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Autore: Castiel Who    19/05/2013    1 recensioni
Ben e Martin sono migliori amici. Martin, però, è conscio di provare sentimenti che vanno ben più in là della semplice amicizia e rimanere indifferente (soprattutto quando lui e Ben dividono le stanze d'Hotel) è sempre più difficile. Non vuole fare nulla per rovinare la loro amicizia ma, una notte, ubriaco, si confida con Moffat. Moffat inizia a tentare di spingerlo a farsi avanti, ma Ben legge i loro continui bisbigli segreti come prova di un loro coinvolgimento sentimentale. Geloso, inizia a fare dispetti e a commentare sarcasticamente tutto quello che fa Moffat.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Benedict Cumberbatch, Mark Gatiss, Martin Freeman, Rupert Graves, Steven Moffat
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Insostenibile. Tutto ciò era diventato insostenibile. Poteva passare lo stare insieme a lui per un tempo che andava a ricoprire praticamente tutte le ore del giorno durante il periodo delle riprese e quando si presentava una ricorrenza speciale come una convention. In tali occasioni, stare lontano da Benedict non era un’impresa impossibile: c’era sempre qualcuno che veniva a reclamare uno di loro, occupandoli entrambi in separata sede. Nel caso che ciò non accadesse, una parte di lui esultava al cocente ardore che gli ribolliva dall’interno per la vicinanza del rosso. Lo faceva sentire come un adolescente pieno di ormoni che tenta di venire a patti con una cotta epocale. Il fatto che questi tumulti interiori che aveva scoperto mettergli in subbuglio lo stomaco e il cervello lo colpissero senza alcun preavviso, a qualunque ora del giorno, era la parte peggiore.  

Allo stesso tempo, l’altra parte del suo animo ne restava sgomenta. Era sbagliato. Era sposato e Benedict era il suo migliore amico. Martin non avrebbe mai dovuto provare una cosa simile, non per lui, almeno. Eppure, ogni volta che si ritrovavano nella stessa camera e poteva osservare segretamente l’amico cambiarsi per la notte, i suoi neuroni divenivano incapace di fare le loro regolari sinapsi. Nel vederlo svestirsi, la frequenza cardiaca di Martin aumentava precipitosamente, la sua bocca si inumidiva contro la sua volontà e il sangue lasciava il suo cervello per confluire in altre parti meno opportune del suo corpo. La particolare bellezza di Cumberbatch non era semplicemente in grado di ammaliarlo; sarebbe, piuttosto, stato più corretto dire che lo dilaniava dentro come una stilettata ben assestata nelle viscere.

Allora Martin si cambiava alla velocità della luce, evitando di incontrare lo sguardo magnetico dell’altro e nascondendo come meglio poteva la pura attrazione fisica che provava. Nascosto dal pigiama e le coperte spesse, poteva soltanto aspettare che il desiderio si placasse e la consapevolezza di star condividendo la stanza da letto con Benedict sfumasse e lo lasciasse riposare.

«Un altro giro. » disse Martin alla barista dai corti capelli azzurri vestita con i soli top e pantaloncini corti quanto culottes. A giudicare dal suo abbigliamento, se non si fosse trovato in un locale ampiamente riscaldato di Londra, Martin avrebbe giurato di trovarsi in un qualche posto esotico nel quale, se avesse varcato la porta di uscita, probabilmente si sarebbe ritrovato davanti una bella spiaggia con tanto di palme e sdraio. Era una ragazza attraente, ma non abbastanza da distrarre i suoi pensieri dall’uomo dall’altra parte della stanza che svettava con la sua chioma, tornata rossa dopo la fine delle riprese, su tutti gli altri clienti presenti nel locale. Nemmeno Amanda ne era in grado, e questo gli provocava una morsa di dolore e rancore al cuore.

«Ecco a lei. » Rispose cordialmente la giovane prima di dirigersi verso qualcun altro.

Martin ingollò l’ennesimo bicchiere della serata e si alzò dalla sedia senza schienale. Il mondo gli girò intorno a tutta velocità e la testa si fece leggera come un palloncino. Barcollò indietro e, prima di cadere rovinosamente a terra, si appoggiò allo sgabello che aveva appena lasciato. Non gli era capitato spesso di ubriacarsi a tal punto.

«Martin! » Abbaiò qualcuno che lo afferrò al volo per le spalle.

«Steven. » Rispose prontamente l’interpellato senza bisogno di voltarsi.

