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Autore: harinezumi    23/05/2013    1 recensioni
"Beneath the bluster of the Green Arrow, Oliver Queen was a man with time on his hands. And I've spent my life trying to be that same kind of man". - Roy Harper
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Riser
Parole: 4481
Genere: Generale, Introspettivo
Personaggi: Freccia Verde/Oliver Queen, Lanterna Verde/Hal Jordan, Speedy/Mia Dearden, Freccia Rossa/Arsenale/Roy Harper, Freccia Verde II/Connor Hawke, Black Canary/Dinah Lance + JLA (in particolare Superman)
Coppia: Oliver Queen/Dinah Lance
Avvertimenti: Missing moments
Disclaimer: Nessun personaggio della DC comics mi appartiene perché io sono una pippa che non inventerebbe mai nulla di così figo.

Note: ho preso sei parti importanti della vita di Oliver Queen, come eroe e come uomo, analizzando in ogni parte il suo rapporto con determinate persone e familiari che hanno definito il suo carattere e la persona che è. La New 52 non è contemplata nemmeno in una pallida aspettativa, e può gentilmente allontanarsi e magari anche sparire; in genere, non ho preso nessuna situazione da una storia reale che ho letto.

Oliver è una persona complicata. Spero di averlo inquadrato in maniera vagamente corretta; in ogni caso, se c'è qualche fan di Freccia Verde là fuori, può lasciarmi un commento e dirmi cosa ne pensa :)

harinezumi

 

 

 

 

____________________

 

 

 

Riser

(a Giulia)

 

 

JLA

 

Anche se nel suo animo sentiva che quello era il posto giusto per lui, Freccia Verde intuiva che c'erano diversi fattori che avrebbero dovuto spingerlo ad andarsene dalla JLA.
Primo fra tutti, a Batman e Hawkman era permesso di parlare e al primo addirittura di guidare la League assieme a Superman. Spesso senza che nessuno l'avesse chiesto (eppure Oliver era l'unico a lamentarsene a parte Hal, con sua grandissima perplessità). E poi, dopo un inizio burrascoso in cui avevano cercato di allontanarlo in tutti i modi, per la maggior parte i membri ancora non si fidavano di lui, come se fosse il primo ritardato uscito da Star City.

Freccia Verde riteneva di sapere il fatto suo, e lo urtava che nessuno in mezzo a quella manica di imbecilli pomposi sembrasse notarlo.
Lo urtava ancora di più che fosse così importante per lui che lo riconoscessero come un loro pari.

Per questo mesi prima aveva cominciato a pensare che forse lasciare la League fosse la cosa giusta da fare, per sé stesso, per la sua autostima, per non dover stare più in mezzo a quell'ammasso di cosiddetti eroi pieni di sé.
Avrebbe fatto l'annuncio al meeting di quella sera, se non fosse che un'emergenza li colse proprio nel bel mezzo della discussione, e l'intera League in pochi minuti fu troppo occupata a sventare un attacco alla Watch Tower (era la settima volta in un mese che Luthor ne scopriva le coordinate, davvero, Batman perdeva colpi) da parte di un esercito di droni per starlo a sentire.

Accadde dopo che Oliver si parò istantaneamente davanti a Superman, scoccando una freccia che distrusse il proiettile di kryptonite che stava per colpirlo, che i suoi progetti cambiarono.
Clark si alzò in piedi da dove era caduto a terra, togliendo velocemente dal braccio delle schegge di proiettili precedenti, con una smorfia, prima di passare di nuovo all'attacco.
Erano soli nella Hub centrale, e i droni sembravano insistentemente volersi ammassare tutti lì, a circondarli.

Ollie, senza nemmeno pensarci, corse ai comandi che azionavano gli schermi che circondavano la sala.
“Reggiti, Supes!” gridò, afferrandosi alla prima maniglia che trovò e premendo i pulsanti tutti insieme; un risucchio terribile d'aria lo tirò verso lo spazio che si aprì intorno a loro.

