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Autore: Elos    19/05/2013    11 recensioni
Il giorno in cui Severus Piton aveva visto il cadavere di Harry Potter trascinato davanti al trono dell'Oscuro Signore era stato anche il giorno in cui aveva creduto di diventare pazzo davvero. Anche la Cruciatus non aveva potuto molto, dopo, in confronto a quello. [...]
Harry Potter è morto (?), lunga vita a Voldemort.
I Mangiamorte hanno il controllo dell'Inghilterra, e tutto quel che resta dell'Ordine della Fenice si nasconde a Grimmauld Place portando avanti un'ostinata guerriglia. Qualcosa è andato storto, ma non tutti vogliono gettare la spugna.
Esercito di Potter, il reclutamento è ancora aperto.
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Kingsley Shacklebolt, Neville Paciock
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Da VI libro alternativo
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- Questa storia fa parte della serie 'Come (non) doveva andare'
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3. Scacco




Non ci si Smaterializzava all'interno di Maeshowe, e superare le barriere camminando o a cavallo di una scopa avrebbe richiesto troppo tempo e troppa visibilità; ma la Passaporta accanto alla spina dorsale di William Rosier li guidò all'interno della fortezza come una calamita, un magnete, tirandoli attraverso le barriere. La Maledizione Imperius non aveva permesso a Rosier di seguire il grosso dei Mangiamorte ad Hogsmeade – e lo trovarono ancora lì, così, all'imboccatura del primo corridoio di Maeshowe, a meno di tre passi dalla soglia, mentre camminava avanti e indietro diviso tra l'impulso di obbedire alla Maledizione e quello di obbedire al Marchio.
Uccisero Rosier diciassette minuti dopo aver usato le Giratempo; approssimativamente nello stesso momento, in effetti, in cui Voldemort era stato avvistato/sarebbe stato avvistato/stava venendo avvistato – sul campo di battaglia di Hogsmeade.
Stavano infrangendo tutta una lunghissima serie di regole e protocolli sull'uso delle Giratempo, e facendo tutto quel che non si sarebbe dovuto fare quando se ne usava una. Cinque anni prima, ad Hermione sarebbe importato. Tre anni prima, se ne sarebbe preoccupata. Stavano causando tutta una serie di infiniti paradossi, forse irrisolvibili, perché loro erano ad Hogsmeade, adesso, e stavano combattendo – ma erano anche qui, a Maeshowe, e stavano cambiando il passato. Il piano aveva funzionato/forse aveva funzionato/forse sarebbe funzionato, Voldemort non si sarebbe Materializzato a Maeshowe – perché non era accaduto prima – e loro sarebbero riusciti a scendere e sarebbero sopravvissuti/stavano sopravvivendo ad Hogsmeade.
Quando aveva pianificato tutto assieme a Neville ed a Shacklebolt, Hermione aveva pensato a Fierobecco. Aveva pensato a quel che era successo in una notte di luna piena molti anni prima: Fierobecco che non era mai morto, in nessuno dei possibili futuri – ed Harry, Harry che aveva modificato il futuro perché l'aveva già modificato. In ogni possibile passato.
Era stato pensando ad Harry, ed al cervo che aveva messo in fuga i Dissennatori, quella notte, sulla superficie nera del lago, che Hermione aveva deciso che era una pazzia, sicuro, e forse sarebbero morti tutti, sicuro, ma era tutto quel che potevano provare. Adesso, così. Tutto quel che potevano tentare.
Avevano lasciato le Patil ed Opal Taylor appena fuori dai confini della barriera di Maeshowe, nascoste sotto un velo di incantesimi e protezioni ed accovacciate nella nebbia brumosa delle Orcadi. Soffiava un vento tagliente che sembrava arrivare fin dentro Maeshowe malgrado le pareti di terra e le torce accese, di un freddo acutissimo e denso che colava nelle ossa e rendeva pesanti i movimenti.
Doveva essere pieno di Dissennatori, là attorno, si disse Hermione. Se lo disse senza permettersi di pensarci troppo, perché se l'avesse fatto – se avesse veramente immaginato l'orda nera che portava il gelo e il terrore – proseguire sarebbe divenuto intollerabile.
Piton aveva dato loro una mappa, ed Hermione aveva aggiunto sulla pergamena tutto quel che ricordava di Maeshowe, le svolte e le porte e le barriere. Si mosse un po' a memoria, adesso, forzando da una parte tutto quel che i ricordi portavano con sé – il dolore e il panico e la nausea, quello era il punto dove Ron le aveva cacciato in mano la Passaporta e l'aveva spinta via, lì Harry si era fermato ed aveva detto loro di proseguire senza di lui, qui il Mantello si era impigliato una prima volta e da quella porta era apparso Voldemort...
Le pareti di Maeshowe sembravano fremere, tremare. Hermione pregò che le Patil riuscissero, che il rito funzionasse, pregò di aver avuto ragione, e scese la prima rampa di scale.