«Sei ubriaco marcio, non ti reggi in piedi. » Lo rimproverò Moffat con tono austero. «Vieni, andiamo a sederci da qualche parte. »

Martin si lasciò condurre fra le file di tavoli e sedie fino a che l’altro non ne trovò uno libero addossato al muro. Quello di cui avevano bisogno era un posto intimo e abbastanza lontano dal frastuono della musica al massimo del volume. Si sedettero l’uno di fronte all’altro sui divanetti in pelle nera e rimasero a scrutarsi senza accennare una parola. Per fortuna di entrambi, il primo a rompere quel silenzio imbarazzante fu Moffat.

«Vuoi spiegarmi che ti succede? » Domandò con cipiglio preoccupato, le mani congiunte sul ripiano davanti a sé.

La severità che il più vecchio lasciò trasparire fece rabbrividire Martin. «Non mi succede niente. » Rispose secco.

«Già, e io ho vinto un Oscar. Lo vado a ritirare domani. » Ironizzò lo sceneggiatore.

«Non ho niente, dico davvero. » Ripeté il biondo. «Ho soltanto alzato un po’ troppo il gomito, tutto qui. »

«Dubito che tu lo abbia fatto senza un motivo, visto che domani giriamo. »

Martin si sentì in trappola. Sarebbe volentieri uscito da quel locale chiassoso senza dire niente a nessuno, per prendere il primo taxi e dirigersi al loro hotel. Non aveva alcun problema a pensare che Benedict, al suo rientro, lo avrebbe trovato sotto le coperte di uno dei due letti, già addormentato da un pezzo. «Sono soltanto stanco. » Si giustificò.

«Vallo a raccontare a qualcun altro. Sono settimane che ti osservo, e ti assicuro che ogni volta che poso gli occhi su di te non mi appari mai meno strano del giorno prima, anzi. »

«Cosa fai, adesso mi spii? »

«Non ne ho bisogno. È semplicemente palese che tu abbia qualcosa che non va. »

Martin sorrise amaramente e abbassò lo sguardo sulle venature del legno scuro del tavolo. «Steven... Non puoi capire. » Sospirò, rassegnato.

«Si tratta di Amanda? » Domandò Moffat, sinceramente preoccupato per l’amico.

«No, io... Non si tratta di lei, si tratta di me. » Rispose sbrigativo, mantenendo gli occhi bassi come se si fosse fatto carico di qualche grave colpa.

«Non potresti essere un po’ più chiaro? »

«Più chiaro? Gesù, non riesco a essere chiaro neanche con me stesso! » Ribatté Martin più acido di quanto avesse voluto. «È assurdo. Mi sento come se le mie certezze siano tutte andate in fumo. » Ammise, poi.

«Magari domani mattina le vomiterai insieme a tutto quell’alcol che ti sei scolato. » Lo beffeggiò l’altro.

«Molto divertente, Steven. Davvero molto divertente. »

Moffat tamburellò le dita sulla superficie liscia. «Allora, quali erano mai queste tue certezze? » Domandò con un tono notevolmente più accomodante, seppur con un filo di ironia.

«Non vuoi saperlo, non veramente. »
«Suvvia, non fare il drammatico adesso. Te l’ho domandato perché desidero saperlo, non sarei tanto logico, se così non fosse. Inoltre dubito che sia qualcosa di così grave come avere ucciso qualcuno. »

La gola di Martin si chiuse improvvisamente, come se si rifiutasse di permettergli di rispondere sinceramente a quella domanda posta con tanta leggerezza. Ma, nonostante l’annebbiamento che l’alcol aveva regalato ai suoi poveri sensi, l’attore fu pienamente consapevole della preoccupazione celata negli occhietti scuri di Moffat. Non sarebbe servito altro perché si decidesse a sputare il rospo. «Steven, non sono più certo di che cosa sono. Credevo di sapere che cosa voglio dalla mia vita, una volta, ma ora... » Si interruppe per poter riflettere sui fatti e mettere in ordine i pensieri. «Se ti dico una cosa, mi prometti che non la dirai ad anima viva? »

«Diamine, di qualsiasi cosa si tratti, devi reputarlo davvero così grave, se continui a fare il guardingo in questo modo. » Rifletté ad alta voce il più vecchio. «Inizio seriamente a preoccuparmi. »

«Me lo prometti? » Domandò ancora Martin.

