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Autore: angyp    16/05/2013    5 recensioni
Harmony non è felice della sua vita con i genitori assenti e malvagi. Il bagno è il suo rifugio ed è qui che si prepara il giorno del suo 18° compleanno per la sua fuga. Ma quanto c'è di vero in tutto ciò? Quello che vede è reale o immaginazione?
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Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nick : Angyp
Nick su EFP:angyp
Categoria: Originale
Genere: Horror
Rating: Arancione
Note: Prima storia Horror, scusate l’inesperienza nel settore.
Avvertimenti: Nessuno
Scenario scelto: Bagno
Titolo: L’indifferenza che mi uccide
 
 
Se la guardavi dall’esterno, potevi giudicare Harmony una ragazza assolutamente normale. Se per normale intendevi una giovane donna che frequentava la scuola con regolarità, era sempre gentile e tranquilla con i vicini e i suoi compagni di scuola, a volte si concedeva delle uscite serali, che affrontava con tranquillità e serenità. Una diciassettenne come tutti.
Harmony  doveva essere la diciassettenne come tutti. Doveva, per poter nascondere tutta l’inquietudine che aveva dentro. Era ormai abbastanza grande per capire che doveva andare via, scappare da quella che sarebbe stata la strada che le avrebbero fatto intraprendere i suoi genitori. Perché i genitori di Harmony non erano gli impiegati semplici con un misero stipendio, come lei raccontava in giro. Suo padre era uno spacciatore, sua madre una squillo. E sicuramente Harmony avrebbe dovuto seguire una di queste vie.
Vedeva spesso i suoi farsi di cocaina nel bagno di casa, a volte ritornavano tardissimo, ubriachi, e lei si rinchiudeva in camera per paura che le facessero del male. Spesso non rincasavano, e lei ne era sollevata. Faceva colazione in santa pace e andava a scuola con il sorriso naturale, senza alcuno sforzo. Per non scoppiare dentro, svuotava tutto tra le pagine di un diario.
Inoltre c’era un altro motivo che l’aveva spinta ad odiare i suoi genitori. Era successo una notte. Erano le quattro e dieci. Si erano ritirati sbattendo la porta, aveva sentito sua madre piangere.
Attraverso il buco della serratura, ingombrato dalla chiave ben girata, aveva intravisto suo padre con le braccia sporche di sangue e le maniche arrotolate. I loro commenti rivelarono ad Harmony la dura realtà: avevano ucciso qualcuno. Si rigettò nel letto e pianse. Non disse nulla, né chiese spiegazioni nei giorni seguenti. Non voleva sapere nemmeno chi fosse morto, non lesse nessun giornale, non voleva conoscere l’identità dell’uomo, donna, bambino, anziano, chiunque fosse la vittima e perché si fosse trovata coinvolta in una tragedia del genere. Il suo progetto era uno: andar via da quella casa, da quei due. Non erano mai stati dei bravi genitori, e lei non poteva rischiare di diventare a sua volta una puttana. O peggio: un’assassina.
Era il 18 aprile: il giorno del suo compleanno. Il diciottesimo, appunto. Voleva fuggire. Era la sua occasione. Non aveva preparato nulla, non aveva organizzato niente, non aveva una meta. L’unica certezza era sparire da quella casa. I suoi non se ne sarebbero nemmeno accorti.  Non le parlavano mai, e lei nemmeno tentava di attaccare qualche conversazione. Erano solo degli estranei per lei, punto. Figuriamoci se le avrebbero organizzato una festa a sorpresa!
Si chiuse in bagno, come era solita fare. Quel luogo era il suo tempio, lì si sentiva sé stessa. Lì dentro poteva chiudersi a chiave senza destare sospetti perché era lecito, lì aveva preso l’abitudine di esplorare le sue intimità e avvolgersi. Ma soprattutto, dentro il suo bagno aveva meditato la scelta di andare via. Dopo aver eliminato tutto ciò di impuro che aveva dentro, si appoggiò al lavandino, rivolgendo lo sguardo allo specchio gigante di fronte a lei, che la rifletteva fino al bacino. Osservò i lineamenti del suo viso: non vi era niente di bello, niente che potesse essere definito piacevole agli occhi di un qualsiasi ragazzo. Forse il viso era stato rovinato da tutta la