Vedere l'Ordine e l'Esercito schierati nella loro interezza nelle strade di Hogsmeade e come pronti per l'ultima battaglia aveva attirato Voldemort all'esterno: era andato e si era portato dietro i suoi luogotenenti, il Circolo Interno, gran parte dei suoi Mangiamorte ed una schiera di Dissennatori così fitta da oscurare il cielo; ma non aveva lasciato Maeshowe precisamente sguarnita.
Non meno di cinque, aveva detto Neville. Erano in nove, adesso, e farsi largo attraverso la tomba-fortezza richiese loro ogni oncia d'energia, magia e astuzia che avevano.
Uccisero Alecto Carrow ai piedi delle scale e Amycus quando venne loro incontro urlando. Non lasciarono al Mangiamorte che venne dopo il tempo di dare l'allarme: Remus l'abbatté con un'Avada Kedavra proprio nel mezzo del petto. Draco usò l'Ardemonio sulla prima stanza che trovarono, e non si fermarono a guardare quel principio di incendio trasformare la tomba di Maeshowe in una pira, ma proseguirono ancora.
Remus smontò una trappola nel mezzo del corridoio del primo livello sotterraneo, e poi un'altra sulle scale che portavano in basso. C'era una fossa piena di Inferi che tagliava la strada dopo l'ultimo gradino: il corridoio riprendeva solo dall'altra parte della crepa, ed era troppo lontano per poter saltare.
Ci doveva essere un percorso alternativo, si disse Hermione, freneticamente, i Mangiamorte dovevano pure poter passare in qualche modo. Remus salmodiava incantesimi alla sua sinistra nella speranza di trovare quello giusto ed aprire la strada, l'Ardemonio crepitante alle loro spalle, e il calore e il rumore le impedivano di riflettere. Un incantesimo di levitazione fallì miseramente; un tentativo di Trasfigurare il pavimento in un ponte di terra, dapprima, e poi di corda, non dette alcun effetto. Pensa. Hermione chiuse gli occhi. Pensa. Pensa, pensa, pensa.
Uno dei gemelli la spinse da una parte ed entrambi puntarono la bacchetta nel fondo della fossa:
Geminio.”
Geminio!”
“Che cosa state facendo?” bisbigliò Draco, inorridito. Gli Inferi nella fossa avevano preso a duplicarsi, adesso, più mani che si protendevano verso di loro, più corpi pressati, spingendosi l'uno addosso all'altro nello spazio improvvisamente dimezzato. Draco inghiottì a vuoto. “Non dovrebbe poter funzionare sugli esseri umani...”
Hermione batté le palpebre, gli occhi fissi sulla marea di corpi sfasciati e rotti, le pupille cieche, le bocche socchiuse senza respiro e senza voce.
“Gli Inferi non sono più umani,” bisbigliò. Puntò la bacchetta nella fossa ed esclamò “Geminio!”
Un attimo dopo erano tutti sul bordo della crepa spalancata, le bacchette dirette contro gli Inferi che continuavano a premere gli uni addosso agli altri, sempre più, sempre di più, arrampicandosi e salendo, spinti verso l'alto dalla loro stessa massa, perché erano diventati troppi per la crepa stretta e fonda. L'odore era quello di carne morta, putrida, di cose viscide e aperte, ed era un odore pervasivo, invasivo, un odore vischioso che sembrava penetrare dentro la pelle. Hermione cercò di non respirare, al principio,e poi di tirare solo respiri piccoli piccoli, mezzi respiri che non servivano ad attutire il fetore, ma lo rendevano meno assoluto.
Quando uno degli Inferi riuscì a sporgersi abbastanza da cercare di afferrare l'orlo della gonna di Molly con le dita adunche e contratte come artigli – Hermione pensò alla mano-ragno di Ginny e dovette combattere la nausea per un attimo – Remus abbassò la bacchetta in una sferzata rapida:
Duro!”
Procedettero su un sentiero di Inferi pietrificati, facendosi largo tra braccia e mani protese, sollevate. L'inferno doveva essere così, si disse Hermione, un lago di pietra e i morti tra le onde, il fetore e il freddo e il buio e nessun posto dove scappare. Se lo disse vacuamente: anche l'orrore sembrava aver raggiunto un livello oltre il quale si faceva apatico e sordo.
L'Ardemonio sarebbe giunto presto fin laggiù e forse – ti prego, fa' che sia così – anche del sentiero di Inferi non sarebbe rimasto niente.
I Mangiamorte arrivarono quando avevano già un piede nel corridoio, al sicuro, e solo Fred era ancora appoggiato sulle spalle degli Inferi. Hermione usò il Sectumsempra sul primo Mangiamorte che le capitò davanti, perché le mani le tremavano troppo, per la nausea e il terrore cieco, vuoto, per essere certa di avere la concentrazione necessaria per la Maledizione Che Uccide.
Non ci furono più soste, dopo: nessuna pausa, nessuna interruzione, solo Mangiamorte che continuavano ad arrivare e poi i Dissenatori, poco più sotto, ed un livello più in basso un qualcosa viscido e grosso come un enorme serpente, ma con troppe teste e troppi occhi, che dovettero fare a pezzi per poter superare. Remus rimase davanti ad Hermione per tutto il tempo, Molly giusto in fondo alla fila, ed Hermione ebbe l'impressione che la stessero proteggendo, che tutti loro stessero cercando di tenerla in mezzo al gruppo, protetta e schermata da ogni lato. Avrebbe voluto protestare – ma ogni passo che faceva e che la portava giù, sempre più giù, era un passo più vicino al cuore di Maeshowe, un passo più vicino al posto dove avevano trovato Ginny, rotta e cieca e distrutta, Ginny che non si poteva più rimettere insieme, Ginny che non c'era più anche se Harry era rimasto indietro per salvarla.
Se si fosse fermata, pensò Hermione, se avesse parlato per dire qualcosa che non fossero istruzioni o per pronunciare qualcosa che non fosse una maledizione, si sarebbe rotta anche lei. Sarebbe andata in pezzi, così.