«Sì. Sì, Martin, te lo prometto. »

Freeman trasse un respiro profondo. «Si tratta di Benedict. » Sentenziò a testa bassa. Nemmeno lo stato di ebbrezza passeggera che lo pervadeva era in grado di distogliere i suoi pensieri dal migliore amico. Sentendo la bocca terribilmente impastata, inghiottì rumorosamente e si chetò, in attesa di una qualsiasi reazione da parte dell’altro: come se pronunciare quel nome fosse abbastanza per spiegare la sua intera situazione. »

«Hai qualche problema con Ben? » Lo interrogò Moffat, questa volta facendo sfoggio della sua migliore pazienza. «Non avrete mica litigato, vero? »

«No. No, assolutamente. Tutto il contrario, oserei dire. » Rispose Martin il più sbrigativo possibile. «O almeno così è per me. Credo di essermi innamorato di lui. » Rivelò tutto d’un fiato.

Dal momento in cui pronunciò quelle parole, l’attore si aspettò una reazione di estrema sorpresa, magari con un pizzico di rabbia verso un sentimento simile rivolto proprio al compagno di lavoro con il quale doveva condividere gran parte delle inquadrature. Invece, contro ogni aspettativa, lo sceneggiatore scoppiò a ridere.

«Sei spassoso, Martin. Pensa che ci sono quasi cascato come un idiota! »

«Non era affatto una battuta, Steven. Sono serissimo. » Ribatté Freeman indignato.

«No, non può essere vero. Non tu, di tutti quelli che conosco. » Nel rispondere, il sorriso di Moffat si spense come una candelina su una torta di compleanno. «Sarebbe più credibile sentirsi dire una cosa simile da lui, piuttosto che da te. »

Martin sorrise amaramente. «Lo credevo pure io, una volta. » Ribadì. «Ma ora sta la cosa sta diventando insopportabile. Non posso più evitarlo e ripetermi “no, Martin, sei solo stanco, vai a dormire”. Nessuno può capire cosa si prova. » Affondò il volto fra le mani e rimase immobile finché a rompere nuovamente il silenzio non fu Moffat.

«Ammettiamo che sia così. Ammettiamo che ti sia innamorato di Benedict. Cosa vorresti fare a riguardo? »

«Non ne ho idea! Non sono mai stato più insicuro in tutta la mia vita. L’unica cosa che so è che lo voglio. Per quanto possa essere sbagliato e immorale verso mia moglie, lo voglio con tutto me stesso, Steven. » Il tono di voce del biondo aveva qualcosa di disperato e febbrile, come l’altro sapeva che non sarebbe mai stato da sobrio.

«Martin, guardami. »

«No. »

«Martin. » Ripeté imperioso l’amico.

L’attore, contro quanto aveva risposto pochi secondi prima, ubbidì. Ormai non aveva più niente da perdere con Moffat, e dimostrargli quanto quella situazione, insieme alle ingenti dosi di alcol che aveva in circolo, lo rendessero debole non sembrava più questo gran guaio. Al momento, poteva soltanto sperare che Steven fosse degno della sua fiducia e capace di trovare le giuste parole necessarie per alleviare la pena che gravava sul suo cuore.

«Se lo vuoi così tanto, puoi prendertelo. » Annunciò lo sceneggiatore in perfetta tranquillità. Niente, in lui, suggeriva che si trattasse di uno scherzo: l’espressione che indossava era mortalmente seria, senza traccia di un benché minimo sorriso, e l’intonazione che aveva acquisito da quando aveva iniziato a credergli si era mantenuta accomodante.

«No che non posso, sono un uomo sposato. Non dovrei provare dei sentimenti simili per qualcuno che non è mia moglie. Ti sbagli in ogni caso: Benedict sarà anche stato un soggetto più incline all’infatuazione; ma alla fine quello messo male, come puoi vedere, sono io. » Ribatté il biondo, resistendo all’irrefrenabile tentazione di nascondersi nuovamente nelle proprie mani. «Come se non bastasse, la mia non è una semplice cotta. Magari fosse così. Il mio è un tormento. »

«Non dovresti, eppure lo stai facendo comunque. Se il tuo è veramente amore, allora non lo puoi fermare. Nemmeno Amanda può, poiché staresti sempre in pena, vecchio mio. »

Moffat aveva ragione. Aveva dannatamente ragione su tutta la linea. Martin poteva avvertire la veridicità di quelle affermazioni sferzargli l’anima come una frusta invisibile. Era impotente; impotente davanti a sé stesso. «Ma... »

«A questo punto sarebbe l’ora che la smettiate di flirtare sul set e iniziaste a fare sul serio, voi due. Almeno risparmiereste noialtri! » Scherzò l’altro. «Comunque Benedict ci sta guardando. »

   
 
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