rabbia e la frustrazione che aveva dentro; si chiese come mai nessuno si fosse accorto di quello che covava nel suo animo, limitandosi solo alla vista di un sorriso. Harmony aveva capito che la gente era distratta, ma non credeva fino a questo punto. Per questo non aveva chiesto aiuto a nessuno. Si lavò i denti e il viso. Prese i trucchi di sua madre e si mise qualcosa per poter sembrare più grande, evitando di farsi una maschera, perché tanto quella c’era stata anche senza trucco. Mentre si metteva il mascara, notò come un’ombra dietro di lei attraverso lo specchio. Si girò, ma non c’era nessuno. I soliti rumori che si avvertono in casa quando si è soli, echi che ti fanno sobbalzare nel caso tu sia in attesa di un ritorno e dispiaciuto per questo. La ragazza tornò ad occuparsi dei suoi occhi, ma sentì un altro rumore. Non era possibile che i suoi fossero tornati, non tornavano mai alle quattro del pomeriggio! Comunque girò ancora la chiave nella serratura, per evitare che qualcuno di loro entrasse. Alla fine, non si era truccata moltissimo, ma all’apparenza sembrava un’altra persona. Sorrise, augurandosi che quello fosse di buon auspicio per la sua nuova vita. Ma notò dei dettagli che non riconosceva di sé: il taglio degli occhi, la forma del mento: avvicinò di più il viso allo specchio, per poi cadere a terra dallo spavento: non era lei. Non era il suo riflesso. Quella persona indossava i suoi vestiti, aveva il suo trucco, i suoi capelli, ma non era lei. Harmony tremò, cercò un altro specchio per verificare che fosse così, ma non lo trovò. Tornò ad osservare quel riflesso. Stava sorridendo.
-Ciao Harmony -le parlò. -Ti sei accorta della mia presenza?
La ragazza tremò nel sentire quella voce: era di un’altra ragazza, ma era raggelante. Si precipitò verso la porta per uscire. La chiave era sparita, e non si apriva. La cercò dappertutto, anche dentro il water, per vedere se fosse caduta per caso, ma non fu così. Tentò allora di aprirla con la forza, chiamò aiuto, ma a quanto pare non c’era nessuno in casa e si era sbagliata riguardo al ritorno dei genitori. Ansimando, tentò di trovare qualsiasi oggetto che potesse farla uscire di lì, ma non trovò nulla che la aiutò. Provò allora di nuovo a riflettersi, e nuovamente al suo corpo si sovrappose quello estraneo:
-Harmony. -disse ancora la voce.
-Chi sei? -domandò la ragazza, impaurita.
-Non lo immagini, Harmony? Eppure dovresti saperlo. Io so tutto di te. Stavi per andartene via, Harmony?
-S-sì -disse la giovane, tremando. -Ma non riesco ad uscire, la chiave è sparita. Mi puoi aiutare?
Mentre Harmony sentiva che le lacrime le bagnavano il volto, il suo riflesso rideva. Di gusto:
-Cara, non posso farti andare via. Non dopo che tu mi hai fatto questo.
-Cosa ti ho fatto?-chiese Harmony, ingenuamente.
-Partiamo dal principio, la notte in cui hai visto i tuoi che hanno assassinato qualcuno. Tu cosa hai fatto?
Harmony rimase spiazzata da queste rivelazioni: che ne sapeva questo essere? Ma soprattutto: cos’era? Uno spirito, un’anima dannata? Che cosa le aveva fatto Harmony? E i suoi genitori?
-Io non ho visto nulla, solo quando solo venuti ho capito che forse era accaduto qualcosa.
-E chi è stato ucciso?
-Non lo so -rispose Harmony -per favore, fammi uscire di qui!
-Perché non lo sai?
-Non ho detto nulla ai miei!
-Perché?
-Perché no! Non volevo mettermi in mezzo! Non voglio stare in mezzo alla loro vita! Io mi vergogno di loro e non voglio fare la loro stessa fine!
-Ma che brava! Così, tu convivi con degli assassini e l’unica tua preoccupazione e scappare da loro? Non pensi che fosse giusto denunciarli? Hai mai provato pietà per chi è stato ucciso?
A quel punto, la ragazza, sentendo aprire dentro di sé un vortice con enormi sensi di colpa, si allontanò dallo specchio, per non sentire più la voce parlare. Provò nuovamente ad aprire la porta, invano, mentre un senso di soffocamento la stava invadendo. Troppe piastrelle, una finestrella così piccola, il water, la vasca … le girava la testa … l’ultima cosa che vide fu rosso, troppo rosso …
 