Tre anni prima, Piton aveva scoperto Harry nel fondo delle celle-tombe di Maeshowe. Tre anni dopo, c'erano buone possibilità che non fosse più lì – perché una persona intelligente, pensava Hermione, una persona lucida e sana di mente, l'avrebbe fatto sparire immediatamente, spedire dall'altra parte del mondo, trasportare in un'altra prigione, in un'altra gabbia, che forse sarebbe stata meno sicura, ma che indubbiamente sarebbe stata meno ovvia.
Voldemort non era sano di mente. Voldemort non era lucido. Voldemort aveva tagliato via fette della propria anima.
Perché mai avrebbe dovuto farlo? Aveva detto Draco. Era stato solo pochi giorni prima, ma sembrava fosse passata una vita, da allora, tutta una vita in cui Hermione non aveva fatto altro che uccidere Mangiamorte mascherati in corridoi bui, freddi, senza vie di fuga. L'Ordine lo credeva morto e nessuno lo avrebbe cercato.
Era la situazione perfetta!

Si aggrappò a quel pensiero, anche se faceva male, e continuò a tenerlo stretto mentre scendevano.
“Ci siamo,” bisbigliò, alla fine, un milione di ere più tardi, tanto più in basso rispetto al livello del terreno da darle l'illogica, folle impressione di essere scesa fin nel centro della terra. “E' qui che abbiamo trovato Ginny.”
Sarebbe stato terribile, pensò, se Harry fosse stato proprio lì dentro, lì dove Ginny era stata, lì dove l'aveva presa, sollevata, il posto dal quale l'aveva tirato fuori. Cosmicamente ingiusto. Cosmicamente orribile. Pregò che Voldemort non gli avesse fatto questo – almeno questo – ma la cella era vuota. Molly fissò le sbarre con un'espressione tanto vuota da fare spavento.
L'aria era pesante e densa: sembrava loro di sentir premere tutto il suolo che avevano sopra la testa, tutti i piani e le stanze e la massa pura e cruda di terra e sassi, comprimendoli da ogni lato. Ad Hermione fischiavano le orecchie. Pensò ad Harry chiuso per anni – tre anni, dodici mesi per tre anni, trentasei mesi a trenta giorni al mese, faceva un infinito numero di giorni trascorsi così, da diventarne pazzi, folli – senza sole, senza aria, con la pressione a schiacciargli il petto. Si appoggiò con una mano alla parete, perché le gambe sembrarono maldisposte, per un momento, a sorreggere il suo peso.
Remus stava passando di fronte a tutte le celle, spalancandole a colpi di bacchetta e guardando in ciascuna di esse, freneticamente. Draco gli tenne dietro, e dopo un attimo anche Molly li raggiunse. Fred e George rimasero accovacciati a fare da palo ai piedi delle scale, le teste sollevate verso l'alto. Si sentiva l'Ardemonio urlare e sfrigolare in lontananza; ad ogni secondo che passava pareva che il suono si facesse più vicino, incombente. Era il suono di un conto alla rovescia.
C'erano decine di celle, cellette, minuscole e schiacciate, poco più che buchi nel terreno dove doveva essere impossibile mettersi veramente in piedi, sdraiarsi del tutto. In una di esse, Hermione trovò un corpo lasciato a sfaldarsi; si ritrasse di fronte al fetore acuto, intollerabile, scossa dai conati di vomito, e per un attimo venne presa dal terrore di fronte all'idea che si trattasse di Harry: ma il corpo era troppo grosso, troppo alto e largo e massiccio. Non era Harry. Sentiva uno strato fine di sudore ghiacciato imperlarle la fronte e la schiena. Non era Harry. Richiuse la porta e prese un lunghissimo, profondissimo respiro nel corridoio, dove l'aria sapeva di freddo e di muffa e di paura, certo, ma non era intrisa fino alla saturazione dell'odore dei corpi morti.
“Harry!”
Il nome la fece sussultare. Remus stava richiudendo un'altra cella – vuota, erano tutte vuote – e aveva cominciato a chiamare ad alta voce.
“Harry!”
Hermione fece per dirgli di non gridare, di tenere la voce bassa; ma realizzò prima di aprire bocca che era stupido cercare di far piano, quando tutta Maeshowe, ormai, doveva sapere che erano lì. Forse lo sapeva anche Voldemort, adesso. Forse stava tornando indietro. Forse...
“Harry!” gridò anche lei, e sentì Molly farle eco. Corse lungo la fila di porte chiuse, aprendole tutte, una dopo l'altra, senza smettere di chiamare, Harry, Harry, Harry. Per anni aveva cercato di non nominarlo mai, mai, Harry, perché c'erano due nomi che le facevano male al cuore, Ron ed Harry, i nomi di quelli che erano venuti con lei a Maeshowe e che lei aveva lasciato indietro, quelli che aveva abbandonato, e Ginny non era neanche veramente viva, adesso, non l'avevano salvata, non c'era stato più niente da salvare, stupidi e ignoranti e arroganti, avevano creduto di poter sconfiggere la morte e ora Ron era morto, Hermione non l'avrebbe mai più sentito ridere e protestare e lamentarsi, ed Harry... Harry...
“Qui non c'è nessuno,” disse Draco. Lo disse molto piano, una mano ancora sulle sbarre di una delle celle; ma, quando Hermione si girò di scatto ed aprì bocca per protestare, furiosa, lo ripeté con diverse once in più di convinzione nel tono di voce: “Non c'è nessuno, Granger.”
“Ci sono altre...”
“Non ce ne sono.”
Hermione sbatté le palpebre. Per un attimo, le sembrò che il mondo le tremasse sotto i piedi. Tutte le porte erano aperte: erano state decine, dozzine di porte chiuse, decine e dozzine di possibilità, e adesso erano tutte aperte e non c'era...
Non c'era nessuno.
Harry non c'era.
Era stata una scommessa, si disse. I pensieri si muovevano a fatica dentro di lei, rimbalzando gli uni addosso agli altri, affollandosi, viscidi e vischiosi, senza far presa da nessuna parte ma troppo densi per poterli spingere via e svuotarsi la mente.
Era stata una scommessa. C'era sempre stata la possibilità che fosse tutto inutile – che Harry non fosse lì. Forse Voldemort l'aveva portato via. Forse era altrove. Forse era morto. C'era sempre stata la possibilità che fallissero, anche se avessero vinto, anche se tutto fosse andato bene, c'era sempre stata la possibilità che tutto quel che avevano fatto per arrivare fin lì si rivelasse privo di senso.
Remus continuava a muoversi su e giù per le celle, entrando in ciascuna di esse, esplorandole, come non volesse credere che quel che aveva di fronte agli occhi era la verità; come non volesse credere che Harry non c'era, non era lì, non l'avrebbero trovato. Molly stava guardando la cella vuota di Ginny, di nuovo, ed era evidente che stesse vedendovi dentro qualcos'altro. Ginny che era sfuggita a Maeshowe – ma non veramente. Ginny che non si svegliava, che non si sarebbe più svegliata.
Privo di senso, pensò Hermione. Avrebbe voluto potersi lasciar cadere a terra, rannicchiarsi e piangere, perché era tutto privo di senso, privo di senso, insensato, tutte le cose sbagliate e ingiuste e orribili che erano accadute, prive di senso. Il mondo aveva perso di logica.
Si era aggrappata così tanto all'idea che fosse vivo, Harry, che respirasse ancora, che aveva perso l'appiglio sulle barriere e sulla distanza che era riuscita a costruirsi nel corso degli ultimi tre anni, lentamente, faticosamente, un mattone di ostinazione ed insensibilità alla volta. Non trovarlo, così, fu come saperlo morto di nuovo.
Alla fine, anche Remus dovette fermarsi. Hermione si sentiva il petto così pieno, gonfio, da avere l'impressione che non ci fosse più spazio nei suoi polmoni per tirare il fiato, e quando Molly le posò una mano sulla spalla dovette reprimere l'istinto di urlare.
“Dobbiamo andare,” le disse Molly.
Hermione scosse la testa.
“Non possiamo fare niente, Hermione,” insisté Molly. “Dobbiamo tornare dagli altri. Se ad Hogsmeade...”
Un fremito nelle pareti di Maeshowe le mozzò le parole in bocca; per un attimo Hermione credette che fosse la terra a tremare, un terremoto, che il fuoco ai livelli superiori stesse causando dei crolli nella fortezza – ma poi si ricordò quando Maeshowe aveva sussultato così, cos'era stata a farla fremere allora, ed un brivido di terrore ghiacciato le scivolò giù per la spina dorsale.
“E' arrivato,” bisbigliò. Draco la fissò, gli occhi pieni del medesimo orrore che Hermione si sentiva in gola. “E' Voldemort. E' arrivato.”