Ebbe appena il tempo di vedere gli ultimi droni volare fuori dal satellite ad una velocità invidiabile, che Superman, grazie ad uno scatto inumano, azionò nuovamente i comandi, richiudendo la sala.
Gli schermi si assestarono, e Freccia Verde mollò la presa sulla maniglia, senza respiro, crollando a terra.

“Sei impazzito” ansimò Clark, sedendoglisi accanto, apparentemente stanco quanto lui. “... non sono mai stato così contento di dar ragione a Batman, Freccia” mormorò poi, lanciandogli una strana occhiata (ammirazione?), accompagnata da un sorriso.
“Cosa... intendi?” domandò Oliver, distratto, cercando di smettere quantomeno di tremare.

“Beh, potevi morire. Perdonami, ho dubitato che tu fossi veramente interessato ad unirti alla League. Nulla di personale, ma non ero sicuro che desiderassi la nostra fiducia, né tanto meno che volessi darci la tua” spiegò Clark, alludendo poi con un gesto agli schermi ora chiusi. “Ma Bruce ha ragione. Sei abbastanza pazzo da rischiare la vita per noi, e tanto ci dovrebbe bastare”.

Freccia Verde lo fissò qualche secondo, poi sbatté le palpebre. “Batman ha detto questo?” domandò poi, in tono falsamente impressionato.
La sua reazione fece scoppiare Clark in una grossa risata, seguita poi da un gemito, perché chissà quante schegge di kryptonite aveva ancora in corpo.

Oliver gli sorrise, anche se non era esattamente divertito. No, era sollevato.
Perché nel momento in cui Superman aveva pronunciato quelle parole, si era reso conto che erano vere: lanciando un'occhiata alla Terra, sotto di loro, attraverso le vetrate, aveva finalmente capito che se c'era qualcuno con cui avrebbe mai voluto morire per difendere la sua casa, era proprio la Justice League.

E quello era un motivo più che sufficiente per restare.

 

*

Hal Jordan

 

“Ripensi mai a quel viaggio insieme?”

Quella domanda spuntò dal nulla, e Oliver posò la birra sul cornicione, lanciando uno sguardo interrogativo ad Hal, che stava fluttuando sopra di lui, seduto a gambe incrociate in aria. Lui la sua birra non l'aveva quasi toccata, eppure farneticava abbastanza da essere ubriaco, a quanto pare.

“No, non un granché. Ho troppo da fare, ultimamente” mentì Freccia Verde, riportando la birra alle labbra e tornando ad osservare pigramente la strada sotto alla terrazza del palazzo dove si erano appostati. “Pensi che Batman sappia che stiamo bevendo in servizio?”
Non avrebbero dovuto farlo, ovviamente. Ma non avevano più il tempo di fare nulla di “normale” insieme, quindi gli appostamenti della JLA erano in effetti l'unico modo che avevano per rilassarsi. Tanto, non succedeva mai niente.

“Non c'è assolutamente possibilità al mondo che non lo sappia, Ollie” rispose Hal, alzando gli occhi al cielo e fortunatamente distogliendo la propria attenzione dall'argomento precedente. “Quel coso è ovunque. Ma può anche ficcarselo dove sa lui il suo concetto di “dovere”. Il giorno in cui mi farò condizionare dai suoi bat-giochetti che terrorizzano anche Superman, sopprimimi”.

Oliver sorrise, chiudendo poi gli occhi e prendendo un grandissimo sospiro.
Si chiese perché ad Hal fosse stato dato il potere di metterlo a disagio con sole poche parole, oltre a tutto il resto; l'amico doveva sapere che il tema di quel viaggio gli era caro in modo particolare, ed era suscettibile al riguardo, almeno ultimamente.
Doveva aver aspettato che fossero soli soltanto per chiedergli quella domanda. Stranamente delicato da parte sua.
Riaprì gli occhi.

“In effetti, a quel nostro viaggio ci penso quasi tutti i giorni. Penso a quanto ancora potremmo fare insieme per aiutare la gente che non ha niente, come abbiamo fatto allora... penso a quanto rammolliti ci siamo a sostituire quello con questo” Freccia Verde indicò la strada sotto di loro, con un sospiro. “Ronde di sorveglianza per la Lega degli Assassini? E la povera gente? Le vittime che ci lasciamo dietro? Mi convinco che si deve andare avanti, crescere, trovare strade diverse per fare del bene. Ma più che altro cerco di convivere con il fatto che la persona che ero allora... non tornerà mai”.