 
 
 
La testa le faceva male, molto male, come se la stessero premendo con insistenza. Le ci volle un po’ per realizzare che stavano bussando alla porta. Tentò di rialzarsi, ma il dolore le faceva rallentare i movimenti. Si toccò il viso ed era bagnata di sangue. Capì di essere svenuta e di aver sbattuto la testa sulla vasca da bagno.
-Insomma, Harmony! Apri questa porta. -la voce severa di suo padre le attraversò la testa come un filo di ferro tra le orecchie ovattate.
La ragazza si appoggiò alla vasca e con forza si mise in piedi. Barcollando, mise la mano sul lavandino e si voltò verso lo specchio. Non vi era più nulla di anomalo, a parte la faccia insanguinata.
-Adesso, papà! -urlò.
Si  sciacquò il viso tentando di togliere più sporco possibile e, con ancora l’asciugamano premuto sulla ferita aperta, andò ad aprire la porta. Ma questa era bloccata.
-Non riesco ad aprirla, papà! Aiutami, non trovo la chiave.
Sentì suo padre sbuffare impaziente e allontanarsi a passo svelto.
-Harmony- la voce tornò a farsi sentire senza che lei si fosse riflessa -non sei meno colpevole dei tuoi genitori.
La ragazza si sentì male, molto male. Le bruciavano le orecchie e le stava salendo una forte nausea. Appoggiandosi nel water, si ficcò due dita in bocca e vomitò. La voce continuava:
-Non vuoi sapere chi sono? Cosa facevo nella vita prima di essere portata via? Prima di restare intrappolata qui?
Harmony voltò la testa, appoggiandosi al water mentre lo scarico le bagnava il viso ferito, causandole forti bruciature e fastidio.
-Voglio solo uscire di qui. -ebbe la forza di dire.
Una risata risuonò nel bagno, echeggiando tra le piastrelle bianche. D’un tratto sentì una forza che le prendeva la testa e la spingeva a forza nel water, sporcandole la faccia del suo stesso vomito. Harmony cercava di liberarsene, ma lottava contro qualcosa che non vedeva e la testa era già abbastanza dolorante per opporsi a tutto. Non respirava, avendo ormai il naso e la bocca tappati da tutto quello schifo.
Quando quel qualcosa la liberò, Harmony gattonò disperata verso la porta e la sbatté forte graffiandola con le unghie e urlando verso i suoi genitori perché la aiutassero. Ma per loro, il problema era solo il bagno occupato. Per il resto, lei poteva viverci là dentro. Harmony si sentiva come se invece ci dovesse morire.
-Cosa vuoi da me? –urlò piangendo –Come sei morta? Perché ti hanno uccisa?
Un’altra risata agghiacciante. La voce parlò:
-Prima tu, Harmony. Raccontami di te.
La ragazza decise di accontentarla:
-Io … io oggi ho compiuto 18 anni. Voglio partire, andare via, cambiare la mia vita. Mi dispiace se non ho mai chiesto di te, ma vedi, avevo paura che mi facessero del male. Loro sono pericolosi, ho bisogno di andare via, via da qui.
-Lo so, ho letto il tuo diario. Ne sei convinta? Non vorresti migliorare il mondo che ti circonda, invece di scappare?
-Non posso fare niente, quando un qualcosa è marcio, è marcio e basta. Tanto a loro non importa niente di me.
Ne seguì un lungo silenzio, rotto solo dal respiro affannoso di Harmony.
-Vuoi andare via? –parlò nuovamente la voce.
-Si –rispose Harmony.
-Posso aiutarti.
-Davvero? –gli occhi di Harmony si illuminarono di speranza.
-Certo. Andrai via di qui e da loro. Per sempre.
-E chi sei? Cosa ti ha ucciso?
Silenzio.
-L’indifferenza mi ha ucciso, Harmony.
 
 
 
 
 
I coniugi Brown erano seduti sul divano insieme alla polizia. Le lacrime della signora si riversavano sulla tazza di the che aveva in mano e che ormai era fredda. Tutti muovevano le bocche e parlavano, ma lei non ascoltava nulla, se non il battito accelerato del suo cuore.
Lei e suo marito erano usciti per preparare una bella festa a sorpresa per i 18 anni della loro figlia. Erano gente umile, con pochi soldi, non avevano garantito alla loro bambina un’infanzia agiata, ma questa volta l’avrebbero fatta felice. Invece Harmony si era chiusa di nuovo in bagno, ancora. L’avevano sentita parlare, piangere, urlare. Urla strazianti. Suo marito aveva chiamato i vigili del fuoco e aveva provato a sfondare la porta. La sorpresa era di fronte ai loro occhi: Harmony nuda,con la pelle  piena di tagli e con una lima per le unghia in mano. La testa era poggiata nella vasca da bagno piena di acqua rossa.   
L’autopsia avrebbe detto se la morte era stata causata dai tagli o dall’annegamento. Poco importava alla signora. Era stata lei, insieme a suo marito, ad ucciderla. Ora capiva i continui silenzi della figlia, il suo rinchiudersi sempre in bagno. Scriveva sul diario una storia immaginaria, assurda. Perché? Perché la loro bambina si era tuffata in questo mondo immaginario? Perché si era inventata che i suoi avevano ucciso qualcuno? Non riusciva a darsi pace. Se solo le avesse parlato di più, se solo si fosse preoccupata di più invece di pensare a sé … come aveva fatto una giovane ragazza a massacrarsi così? Cosa non era andato nel suo cervello? Dannata indifferenza, dannata apparenza che ti fa sembrare come tutto vada per il meglio …
Un mese dopo, tutto era stato ripulito in quel bagno. L’annegamento aveva causato la morte di Harmony, giovane ragazza che, a dispetto del nome, aveva dentro un tormento. La signora Brown entrava in quel bagno sempre con timore. Era lì che sua figlia era morta, per cui non poteva restare troppo tranquilla. Pensò di vendere la casa, proprio come avevano fatto gli ex padroni, che l’avevano abbandonata dopo un terribile lutto, che non si era preoccupata di approfondire. Forse stare lontana dal posto in cui tutto era successo l’avrebbe aiutata. Questo pensò, quando sentì una voce:
-Scappare non servirà a nulla, mamma. Tutto ritorna, ognuno ha quel che si merita. L’indifferenza uccide, uccide tutti …
  
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