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Autore: SimplyMe514    15/05/2013    2 recensioni
[La famiglia Addams]
Troppo grosso per essere normale, ma mai grande abbastanza per sfuggire a una famiglia che non gli lascia più respiro.
Un paio di mani di cui non riesce a controllare la forza, ma che scoprono una delicatezza nuova quando toccano una tastiera.
Un ragazzo infelice, forse un po' strano, ma pieno di sogni come tutti.
Un semplice annuncio sul giornale: A.A.A. Cercasi maggiordomo. Bella presenza, massima discrezione, disposto a lavorare con bambini. Vitto e alloggio inclusi. Astenersi perditempo e deboli di cuore. Rivolgersi a Eudora Addams, 0001 Cemetery Lane.
Possibile che sia questa la possibilità che cercava? Possibile che esista un angolo di mondo dove non sentirsi più fuori posto? Lurch spera di sì, anche se ha qualche dubbio sulla “bella presenza”...
Basato sulla serie TV degli anni '60, ma integrato con qualche dato necessario tratto da opere successive.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3 – Musica, maestro!

Gli tremarono un po' le mani quella sera a cena, ma non abbastanza da impedirgli di tagliare l'arrosto di yak o da fargli fare confusione tra il bicchiere “per quando avevano solo bisogno di liquidi”, come se non volessero ammettere che perfino loro ogni tanto bevevano semplice acqua (il fatto che fosse anche potabile era tutto da discutere), e quello “per quando volevano divertirsi”, che non sapeva cosa contenesse, ma che era suo compito riempire regolarmente versando da una bottiglia etichettata con un teschio e fior di avvertimenti di pericolo.

L'Inno alla gioia aveva riscosso qualche tiepido applauso, ma era stato giudicato troppo felice: pur capendo le sue motivazioni, l'avevano gentilmente invitato a cercare tra i suoi spartiti qualcosa di più adeguato, che tra melense canzoni d'amore e libri d'insulsi esercizi, semplicemente non c'era. Andavano già meglio le arie di celebri opere liriche in cui i rispettivi protagonisti, tra un acuto e l'altro, morivano atrocemente, ma alla fine fu deliberato di mettere a ferro e fuoco la soffitta per potergli fare un regalo di benvenuto: una copia della Marcia funebre di Chopin, che a detta loro era assolutamente inaccettabile che non possedesse già.

I due furono tanto premurosi da lasciargli esplorare la villa a suo piacere senza interromperlo troppo spesso, anzi, partecipando con entusiasmo al tour e distribuendo spiegazioni a destra e a manca, con la scusa che erano sopravvissuti senza un maggiordomo fino al giorno precedente e potevano ben permettersi di aspettare fino all'indomani per approfittarne. Nell'ordine, Lurch scoprì una serra in cui, per quanto s'impegnasse, non riconobbe neanche una pianta che fosse una perché erano tutte troppo esotiche (e alcune anche piuttosto aggressive), poi una cucina dall'aspetto incredibilmente ordinario se non fosse stato per l'inequivocabile calderone, le etichette sui contenitori che parevano uscite dall'illustrazione dell'antro della strega in un libro di fiabe e l'ennesima scatola da cui Mano fu fin troppo felice di indicargli tutte le curiosità più macabre, e poi, senz'altro rimandata il più possibile per sfruttare al massimo l'effetto drammatico, la “stanza dei giochi”. Per quanto si stesse abituando all'atmosfera, non poté impedirsi di pensare: Alla faccia dei giochi! Alcuni di quegli aggeggi non sapeva nemmeno come si chiamassero, ma era abbastanza certo che quella cosa laggiù nell'angolo, indubbiamente lasciata aperta apposta nella parodia orrorifica di un abbraccio accogliente, fosse una vergine di Norimberga.

«In realtà non ci vengo a giocare tanto spesso. Salterebbe tutto, e la mamma non sarebbe per niente contenta» si premurò di precisare Gomez. «Però mi piace, è molto rilassante».

«Ah».

«Un giorno di questi ti faccio vedere».