Dopo un istante di raggelata immobilità, Remus le afferrò la spalla che Molly non stava stringendo. “Le Patil,” le ordinò. “Chiamale. Dobbiamo uscire di qui – adesso.”
Hermione si cacciò una mano in tasca. Costrinse le sue dita a non tremare mentre si stringevano attorno ad un vecchio galeone d'oro dai bordi logori. Lo estrasse, serrandolo nel palmo con fermezza, e ne strofinò la superficie con il pollice. Il galeone rimase opaco e immutato per un lunghissimo istante; poi, mentre lei lo guardava e tratteneva il fiato, in bilico sull'orlo del terrore, i numeri di serie che formavano un circolo attorno alla superficie ossidata cominciarono a cambiare. Alcune delle cifre divennero lettere, ed Hermione dovette aguzzare lo sguardo per riuscire a decifrarle:
1 M1NUT0
“Un minuto,” ripeté a voce alta, il fiato mozzo. “Le Passaporte?”
Fred estrasse un vecchio orologio da taschino dai pantaloni, Remus tirò fuori una bottiglia di Burrobirra vuota da una tasca interna della giacca e Draco armeggiò con una sacca che portava appesa alla cintura per farne riemergere una vecchia cravatta.
Le guardarono, raccolti a circolo attorno alle Passaporte, e sul viso di tutti passò la medesima domanda: funzionerà?
“Se non dovesse funzionare...” cominciò Remus, lentamente. Draco fece un gesto impaziente, come per interromperlo, ma Remus proseguì guardando Hermione in viso: “... ne sarà comunque valsa la pena.”
L'amarezza aveva sapore di cose perse, mancate. Aveva l'odore del fallimento. Hermione scosse la testa.
“E' stato inutile,” disse piano.
“Dovevamo provarci,” ribatté Remus con fermezza. “Abbiamo fatto la cosa giusta.”
Draco serrò le dita attorno alla vecchia cravatta e la alzò nel mezzo del gruppo, scuotendola un po', la fronte aggrottata e l'espressione caparbia:
“Funzionerà.”
Hermione non poté fare a meno di sorridere un po'.
Maeshowe fu scossa da un secondo tremito, più forte, più violento, e il calore dell'Ardemonio cominciò ad invadere anche il livello inferiore di Maeshowe: tuttavia, malgrado le vampe e il fuoco e la luce rossastra che sembrava ingoiare quella flebile delle torce che avevano acceso, c'era una qualità di freddo invincibile che andava calando su di loro e che sembrava permeare le ossa, affondare nella carne, portare via ogni gioia, ogni speranza. Hermione chiuse gli occhi – e li spalancò, di botto, quando il ricordo del viso di Ron proteso verso il suo, coperto di graffi, di terra, terrorizzato, si fece strada al di sotto delle palpebre.
Ad occhi chiusi, il potere dei Dissennatori aveva effetto più in fretta.
“Sono quasi qui,” mormorò George.
Draco cominciò a battere i denti, per il freddo, la paura; si girò verso di lei, le dita sempre strette attorno alla cravatta – quelle di Hermione solo un centimetro più in basso, così vicine che, ogni volta che muoveva appena la mano, toccava quelle di lui.
Fu in quell'attimo che Maeshowe sembrò morire.
Era una strana sensazione: fino a quel momento era stata come una cosa viva, pulsante, come un cuore gelido che batteva tutt'attorno a loro, e il tremito delle sue pareti accese li aveva accompagnati mentre scendevano, scendevano, scendevano. L'Ardemonio parve prendere entusiasmo e foga, tutto ad un tratto, ed Hermione lo sentì stridere e crepitare con crescente violenza, vide le ombre e le teste adunche, mostruose, che si dimenavano tra le fiamme, non più trattenute dalle barriere attorno e dentro Maeshowe, e seppe che ce l'avevano fatta. Il pensiero giunse portando con sé una colata d'incredulità che parve gelarla sul posto.
Ce l'avevano fatta.
Le Patil c'erano riuscite.
Potevano andarsene.
Potevano...
“Ha funzionato!” esclamò Draco, trionfante, ed Hermione fece per stringere le dita più forte ed aspettare lo strattone all'altezza dello stomaco che l'avrebbe trascinata via, fuori da Maeshowe, al sicuro; ma l'urlo di Molly la colse di sorpresa. Alzò la testa di scatto, e così facendo vide in fondo al corridoio e alla base delle scale un paio di piedi bianchi e scalzi e scarni scendere i gradini, vide l'ombra nera delle vesti e l'aura di terrore e orrore impotente che aveva cominciato ad accompagnarlo da quando Maeshowe e Brodgar erano stati fusi assieme, vide la faccia serpentina senza naso, senza labbra, con occhi troppo stretti ed un'espressione di furia indescrivibile, perché doveva essersi accorto di quel che era accaduto a Maeshowe, Voldemort, e la cosa non doveva essergli piaciuta per niente.
Per un attimo, Hermione credette che il cuore le si fosse fermato in petto.
