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Autore: White Dreamer    22/05/2013    1 recensioni
Quando i Maya si mettono d'impegno e decidono di scatenare una bufera, ci vuole davvero tanta pazienza per non avere un attacco di panico.
Dal testo:
Tebaldo alzò un sopracciglio, scettico. Tutta quella situazione stava diventando davvero assurda. E diciamolo, era leggermente angosciato di chi potesse essere il proprietario di quello scherzo della natura.
[...]
Ora. Lui non è che fosse un gran gusto in fatto di abbigliamento. [...] Tuttavia quel maglioncino giallo sciatto e quei jeans, larghi e scoloriti dal tempo, erano una dichiarazione di guerra a Giorgio Armani. La plebea che stava accingendosi a fare le presentazioni era la cosa più bizzarra che avesse mai visto nei suoi ventitre anni di vita.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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20 dicembre 2012


Quella mattina non c’era anima viva su quella strada di montagna. Il freddo intenso aveva fatto gelare parte della carreggiata, rendendo pericoloso il transito.
Questo fatto non era stato evidentemente preso in considerazione dal guidatore della Porche nera, parcheggiata sulla corsia d’emergenza.
Dopo un violento sbandamento, seguito da un’improvvisa sterzata degna di un Mondiale di Formula 1, l’auto aveva mostrato segni di cedimento. Raggiunta l’estrema destra della corsia, la vettura si era fermata, non prima però di avere prontamente rigato il lato adiacente alle lastre di alluminio. Il rumore che questa collisione provocò fu agghiacciante, in particolar modo per le aristocratiche orecchie di Tebaldo Ludovico Falconieri.
Il suddetto ragazzo uscì mezzo rintronato dal veicolo, scandalizzato da quell’assurda successione di eventi. E che diamine, come avevano osato le ruote, anzi no il ghiaccio, anzi no, diciamo pure il ciclo idrologico mondiale a fargli questo?
Si ritrovava nel bel mezzo del nulla, alle dieci del mattino (che per lui equivaleva a ben prima dell’alba), da solo come un cane, senza palmare e con una ruota inservibile.
Sempre più sconvolto raggiunse con ampie falcate il bagagliaio, e con un tracotante gesto della mano lo aprì, mettendosi poi a rovistare all’interno, impaziente.
 “Merda! Lo ammazzo Spencer!”. Il suo berciare però non poteva essere udito da nessun essere vivente nel giro di chilometri (forse solo da qualche scoiattolo, svegliato malamente dal suo dolce letargo).
Dato che il gelo aveva reso impraticabile molte strade, poteva statisticamente supporre che avrebbe dovuto aspettare un’eternità prima che passasse qualcuno. E figuriamoci se da quelle parti c’era un’officina aperta.
Si paralizzò sul posto, e non a causa della temperatura sotto zero. Data la mancanza di una ruota di scorta, le probabilità che il suo magnifico posteriore fosse sopravvissuto a quella terrificante esperienza erano alquanto scarse. Prese a immaginarsi scene apocalittiche (stile The Day After Tomorrow) con lui refrigerato in un cubetto di ghiaccio formato umano.
Dannazione a suoi che avevano deciso di farsi costruire uno Chalet in un posto dimenticato da Dio, con tanto di parco nazionale attorno. (Perché sua madre, animalista fino al midollo, adorava la flora e la fauna di quei luoghi).
Che andassero a farsi sparare gli stambecchi e tutto il resto dei quadrupedi che avevano l’ardire di brucare sulla sua proprietà.
Si appoggiò alla vettura e con fare sconsolato guardò i suoi nuovi mocassini di Hugo Boss. E dire che il suo oroscopo giornaliero diceva che quella sarebbe stata un’ottima giornata. Avrebbe fatto causa a Madama Rosalba se mai fosse riuscito a sopravvivere a quell’esperienza.
Mentre continuava a struggersi sulle sue sfortunate vicissitudini, si fece sempre più percepibile un rumore di motore.
Il moro alzò lo sguardo. Vide sbucare dalla leggera foschia un maggiolino verde rancido, ad una velocità davvero imbarazzante. Probabilmente non raggiungeva i 30 km/h. Il colore era così assurdo che persino il Millenium Falcon non avrebbe potuto schiantarsi sopra. Quella specie di carretta costruita da Alien era visibile dallo spazio.
La vettura si spostò sulla destra, e arrivata a pochi metri da lui, si fermò. Il rumore che emisero i freni fu inquietante.
