7th – Those
who inherit the will of fire
You
were the wind beneath my wings,
taught me
how to fly.
With you I lived among the kings,
how
could this ever die…
So I say farewell, I'm yours forever,
and I Always Will Be
Hammerfall – “Always will be”
-
Se ti lasciassi andare…
Naruto esitò. Ricordò che, solo dieci minuti prima, non avrebbe mai creduto di poter fare
una domanda del genere a quello che aveva sempre considerato un semplice mostro
spietato, privo di ragione.
Ma dieci minuti fa, nulla di ciò che credevo
era reale.
-
Se ti lasciassi andare – disse lentamente – tu torneresti a distruggere.
Yume sospirò e gettò la testa
all’indietro, come aveva fatto quella sera, sotto le mura, tentando di
assaporare un surrogato di libertà. Il pensiero di poter tornare nel mondo era
qualcosa che la scuoteva nel profondo. Sorrideva, e quando parlò la sua voce
tremava leggermente, perché l’emozione le spezzava il respiro.
-
Distruggere
è una parola orribile, Naruto. Io cambio le cose. Non posso essere diversa.
Sono la natura che trasforma sé stessa. Come una frana che modella i fianchi della montagna. Come un
fiume che scava un canyon profondo nel deserto.
-
Non
si può fermare una frana. – osservò Naruto – Non si può
fermare un fiume.
-
No.
Non si può.
Passò un secondo; e all’improvviso
Naruto scoppiò a ridere, prima sommessamente, poi fragorosamente, fino alle
lacrime. Yume lo fissò sconcertata, poi cominciò ad
infuriarsi, si sentì derisa, fu presa dalla paura, che diavolo gli passava per
la testa?
E Naruto rideva, rideva, rideva.
E’ solo che ho capito tutto. Ho trovato la mia risposta, ho deciso cosa
fare e… è buffo, lo so che non ha molto senso, in un momento del genere, ma mi
è tornata in mente una barzelletta che una volta mi ha raccontato Shikamaru. Una storiella stupida, che allora non mi ha
fatto nemmeno troppo ridere, ma sapete com’è.
Allora, c’è un contadino che ha un vicino invidioso di lui. Un giorno il
vicino, seduto su di un masso, lo vede arrivare, mesto mesto, che passeggia a cavallo del suo amato
asinello, cammina lentamente e si guarda intorno. “Cosa
c’è, compare?”, gli chiede, e quello risponde che ha perso una cosa, e la sta
cercando. Dopodichè se ne va, sempre triste, continuando a guardarsi a destra e
a sinistra. Il vicino gongola, perché pensa che se il contadino rinuncia a
lavorare i campi per cercare quello che ha perso, vuol dire
che si tratta di qualcosa di prezioso o di importante. Per
cui si mette a cercare anche lui: spera di poterla trovare prima, qualunque
cosa sia, per prendersela e lasciare l’altro a bocca asciutta. Cerca per
tutto il giorno, trascura il lavoro nei propri campi, si spacca la schiena, ma
non trova nulla.
Il giorno dopo l’invidioso è seduto al solito posto,
la scena si ripete. Vede passare il contadino, sempre a cavallo
dell’asino, che si guarda intorno ed è ancora più triste. “Cerchi ancora,
compare?”, e quello “Ahimé, sì. Ieri non ho trovato nulla; spero oggi di avere
più fortuna.” Il vicino, allora: “Ma è piccola questa
cosa, visto quant’è difficile trovarla?”. “No”, risponde il contadino “è grande, invece. Non so proprio come
abbia fatto a non vederla!”. Il vicino lo lascia andare e si frega le mani:
oggi la troverà di sicuro. Cerca, cerca, ancora più del
giorno prima, e di nuovo fa cilecca. Torna a casa mezzo morto.
La cosa si ripete per un mese intero. Il contadino è sempre più
disperato; l’invidioso si rode sempre di più pensando di non riuscire nel suo
intento, ormai le sue coltivazioni stanno andando in
malora, s’è pure rotto una gamba cadendo da un dirupo, durante le sue ricerche,
e ancora nulla. Sospetta che il contadino abbia inventato
tutto per fargli dispetto, ormai è all’esaurimento.