Ma poi una palla di luce azzurra non più grande di un pugno passò schizzando accanto alla testa di Voldemort, giù per la strettoia delle scale, e sfrecciò nel corridoio.
Hermione sentì la cravatta sfuggirle dalle dita.
“Ron...?” bisbigliò. Sentì Remus gridare, le mani di Draco cercare di afferrarla, di trattenerla, ma tutto il suo mondo si era ridotto alla sfera, alla luce, al globo di luce rubata del Deluminatore di Silente che stava schizzando verso di lei. Anche Voldemort sembrava essere scomparso di fronte a quella luce.
Il globo del Deluminatore le arrivò di fronte e, senza rallentare, le passò attraverso. Hermione smise di pensare: si girò e spinse via le braccia protese verso di lei, mentre Fred e George e Molly sparivano assieme a due delle Passaporte, mentre Remus urlava e un lampo di luce color dell'ambra illuminava a giorno il corridoio alle sue spalle – la luce di un Protego – e Draco si lasciava cadere la cravatta di mano. Anche la cravatta scomparve nel nulla, al sicuro e senza passeggeri, chiamata via assieme alle altre Passaporte.
La sfera azzurra schizzò come un Boccino impazzito giù per il corridoio, poi a destra lungo un breve corridoio cieco tra due ali di cellette aperte e infine attraverso quello che sembrava solo un muro di terra, un muro come tutti gli altri, un muro chiuso, ma Hermione sapeva che quella era il globo del Deluminatore, sapeva chi aveva creato il Deluminatore, sapeva a chi apparteneva, a chi doveva appartenere, Ron, Ron, Ron, aveva visto Ron accendere e spegnere le luci di Grimmauld Place troppe volte per non riconoscere l'incanto, troppe volte per non credere che dietro al muro, solo dall'altra parte...
Bombarda Maxima!” urlò. Non si aspettava che funzionasse davvero – ma tutte le barriere di Maeshowe erano ancora alzate, distrutte, e Voldemort era solo umano, adesso. Il muro esplose in una pioggia di terriccio e detriti ed Hermione ne sarebbe stata investita, se non fosse stato per il Sortilegio Scudo lanciato da Draco proprio di fronte a lei.
“Sei impazzita?” urlò lui, afferrandole un braccio. “Sei pazza, moriremo tutti, dobbiamo Smaterializzarci via di qui! Dobbiamo...”
Smise di urlare, di botto, e il silenzio fu assordante.
Dietro al muro cieco che non era poi, dopotutto, così cieco come sembrava, c'era una celletta piccola e stretta dalle pareti di terra nuda e il pavimento rivestito di pietra. La luce azzurra del globo del Deluminatore la illuminava fiocamente, e sotto la luce si vedeva la forma per terra, rannicchiata sotto qualcosa che forse era una coperta. C'era un fetore pungente nell'aria, fetore di corpi sporchi, non lavati, non di corpi morti; era l'odore di una persona viva, ed Hermione fece un passo avanti ed esalò:
“Ron?”
La cosa rannicchiata sotto la coperta si mosse debolmente, tutta arti lunghi e magrissimi e giunture gonfie, ed Hermione si lasciò cadere in ginocchio e gattonò accanto ad essa, sentendosi piena di panico e di una strana, dolorosa forma d'eccitazione.
“Ron?” chiamò ancora, e poi: “Harry...?”
Sentì rumore di passi in corsa lungo il corridoio mentre lei ancora stava cercando di racimolare il coraggio di toccare la persona sotto la coperta, e la voce di Remus esclamare in tono d'urgenza, affannato e teso:
“Gli scudi nel corridoio li rallenteranno solamente, non potranno... oh, Merlino.” La voce virò bruscamente all'incredulità ed all'orrore. “Hermione?”
“Harry?” bisbigliò ancora lei. “Ron? Harry?”
Afferrò una di quelle gambe magrissime, scomposte, e la persona sotto la coperta alzò finalmente la testa, a fatica, e la guardò e si guardarono e aveva gli occhi verdi.
Hermione gli buttò le braccia al collo, senza pensare, ed Harry puzzava ed era troppo magro e parve non riconoscerla, al principio: ma poi tutta la faccia gli si illuminò come da dentro. Alzò le mani – che erano magre e rovinate, ma non mani-ragno, non come la mano di Ginny – e le strinse la giacca, aggrappandosi ad essa con tutta la disperazione senza forze di un naufrago con la sua tavola.
Aprì bocca ed Hermione si aspettò di sentir uscire dalle sue labbra spaccate il suo nome, il nome di Ron, qualunque cosa, ed invece quel che venne fuori fu solo una serie di sibili rotti ed orribilmente familiari.
Lo scudo di Remus si ruppe da qualche parte nel corridoio alle loro spalle. Hermione serrò le braccia attorno ad Harry, chiuse gli occhi e si concentrò forte, forte, più forte che poteva, sull'essere fuori di lì, sull'essere a Grimmauld Place, sull'essere al sicuro, in salvo, altrove.
Si Smaterializzarono attraverso le barriere alzate.