“Ollie...” Hal scese dal suo sedile immaginario sull'aria, atterrando accanto a lui e posandogli una mano sulla spalla. Gli stava sorridendo, ma non c'era molta gioia nella sua espressione; Oliver lo conosceva troppo bene da non capire che in fondo la pensava esattamente come lui. “Tu sei sempre dalla parte della giustizia, amico. Nessuno può dire il contrario. A volte, prima di fare qualcosa, me lo domando... “cosa farebbe Ollie?”, perché, diavolo, tutto ciò che fai è giusto. Sei un imbranato, e a volte i risultati fanno pena, ma sei la persona più onesta con sé stessa che io abbia mai conosciuto. Oh, intendo nel tuo lavoro, nella vita sei uno schifo”.
Oliver fece una smorfia, alzando un sopracciglio.
“Il punto è che non voglio che dubiti di te stesso. Altrimenti dove andremo a finire?”

“Ah, se la metti così...” Freccia Verde sospirò, allontanando la mano di Lanterna e fingendosi estremamente seccato dalla conversazione. “Vedrò cosa posso fare. Dopotutto non capita tutti i giorni di essere il modello di comportamento della Lanterna Verde... ora capisco perché sei un incosciente”.

“Così mi piaci. E, Ollie...” mormorò Hal, improvvisamente intento a leggere dei simboli spuntati su una schermata verde dal suo anello.
“Mh?”
“Batman ha detto che il nostro sospettato ci è appena sfuggito da sotto il naso, lo ha intercettato Flash. Ora, non che io abbia paura di lui e della sua reazione quando ci vedrà, ma sai quel viaggio insieme?”
Oliver sorrise, anche se più che altro sul suo volto si aprì un ghigno, al tono nervoso di Hal. “Sì?”

“Dovremmo fare un bis. Ad esempio, adesso”.

 

*

Mia Dearden

 

“Non ho toccato niente, lo giuro!”
“Era qui, era esattamente in questo punto!! Se non l'hai preso tu, chi diavolo dovrebbe essere stato? Eri da sola in casa, non prendermi in giro!”

Ollie indicò la parete vuota, dove tempo prima aveva appeso uno dei suoi vecchi archi trovati nella Freccia-Caverna distrutta; in particolare, uno di quelli con cui aveva viaggiato tanti anni prima con Hal Jordan, in giro per l'America.
L'arma era inservibile dopo tanti anni, ma ovviamente lui ne era legato da un sentimento molto più personale. E Mia doveva averlo preso, altrimenti non si spiegava il fatto che fosse scomparso da un momento all'altro.

Era ancora restio al fatto di aver preso sotto la sua protezione una ragazzina relativamente giovane e di averle permesso di combattere il crimine al suo fianco. Era bello avere nuovamente Speedy accanto, ma gli errori commessi con il suo primo partner -ormai aveva imparato a non definirlo “spalla”, anche nella sua testa- lo spingevano ad andare molto cauto sulla questione della fiducia.
Si fidava di Mia, certo, specie quando non rubava i suoi archi.

“Ollie, non l'ho preso, fine della discussione. Lasciami in pace!”
Mia cercò a quel punto di defilarsi nella sua stanza, ma Oliver infilò il piede tra la porta e lo stipite impedendole di chiuderla, anche se così finì per maciullarsi un paio di dita.

Fingendosi stoico di fronte ad un dolore lancinante, continuò a parlare, ora a suo malgrado molto più alterato di prima; del resto il riuscire a controllare le proprie emozioni non era il suo forte.
“Non posso credere che hai la faccia tosta di mentirmi!”

“E io non posso credere che tu metta in dubbio la mia parola!” esclamò Mia, allargando le braccia e voltandosi a guardarlo, furiosa e appena più controllata di lui; forse era perché si somigliavano fisicamente, ma gli ricordava terribilmente Dinah in quei momenti. “Ti è mai passato per la testa che sei così rimbambito che probabilmente se stato tu stesso a spostarlo e nemmeno te lo ricordi?!”