Il trentesimo giorno, solita scena. Il vicino siede sul suo masso e vede
arrivare il contadino, ridotto ad uno straccio d’uomo, a cavallo dell’asinello,
stremato pure lui, povera bestia. Stavolta, però, l’invidioso ha deciso di non
usare mezzi termini. Così, invece dei soliti saluti, si mette a urlare come un pazzo, “Ma insomma”, grida, “si può sapere
che diavolo è questa cosa che cerchi?”. E il
contadino, con una voce da oltretomba, sempre senza scendere di sella, si
avvicina e dice…
-
Cerco
il mio asino. – disse Naruto, quando finì di ridere.
-
Cosa, scusa? Che significa?
Il ragazzo non rispose, non
direttamente a Yume. Sembrava parlare con sé stesso.
-
E’
divertente, no? Se uno sa prenderla con ironia. Cioè, tutto questo lottare, tanta fatica per cercare di
diventare hokage: e in realtà lo sono già, continuo
ad esserlo, lo sono sempre stato.
-
Non
è vero. – disse Yume – Tu non sei
più nulla, ormai. Solo polvere in una tomba
dimenticata.
-
L’hokage protegge il villaggio. Da tutto
ciò che potrebbe minacciarlo, distruggerlo. O…
cambiarlo, come preferisci tu. – fece ammiccando in direzione della
donna.
E poi dichiarò, con voce chiara e
forte, stavolta:
-
Io
non rinuncio, Volpe. Io continuo, e lo farò per l’eternità.
-
NO!
Non poteva accettare una sconfitta,
non ora che c’era arrivata così vicina, non ora che aveva anche umiliato il
proprio orgoglio rivelando a Naruto sentimenti che già si vergognava di
ammettere con sé stessa. Divenne puro odio e ira,
dimenticò tutto il resto. Il mostro si levò ancor più rosso e furioso di prima.
Le code sibilavano nell’aria con il suono di una tempesta.
Naruto restò impassibile, senza
farsi minimamente impressionare.
-
Finché ti terrò chiusa qui dentro, il villaggio sarà salvo dalle
tue grinfie, e io continuerò ad assolvere il mio dovere di guida della Foglia. E poi…
E qui rise sommessamente.
-
…non
sarà tanto male rivivere la stessa storia in eterno. Potrò diventare hokage infinite volte, in infiniti
modi diversi.
-
E OGNI VOLTA SARA’ SOLO UN’ILLUSIONE! – ruggì la Volpe – E OGNI VOLTA
QUELLO STESSO TRAGUARDO TI VERRA’ STRAPPATO DI MANO!
-
E allora io tornerò ad inseguirlo ancora. – affermò il ninja con
decisione – E ancora e ancora. Se è vero che, come mi ha detto Shikamaru, al mattino i sogni
lasciano un sapore amaro in bocca, allora cosa può esserci di meglio di dormire
una notte infinita, e sognare in eterno, e continuare a desiderare e inseguire ciò
che non si può ottenere?
-
SEI
PAZZO, NARUTO UZUMAKI! SEI SOLO UN POVERO PAZZO! DEVI SPARIRE, UNA VOLTA PER
TUTTE, E SOLO COSI’ SARAI DAVVERO FELICE! SARA’ MEGLIO PER TUTTI E DUE! PERCHE’ NON LO CAPISCI?
Ma ormai era troppo tardi. Il breve
intervallo tra la fine di una vita e l’inizio di un’altra volgeva al termine.
Già l’oscurità non era più così fitta; già il silenzio non era più perfetto; la
luce si faceva strada come un leggero vapore che
riempie l’aria, e si udiva il suono, distante, del vagito di un neonato.
-
PERCHE’ NON LO CAPISCI?!?
Naruto si accorse che i suoi ricordi
della vita appena trascorsa si facevano incerti, nebulosi. Dimenticava piccoli
particolari, all’inizio, poi interi anni, persone, luoghi.
-
RISPONDIMI,
NARUTO! PERCHE’ NON LO CAPISCI? – continuava ad
urlare insensatamente il demone.
Ebbe un ultimo ricordo preciso.
Sakura. Se non fosse arrivata, nella foresta,
all’alba, sarebbe finito tutto, e la Volpe avrebbe vinto la sua partita.
Ripensò a lei con gratitudine. Aveva superato persino la morte per venire in
suo aiuto.
Ma poi capì. Lei non era davvero
morta, perché non era mai stata viva. Era, anche lei, soltanto una parte di
quella grande illusione, uno dei burattini che il Dio della Morte usava per
divertirsi con lui.
“Se sono nella tua mente? La risposta è
complicata… diciamo di sì, ma non nel senso in cui tu credi.”
