il tratto di strada fino a casa, lungo il canale, fu decisamente molto piacevole. Michelle meritava pienamente il soprannome che Mamoru le aveva dato. Era allegra, spontanea, piena di brio e lui la trovava decisamente simpatica.
Mentre continuava a parlare a raffica, a un certo punto, lei si fermò di scatto.
«Ti va un gelato? - gli chiese - Offro io naturalmente».
«Un gelato a quest’ora?».
«Che importa che ora è? Un gelato al cioccolato è quello che ci vuole. È il mio preferito!».
Mamoru restò un attimo spiazzato, come se avesse avuto un’illuminazione improvvisa.
Quella ragazza gli ricordava Usagi!
E non fisicamente, perché non avevano nulla in comune e non si assomigliavano per niente, neanche lontanamente. Ma aveva un modo di essere e di porsi molto simile alla sua Usako. Non quella fredda e schiva dei primi tempi, ma quella che aveva conosciuto bene, solare e allegra, dolce e un po’ infantile. Per un attimo ebbe quasi la tentazione di scappare via.
«Che hai Mamoru?» chiese Michelle, avendo notato la sua espressione.
«Niente … mi hai ricordato una persona».
«Una tua ex?».
Mamoru non rispose subito.
«Sì – esclamò dopo un po’, mantenendosi vago – Allora, questo gelato?».
 
Mamoru tornò a casa un po’frastornato. Era riuscito a passare una giornata tranquilla, serena e anche con Michelle era stato bene. Almeno fino a quando non gli era balenata in mente quella strana e assurda idea.
Possibile che ogni cosa gli parlasse di Usagi? Possibile che, benché si sforzasse di non pensare, lei era sempre lì?
Sì, era possibile! E lo sarebbe stata per sempre, incatenata al suo cuore e alla sua anima.
E non sarebbe bastato il tempo per fargli dimenticare che da qualche parte lei c’era ed era la sua anima gemella e che lui l’aveva incontrata solo per perderla.
Maledetto destino! Maledetto Hiroshi Chiba! Maledetto se stesso!
E quella notte la sognò ancora … il suo corpo, la sua voce, il suo odore.
 
Qualche giorno dopo, Mamoru rientrò dal lavoro prima del previsto.
Era tutta la giornata che gli frullava in testa una certa intenzione e così, non appena richiuse la porta alle sue spalle, la prima cosa che fece fu prendere il telefono e chiamare casa Tsukino, come aveva pensato già un po’ di tempo prima.
«Buonasera, signor Tsukino! Sono Mamoru».
«Mamoru?!? » esclamò Kenji stupito.
«Sì, sono proprio io!».
«Ma che bella sorpresa! È davvero un piacere sentirti».
«Grazie! Anche per me lo è».
«Solo che, se hai chiamato per Usagi, in questo momento non c’è. È in vacanza con le amiche per tutto il mese».
«Lo so, è per questo che ho chiamato solo adesso. In realtà volevo parlare proprio con lei, signor Tsukino».
«Con me? È per via di mia figlia?».
«Beh, più o meno … volevo dirle che …  che mi dispiace per come sono andate le cose tra me e Usagi, e … le chiedo scusa se in qualche modo vi ho delusi».
Mamoru poté sentire Kenji sorridere dall’altro lato.
«Non devi scusarti, ragazzo! Non so cosa sia successo esattamente tra voi, ma da quello che mi ha raccontato Usagi, non è colpa tua ed è stata una decisione presa di comune accordo. A volte, le situazioni sfuggono al nostro controllo e vanno così come devono andare. Tu non ci hai deluso, tutt’altro! Da quando sei entrato nella vita di mia figlia, lei è tornata come era prima, e di questo devo solo ringraziarti. Anzi, sono io quello che si deve dispiacere, per me eri la persona giusta per lei! E poi, mi dispiace anche aver perso un abile avversario di scacchi!».
Stavolta fu Mamoru a sorridere.
«Sono contento di sentirla parlare così! E sono felice di aver fatto parte della sua famiglia, anche se per poco».
«Mai dire mai! Magari col tempo le cose si sistemeranno! Tu ed Usagi vi chiarirete e farai ancora parte della mia famiglia, e stavolta per sempre».
In quel momento, Mamoru intuì che qualcosa a Kenj era sfuggito, o semplicemente era stata Usagi a non dirglielo.
«Signor Tsukino … io ho lasciato la città, mi sono trasferito a Parigi … sono … sono scappato da tutti i miei problemi!».
Kenji rimase senza parole, ma solo per un attimo. Un uomo come lui aveva sempre la risposta giusta in ogni situazione.
«Oh … questo non lo sapevo! Ma non ha importanza – esclamò – Io spero sempre che un giorno ogni cosa si sistemerà. Se è destino, tu e Usagi tornerete insieme. Anche mia moglie Yumiko è della stessa opinione».
“Non potrà mai accadere” pensò Mamoru, ma lo tenne per sé
«Grazie, mille! Grazie per la chiacchierata e grazie per tutto!» rispose.
«In bocca al lupo, figliolo!».
«Crepi! E, per favore, non dica a Usagi che ho chiamato».
«Stai tranquillo! Arrivederci, Mamoru».  
« Arrivederci».
 