Dopo la visita alla stanza dei giochi gli furono pazientemente illustrati i passaggi segreti che collegavano tra loro le stanze della casa – tutta una botola e un comparto invisibile: memorizzare i percorsi sarebbe stato un incubo, ma avrebbe fatto meglio a crearsi subito una bella mappa mentale, un po' per non perdersi e un po' perché la condizione di quelle porte era una sua responsabilità – e poi, come gran finale, dopo avergli concesso un attimo per superare lo stupore di fronte alla grotta perfettamente integrata nella struttura dell'edificio (in cui l'eco si poteva accendere e spegnere a piacimento, tra l'altro), si giunse alla sua camera. Era già stata preparata da un po', gli rivelarono, perché la villa stessa pareva concepita per ospitare anche la servitù, quindi era solo questione di tempo prima che qualcuno arrivasse davvero a riempire quegli spazi troppo vuoti, ma non sapendo chi o cosa l'avrebbe occupata, non avevano avuto altra scelta che mettervi solo lo stretto indispensabile. Trovandosi nella parte bassa della casa, la luce a disposizione era ben poca (un dettaglio che parvero invidiargli come se gli fosse toccata una suite, altro che i notoriamente scomodi quartieri servili che il suo secondo libro descriveva come l'inferno sulla Terra), ma c'era da dire che il letto gli piaceva. Il materasso era talmente duro che per un istante dubitò che ci fosse, ma soprattutto era delle dimensioni giuste: siccome l'inquilino avrebbe potuto essere di qualsiasi taglia, da gigante a nano, meglio procurarselo bello grande, in modo che l'occupante, in ogni caso, non si ritrovasse con i piedi che penzolavano dal fondo. Il resto era tutto spazio che avrebbe potuto sbizzarrirsi a personalizzare: i vestiti che si era portato non arrivavano neanche lontanamente a riempire l'armadio, ma la signora Addams gli promise che una volta prese le sue misure avrebbe avuto abbastanza livree da bastargli per una vita. L'immagine di se stesso con un completo che ricordava da vicino un pinguino molto distinto stava per avverarsi. Forse nel volume sul galateo c'era anche, da qualche parte, una bella illustrazione dei passaggi necessari per annodarsi il papillon nel modo corretto, senza che risultasse tutto storto e sgualcito. Avrebbe fatto qualche prova di nascosto. Poi c'era uno scaffale che bastava e avanzava per tutta la sua musica, e poi... di primo acchito credette che mentre girava per la casa uno dei due fosse entrato in punta di piedi e gli avesse lasciato sulla scrivania un altro fascicolo di spartiti, ma quando si diede a sfogliarlo scoprì che i pentagrammi erano vuoti.

«L'ho trovato mentre cercavo la Marcia funebre e ho pensato che potesse servirti. Non mi hai detto se per caso sai anche comporre». Gli erano bastate poche ore per inquadrare la signora Addams come il genere di persona che non buttava mai via niente e poi, quando qualcuno aveva una richiesta assurda, si tuffava in quel che pareva un mucchio di cianfrusaglie e ne riemergeva con la soluzione perfetta e un'espressione soddisfatta sul viso, come a dire: “Visto che avevo ragione?”. E dal “caos organizzato” di cui aveva parlato durante il colloquio, questa volta, era spuntato il più grande regalo che potesse fargli.

«Grazie». Per una volta, a renderlo sintetico era un nodo in gola che poteva essere solo commozione.

«Figurati. Noi incoraggiamo la creatività, te ne accorgerai presto».

 

I primi giorni filarono lisci, o almeno, lisci quanto potevano filare in una casa in cui non si facevano mai partire i trenini elettrici senza far capitare apposta qualche spettacolare incidente e, quando gli esplosivi da piazzare sotto i ponti ferroviari in miniatura erano finiti, c'era una nuova cavia con cui giocare a Guglielmo Tell. Il bersaglio era un po' alto, ma pazienza. Una sfida in più.