Tebaldo alzò un sopracciglio, scettico. Tutta quella situazione stava diventando davvero assurda. E diciamolo, era leggermente angosciato di chi potesse essere il proprietario di quello scherzo della natura. Le sue ansie vennero confermate quando dall’auto uscì una ragazza.
Ora. Lui non è che fosse un gran gusto in fatto di abbigliamento, anche se certo avere uno stilista personale 24 su 24 rendeva questo problema inesistente. Tuttavia quel maglioncino giallo sciatto e quei jeans, larghi e scoloriti dal tempo, erano una dichiarazione di guerra a Giorgio Armani.
La plebea che stava accingendosi a fare le presentazioni era la cosa più bizzarra che avesse mai visto nei suoi ventitre anni di vita.
Ma la giovane non emise un fiato. Rimase con la bocca spalancata a fissarlo, attraverso gli occhiali a fondo di bottiglia, a un metro di distanza.
Il giovane sbuffò tracotante. Certo, lo sapeva di essere di una bellezza fuori dal comune, con la sua nera chioma, il fisico statuario (86 cm per la precisione) e i suoi occhi chiari che erano in grado di mettere in soggezione o di ammaliare qualsiasi essere evidente che incrociava il suo cammino.
Finalmente la sua “salvatrice” chiuse le falangi e si schiarì la gola. “Hai…hai bisogno di aiuto?”.
Era ovvio che ne aveva bisogno, ed era palese che la buona educazione, comprendesse per prima cosa le presentazioni, ma quella popolana, che evidentemente era cresciuta nei bassifondi di qualche metropoli, non era a conoscenza del bon ton della gente civile.
“A quanti pare”. Si alzò dalla Porche e fissò quel microbo dall’alto in  basso, quanto poteva essere alta? Un metro e uno sputo.
Si armò di forza di volontà e prese a comunicare con la villica. “Piacere, sono Tebalbo Ludovico Falconieri. Mi si è rotta una ruota e dovrei raggiungere Villa Crescenzi prima di sera. Mi ci porteresti? E a meno di mezz’ora da qui”.
Silenzio. La tipa doveva evidentemente avere bisogno di tempo per mettere insieme una frase di senso compiuto, forse un segno di Alzheimer precoce?
Si sistemò gli occhiali con fare nervoso “C-certo. Anch’io sto andando da quelle parti. Possiamo andarci insieme”. Accennò un allungamento di mano, ma poi la ritirò nervosa.
Forse aveva qualche infezione alla pelle, magari dermatite irritante. Buon Dio, se era così, oltre a essere stramba era pure contagiosa. Si sarebbe ritrovato il giorno di Natale con pus su tutto il corpo. Che agghiacciante caduta di stile!
La ragazza accennò un sorriso teso “Mi chiamo Amarillide Brunetti”.
Amar-che? Oddio, allora era davvero una delle figlie di Alien. Chi altri avrebbe potuto affibbiare un nome simile a un essere umano?
Notando il suo sguardo scandalizzato, la ragazza ammiccò. “A mia madre piacciono i fiori”.
Tebaldo aggrottò le sopracciglia. Avrebbe dovuto capire qualcosa da questa affermazione? La giovane continuò, paziente “L’Amarillide è un fiore”.
Il ragazzo si grattò la base del mento. Il fatto che quello strambo soggetto stesse dando a lui lezioni di botanica a causa della sua genitrice, che aveva un rapporto viscerale con le piante, rendeva la situazione totalmente incoerente. Mancavano solo i quattro Cavalieri dell’Apocalisse che passando di lì li informassero che la fine del mondo era ormai vicina. Poveri mortali! Pensavate che la leggenda dei Maya fosse una storiella per bimbi minchia col cervello lobotomizzato? Mancano solo ventiquattrore alla vostra dipartita. Iniziate a pregare o in alternativa applicatevi in un’appassionata danza del ventre per scongiurare il diluvio universale.
Il moro incominciò a non sentirsi più le punte dei piedi. Lui odiava il freddo e questo era uno dei motivi per cui trascorrere il Natale con i suoi in quella località che avrebbe fatto invidia all’Abominevole Uomo delle Nevi la trovava una pessima idea.
“Bene, vediamo di fare questa cosa”. Ignorando la ragazza, si avvicinò al mostro verde, trafiggendolo con il suo miglior sguardo intimidatorio. Amarillide gli arrancò dietro. “E la tua macchina?”.
“Farò sistemare la faccenda a Riccardo”. Guardò la maniglia, indeciso se usare un fazzoletto ed evitare quindi un rischioso attacco da parte germi plebei assassini.
