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Autore: sophyakarenina    21/05/2013    1 recensioni
Fu il suo turno di inarcare il sopracciglio, chiedendosi se avesse realmente capito bene quanto appena ascoltato o fosse stato soltanto uno scherzo del suo cervello.
“Mi pareva che avessi detto che accettavi il patto per come era.”
Schernirlo ora, proprio quando aveva dimostrato un lato vulnerabile di sé.
“Touché.”
Raccolse la giacca della divisa e se la gettò negligentemente sulla spalla, senza aggiungere altro. La sorpassò con paio di falcate, facendola rabbrividire per lo spostamento repentino d’aria. Imboccò le scale svanendo velocemente dalla sua vista.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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Prelude.


Camminava da circa un paio d’ore nel parco della scuola.     

Quel biglietto di carta pregiato ormai sgualcito nella mano destra, stretto nella morsa di un pugno che non ricordava nemmeno di aver chiuso.
Non importava se quel giorno un insolito vento faceva fremere le fronde degli platani, le cui foglie iniziavano ad assumere la classica tinta gialla dell’autunno, e le entrava fin dentro le ossa, costringendola a rabbrividire nella camicia bianca.

Doveva continuare a camminare, a vagare senza meta, se voleva restare integra, se non voleva lasciare che quel vento lambisse anche lei e la facesse a pezzi.
Tante, minuscole parti di lei lasciate a marcire sul terreno, come foglie morenti.

Si schernì mentalmente una dozzina di volte: sapeva fin troppo bene che quel momento sarebbe arrivato alla fine.
Eppure, scioccamente aveva creduto che la primavera, l’estate, non avrebbero avuto mai fine. Che avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per farsene una ragione.
Povera stupida.

Lui non aveva fatto promesse, se non quella di rispettare il patto: non avrebbe creato complicazioni e non avrebbe avanzato pretese su di lei.
Era stato fin troppo chiaro sin dall’inizio: non era un legame fatto per durare per sempre. Era esattamente tutto quello che lei non avrebbe mai potuto accettare; andava troppo al di là delle sue convinzioni, dei suoi valori. Non comprendeva una relazione dove non c’era amore, dove non si progettava nulla insieme.
Cionondimeno, forte del suo orgoglio e della sua presunta superiorità, aveva creduto che le sarebbe bastato. Che avrebbe potuto divertirsi con lui, senza rimpiangerlo.

L’orario dell’appuntamento era passato da un paio di minuti, ma non avrebbe potuto mancarlo per nulla al mondo: in fin dei conti erano settimane che non lo vedeva.
Tuttavia, soltanto Dio poteva immaginare quanto avrebbe voluto svanire in quel preciso istante, avere un modo per non affrontarlo, per evitare tutto quanto.
E, sebbene fosse tante cose, Hermione Granger non era una codarda.

Avrebbe indossato la sua maschera migliore e recitato la parte che intimamente aveva provato miliardi di volte nella sua testa.
Non avrebbe pianto, né supplicato. Non avrebbe esitato, non si sarebbe piegata. Non avrebbe provato niente.
E sarebbe stata una perfetta bugiarda, proprio come lui le aveva insegnato.
 
 La guferia sembrava un rudere abbandonato a se stesso in mezzo al parco.
Le ombre che il sole, tramontando, iniziava a proiettare sui mattoni grezzi, facevano sembrare quel torrione ancora più vecchio e malandato.
Le strida dei gufi e delle civette riempivano l’aria, riecheggiando come un lamento e salendo fin sopra al tetto circolare.

Si fermò un istante a guardarsi intorno, sia per accertarsi che nessuno l’avesse notata, ma soprattutto per assicurarsi che nessuno si stesse avventurando verso la torre.
Concesse a se stessa un ultimo respiro profondo, prima di varcare la soglia ed iniziare a salire le scale fino al primo piano.
Non poté non storcere il naso al sentire l’odore acre che si levava attorno a lei, come una nube persistente, gradino dopo gradino, né poté evitare di soffermarsi qualche istante accanto alla feritoia in cima alle scale, che affacciando sull’esterno permetteva di respirare una sana boccata di aria pulita.

Lui era là, seduto alla spartana scrivania di legno che faceva bella mostra di sé accanto ad una rastrelliera dove riposavano un paio di gufi, gli occhi gialli socchiusi e con il collo infossato tra le piume rigonfie. Aveva tra le mani una penna, che rigirava distrattamente tra le lunghe dita affusolate. La cravatta allentata ed il colletto sbottonato come se facesse fatica a respirare.
I capelli gli ricadevano intorno al viso, sulla fronte, stranamente scomposti. Considerò che non era da lui presentarsi in modo così sciatto, eppure fu un pensiero che balenò nella sua mente solo per un secondo, prima che tornasse alla realtà e realizzasse che gli occhi di lui la scrutavano da lontano.

“Sei in ritardo. Iniziavo seriamente a dubitare che saresti venuta.” Un accenno di un sorriso sardonico increspò le sue labbra.

“Ho avuto da fare e non mi sono resa conto dell’orario. Ebbene?” Impazienza.