No. No, Naruto aveva fiducia in
questo, Sakura non era solo un’illusione. Lei doveva essere qualcos’altro. Era
bello pensare che fosse un altro spirito, l’anima di qualcuno che lo aveva
amato in vita, e che anche adesso aveva trovato il
modo di raggiungerlo, di stargli accanto e venirgli in aiuto nei momenti
difficili. Era bello pensarlo, e Naruto lo pensò con
tutte le proprie forze, finché ebbe ricordi nella mente.
Chissà chi eri, Sakura.
Ti voglio bene.
-
PERCHE’ NON LO CAPISCIIIIIII? – strillò la Volpe con voce
altissima.
E Naruto, con un leggero sorriso
sulle labbra, mormorò:
-
Perché aveva ragione Sakura. Io sono troppo stupido per capire certe cose.
La luce riempì ogni cosa. Tutto ebbe
fine.
E così tutto poté ricominciare.
In un piccolo campo appena fuori dalle mura di Konoha, quella vera, intendo, non quella
fittizia in cui ancora e sempre il Quarto Hokage combatte la sua battaglia per
tenere prigioniera la Volpe a Nove Code, c’è un albero, e sotto ci sono due
tombe: due alti e massicci cippi funerari in marmo candido. L’albero è un albero di ciliegio. Ha una storia tutta sua.
Si dice
che, sotto quell’albero, il Quarto Hokage, anni fa, abbia dichiarato per la
prima volta il suo amore alla donna che poi avrebbe sposato. Provate ad
avvicinarvi, guardatelo bene: sulla corteccia porta ancora, un po’ cancellati
dal tempo, i segni che loro vi avevano inciso con i propri kunai, come pegno
della propria promessa. Quando erano ancora giovani e sereni.
Sotto quello stesso albero essi si
separarono. Fu là che il Quarto disse addio alla moglie, prima di andare a
combattere la Volpe a Nove Code, presentendo il proprio destino. Lì, lì dove si
erano dati il primo bacio, si diedero anche l’ultimo.
Il giorno dopo, sotto quell’albero venne seppellito il corpo senza vita dell’Hokage. Il
ciliegio era in fiore e pianse con lacrime rosa e morbide, che scendevano
dolcemente verso il suolo, l’eroe che abbandonava per sempre questo mondo. Sua
moglie attese che finisse il funerale e che tutti
andassero via. Quando rimase sola, con molta
discrezione, salì in piedi sulla tomba del marito, si sfilò la cintura di seta
del kimono, la arrotolò, facendone una corda, annodò a cappio un’estremità e
gettò l’altra tra le fronde dell’albero.
Un minuto dopo, il ciliegio aveva un
fiore in più.
Ora è una splendida mattina. Il sole
che illumina il campo lo trasforma in uno splendido intreccio di oro e smeraldo, e le due tombe brillano alla luce di un
bianco tanto abbagliante da far male. Su una delle due, quella un po’ più alta,
sta seduto un ragazzino, con le gambe a penzoloni. Si
chiama Koshi.
A Koshi piace quel posto. Ci va ogni volta che si sente triste; che si sente solo; ogni volta
che ha bisogno di trovare un po’ di coraggio. Dicono i suoi amici, stupido,
non devi andarti a sedere sulla tomba dell’hokage, o
si offenderà e il suo spirito verrà a cercarti di notte. Ma
lui risponde che non è mica un’offesa; è come andare a sedersi sulle ginocchia
del nonno. Obietta un altro bambino che, però, mio nonno non mi ha mai permesso
di sedermi sulle sue ginocchia, una volta ci ho
provato e mi ha dato uno schiaffo. Bella forza, dice Koshi, tu sei di famiglia nobile, i nobili non possono nemmeno far
pipì senza rispettare l’etichetta. Meno male che non sono nobile, aggiunge poi.
Koshi si siede spesso sulla tomba
dell’Hokage, e poi parla con lui. Gli racconta la propria vita, gli dice di
cosa ha paura, cosa desidera, cosa sogna. Quando si
rialza, si sente meglio: più sereno. Il Quarto Hokage non gli risponde mai, non
con le parole, ma Koshi sa che lui gli vuole bene e
che lo protegge, invisibile e silenzioso come solo lo spirito di un ninja può
essere, giorno dopo giorno, nella vita che è così difficile.
Oggi Koshi è particolarmente triste.
Parla poco, e quasi quasi scoppia a piangere.
-
E’
che stamattina ho l’esame all’accademia. – dice a mezza voce
– Mi hanno già bocciato tre volte. Non riesco proprio a farci nulla, mi
sembra sempre di dimenticare tutto, e non so cosa fare se voglio passarlo. I
miei compagni sono già diventati tutti genin,
sono rimasto solo io indietro.