C'era solo un piccolo ma fastidiosissimo problema: madre e figlio ne avevano avuto più che abbastanza di sgolarsi per richiedere la presenza di Lurch, soprattutto il piccolo, a cui era tornata una tosse di proporzioni notevoli che gli impediva di sforzare troppo la voce. Nei momenti liberi il nuovo maggiordomo continuava a trasformarsi nel topo di biblioteca che non era mai stato prima d'allora e aveva imparato che nelle residenze con la servitù normalmente c'era un sistema di corde che collegava ogni stanza a dei campanelli ben capaci di sostituire le urla, ma in casa Addams, chissà perché, non era mai stato installato nulla del genere. Forse era mancata la voglia o la possibilità di fare i lavori necessari, o forse, come aveva suggerito la signora con un vistoso brivido, nessuno aveva mai voluto che la pace e la tranquillità della villa fossero invase dal suono argentino dei campanelli. Se proprio toccava apportare quella modifica, dovevano trovare qualche tipo di allarme che non facesse venir loro voglia di tapparsi le orecchie, ma quale?

Gomez propose entusiasticamente una sirena, ma l'idea fu accolta con qualche riserva: aveva i suoi meriti, ma si sarebbe certamente sentita anche da fuori e nessuno voleva scocciature dai vicini, che avevano tutti delle reazioni davvero esagerate al minimo rumorino. Non avevano ancora avuto neanche un'occasione di vedere Lurch alle prese con un visitatore esterno, ma da lì a costringerlo ad andare alla porta ogni cinque minuti per dare sempre la stessa spiegazione... No, la sirena andava bocciata. Ansioso di contribuire, il bambino si offrì di immolare sull'altare della praticità i fantastici effetti sonori del suo plastico, ragionando che tra scampanii e fischi assortiti ce ne sarà pure stato uno che andasse bene, ma a meno di non trovare un bel modo per amplificarli non c'era verso, non erano neanche lontanamente abbastanza forti.

Stavano cominciando a non sapere più dove sbattere la testa quando il suono di un gong squassò l'intero edificio. Mano, dalla sua scatola, parve un po' in imbarazzo: con una mazza in miniatura tra le dita, si era messo ad ammazzare il tempo giocherellando con l'ultimo soprammobile aggiunto alla collezione di curiosità esotiche, che era appunto un gong in formato ridotto, senza aspettarsi minimamente che un oggettino di quelle dimensioni potesse fare un tale baccano. Chiunque nella stanza fosse dotato di occhi scoccò agli altri uno sguardo d'intesa e di esultanza: centro! Ne avrebbero acquistato un altro simile, magari più grosso, per non sacrificare quello già presente, che era una gioia per l'estetica e un gran divertimento per il loro amico dalle cinque dita, e si sarebbero messi all'opera. Anzi, meglio fare subito una capatina a comprare diversi metri di corda prima che arrivasse: con una corda si potevano fare tante cose, avrebbero certamente trovato qualche modo per ingannare l'attesa scatenando la fantasia, a patto di non spezzarla.

I tizi che trasportarono dentro lo strumento persero gran parte della loro voglia di fare domande quando si videro sottrarre da Lurch i cappellini con il logo della ditta e si zittirono del tutto quando si resero conto di quanto si accordasse bene un gong con lo stile del resto della casa. Chissà perché, poi: non stava scritto sul suo bel manuale che era suo specifico compito prendere eventuali cappelli e soprabiti e restituirli ai rispettivi proprietari alla fine della visita? E va bene, forse ne erano usciti un po' sgualciti, ma suvvia, non li aveva mica fatti a pezzi...

La parte più difficile, senza alcun dubbio, fu collegare il gong al resto del sistema, ma una volta messi insieme gli ingegni il lavoro fu uno scherzo, soprattutto ora che in casa c'erano la bellezza di sette mani. Ogni stanza fu debitamente testata fino a raggiungere la certezza assoluta di poter chiamare Lurch da qualsiasi angolo (le prove rintronarono le orecchie a tutti quanti, ma cosa non si fa per il comfort...), e c'era da ammettere che quelle corde penzolanti creavano un'aggiunta niente male all'arredamento. Tuttavia, non erano ancora perfette. La signora Addams fu sorpresa a squadrare quella del soggiorno con aria critica, reggendosi il mento in atteggiamento pensieroso.

«Tutto bene, mamma?»

«Manca ancora qualcosa qui...»

«Sai che è proprio vero?» E prese a esaminare a sua volta la corda nel tentativo di capire cosa ci fosse che non andava. «Idea!»