Ollie spalancò le labbra, boccheggiando indignato.
“Non sono così vecchio da soffrire di Alzheimer!!”
“E io non ho preso il tuo fottuto arco! Dove me lo sarei infilato, poi?”
“Non usare quel tono con me!”
“Se non vuoi che lo usi, esci dalla mia stanza! DIO, come fa Connor a sopportarti!”

Dette -urlate- quelle parole, Mia lo spinse di forza fuori dalla camera dentro la quale Oliver aveva fatto appena due passi, sbattendogli la porta in faccia e chiudendola a chiave, come si poté udire dal rumore della serratura.
Oliver avrebbe buttato giù la porta a spallate, se non fosse che, lanciando un'occhiata distratta lungo il corridoio, vide il proprio arco buttato sul proprio letto dalla porta della sua camera.

Immediatamente, ricordò di averlo tolto dalla parete per lucidarlo, e di esserselo scordato lì in quanto la sera prima era troppo stanco dalla ronda per spostarlo dalle coperte -cosa che non era successa anche grazie l'assenza di qualcun altro, maledette Birds of prey-.
Rinunciò all'istante a discutere con Mia, sentendo in quel momento la consapevolezza di quanto il proprio comportamento nei suoi confronti fosse stato da perfetto imbecille.
D'accordo, la ragazzina non aveva preso l'arco. E lui le aveva urlato dietro per niente.
Non c'era bisogno di farne un caso di stato, giusto?

Ollie sospirò, coprendosi la faccia con entrambe le mani.

Fu così che cena cucinò il chili, domandò a Mia se ne volesse e accese la tv sul programma preferito di lei. Era seduto sul divano da soli cinque minuti, quando Mia lo raggiunse.
E mentre mangiavano in silenzio, le chiese (in modo piuttosto impacciato e brusco) se volesse per caso andare di ronda con lui, quella notte, tanto per cambiare, perché si fidava di lei per un lavoro.

Mia sorrise, gli posò una guancia sulla spalla mentre continuava a guardare Project Runway e mormorò “sì”.

 

*

Roy Harper

 

Lui era così diverso, adesso.
Non somigliava più ad un ragazzino insicuro, somigliava ad un uomo che oramai era andato avanti, costruendosi una strada ben più luminosa di quella del suo mentore; Oliver a volte non poteva fare a meno di pensare che Roy lo avesse superato in ogni campo della vita (non che fosse troppo complicato, in un certo senso, anche considerando la buona dose di sfortuna che Roy aveva avuto nella sua).

E, come ogni volta, anche se quello era ciò che pensava di lui, non glielo dava a vedere affatto.
Anzi, quando finivano nella stessa squadra in missioni che coinvolgevano la JLA e di cui anche Freccia Verde si trovava a far parte, Oliver non riusciva mai a trattenersi e faceva di tutto per ricordargli le sue origini da Speedy, producendo quindi l'impressione che la sua opinione fosse del tutto contraria; a volte fingeva di chiamarlo così per errore, quando in realtà era mescolato ad una frase che si stava studiando da dieci minuti.
Era il suo modo di testarlo, di capire se era davvero andato avanti con la sua vita o aveva ancora intenzione di vivere nella sua ombra, cercando il suo rispetto e riconoscimento.

La cosa che lo infastidiva di più, era apparentemente Roy aveva fatto quel passo per davvero.
Stava ai suoi scherzi senza battere ciglio. Avrebbe voluto scuoterlo, chiedergli chi diavolo fosse lui per parlargli in quel modo del tutto senza rispetto e non ricevere nemmeno una risposta. Però, probabilmente, adesso il ragazzo si credeva anche troppo superiore per cedere ai suoi dispetti, e Oliver non poteva dargli torto.

