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Autore: Justanotherpsycho    21/05/2013    1 recensioni
Raccolta di brevi storie ispirate al mondo di The Elder Scrolls V: Skyrim
Genere: Azione, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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5 Mano della Pioggia Fredas, 5 Mano della Pioggia
 

Non ricordo notte più lunga.
Forse perché non sapevamo se fosse ancora notte o meno.
Ho dormito malissimo, e penso che lo stesso valga per la mia compagna di cattività.
Almeno ora so che non vuole più ammazzarmi, perché avrebbe potuto farlo tranquillamente durante il suo turno di guardia. E la stessa cosa deve pensare anche lei di me, anche se credo che non abbia dormito affatto per tenermi sempre d'occhio.
Alla fine del mio turno abbiamo decretato che fosse giorno, anche perché le nostre torce iniziavano ad ansimare e la loro luce si affievoliva sempre di più, riducendosi a propagare nell'aria buia e pesante,  pregna di terra, della caverna, soltanto una lugubre aura blu.
Sebbene abbia superato mentalmente indenne quelle ore di silenzio con lo sguardo perso nel buio oltre la cortina luminosa delle torce, è stato sicuramente più frustrante, straniante e solitario il silenzio che è calato quando abbiamo ripreso la nostra cieca spedizione.
Già, non voleva ancora parlarmi dopo il "malinteso" dello suo pugnale contro la mia gola... Ma c'era qualcosa di più: quella notte, mentre temevamo per le nostre vite, circondati dalla morsa dell'oscurità, costretti a dover scegliere di chi avere paura di più, se dell'altro o delle bestie che si nascondevano dietro l'oscuro mantello di tenebra, ci siamo forse entrambi sorpresi a riconoscere la presenza dell'altro, oltre che come ostile, anche come essere a se stante, che non conoscevamo per niente, e che quindi non potevamo nemmeno concederci di odiare. E tutto questo abbiamo potuto farlo nel silenzio di uno, mentre l'altra vigilava su di lui, o viceversa, contando su questo tacito patto di riflessione.
Ora però, quando il patto è giunto al suo legittimo termine, nel "giorno" di quella buia marcia, al sole delle nostre coscienze, risorgevano come dettagli in lontananza di un paesaggio notturno all'alba (dal luccichio di una sorgente a intere foreste, l'uno spentosi con Magnus, l'altre  ch'erano andate perdendo forma e definizione man mano ch'entravano nel reame di Azura fino a diventare solo scuri spettri fruscianti) tutte le idee preconcette, le immagini che l'uno aveva dell'altra e l'altra dell'uno prima di questo sfortunato accidente, basate solo ed esclusivamente su pregiudizi ereditati da tradizioni morte e stupidi orgogli.
A questa nuova luce, lì, nell'oscurità sempre più buia man mano che le torce morivano, un passo dietro l'altro mentre seguivo la sua coda danzante nella penombra davanti a me, questi pregiudizi si fecero cocenti imbarazzi, ironica controparte del freddo glaciale tra di noi.
Ad un tratto volevo informarmi di più sull'essere, non sulla sua immagine, volevo veramente sapere perché rischiava la vita, da chi scappava.
Così ho rotto il silenzio, e quasi sono riuscito a udire i suoi cocci di cristallo cadere e infrangersi tutt'intorno.
Ma lei niente, non mi degnava di nuovo di risposta.
Intanto, mentre procedevamo, ancora non si vedevano ragni, nè altra anima viva, così abbiamo iniziato a pensare entrambi (senza dirlo ad alta voce) che non fosse il crollo, che c'era un'altra motivazione se nemmeno i ragni del gelo si spingono così in profondità.
Poi, hanno iniziato ad affiorare, lungo le pareti, tra la terra sotto i nostri piedi: rune, monoliti, vasi e urne...
Ho sentito parlare di spaventose rovine Nord, infestate dai peggiori scarti dell'Oblivion, sigillate da secoli per custodire antichi e pericolosi misteri... quindi si può capire con che prepotenza il cuore mi è schizzato in gola non appena ho realizzato cosa stava per pararcisi davanti.