L'ultima cosa che Hermione credette di sentire – ma forse l'aveva solo immaginata – fu l'urlo di Voldemort alle loro spalle, nel corridoio, che se li vedeva sfuggire di mano.

- - -



“Tre minuti,” mormorò Neville. Avrebbe dovuto essere a letto. Avrebbe dovuto riposare. Aveva la faccia bendata – ancora una volta – e Madama Chips aveva spiegato che la nuova ferita aveva danneggiato l'occhio sinistro irrimediabilmente; che, se anche c'era stata una possibilità di salvarlo dopo le Acromantule, adesso quella possibilità non esisteva più. Kingsley aveva detto qualcosa a proposito di Malocchio Moody e Neville aveva sorriso. “Le Patil e la Taylor sono riuscite a tenere il Cerchio di Brodgar sollevato per tre minuti.”
Hermione tenne la testa sulle braccia intrecciate, i gomiti premuti sulle ginocchia, e non alzò lo sguardo. Si sentiva stanca: stanca di una stanchezza vibrante, fremente, che le impediva di dormire, stanca e troppo leggera, insieme troppo piena e troppo vuota, stanca come non era stata stanca mai. Dalle scale si sentivano le voci che provenivano dal piano di sotto, da quello di sopra, i lamenti e i pianti, il suono dell'Ordine e dell'Esercito che si contavano e che si trovavano decimati.
Amos Diggory era morto; con lui era caduta Katie Bell, che si era rifiutata di non prendere parte alla battaglia malgrado le ferite che aveva già riportato a Newcastle, era caduta Emma Lee Carlisle dell'Ordine, Anthony Finnegan dell'Esercito, e poi gli altri, tutti gli altri, tutti quelli dei quali Hermione non conosceva il nome, tutti quelli che erano morti perché Maeshowe potesse essere aperta.
“Non bastano,” disse Hermione.
Non ebbe bisogno di girarsi per sapere che Neville la stava guardando.
“Sono bastati,” replicò lui.
“Adesso Voldemort sa che possiamo farlo.” Sentendo di avere la voce rauca e graffiata, la gola troppo secca, Hermione si leccò le labbra asciutte. “Sarà pronto, la prossima volta.”
Dean Thomas e Jordan Lee avevano riportato ferite tanto gravi da costringere gli altri a trascinarli via dal campo di battaglia. Seamus Finnigan era stato dichiarato disperso – ed erano passate ore dalla fine della battaglia, troppe ore, tutti cominciavano a chiedersi se i Mangiamorte non l'avessero preso, se non l'avessero loro, adesso, se sarebbe ricomparsa presto un'altra pelle appesa alle porte di Diagon Alley, un'altra testa in un cesto, un altro corpo fatto a pezzi mentre respirava ancora. Hestia Jones avrebbe perso probabilmente l'uso di una mano. Nessuno sapeva se Arthur Weasley sarebbe sopravvissuto: quando l'avevano tolto dalle mani dei Dissennatori, uno di questi aveva già avuto la bocca spalancata.
“Hermione...” mormorò Neville. Lo mormorò con gentilezza, e fu la gentilezza a causare il crollo di lei: che sentì le cose creparsi e franare nella sua testa, tutto il panico e il terrore e il senso di colpa e l'angoscia, i ricordi come flutti di marea, come un'inondazione, e non c'era niente a trattenerli adesso che la diga delle cose da fare si era esaurita.
Dean, Jordan, Seamus, Arthur, Arthur, Arthur, Katie e Amos ed Anthony ed Emma e tutti gli altri a cui non riusciva a dare un nome, una faccia, e se ne vergognava, adesso, si vergognava di non riuscire a ricordarli tutti, perché tutti quelli che erano caduti, che forse sarebbero caduti, erano morti e stavano forse morendo perché Harry potesse essere salvato, e lei l'aveva lasciato indietro, Harry, l'aveva lasciato, non c'era stato nessuno a salvare Harry per tre anni, nessuno che sapesse che era vivo, che respirava, che stava continuando a respirare a Maeshowe e che respirava da solo, che Ron era tornato indietro per aiutarlo ed Hermione non l'aveva fatto.
Sentì le lacrime colarle sul viso e la gola vibrarle per i singhiozzi e cercò di non fare troppo rumore – c'erano altri che piangevano, al piano di sopra, quelli che avrebbero seppellito qualcuno quella sera – quando Neville le afferrò le spalle e la tirò verso di sé. Hermione gli affondò la testa nel collo. Cercò di non pensare. Di non ricordare. Jordan e George e Fred con la testa china su una tarantola. Dean su un manico di scopa, l'anno in cui Harry e Ginny avevano avuto mesi di luce da passare insieme, Arthur sempre così buono, così sereno, Amos che aveva portato ancora il lutto del suo ragazzo, il primo a morire, il primo, che Voldemort aveva ucciso prima ancora che la guerra iniziasse, Katie, oh, Katie. Katie.
“E' andato tutto per il meglio, Hermione,” disse Neville. Glielo bisbigliò dritto dentro un orecchio, forse nella speranza che così lei riuscisse a sentirlo ed a capirlo. “Siamo sopravvissuti. Siamo ancora qui.”
Siamo ancora qui, le stava dicendo Neville, stiamo ancora combattendo. Non ci siamo arresi. Non abbiamo perso la speranza.
Il ricordo della speranza era il ricordo dei Dissennatori sul lago nero di Hogwarts, in una notte con troppa luna e troppo tempo, quando il Patronus di Harry aveva tagliato in due il buio.
“E' vivo,” singhiozzò Hermione, piano, soffocando la voce contro la giacca di Neville. “Era ancora vivo, io non lo sapevo, non lo sapevo, lo giuro, non sapevo...”
Neville continuò ad accarezzarle la testa e non disse niente.