Lo spinse a terra di lato, nascondendolo ad un raggio di luce che una delle protuberanze del coso -alieno?- che stavano combattendo sparò in quel momento; gli fece scudo con il proprio corpo, ma quando il raggio lo colpì e la luce scomparve, capì che tenersi stretto a Roy non era bastato a proteggerlo.
Erano legati insieme da una sostanza appiccicosa, in una posizione del tutto scomoda, e Roy aveva la faccia completamente immersa nel fango. Freccia Verde si spostò su un fianco, imprecando e sbirciando il campo di battaglia nella radura della foresta; sembrava che l'alieno avesse rivolto il suo raggio su Hawkman. Ollie gioì e sperò che lo colpisse.

Quindi riportò la sua attenzione su Roy, che stava sputando fango sotto di lui. Rise, nel sentirlo così impacciato in quella situazione. “Non devi essere particolarmente felice di essere bloccato qui con me, mh, Speedy?”

“Poteva andare peggio” sbottò Roy, abbassando la testa e divincolandosi leggermente, probabilmente perché stava cercando qualcosa nella cintura, per liberarli.
“Oh andiamo! Niente?” sbottò Freccia Verde, alzando un sopracciglio, anche se l'altro non lo poteva vedere. “Dillo che mi detesti quando faccio così! Dillo che hai un nome tuo, ora sei... oh, dannazione, com'è che ti fai chiamare ora?”

“Vecchio...” Roy sospirò pesantemente; anche se non vedeva il suo viso ma solo i suoi capelli, ad Oliver bastò soltanto quello per capire che stava alzando gli occhi al cielo. “Non odio affatto quando mi chiami così. È che... mi sta bene. Mi sta bene essere rimasto Speedy per te, perché mi sono ripromesso di volerti bene anche così imbecille come sei”.

Ci fu una lunga pausa, nella quale Oliver non riuscì a parlare né a credere alle proprie orecchie. Forse la sostanza aliena con con li avevano legati aveva la proprietà di mutare la personalità.
Poi, però, Roy raggiunse con un sospiro di sollievo il coltello sulla propria cintura, e riprese a parlare; la sua voce, finalmente, aveva del tutto perso quel tono accomodante e rassegnato; somigliava già di più a quella di un gatto a cui avevano pestato la coda e in procinto di cavare gli occhi al colpevole.

“Perché ti conosco bene, Oliver Queen, e che io sia dannato, non c'è modo al mondo in cui tu ti possa ricordare il mio fottuto nome!!”

 

*

Connor Hawke

 

Oliver, seduto sul proprio letto nella stanza completamente buia, prese la cornetta per la decima volta, rigirando il foglio di carta tra le dita dell'altra mano, dove c'era scritto quel numero di telefono. Era di nuovo quel giorno, stava quasi per finire, e lui da otto anni lo ignorava facendo finta che non esistesse.
Non era mai arrivato così vicino ad utilizzare il numero, né era ben sicuro di cosa sarebbe successo se l'avesse fatto.

Non era certo rispondesse lui. Non era nemmeno certo che il numero fosse sempre lo stesso dopo tutto quel tempo, anche se tramite alcuni contatti aveva saputo che l'indirizzo della casa, perlomeno, era sempre uguale.

Era appena tornato da una missione particolarmente stancante, era infangato e distrutto e indossava ancora i suoi vestiti da Freccia Verde, ma una volta in casa era andato dritto nella sua stanza e aveva preso il telefono, cercando proprio quel numero.
Sentì le dita formicolare, pesantissime quando spinsero i tasti del telefono, anche se dentro di sé si sforzava di ripetersi che non c'era nulla di cui preoccuparsi, che il ragazzino non avrebbe mai risposto di persona e che probabilmente tutto ciò che avrebbe ottenuto da quel suo tentativo sarebbe stata una cornetta sbattuta in faccia. Era quello che voleva, in fondo; perché era quello che si meritava.
Si portò il telefono all'orecchio, e dopo tre squilli fu la voce inconfondibile di un bambino a rispondere. Dannazione.

“Ciao. Sei Connor?” domandò allora rispondendogli, cercando di controllare il tono della voce.
“Sì... vuole che le passi la mamma?” Il bambino sembrava confuso.
“Oh, no, cercavo te. È... è il tuo compleanno oggi, vero?”
“Sì! Compio otto anni!”