Il corridoio della grotta finisce, si apre nel vuoto, buio.
Kintra trova qualcosa sulla parete adiacente, vi avvicina la torcia e una lingua di fuoco si sveglia, come avesse dormito in quel luogo da tempo immemore, e inizia a correre lungo la nuova parete (nuova perché prima che si materializzasse ai nostri occhi, al suo posto ci sembrava fosse il vuoto).
E poi compare, all'improvviso, beffarda, fregandosene della sua immobilità piantata nelle radici della terra, come mai invece cosa mobile è potuta comparire alla mia vista: un'enorme sala, in tipico e riconoscibilissimo stile Nord, schietto, massiccio, con mura enormi fatte di monoliti di cui non si vede la fine e grosse travi di legno sull'alto soffitto.
Ma quello che più ha attirato la mia attenzione, sono stati i cadaveri, lungo tutte le pareti.
La luce balugina un attimo sui loro volti pallidi di morte, prima che questi vengano strappati bruscamente al loro riposo.
Quasi all'unisono, decine di draugr si levano dai loro loculi verticali, come se per tutto questo tempo non stessero aspettando che noi.
Le gambe mi hanno abbandonato, per un istante, poi l'istinto di sopravvivenza mi ha suggerito che, se un comune giovane, con una lama mediocre, con una capacità d'usarla ancora più mediocre, davanti ad un esercito di non morti assetati di sangue è spacciato, lo è di più lo stesso ragazzo che combatte per difendersi strisciando per terra senza l'uso delle gambe.
Questo non significa che, come speravo, sono diventato l'eroe delle leggende, Ysgramor, Talos o chi altri, risvegliando le mie "abilità sopite" nel momento del bisogno, sono rimasto sempre il solito bardo incapace scappato dall'accademia per capriccio, ma in più molto più sudato e tremante.
Forse era solo una mia impressione, ma lì per lì mi sembrava di riuscire a sentire, tra la grancassa del mio cuore e il tamburello dei non-morti che facevano tintinnare le armature, sempre più vicini, il tamburo del cuore dell'Argoniana, battere ferocemente alle mie spalle, sebbene quella non tradisse alcun sentimento.
Quello mi ha dato il coraggio che mi serviva; non quello che volevo, quello che mi avrebbe alleggerito lo stomaco, ma il necessario, quello che mi diede la forza di sconfiggere i miei nemici: fendenti incauti, schivate improvvisate, calci e pugni seminati alla rinfusa.
Grazie a Talos quei vecchi cadaveri ammuffiti erano lenti come le lune nel cielo, altrimenti non me la sarei cavata solo con qualche ferita di poco conto alle braccia.
Quando avevo finito con il mio da fare mi sono voltato e l'Argoniana aveva appena concluso il suo. Per la prima volta, forse, credo di aver visto abbozzato un sorriso tra le squame che formano la sua faccia, se possibile, ma non mi è stato dato il tempo di accertarmene: prima uno strano suono, otturato, quasi un sibilo, poi un boato, un esplosione.
Alle spalle dell'Argoniana spunta un'enorme lastra di pietra, come dal nulla. Io urlo, quella si gira, la vede, fa per spostarsi, ma è troppo tardi, magari a Black Marsh, nelle sue terre d'origine, il calore nel suo corpo l'avrebbe fatta muovere più velocemente, ma qui, in questa terra gelida e impetuosa, nelle profondità della roccia, non era abbastanza, quel calore.
Il lastrone di pietra le atterra addosso, fortunatamente prendendole solo la gamba destra.
Urla di dolore, è bloccata sotto quel peso, la gamba in frantumi.
Io alzo lo sguardo verso il punto da cui doveva esser venuto quell'inusuale proiettile: un po' più lontano, da un sarcofago di roccia che spunta dal pavimento, sta uscendo un altro draugr, più grosso, armato e spaventoso degli altri, lentamente, come non avesse bisogno di curarsi dei suoi nemici.