Quando Mamoru riagganciò si sentì sollevato, anche se le speranze di Kenji per il futuro non lo aiutavano a stare meglio. Ma poteva mai rispondergli che si sbagliava e che per lui e Usagi non c’era alcun futuro?
Senza neanche sapere come, si trovò a frugare tra gli scatoloni con la sua roba, che erano arrivati pochi giorni prima. Trovò quello che cercava. Forse il suo era solo desiderio di lasciarsi andare e, per una volta, provare a non trattenersi.
Fece partire la loro canzone, la canzone del loro primo e unico Natale insieme.
Sentiva che il cuore stava per scoppiargli, ma non pianse. Non aveva mai pianto in vita sua. Piuttosto gli uscì un sorriso al ricordo di lei e di come erano felici in quel momento, convinti che niente li avrebbe più separati, adesso che si erano trovati.
Mentre la voce di John Lennon continuava a diffondersi nella stanza, qualcuno bussò.
«Ehi, Michelle!» esclamò, aprendo la porta e trovandosi davanti la sua vicina.
La ragazza sorrise allegra.
« Disturbo?».
«No, accomodati!».
«Ti ho portato i croissant che ti avevo promesso» esclamò, sventolandogli avanti il sacchetto dal quale fuoriusciva un profumo niente male.
«Croissant a quest’ora? Io ci avrei fatto colazione».
La ragazza lo osservò perplessa.
«Che differenza fa? Io ho fame adesso!»
Mamoru scoppiò a ridere.
«Eccone un’altra che mangia come un elefante!».
«E chi sarebbe l’altra?».
«Non farci caso! - disse Mamoru sfilandole il sacchetto di mano – Thè o latte caldo?».
«Vada per il latte!» rispose la ragazza seguendolo in cucina.
Negli ultimi giorni si erano frequentati abbastanza da capire che c’era una reciproca simpatia e passavano spesso le serate insieme.
Mamoru la trovava stramba, ma nello stesso tempo era allegra e divertente, oltre che una ragazza intelligente con cui era un piacere conversare. E il fatto che non lo attraesse fisicamente lo rendeva ancora più sicuro del fatto che, tra loro, potesse nascere davvero una bella amicizia.
Michelle, forse, non era dello stesso parere di Mamoru, anche se aveva capito subito che non aveva possibilità e che, da qualche parte, c’era una ex-fidanzata che lui amava e che ancora lo faceva soffrire. Ma, per ora, per lei era sufficiente passare il suo tempo in compagnia di quel bel dottore dagli occhi blu e dal fascino indiscutibile.
Se ne stavano seduti tranquillamente sul divano a gustare i croissant alla crema che Michelle aveva portato.
«Hai fatto qualcosa di interessante oggi?» chiese la ragazza.
«Mhm, vediamo un po’… ah, sì! Ho estratto una cisti grande come una pallina da ping-pong dal cervello di un uomo».
Era vero, ma più che altro Mamoru glielo disse per scatenare la sua reazione, che puntualmente arrivò.
«Che schifo!» esclamò Michelle, con una faccia disgustata che fece ridere Mamoru.
Battibeccavano sulla correttezza o meno del giovane medico di rivelare dettagli disgustosi del suo lavoro, quando qualcosa attirò l’attenzione di Michelle. Sul tavolino una foto faceva capolino da sotto un libro.
Spostò piano il libro, senza che Mamoru glielo impedisse.
«È lei?» chiese osservando la ragazza bionda che abbracciava Mamoru.
Il ragazzo annuì, mentre continuava a mandare giù il suo latte.
«È molto bella! Come si chiama?».
«Usagi» riuscì a rispondere il ragazzo mantenendo un tono freddo.