Oliver si coprì gli occhi con la mano libera, incurvandosi ulteriormente al peso della conversazione che si stava costringendo ad avere con suo figlio. Si sforzò di parlargli ancora.

“Buon compleanno, piccolo” riuscì soltanto a mormorare, prima di allontanare la cornetta da sé, sbattendola al suo posto e prorompendo in un singhiozzo che cercò di mascherare, premendo forte i palmi delle mani contro le palpebre chiuse.

Il tempo che poi passò in quella posizione gli sembrò infinito.

 

“Oliver... eri tu quel giorno?” domandò Connor, entrando improvvisamente in cucina, proprio nell'istante in cui Oliver stava preparando la loro colazione.
Teneva un foglietto in mano, dove stava scarabocchiato il numero di telefono della vecchia casa in cui abitava con sua madre da ragazzino.

Oliver azionò la macchina del caffè, dopo una pausa in cui era rimasto perfettamente immobile a fissarlo. “Non sapevo di averlo ancora. Buttalo via, Connor...”

“Ma sei stato tu a chiamare?”
“Buttalo”.
“Papà...”

Ollie si voltò verso suo figlio, cercando di sostenerne lo sguardo; ma anche dopo tanto tempo passato a scusarsi e a sentirsi accettato da lui nonostante l'avesse abbandonato, gli fu molto difficile.
“È stata una cosa stupida. Sarei dovuto venire a prenderti, piuttosto”.
Connor, però, gli rivolse un sorriso soddisfatto, luminoso. “Oh. Sai, non ho mai detto alla mamma di quella telefonata... era un po' il mio segreto. Ho sempre pensato che a farla fosse stato il mio vero padre e... beh, non mi sbagliavo”.

Si sedette al tavolo della cucina, non prima di aver gettato nel cestino accanto alla porta il foglietto, con noncuranza.
“È stato il compleanno più bello della mia vita”.

Connor sorrideva ancora, la macchina del caffè dietro di lui stava per esplodere fumando, ma Oliver non riusciva davvero a vedere né a capire più niente sopra al velo delle proprie lacrime.

 

*

Dinah Lance

 

Ho quasi ucciso una persona.

Quel pensiero gli attraversò la mente nel momento più inaspettato, proprio quando era sul punto di scoccare una freccia a uno dei tre uomini che lo avevano accerchiato; la paura di sbagliare ancora, di mirare al petto invece che al braccio, lo investì senza che potesse riprendersi, e un tremolio alle dita sul riser gli bastò per decidere di non tirare.
Immediatamente, uno dei tre banditi che aveva sorpreso a derubare un minimarket si scagliò su di lui urlando, e anche se Freccia Verde cercò di scansare il colpo, il malvivente riuscì a colpire la sua mascella comunque, a pieno pugno, e a mandarlo lungo disteso sul cemento del marciapiede.

Stordito, Oliver rialzò la testa, ma la sua visuale lievemente sfocata non migliorò quanto bastava a prevenire il secondo colpo, un calcio che gli mozzò il respiro, dritto nelle costole.
L'arco era volato a chissà dove, a quel punto, e di sicuro qualcosa si era rotto da qualche parte; dal momento che erano le due di notte e che non c'era nessuno per strada, non poteva nemmeno cominciare a chiamare aiuto, anche se ci fosse riuscito.

Invece di focalizzare, alzarsi o reagire, il suo cervello gli mandava impulsi di tutt'altro genere, che non poteva controllare e che lo fecero imprecare ad alta voce, quando il secondo calcio arrivò.

“Questi supereroi sono più che altro super-incompetenti...” commentò uno dei tizi sopra di lui, con una risata.
“E pensare che i suoi boss erano Batman e Superman...” aggiunse un altro, calpestando una delle gambe di Ollie, che gridò di dolore, mentre cercava di riprendere fiato.