Non so cosa mi è preso, so solo che un impeto mi ha mosso l'animo a scagliarmi contro quella figura che, mentre mi fissava lo sguardo ceruleo e vacuo negli occhi, continuava lentamente  il suo risveglio millenario. Urlando come un pazzo correvo come mai prima, contro quello, impugnando la spada con entrambe le mani quasi a suggellare quello che stavo per fare: un unico affondo, alla fine di quella corsa; la lama trapassata nella carne putrida, insensibile; l'inquietante luce nei suoi bulbi scompare...
Tutto trafelato torno da Kintra, con sforzo immane alzo il masso il tanto che basta per farle togliere l'arto ferito.
L'ho aiutata a rimettersi in piedi, mettendomi un suo braccio intorno al collo.
Dietro a quel sarcofago e allo strano muro inciso alle sue spalle si celava l'uscita.
Per crudele ironia o per grazia divina non so, ma la risalita verso la luce fu molto più breve della discesa nelle tenebre.
Giunti di nuovo all'aria aperta entrambi gettammo un sospiro di sollievo, insieme ad uno sguardo grato verso le lune, alte e luminose, chiare, nel cielo di Nirn.
Abbiamo dovuto accamparci, non poteva viaggiare in quelle condizioni, di notte. Così l'ho stesa per terra e ho fatto per dirigermi al mio posto di guardia quando
«Aspetta - mi ha fermato - Aspetta... voglio dirti la verità... la verità su chi sono» annaspava.
«Il mio vero nome non è Kintra, e non è nemmeno il mio primo falso nome... sono nata a Black Marsh, è vero, ma ho sempre odiato le paludi, sono posti tristi e puzzolenti... così lasciai ben presto Black Marsh e iniziai la mia vita per mare... come una piratessa. E' questo quello che facevo prima di Windhelm, navigavo completamente libera per gli oceani di Tamriel. La ciurma di cui facevo parte, però, era mal vista dagli Argoniani della palude, come tutti i pirati, ma come dar loro torto? In fondo non abbiamo sempre fatto cose molto virtuose, ci siamo macchiati di qualche crimine... ma mai niente di grave! Non ho mai ucciso nessuno, per esempio!
Ma comunque la nostra ciurma venne sconfitta da una flotta di navi dell'Impero Argoniano e chi non venne ucciso o catturato si disperse... come me.
Fuggì verso est, nord-est. Avevo sentito di una comunità di Saxhleel a Windhelm, Skyrim. Lì diedi il nome di Seela e diventai una dei tanti schiavi Argoniani senza nome che lavoravano al porto, dove realmente io mi ero recata con la speranza di potermi imbracare e salpare nuovamente... speranza che rimase appunto tale, solo un sogno, mentre ero costretta giorno dopo giorno agli stessi lavori, che mi sembravano sempre più inutili e noiosi. Così, per evitare la depressione o la follia ricorsi all'espediente più usato in quella comunità: la skooma. Venex, un Saxhleel anche lui, era il mio spacciatore. La skooma cancellava via le preoccupazioni e per qualche minuto ti faceva provare una felicità assoluta. Ma poi tutto tornava peggio di prima, e ne rivolevi altra, più spesso, più forte.
Alla fine mi indebitai fino al collo con Venex, ma sottostetti alle sue prepotenze, alle violenze, finché un giorno se ne venne dicendo che se non l'avessi pagato avrebbe rivelato alle autorità la mia vera identità di piratessa fuorilegge... Così fui costretta alla fuga, verso Morthal, una palude, io che le odio tanto... Il mio vero nome, comunque, quello con cui ero conosciuta a bordo della mia nave, è Accarezza-le-Onde»
Ora sono io che bado a lei, solo io, che scruto fra gli alberi, la nebbia e i timidi lumini delle lucciole; nel frattempo scrivo, non solo questo diario, scrivo una canzone, la prima vera canzone da quando sono scappato... ma che dico? La prima vera canzone che io abbia mai scritto! E parla di un Argoniana... strano eh? Chissà come la prenderebbero i miei maestri all'Accademia: non è la solita canzone che parla del solito eroe senza paura, nessuno la reciterebbe a gran voce durante pompose cerimonie o balli popolari... ma per me è bellissima.
  
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