Decise di rischiare aprendo il varco – la portiera – a mani nude e facendosi coraggio si sedette sul sedile, il quale fece uno strano fruscio.  Si chiuse all’interno con un gesto deciso.
Prese a fissare l’abitacolo, sospettoso, il quale sembrava la bancarella di un mercatino per le pulci made in China. Sul cruscotto c’erano oggetti di varie forme e dimensioni tra cui varie statuine di gatti in porcellana, peluche strabici, probabilmente vinti in qualche Luna Park, e portachiavi dalle dubbie origini.
Si azzardò a cacciare un occhio sui sedili posteriori. Per poco non gli caddero i bulbi oculari. Misericordia Divina! Ma che cos’era, la festa del colesterolo omicida? Una quantità notevole di dolciumi era sparsa disordinatamente. Molte confezioni erano vuote, altre aperte e mai finite.
Splendido, quindi quell’Amaralde non solo era disposofobica*, ma pure dipendente da grassi saturi.
La ragazza prese posto al suo fianco. “Tranquillo, ehm…la so la strada per casa tua, mia madre si occupava del vostro giardino durante l’estate”. Ah, si certo, la madre fioraia. Si mise la cintura cercando di toccare la superficie nera il meno possibile.
Borbottò poi un ringraziamento mezzo strascicato per il passaggio, in fondo lo stava salvando da morte per assideramento.
Il sorriso da 100 watt che gli sparaflesciò fu accecante. “Figurati, e scusa se il sedile non è proprio comodo, col tempo Jerry deve averlo sfondato”.
Tebaldo la guardò come che si fosse fumata funghi allucinogeni. La giovane si mise una ciocca castana dietro l’orecchio “E’ il mio incrocio di molosso, dovresti vederlo è fantastico”. Girò le chiavi nella presa e il motore si accese con un lento lamento. Il moro non ci fece caso, era più preoccupato per il fatto di essere seduto su una superficie plastificata occupata normalmente da una bavosa specie di Canis lupus familiaris. .
Le sue elucubrazioni furono interrotte dalla voce squillante della guidatrice. “Chi è Riccardo?”.
“Eh?”. “Ma si, prima hai detto che della tua macchina si sarebbe occupato Riccardo, chi è?”.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, assorto. “E’ il mio maggiordomo”. Lo squittio emozionato che ne seguì lo fece sobbalzare.
“Ma dai! Pensavo si fossero estinti. E quindi tu ne hai uno. Mmmh, a ben pensarci Riccardo non è un nome da maggiordomo, non credi?”. Lui alzò le spalle, spassionato.
“Sai un nome perfetto? Lurch, si decisamente”. Aveva preso a nevicare e azionò i tergicristalli. Lo sguardo costernato di lui, la agitò. “Che c’è?”.
“Lurch? Seriamente? Che razza di nome è? Nella tua famiglia devono averti traumatizzata in qualche modo. Tant’è che il tuo cane si chiama Jerry. Mah…”.
Amarillide sorrise sotto i baffi. “Vuoi sapere il nome del mio gatto?”. “Tom?”
“Naah troppo banale”. “Asdrubale? Leonardo da Vinci? Rin Tin Tin?”.
La ragazza ridacchiò. “E’ una femmina, si chiama Pimpa”. “Un nome orrendo dunque, è una caratteristica di famiglia inventarsi nomi così…come dire, bizzarri?”. Lei sorrise, svagata, non dando una risposta.
“Comunque, perché Lurch?”. “Oh è il maggiordomo della Famiglia Addams. Hai presente?”.
Tebaldo non aveva presente, ma annuì gravemente. Non voleva rischiare che quella singolare ragazza tirasse fuori un’altro argomento assurdo.
Passò qualche minuto in silenzio, ma ovviamente Amarillide, che stava prendendo confidenza per il bel tenebroso, riattaccò bottone.
“Parlando di nomi strani, anche il tuo è davvero particolare. Ah no, giusto tu ne hai due, e parecchio altisonanti. Partiamo dal primo, dai racconta”.
Voleva dirle che non aveva affatto voglia di utilizzare le sue corde vocali. Insomma era un tipo silenzioso lui. Ma lo sguardo pieno aspettativa della Amarda, no Amardillite, lo fece capitolare. Ma prima non era annichilita dalla sua fantasmagorica bellezza?
“In poche parole, come tua madre è appassionata di giardinaggio, la mia è fissata con Shakespeare”.
“Quindi avresti potuto chiamarti Amleto o Coriolano?”.
