Insostenibile. Tutto ciò
era diventato insostenibile. Poteva passare lo stare insieme a lui per un tempo
che andava a ricoprire praticamente tutte le ore del giorno durante il periodo
delle riprese e quando si presentava una ricorrenza speciale come una convention.
In tali occasioni, stare lontano da Benedict non era un’impresa impossibile:
c’era sempre qualcuno che veniva a reclamare uno di loro, occupandoli entrambi in
separata sede. Nel caso che ciò non accadesse, una parte di lui esultava al
cocente ardore che gli ribolliva dall’interno per la vicinanza del rosso. Lo
faceva sentire come un adolescente pieno di ormoni che tenta di venire a patti
con una cotta epocale. Il fatto che questi tumulti interiori che aveva scoperto
mettergli in subbuglio lo stomaco e il cervello lo colpissero senza alcun
preavviso, a qualunque ora del giorno, era la parte peggiore.
Allo stesso tempo, l’altra
parte del suo animo ne restava sgomenta. Era sbagliato. Era sposato e Benedict
era il suo migliore amico. Martin non avrebbe mai dovuto provare una cosa
simile, non per lui, almeno. Eppure, ogni volta che si ritrovavano nella stessa
camera e poteva osservare segretamente l’amico cambiarsi per la notte, i suoi
neuroni divenivano incapace di fare le loro regolari sinapsi. Nel vederlo
svestirsi, la frequenza cardiaca di Martin aumentava precipitosamente, la sua
bocca si inumidiva contro la sua volontà e il sangue lasciava il suo cervello
per confluire in altre parti meno opportune del suo corpo. La particolare
bellezza di Cumberbatch non era semplicemente in grado di ammaliarlo; sarebbe,
piuttosto, stato più corretto dire che lo dilaniava dentro come una stilettata
ben assestata nelle viscere.
Allora Martin si cambiava
alla velocità della luce, evitando di incontrare lo sguardo magnetico
dell’altro e nascondendo come meglio poteva la pura attrazione fisica che
provava. Nascosto dal pigiama e le coperte spesse, poteva soltanto aspettare
che il desiderio si placasse e la consapevolezza di star condividendo la stanza
da letto con Benedict sfumasse e lo lasciasse riposare.
«Un altro giro. » disse
Martin alla barista dai corti capelli azzurri vestita con i soli top e
pantaloncini corti quanto culottes. A giudicare dal suo abbigliamento, se non
si fosse trovato in un locale ampiamente riscaldato di Londra, Martin avrebbe
giurato di trovarsi in un qualche posto esotico nel quale, se avesse varcato la
porta di uscita, probabilmente si sarebbe ritrovato davanti una bella spiaggia
con tanto di palme e sdraio. Era una ragazza attraente, ma non abbastanza da
distrarre i suoi pensieri dall’uomo dall’altra parte della stanza che svettava
con la sua chioma, tornata rossa dopo la fine delle riprese, su tutti gli altri
clienti presenti nel locale. Nemmeno Amanda ne era in grado, e questo gli
provocava una morsa di dolore e rancore al cuore.
«Ecco a lei. » Rispose
cordialmente la giovane prima di dirigersi verso qualcun altro.
Martin ingollò l’ennesimo
bicchiere della serata e si alzò dalla sedia senza schienale. Il mondo gli girò
intorno a tutta velocità e la testa si fece leggera come un palloncino.
Barcollò indietro e, prima di cadere rovinosamente a terra, si appoggiò allo
sgabello che aveva appena lasciato. Non gli era capitato spesso di ubriacarsi a
tal punto.
«Martin! » Abbaiò qualcuno
che lo afferrò al volo per le spalle.
«Steven. » Rispose
prontamente l’interpellato senza bisogno di voltarsi.
«Sei ubriaco marcio, non
ti reggi in piedi. » Lo rimproverò Moffat con tono austero. «Vieni, andiamo a
sederci da qualche parte. »
Martin si lasciò condurre
fra le file di tavoli e sedie fino a che l’altro non ne trovò uno libero
addossato al muro. Quello di cui avevano bisogno era un posto intimo e
abbastanza lontano dal frastuono della musica al massimo del volume. Si
sedettero l’uno di fronte all’altro sui divanetti in pelle nera e rimasero a
scrutarsi senza accennare una parola. Per fortuna di entrambi, il primo a
rompere quel silenzio imbarazzante fu Moffat.