Avevano mandato Luna da Harry. Luna era arrivata, con la sua gonna viola ancora sporca di sangue dopo la battaglia di Hogsmeade, e gli aveva preso le mani, l'aveva toccato e gli aveva parlato e, quando era uscita, aveva detto che certo Harry avrebbe potuto stare peggio. Madama Chips aveva ribattuto che difficilmente Potter avrebbe potuto stare peggio, ma Hermione aveva pensato a quelli che avevano trovato in pezzi, a quelli che non avevano trovato affatto, a Severus e a Ginny. Sentiva d'essere personalmente d'accordo con Luna.
Harry era magro come un bambino denutrito, le giunture troppo gonfie, l'addome tirato, le costole in perfetta evidenza anche sotto ai vestiti pesanti in cui l'avevano infilato. Aveva una linea di lividi freschi sul braccio destro e la gamba sinistra che pareva essere stata rotta e poi rinsaldata con l'osso nella posizione sbagliata; la pelle era cicatrizzata in punti dove Hermione non aveva saputo in precedenza che si potessero creare cicatrici, era bianco del bianco che hanno i corpi chiusi al buio per anni ed anni ed anni, e sembrava che tutto quel buio e quel silenzio gli avessero danneggiato la vista e l'udito.
Harry non parlava. Sibilava, questo sì: sembrava dimenticarsi che nessuno poteva capirlo, a volte, ed allora apriva bocca e tutto quel che gli usciva erano una lunga serie di sibili sordi che davano i brividi, ed Hermione sapeva – tutti sapevano – che cos'erano quei sibili, e sapeva che nessuno poteva capirlo e sapeva – credeva di sapere – perché Harry non riuscisse a parlare una lingua diversa dal Serpentese, e quella conoscenza, quel sapere che Hermione riusciva ad immaginare, le dava una sensazione di nausea tanto forte da essere quasi fisica.
Harry era – Harry era vivo. Harry c'era ancora. Harry era : e respirava e pensava ed aveva sorriso ad Hermione prima che si Smaterializzassero fuori da Maeshowe. Hermione si aggrappava a quel sorriso come alla possibilità che qualcosa, forse, potesse ancora essere salvato.
Da Hogsmeade era tornato un esercito decimato: stavano ancora contando i morti, quelli che erano rimasti sul terreno, i feriti e quelli che forse non si sarebbero ripresi, ma già i primi che erano rientrati avevano cominciato a passare davanti alla camera dove Harry stava dormendo, alla spicciolata, al principio, uno alla volta, e poi senza neanche far finta di essere lì per caso, accalcandosi sulle scale e guardando la porta chiusa della stanza.
Hermione cercava di non pensare al fatto che quella sfilata dopo la battaglia assomigliasse tanto ad un pellegrinaggio.