Si guardò le mani, ancora leggermente rosse per il freddo. “Diciamo che ha un’autentica vernazione per Romeo e Giulietta. Non so neanche dirti quante volte se lo sarà letto. Temo che mio padre a volte soffra di crisi d’identità.Ringrazio solo che non mi abbia chiamato come il protagonista pirla dei Montecchi”.
Da brava fanciulla romantica, la giovane difese a spada tratta lo sfortunato amante. “Si è tolto la vita perché non voleva vivere senza il suo amore. Non credi che sia un motivo più che valido?”.
“No, di merda direi. Inoltre se avesse aspettato qualche secondo avrebbe visto l’altra svampita svegliarsi. Invece finisce che si accoppano tutte e due. E’ davvero uno di quei finali che ti fanno venire la nevrosi. Almeno quel William poteva rendere la trama un po’ più intrigante. Che so, metterci di mezzo un fratello gemello nevrastenico, giocatori di Quidditch, Drag Queen…”.
La ragazza ridacchiò. Mise la freccia, girando poi a destra. “E poi la Rowling gli avrebbe fatto causa per violazione del copyright”.
“Cosa alquanto bizzarra dato che è nata quattrocento anni dopo di lui”.
“Immagina se fossero vissuti nello stesso periodo.  Avrebbero potuto unire i cervelli e creare un romanzo apocalittico”.
Il moro alzò un sopracciglio, scettico. “Fatto di che? Pazzi assatanati con disturbi ossessivi – compulsivi, fanciulle con manie di protagonismo, e casalinghi appassionati nella collezione di ramazze?”.
“Se poi ci aggiungi una tormentata storia d’amore tra una ragazza stravagante appassionata d’ippogrifi e un cavaliere errante che sbarca il lunario, viene fuori il best seller più venduto dell’ultimo millennio”.
Sicuramente quella era la conversazione più insolita in cui Tebaldo avesse mai preso parte. Tuttavia di sicuro più avvincente delle chiacchierate che doveva sorbirsi con sua madre, le quali potevano variare dalla salvaguardia dei capodogli in Giappone al surriscaldamento del globo e dell’effetto serra. Interessante quanto una relazione epistolare o un dito nello sfintere.
Si mise a guardare fuori dal finestrino, il paesaggio innevato si poteva osservare senza problemi. A quella velocità sarebbero arrivati il prossimo secolo, ma dato che quello, secondo i Maya, era il loro ultimo giorno sulla terra la probabilità di morte in quella vettura causa missile alieno erano alte. In tutto quel bianco anche Fantozzi avrebbe potuto vedere quello scaracchio verde. Di sicuro anche la carretta si vergognava a morte della tinta della propria carrozzeria.
“E Ludovico come me lo spieghi?”. Ci mise qualche secondo a riprendersi dai suoi pensieri. Sospirò, se era abitudine della ragazza chiedere il significato e l’origine storica e antropologica del nome di ogni persona che incontrava si chiese quanti optavano per il suicidio assistito dopo i primi venti minuti. “Era il nome di mio nonno”.
Amarillide riflettè per qualche secondo. “Quindi nessuna passione per – che ne so – Ludovico Enaudi?”
 “No, nessuna passione per pianisti, compositori o saltimbanchi”.
La ragazza ridacchiò, frenando poi vedendo un semaforo rosso. I freni ulularono pietà e un brivido gelido salì lungo la schiena del secondo passeggero.
“E dire che ti facevo un tipo da piano. O da violino magari”.
La risposta fu concisa “Suono la chitarra elettrica”. Ed eccolo lì lo sguardo sorpreso, ma comunque minimo se paragonato ad alcune persone che ne erano venute a conoscenza.
In primis fu la causa del quasi soffocamento di suo padre con un pregiato cabernet sauvignon, quando un se stesso tredicenne fece la sua richiesta per il suo regalo di compleanno. La cosa venne risolta con una manovra di Heimlich da parte del cameriere di sala e con una delle poche accese discussioni da parte dei suoi genitori. Alla fine tuttavia ottenne ciò che voleva (lui otteneva sempre ciò che voleva).
Il semaforo tornò verde e il maggiolino ripartì con uno sbuffo. Gli occhi della guidatrice s’illuminarono “Orca loca! E sei bravo?”.
Il ragazzo la guardò come se fosse alla presenza di qualche raro uccello africano. Se la villica cominciava a usare un simile gergo, ben presto si sarebbe perso nella conversazione. “Me la cavo”. Meglio non sbandierare le sue capacità, che erano modestamente notevoli. Quella lì era capace di invitarlo al prossimo raduno hippy della zona.