«Sembrate molto felici in questa foto. Perché vi siete lasciati?».
«Perché a volte la vita non va come vorremmo».
La ragazza fece una smorfia.
«O forse siamo noi a lasciare che vada in un certo modo».
Mamoru sorrise beffardo.
«Sì, come no!».
«Scommetto che non hai combattuto abbastanza».
« È l’unica donna per cui abbia mai combattuto!».
«Per averla, immagino! Quando si è trattato, poi, di tenerla al tuo fianco te la sei lasciata scappare».
Mamoru si morse il labbro.
«Ma credi di sapere sempre tutto, tu?».
«Se non me lo racconti, come faccio a saperlo? Ho provato solo a immaginare. Ma so di non aver sbagliato».
«Sei brava a estorcere informazioni, eh?».
E così, senza saper neanche perché, si trovò a raccontare i suoi ultimi mesi a una ragazza che in fondo non conosceva ed era poco meno di un’estranea, tralasciando solo quello che si era tenuto dentro per anni e che alla fine aveva rivelato solo a Usagi.
«Capisco, ora, perché sei scappato! – esclamò alla fine Michelle – Ma io al posto tuo sarei rimasto, non avrei mai abbandonato la persona che amavo».
Mamoru storse la bocca. Era l’ennesima persona che gli ripeteva la medesima cosa.
«È questo il punto – disse, infine – Io ho messo i miei problemi davanti a lei. Non merito quindi il suo amore!».
«Beh, forse prima di prendere una decisione simile, dovevi lasciare che fosse lei a decidere se la meritavi oppure no».
Mamoru sospirò nervosamente, lasciando cadere la testa all’indietro sulla spalliera del divano. Michelle osservò pensierosa il suo atteggiamento.
«Ok, dottore di cervelli, si è fatto tardi – disse, alzandosi e pensando che fosse meglio lasciarlo solo – Io vado a casa. Ero venuta a salutarti perché domani parto per le ferie con un’amica. Torno la prossima settimana».
«Ok – disse per poi accompagnarla alla porta – Divertiti!»
«Al mio ritorno ti porto a vedere una mostra che ti piacerà senz’altro».
«Dalì?» chiese Mamoru curioso.
La ragazza scosse la testa sorridendo.
«Van Gogh!».
«Wow! – esclamò Mamoru – Non combinare guai, allora, e torna sana e salva».
«Io combinare guai?!? Piuttosto tu! - disse prendendolo in giro – Ciao, dottore!».
«Ciao Uragano!».
E prima di richiudere la porta aspettò che fosse completamente scomparsa su per la rampa di scale.
 
“Se è destino, tu e Usagi tornerete insieme”.
“Forse siamo noi a lasciare che la vita vada in un certo modo”.
Le parole di Kenji e Michelle risuonavano nella sua mente e non erano messaggi di speranza nel suo cuore, ma solo continui, dolorosi colpi.
Non esistevano più Mamoru e Usagi nella loro bolla di cristallo.
Quella bolla era andata in frantumi e non sarebbe stato possibile ripararla, perché, nella realtà circostante, non c’erano solo Mamoru e Usagi, che nonostante tutto continuavano ad amarsi, c’erano anche Hiroshi, Midori, Aiko, Kaori, i sensi di colpa, le bugie, i tradimenti, le ferite …
Mamoru e Usagi non esistevano più.
Ma quella notte, la sognò ancora. E stavolta era lui a stringerle la mano.
 
 
 
 
 
Ecco conclusa questa piccola, breve parentesi. Ma adesso cosa accadrà? Spero che sarete curiose di scoprirlo ... a breve tornerò con il sequel di Come ogni volta. Eh, no! non vi libererete ancora di me :-) Un saluto a tutte
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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