«Sentiamola, allora, quest'idea».

Per tutta risposta, Gomez si protese in tutta la sua altezza verso la corda, ma anche se riusciva ad afferrarla per un pelo, era chiaro che non era sufficiente per mettere comodamente in pratica il suo piano. «Oh, accidenti!» Spiccò un salto e vi si attaccò di peso, scoprendo incidentalmente che usarla per dondolare era un gran bel gioco, e il gong echeggiò in tutta la sua potenza.

«Chiamato?» si fece notare Lurch, ancora tutto preso dalla soddisfazione personale, futile ma non troppo, di aver appreso finalmente a spuntare né visto né sentito da uno dei passaggi. Ancora non lo sapeva, ma sarebbe diventata la sua parola preferita.

«Puoi sollevarmi?»

Lui lo afferrò saldamente da dietro e lo tirò su senza alcuno sforzo particolare, con la sensazione di essere apprezzato che lo scaldava dentro. Qui anche la sua forza aveva un posto tutto suo.

«Grazie». E le sue piccole dita si misero a trafficare industriosamente intorno alla corda. Gli furono necessari un paio di tentativi, ma il risultato fu un nodo scorsoio veramente impeccabile. «Ecco qua. Ho appena imparato a farlo e ho pensato che così...», un accesso di tosse tagliò in due la frase, «potesse essere un po' più bello».

«Decisamente» approvò la signora Addams. «Hai occhio per queste cose».

«Posso fare anche gli altri?»

«Ma certo!»

E con questo l'annodatore ufficiale, talmente orgoglioso di sé da dimenticare anche la tosse, fu trasportato in giro per ogni stanza a creare cappi a ritmo industriale. Vero, i nodi mettevano una volta per tutte la fune troppo in alto per i suoi gusti, quindi avrebbe dovuto o farsi aiutare o crescere ancora un po', ma era un vero tocco di classe.

 

Lavorando in casa Addams non ci si annoiava mai, decise Lurch una volta abituato alla sua nuova routine quotidiana (che routine non era, dato che s'inventavano sempre qualcosa di diverso, dai bagni di luna per assicurarsi un colorito perfettamente diafano alle lezioni di scherma), ma non ci si sentiva nemmeno come i servi oppressi e maltrattati del suo libro: aveva ancora del tempo libero, e sapeva esattamente come occuparlo.

Con sua somma gioia, la musica era ancora una parte molto importante della sua vita, dato che non c'era sera che non passasse a intrattenerli e a raccogliere applausi (fu vagamente sorpreso di scoprire che non richiedevano solo pezzi particolarmente deprimenti, perché Gomez voleva a tutti i costi imparare a ballare), ma far loro da sottofondo vivente non gli bastava più. Il quaderno di carta pentagrammata era rimasto lì a prendere polvere troppo a lungo, e quando perfino la signora Addams manifestò velatamente la sua delusione nel notare che non l'aveva ancora usato, Lurch decise che era ora di darsi una mossa.

Scelse un pigro pomeriggio in cui padrona e padroncino si erano chiusi beatamente nella stanza dei giochi, dato che quel genere di attività faceva molto meno rumore degli incidenti ferroviari su piccola scala, e si mise finalmente al lavoro. Sapeva qualcosa di composizione, ma non aveva quasi mai osato passare dalla teoria alla pratica, forse perché si era ormai convinto che la sua faccia avrebbe comunque impedito alle sue opere di arrivare lontano. E forse non sarebbero davvero arrivate neppure fuori dalla porta, ma stranamente non gli importava. La sua vita era lì, ora, non insieme a qualche grande orchestra, e andava più che bene così. Per essere felice non aveva bisogno che la musica lo rendesse famoso, gli bastava che ci fosse.