La poca neve che diversi minuti prima era cominciata a cadere era aumentata drasticamente, così come il vento. Il cigolante macinino si fermò a un incrocio.
“Adesso devo girare a sinistra vero?”. Tebaldo annuì, preoccupato più che altro del continuo sbandamento, causato dalle forti folate di vento. Non avrebbe avuto una reazione isterica. Proprio no. Era un uomo fatto e finito e non avrebbe strillato come una donnetta.
Lanciò un’occhiata alla guidatrice. Sembrava serena in pace col mondo. La sua testa doveva evidentemente essere piena di unicorni, cavalieri scapestrati, e omini che rincorrono boccini d’oro.
La ragazza doveva avere notato la sua leggera ansia - che era una sensitrice? – e guardò candidamente il moro. “Tranquillo, questo bolide a superato cose ben peggiori”.
Con il termine “bolide” doveva riferirsi al suddetto veicolo, anche se davvero non riuscire a collegare un termine del genere a quell’affare su quattro ruote. Mai più avrebbe criticato la sua bestiola – pardon, macchina – mai più.
Abbandonarono ben presto la strada per procedere su sterrato. Amarillide cambiò marcia. “Ho sentito dire che qui si possono avvistare caprioli. L’anno scorso durante una passeggiata a un’ora da qui ne ho visti due, un mamma e il suo cucciolo”.
“Ah-ah”. Con tutti quei continui scossoni al ragazzo era venuta una leggera nausea. Si concentrò quindi nel fissare un particolare gatto di ceramica. Aveva un orecchio sbeccato e gli occhi verdi spalancati lo rendevano leggermente inquietante.
Alzando lo sguardo avvistò il cancello di ferro che delimitava la tenuta. Prese a ringraziare tutti gli dei a lui conosciuti e sconosciuti.
La vettura si fermò a qualche metro dalla porta d’ingresso.
Il motore non era ancora stato spento che un razzo - canino umano sbucò dalla finestrella che c’era alla base della porta, abbaiando. Tebaldo assottigliò gli occhi con sguardo assassino “Spencer”.
La giovane si emozionò “Ma allora hai anche tu un cane! Perché non me lo hai detto?”.
“Perché quello non è un cane, è uno schizzato assatanato che non sta mai fermo e mastica qualsiasi cosa è alla portata della sua mascella, tra cui la ruota posteriore della mia auto due settimane fa”.
Appena aprì la portiera si ritrovò il dalmata che era ben deciso a saltargli addosso. “Spencer sta giù”. Lo prese per il collare e chiuse la portiera dietro si se. La giovane era uscita anche lei dalla macchina e guardava eccitata il canide, il quale non aveva notato l’aura assassina del padrone.
“Oh è dolcissimo”. Spencer smise temporaneamente di scodinzolare estasiato e si girò verso l’estranea annusandole cautamente una mano.
“E’ un bellissimo animale”. Tebaldo replicò, sbuffando. “Si, se lasciamo perdere che va dove non deve andare, non fa quello che gli si dice, e se fosse per lui mangerebbe a qualsiasi ora del giorno”.
Spencer prese a tremare. “Giusto, non riesce a stare trenta secondi al freddo senza diventare un ghiacciolo”. Si attaccò alla sua gamba. Cielo, pure masochista.
Amarillide sorrise dolcemente. “Meglio che andiate dentro allora”.
Il ragazzo sbattè le palpebre. Si, giusto. Era arrivato. Con tutto quel trambusto canino se n’era quasi dimenticato. Ma…oh andiamo, mica poteva farla rimettere in viaggio con quel tempaccio, no? E anche se ne era leggermente inquietato, non sarebbe stato da gentiluomo mollarla nella tormenta.
“Ti andrebbe della Nutella?”. Non sapeva perché lo aveva detto. Davvero. Si era appena giocato la carta del tipo figo – tenebroso – tenace – inflessibile. E non c’entrava nemmeno che la cioccolata liquida era “segretissimamente” il suo cibo preferito.
Lei comunque non rise, sembrava più che altro concentrata, come se stesse combattendo qualche battaglia interiore. “Con le fette biscottate?”.
E anche se una parte di lui era depressa per la sua dignità maschile perduta, sorrise. A modo suo. Non con la bocca ma con gl’occhi.

“Con le fette biscottate”.
 

Note dell’autrice:
Non so da dove mi sia saltata fuori questa storia, sarà che è primavera e mi manca la neve. Ad ogni modo se vi va lasciate un commenticino.

*Disposofobia: Bisogno ossessivo di acquistare una alta quantità di beni

  
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