«Vuoi spiegarmi che ti
succede? » Domandò con cipiglio preoccupato, le mani congiunte sul ripiano
davanti a sé.
La severità che il più
vecchio lasciò trasparire fece rabbrividire Martin. «Non mi succede niente. »
Rispose secco.
«Già, e io ho vinto un
Oscar. Lo vado a ritirare domani. » Ironizzò lo sceneggiatore.
«Non ho niente, dico
davvero. » Ripeté il biondo. «Ho soltanto alzato un po’ troppo il gomito, tutto
qui. »
«Dubito che tu lo abbia
fatto senza un motivo, visto che domani giriamo. »
Martin si sentì in
trappola. Sarebbe volentieri uscito da quel locale chiassoso senza dire niente
a nessuno, per prendere il primo taxi e dirigersi al loro hotel. Non aveva
alcun problema a pensare che Benedict, al suo rientro, lo avrebbe trovato sotto
le coperte di uno dei due letti, già addormentato da un pezzo. «Sono soltanto
stanco. » Si giustificò.
«Vallo a raccontare a
qualcun altro. Sono settimane che ti osservo, e ti assicuro che ogni volta che
poso gli occhi su di te non mi appari mai meno strano del giorno prima, anzi. »
«Cosa fai, adesso mi spii?
»
«Non ne ho bisogno. È
semplicemente palese che tu abbia qualcosa che non va. »
Martin sorrise amaramente
e abbassò lo sguardo sulle venature del legno scuro del tavolo. «Steven... Non
puoi capire. » Sospirò, rassegnato.
«Si tratta di Amanda? »
Domandò Moffat, sinceramente preoccupato per l’amico.
«No, io... Non si tratta
di lei, si tratta di me. » Rispose sbrigativo, mantenendo gli occhi bassi come
se si fosse fatto carico di qualche grave colpa.
«Non potresti essere un
po’ più chiaro? »
«Più chiaro? Gesù, non
riesco a essere chiaro neanche con me stesso! » Ribatté Martin più acido di
quanto avesse voluto. «È assurdo. Mi sento come se le mie certezze siano tutte
andate in fumo. » Ammise, poi.
«Magari domani mattina le
vomiterai insieme a tutto quell’alcol che ti sei scolato. » Lo beffeggiò
l’altro.
«Molto divertente, Steven.
Davvero molto divertente. »
Moffat tamburellò le dita
sulla superficie liscia. «Allora, quali erano mai queste tue certezze? »
Domandò con un tono notevolmente più accomodante, seppur con un filo di ironia.
«Non vuoi saperlo, non veramente.
»
«Suvvia, non fare il drammatico adesso. Te l’ho domandato perché desidero
saperlo, non sarei tanto logico, se così non fosse. Inoltre dubito che sia
qualcosa di così grave come avere ucciso qualcuno. »
La gola di Martin si
chiuse improvvisamente, come se si rifiutasse di permettergli di rispondere
sinceramente a quella domanda posta con tanta leggerezza. Ma, nonostante
l’annebbiamento che l’alcol aveva regalato ai suoi poveri sensi, l’attore fu
pienamente consapevole della preoccupazione celata negli occhietti scuri di
Moffat. Non sarebbe servito altro perché si decidesse a sputare il rospo.
«Steven, non sono più certo di che cosa sono. Credevo di sapere che cosa voglio
dalla mia vita, una volta, ma ora... » Si interruppe per poter riflettere sui
fatti e mettere in ordine i pensieri. «Se ti dico una cosa, mi prometti che non
la dirai ad anima viva? »
«Diamine, di qualsiasi
cosa si tratti, devi reputarlo davvero così grave, se continui a fare il
guardingo in questo modo. » Rifletté ad alta voce il più vecchio. «Inizio
seriamente a preoccuparmi. »
«Me lo prometti? » Domandò
ancora Martin.
«Sì. Sì, Martin, te lo
prometto. »
Freeman trasse un respiro
profondo. «Si tratta di Benedict. » Sentenziò a testa bassa. Nemmeno lo stato
di ebbrezza passeggera che lo pervadeva era in grado di distogliere i suoi
pensieri dal migliore amico. Sentendo la bocca terribilmente impastata,
inghiottì rumorosamente e si chetò, in attesa di una qualsiasi reazione da
parte dell’altro: come se pronunciare quel nome fosse abbastanza per spiegare
la sua intera situazione. »
«Hai qualche problema con
Ben? » Lo interrogò Moffat, questa volta facendo sfoggio della sua migliore
pazienza. «Non avrete mica litigato, vero? »
«No. No, assolutamente.