Quello che riuscì a produrre, dopo così tanti tentativi che aveva smesso di contarli, era tutt'altro che una sinfonia, ma aveva come l'impressione che a loro sarebbe piaciuta. Il suo obiettivo primario, nel comporla, era stato di andare incontro ai loro gusti, ma era da diverso tempo ormai che non si sentiva più abbastanza triste da darle il giusto tono funereo, per cui era sceso a un compromesso: una musichetta che di primo acchito poteva sembrare allegra, ma che a un ascolto più attento aveva abbastanza diesis e bemolle distribuiti in punti strategici da risultare moderatamente inquietante. La melodia era semplice ed essenziale, facile da arricchire sul momento in qualsiasi modo gli suggerisse l'ispirazione, qualcosa con cui poter giocare fino a renderla quasi irriconoscibile, e si sarebbe perfino prestata ad avere un testo, ma Lurch sapeva di non essere abbastanza bravo con le rime. Mise l'idea in un angolino per poterla ripescare più avanti, casomai gli fosse venuta l'idea giusta. Per ora la musica era più che sufficiente... sempre che fosse riuscito a finirla, accidenti. Il pezzo era quasi terminato, ma aveva ancora un'aria irrimediabilmente incompleta. L'inizio non gli piaceva, ma non se la sentiva di cancellarlo. Appena scritto gli era sembrato che funzionasse bene, che fosse accattivante e facile da ricordare, ma l'inchiostro si era a stento asciugato sulla pagina quando erano cominciati i dubbi: c'erano quelle dannate pause che si stavano rivelando una vera spina nel fianco. Se usati con maestria, i silenzi erano parte integrante della musica; questi, invece, erano proprio un errore, un orribile buco che andava riempito in qualche modo, ma in cui nessuna nota della scala riusciva a trovare posto. Ci voleva qualcosa di sorprendente, di inaspettato, di non convenzionale, proprio come loro. Ne sarebbero stati entusiasti, ne era sicuro. Sì, ma cosa?

Abbandonandosi a un verso di frustrazione, suonò daccapo le prime quattro note, quelle che ormai cominciavano a martellargli in testa in modo quasi fastidioso, e poi si bloccò per l'ennesima volta. Un cigolio lo avvertì che Mano aveva fatto la sua comparsa dalla scatola posta sul clavicembalo. Vedendolo in difficoltà, s'inabissò di nuovo e prese a battere un messaggio sulle pareti interne: “C'è qualcosa che non va?”. Ormai stava imparando a decifrare quel codice, così come tutti capivano il suo.

«Manca qualcosa» spiegò in poco più di un ruggito animale.

Fammelo risentire”, batté Mano, riuscendo a dare perfino all'alfabeto Morse un tono speranzoso.

Le quattro note iniziali risuonarono ancora e ci fu un che di pensieroso nel silenzio che rispose, poi il suo piccolo amico rispuntò, tremando d'eccitazione. Gli fece il gesto di rifarlo e lui obbedì, incuriosito. Mano riempì la sua pausa schioccando le dita.

Hmm... sì, si poteva anche fare.

«Di nuovo». Alle sue note risposero due schiocchi. E poi una seconda volta, e poi una terza, e finalmente poteva cominciare la melodia principale. Mano se ne stava lì, felice di aver contribuito, ad aspettare la sua occasione di tappare i buchi di tutti i ritornelli. Era perfetto.

«Grazie».

«Cosa sentono le mie orecchie?» lo sorprese la signora Addams, che era entrata seguendo la musica e stiracchiandosi placidamente dopo un pomeriggio passato a rilassarsi torturandosi da sola.

«Un duetto». Be', lo era, no? “Sonata a tre mani” suonava benissimo come titolo, sennonché non era il termine tecnico appropriato. Peccato, aveva un che di raffinato che rotolava piacevolmente sulla lingua.

«L'hai scritto tu?»

«Sì, signora Addams».

«Be', che mi prenda un colpo! Hai colto perfettamente lo spirito di questa famiglia. Non so perché, ma ho l'impressione che ci rappresenti moltissimo. Dai, suonalo ancora».

E stavolta schioccò le dita insieme a Mano, sorprendentemente a tempo. Aveva appena dato i due clic che segnavano il finale quando Gomez fece a sua volta irruzione nella stanza e pretese anche lui il bis, unendosi allo schioccare generale. Erano proprio determinati a smentire la sua idea di un duetto, a quanto pareva, e in fondo non importava. Era più bello così: poteva intitolarsi “La famiglia Addams”, e basta. Una famiglia di cui ora faceva parte anche lui.       

  
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