Non sembrava affatto intenzionato a rispondere; seguitò a roteare la penna tra le dita come se nulla fosse. Si rese conto in quell’istante che stava cercando di farle perdere la pazienza e ci stava riuscendo dannatamente bene. Non le restava che prendere parte a quel gioco, di cui ancora a stento riusciva a comprendere le regole.

Fece un paio di passi in avanti ed iniziò a curiosare nello stanzone, prendendo tempo. Era un gioco stupido, per certi versi: ferirsi l’un l’altro, come se non significasse nulla, convincendosi di essere intoccabili.

“Ho ricevuto il tuo biglietto, anche se giuro di non capire il senso del chiedermi di venire. Quindi, eccomi. Sono qui. Ti prego di illuminarmi!”
Aprì teatralmente le braccia nel voltarsi a guardarlo.

Lui prese la penna e la poggiò sul ripiano della scrivania, poi si alzò in piedi, dandole le spalle. Sembrava ancora più alto e più magro dell’ultima volta che l’aveva visto.

“Volevo soltanto essere sicuro che avessi compreso realmente quanto ho scritto. Non volevo che potessi metterti in testa strane idee.”

 “Che intendi dire?” Modulare la voce con noncuranza, senza esitare.

“Intendo dire che sono annoiato e la situazione non mi diverte più.”

“E questo che cosa significa? Io credevo che noi…”

“Noi?” Si girò finalmente a guardarla inarcando un sopracciglio sottile.

“Che…noi…avessimo un patto da rispettare. Fino in fondo.”

“Giuro che per un momento pensavo che tu…” Interruppe la frase ridendo lievemente tra sé e sé, portandosi una mano tra i capelli.
“Hai ragione, comunque. Avevamo un patto e correggimi se dico male, ma non mi pare di aver mai detto che non avrei potuto svincolarmi da esso, se non ne avessi più tratto benefici.”

“Quindi, avere qualcuno che lavora per te non è più un beneficio?”

“Non ne ho più bisogno. Ho raggiunto il punteggio che mi serviva in tutte le materie. Ad ogni modo, era solo un agio, avrei potuto cavarmela da solo.”

Convenne, nonostante detestasse ammetterlo, che era semplicemente la verità: lui aveva una mente brillante. Lo invidiava da sempre perché avrebbe potuto prendere il massimo dei voti senza sforzarsi più di tanto, quando lei, al contrario, doveva impegnarsi, rinchiudendosi in biblioteca per ore e ore solo per raggiungere quel livello.
Essere un caposcuola, primo della sua casata.

“Nemmeno venire a letto con me non lo è?”
Si meravigliò di se stessa quando sentì la sua stessa voce pronunciare quelle parole ad alta voce. Anche lui esitò nell’ascoltarle, eppure puntò gli occhi nei suoi senza mostrare pietà.

“Sinceramente? No, non lo è. Non lo è mai stato.”

“Ah no? Pensavo che ti piacesse.” Fece spallucce, ma il suo cuore sanguinava.

“Piacermi? Naturalmente, adoro il sesso, non è certo un segreto. Ma non ho mai detto che mi piacesse farlo solo con te.”

“Su questo mi trovi pienamente d’accordo.” Bugie su bugie. Ma come difendersi da quella voce così distaccata e stanca? Come proteggersi da quelle parole?

Lui incassò il colpo senza scomporsi. La guardò dall’alto in basso, come per verificare se fosse possibile che lei avesse conosciuto un altro uomo.
I suoi occhi grigi accarezzavano quelle curve e non riuscivano a credere che qualcuno avesse osato toccare quel corpo. Tuttavia, poteva essere vero.
Non la controllava, lei non gli apparteneva. Poteva essere vero?

“E così Weasley ha avuto il suo momento di gloria? Quelle joie!” Sarcasmo.

Giocherellò con il sacco delle sementi abbandonato nell’angolo opposto della stanza, facendo cadere quei semi come sabbia inarrestabile in una clessidra.

“Beh, a dire il vero non ne ha avuto solo uno. Ma se non ti dispiace, vorrei risparmiarti dettagli che, ora come ora, non hanno alcuna importanza. Se non hai altro da aggiungere, me ne andrei”. Si guardò le dita per vedere se fossero rimaste tracce di polvere e fece finta di pulirsi strofinandole lievemente sulla gonna di panno grigia.

“Quindi finisce tutto così…”

Fu il suo turno di inarcare il sopracciglio, chiedendosi se avesse realmente capito bene quanto appena ascoltato o fosse stato soltanto uno scherzo del suo cervello.

“Mi pareva che avessi detto che accettavi il patto per come era.” Schernirlo ora, proprio quando aveva dimostrato un lato di sé vulnerabile.

“Touché.”

Raccolse la giacca della divisa e se la gettò negligentemente sulla spalla, senza aggiungere altro. La sorpassò con paio di falcate, facendola rabbrividire per lo spostamento repentino d’aria. Imboccò le scale svanendo velocemente dalla sua vista.
 
  
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