Bill e Charlie ricomparvero ventiquattr'ore dopo la battaglia di Hogsmeade. Avevano con sé una coppa d'oro vecchio, piccole ustioni sulle mani e sulle braccia ed un'espressione di soddisfazione fosca sul viso. Hermione non ebbe bisogno di chiedere per sapere che la spedizione alla Gringott era andata bene e che c'era un Horcrux di meno da trovare, adesso.
Lo bruciarono come avevano fatto con il Medaglione, e Bill e Charlie raccontarono che era stato Fletcher ad aiutarli a scappare. Non ce l'avrebbero fatta, se non fosse stato per lui. Aberforth Silente era uscito dal suo locale nel mezzo della battaglia di Hogsmeade per mettersi al fianco dell'Ordine, e così adesso era stato riconosciuto, era un ricercato, e aveva dovuto cercare rifugio a Grimmauld Place insieme a tutti gli altri. Seamus ricomparve il mattino successivo, ferito e ammaccato e straordinariamente vivo; trovandosi accerchiato e troppo stordito per Smaterializzarsi, si era nascosto in una cantina vuota di Hogsmeade finché non era stato in grado di filarsela. Arthur sembrava stesse meglio. Si era svegliato. Si stava riprendendo. I Dissennatori non dovevano avuto il tempo di somministrargli il Bacio.
Sembrava come un mattino di primavera, pensò Hermione, come un mattino di primavera dall'aria più lieve e piena di cose buone, possibilità, speranze. Neville le spinse davanti un bicchiere di latte, a colazione, e le posò una mano sulla spalla.



Lavanda aveva somministrato ad Harry una mistura di infuso di Verbena e Pozione Soporifera per essere certa che dormisse, e Piton aveva insistito perché si aggiungesse qualche goccia di Distillato della Pace al composto. L'avevano messo nella stanza accanto a quella di Ginny, in un letto pulito, con coperte pulite e lenzuola pulite ed un pigiama pulito. Hermione aveva tirato via i cuscini del divano e glieli aveva messi tutti intorno – perché Harry continuava a sussultare e tremare, nel sonno, ed ogni posizione pareva causargli dolore dopo pochi minuti. La linea di cicatrici nuove che gli scorreva su un lato della gola ed andava a sparire sotto la maglia contrastava stranamente con la biancheria liscia del letto; la cicatrice a forma di saetta era rossa e gonfia all'attaccatura dei capelli.
Harry dormiva e dormiva, ed Hermione rifiutava di allontanarsi dalla sua stanza. Si era fatta convincere a scendere in cucina per mangiare qualcosa al mattino e alla sera, brevi pause dalle quali ritornava di corsa, nervosa, senza riuscire a persuadersi che non c'era rischio che Harry le sparisse di nuovo da sotto agli occhi. La rassicurava il fatto di non essere sola in questo: Remus continuava a fare avanti e indietro ad intervalli regolari come quelli di un pendolo, su e giù per le scale, per fermarsi nella stanza di Harry, e Molly Weasley aveva passato la notte seduta su una seggiola di fronte al letto.
Doveva essere destino, perciò, che nel momento in cui Harry finalmente si svegliò e aprì gli occhi non ci fosse nessuno a vederlo alzarsi.
Hermione, che tornò in camera con un bicchier d'acqua solo per trovare il letto sgombro e la stanza deserta, si dovette appoggiare ad una parete, barcollando, con l'orribile, allucinante impressione di aver sognato tutto. Non avevano salvato Harry. Non c'era nessun Harry da salvare, l'aveva immaginato, l'aveva solo immaginato...
Sentì qualcosa muoversi nella camera accanto e si mosse ciecamente, spinta dai propri piedi più che dalla propria testa, fuori nel corridoio e poi nell'altra stanza.
Harry era seduto accanto al letto di Ginny. Con le mani sulle ginocchia, la schiena curva in avanti e i piedi scalzi, non pareva essersi accorto dell'ingresso di Hermione. Teneva gli occhi fissi sulla ragazza sul letto, l'espressione indecifrabile; alzò un braccio, dopo un momento, e le sistemò una ciocca di capelli rossi dietro ad un orecchio, lontana dagli occhi e dal naso, con un gesto di una delicatezza insostenibile. Hermione sentì qualcosa spezzarlesi dentro: fece male, ma il dolore parve, per una volta, netto e pulito, lacerante come un taglio, come una frattura, senza residui.
Scivolando nella stanza, Hermione sollevò un'altra sedia e la posò accanto a quella di Harry, lasciandosi cadere seduta vicino a lui; così vicina che le loro ginocchia si toccavano quasi.
“Ciao, Harry.”
Harry si girò e le sorrise.





Note: Di nuovo, le prime righe sono tutte per ringraziare duedicoppe, che ha betato anche questo capitolo a tempo da record. Un buon dodici per cento del completamento di questa storia, per chi volesse cogliere la citazione, è dovuto solo a lei.

Lo scacco è la minaccia diretta al pezzo del re negli scacchi; quando è matto, determina la partita.

E anche questa settima e penultima parte di Come (non) doveva andare è conclusa. Con la prossima storia si tireranno le fila, si chiuderanno le trame e si darà un finale al tutto. Non è detto che non decida in futuro di aggiungere altri pezzi alla serie, one-shots o anche scene più lunghe, ma al momento non mi sembra probabile. La settimana prossima aggiornerò La strada sbagliata, per chiudere il mese delle domeniche buie.
Preavviso che l'ultima storia di Come (non) doveva andare probabilmente apparirà prima dell'anno prossimo; non vorrei mostrarmi troppo fiduciosa nel dire che è possibile compaia prima della fine dell'estate, ma...

Ringraziando ancora una volta tutti quelli che si sono fermati a lasciarmi un'opinione, un pensiero, quelli che stanno seguendo questa storia verso la fine - con la speranza che questo capitolo non vi abbia deluso.
  
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