Si ferma un attimo, pensieroso.
-
Certo
che tu questi problemi non li avrai avuti! Tu eri il più forte di tutti. L’ho
detto anche l’altro giorno, a Genta, che diceva che invece il più forte era il Primo Hokage. Abbiamo
finito per fare a pugni.
Rimane in silenzio, continuando a
dondolare le gambe, che battono leggermente contro il marmo della tomba. Il
vento soffia un istante: in quel refolo, Koshi sente un silenzioso
incoraggiamento. La paura che lo opprimeva vola via, portata dalla brezza come
una foglia leggera.
Sorridendo salta giù, tira fuori dalla bisaccia un pane dolce che sua madre gli ha dato
per merenda, lo spezza in tre e ne conserva solo una parte. Le altre due sono un’offerta. Posa la prima davanti alla tomba su cui
sedeva.
-
Per
te. – dice. Sulla lapide c’è inciso:
QUI
NARUTO UZUMAKI
QUARTO HOKAGE DI KONOHA
RIPOSA DOPO
Koshi passa alla seconda tomba, più
bassa e graziosa. Anche qui lascia il suo tributo.
-
Per
tua moglie.
Sulla lapide c’è inciso:
QUI
SAKURA HARUNO
ATTENDE CHE I CILIEGI TORNINO
A FIORIRE
-
Ora
devo andare. – bisbiglia Koshi.
Afferra la
bisaccia, se la carica in spalla, corre via tra l’erba verde, corre leggero nella luce del
Sole. L’accademia è là in fondo. L’esame lo attende.
Chissà come, Koshi è sicuro che
stavolta lo passerà.
FINE
Finalmente,
la conclusione! OK, ringrazio tutti quelli che hanno letto e recensito fino ad
ora, e ovviamente tutti quelli che leggeranno questo capitolo! Spero che il finale vi sia piaciuto. Colgo l’occasione per
porre l’accento sulla canzone citata all’inizio del capitolo, “Always will be”
degli Hammerfall. Ovviamente tutte le canzoni che ho
citato mi piacciono molto, ma questa, in particolare, è qualcosa di incredibile. Vi consiglio di sentirla, se ne avrete l’occasione.
X Martyx: in effetti questa storia
del Sigillo è un brutto trip mentale. Ho sentito molte teorie diverse al
proposito, ma chissà se una di queste è giusta, o se semplicemente Kishimoto non ha ancora neanche deciso come giustificare
questa faccenda (però mi parrebbe poco professionale da parte sua. Un’idea deve
avercela, secondo me). Di sicuro la teoria di questa fic
è probabilmente un po’ troppo estrema e “filosofica” per essere proponibile in
uno shonen manga come
“Naruto”. Ma non è detto che sia tutto da buttare: per
esempio, secondo me Naruto potrebbe davvero essere la “reincarnazione” del
Quarto Hokage, anziché suo figlio, come banalmente si
potrebbe pensare.
X Fantafresh: grazie per i complimenti e soprattutto per aver
definito la mia fiction “non commerciale” – più che
altro perché in questo periodo ero stato preda di brutti dubbi, temevo di
essermi “addolcito” troppo… XD. Ci tengo a farti sapere, ormai che siamo alla
fine, quali pezzi della storia sono stati influenzati dal tuo commento della
volta scorsa. Per la precisione: il discorso finale della Volpe, alla fine del
capitolo 6, l’ho ampliato, la scena del bacio me la sono
inventata nuova di zecca, e anche per questo motivo ho dovuto dividere il
finale in due capitoli, il 6 e il 7. Per finire, il ruolo di Sakura in quest’ultimo capitolo è anch’esso una novità, nei miei
piani iniziali non avrei più dovuto nominarla dopo
l’episodio del capitolo 4. E pensare che di per sé
Sakura nemmeno mi piace tanto, come personaggio! Ma mi sono fatto trascinare
dalla mia stessa storia e l’ho valorizzata molto più di quanto io stesso non avessi pensato all’inizio. A posteriori, io sono contento di queste
modifiche, perché mi sembra abbiano aggiunto spessore
alla fic: il giudizio finale, comunque, spetta a te e
agli altri lettori.
Mi spiace
per quello che mi dici sulle scene d’azione: devo ammettere che hai ragione e che nel capitolo
Mamma mia quanto ho scritto…
chiudo qua, ciao e grazie ancora a tutti!