Tutto il contrario, oserei dire. » Rispose Martin il più sbrigativo possibile.
«O almeno così è per me. Credo di essermi innamorato di lui. » Rivelò tutto
d’un fiato.
Dal momento in cui
pronunciò quelle parole, l’attore si aspettò una reazione di estrema sorpresa,
magari con un pizzico di rabbia verso un sentimento simile rivolto proprio al
compagno di lavoro con il quale doveva condividere gran parte delle
inquadrature. Invece, contro ogni aspettativa, lo sceneggiatore scoppiò a
ridere.
«Sei spassoso, Martin.
Pensa che ci sono quasi cascato come un idiota! »
«Non era affatto una
battuta, Steven. Sono serissimo. » Ribatté Freeman indignato.
«No, non può essere vero.
Non tu, di tutti quelli che conosco. » Nel rispondere, il sorriso di Moffat si
spense come una candelina su una torta di compleanno. «Sarebbe più credibile
sentirsi dire una cosa simile da lui, piuttosto che da te. »
Martin sorrise amaramente.
«Lo credevo pure io, una volta. » Ribadì. «Ma ora sta la cosa sta diventando
insopportabile. Non posso più evitarlo e ripetermi “no, Martin, sei solo
stanco, vai a dormire”. Nessuno può capire cosa si prova. » Affondò il volto
fra le mani e rimase immobile finché a rompere nuovamente il silenzio non fu
Moffat.
«Ammettiamo che sia così.
Ammettiamo che ti sia innamorato di Benedict. Cosa vorresti fare a riguardo? »
«Non ne ho idea! Non sono
mai stato più insicuro in tutta la mia vita. L’unica cosa che so è che lo
voglio. Per quanto possa essere sbagliato e immorale verso mia moglie, lo
voglio con tutto me stesso, Steven. » Il tono di voce del biondo aveva qualcosa
di disperato e febbrile, come l’altro sapeva che non sarebbe mai stato da
sobrio.
«Martin, guardami. »
«No. »
«Martin. » Ripeté
imperioso l’amico.
L’attore, contro quanto
aveva risposto pochi secondi prima, ubbidì. Ormai non aveva più niente da
perdere con Moffat, e dimostrargli quanto quella situazione, insieme alle
ingenti dosi di alcol che aveva in circolo, lo rendessero debole non sembrava
più questo gran guaio. Al momento, poteva soltanto sperare che Steven fosse
degno della sua fiducia e capace di trovare le giuste parole necessarie per
alleviare la pena che gravava sul suo cuore.
«Se lo vuoi così tanto,
puoi prendertelo. » Annunciò lo sceneggiatore in perfetta tranquillità. Niente,
in lui, suggeriva che si trattasse di uno scherzo: l’espressione che indossava
era mortalmente seria, senza traccia di un benché minimo sorriso, e
l’intonazione che aveva acquisito da quando aveva iniziato a credergli si era
mantenuta accomodante.
«No che non posso, sono un
uomo sposato. Non dovrei provare dei sentimenti simili per qualcuno che non è
mia moglie. Ti sbagli in ogni caso: Benedict sarà anche stato un soggetto più
incline all’infatuazione; ma alla fine quello messo male, come puoi vedere,
sono io. » Ribatté il biondo, resistendo all’irrefrenabile tentazione di
nascondersi nuovamente nelle proprie mani. «Come se non bastasse, la mia non è
una semplice cotta. Magari fosse così. Il mio è un tormento. »
«Non dovresti, eppure lo
stai facendo comunque. Se il tuo è veramente amore, allora non lo puoi fermare.
Nemmeno Amanda può, poiché staresti sempre in pena, vecchio mio. »
Moffat aveva ragione.
Aveva dannatamente ragione su tutta la linea. Martin poteva avvertire la
veridicità di quelle affermazioni sferzargli l’anima come una frusta
invisibile. Era impotente; impotente davanti a sé stesso. «Ma... »
«A questo punto sarebbe
l’ora che la smettiate di flirtare sul set e iniziaste a fare sul serio, voi due.
Almeno risparmiereste noialtri! » Scherzò l’altro. «Comunque Benedict ci sta
guardando. »