Era del tutto inutile, quando i muscoli non gli rispondevano e la vista gli si annebbiava di più per il dolore.
Dinah che gli urlava addosso di come non riuscisse più a sopportare i suoi scatti d'ira, di come dovesse abbandonare la sua vita da vigilante, o l'avrebbe abbandonato lei, prima che tutto finisse in tragedia.
Sentì una fitta di dolore alla testa, quando uno dei tre gli tirò un sasso addosso con una risata, e stranamente, contro ogni probabilità, fu quel gesto che gli fece intuire la situazione: stava avendo un attacco di panico.

Aveva così paura di perdere il controllo di nuovo, di provocare la morte di uno di quei tre imbecilli (imbecilli, ma pur sempre persone), che il suo corpo si era ribellato a lui ancora prima che lui riuscisse a figurarsi il perché. Aveva paura del giudizio di Dinah.
Si mise a carponi, ansimando, parando finalmente un altro calcio che gli arrivò da un fianco con uno dei parabracci da arciere; fu difficile, ma riuscì a mantenere la presa sulla gamba del ladro, che tirò verso di sé, mandandolo disteso a terra.

Sentì del sangue colargli dalla fronte misto al sudore, che gli appannò di nuovo la vista; ma riuscì anche a mettersi in ginocchio, focalizzando finalmente gli altri due uomini e sorridendo loro a denti stretti. Doveva essere una visione niente male in quel momento, perché il terrore che per un attimo attraversò i loro visi era molto simile a quello che provava chiunque ad un'occhiata di Batman.

I due, dopo un attimo di sgomento, lo caricarono all'unisono con un grido, e Oliver fece una capriola di lato per recuperare il proprio arco, incoccando una freccia nel momento in cui la sua spalla si risollevava da terra e i suoi piedi si posavano al suolo; riuscì a bilanciarsi a sufficienza in quelle frazioni di secondo, mirando al braccio di uno dei due... e colpendolo.
Nel sentire le urla di dolore che ne seguirono, Freccia Verde sorrise.
Forse un giorno avrebbe perso la sua sanità mentale andando in giro ad impalare la gente, ma per ora continuare a procurare ferite di lieve identità e comunque dolorosissime gli sembrava un'idea migliore.

Incoccò un'altra freccia, ma si rese subito conto che non ne avrebbe avuto bisogno.

“È davvero meglio che ti arrendi” commentò, vedendo che il terzo malvivente lo stava fissando a bocca aperta e si era fermato; il tutto era successo così velocemente che non era riuscito a fare in tempo nemmeno a pensare di estrarre la pistola, anche se avrebbe voluto, considerata la mano che aveva sotto la giacca. “Non vorrai che i miei... boss siano costretti a passare di qui per rimediare alla mia incompetenza” aggiunse Freccia Verde, con un sorrisetto ironico.

“N-no, io... mi arrendo. Non farmi del male” balbettò il tizio, cercando di sovrastare le urla del suo compagno che era scivolato a terra in ginocchio, tenendosi il braccio ferito; il terzo aveva battuto la testa quando era caduto, ed era svenuto.

Freccia Verde li impacchettò contro un lampione, facendo una veloce chiamata al 911 con il cellulare di uno dei tre, prima di lanciare un rampino sul tetto più vicino ed arrampicarcisi sopra, soddisfatto.
Dal momento stesso in cui quell'attacco di panico era sparito, si sentiva stranamente leggero; così leggero che si lasciò sfuggire un sorriso, nel vedere la sua città a quell'altezza, pensando che forse, dopotutto, non sarebbe stato costretto ad abbandonare quella vita. Era riuscito di nuovo a controllarsi, ad avere una coscienza.

“Serata dura, piccolo?” chiese allora una voce dietro di lui; Oliver si voltò, incontrando lo sguardo di sua moglie.

A dispetto del costume di Black Canary, non era mai stata quella la caratteristica di Dinah che Ollie notava per prima.
I suoi occhi, anche stavolta, vagarono subito sulle labbra di lei, per scoprire con sollievo che Dinah gli stava sorridendo, a differenza di quello che succedeva da molte settimane a quella parte. Per una volta, non era sarcastica; c'era solo dolcezza nel suo sguardo. Nessuna traccia dell'astio che aveva tenuto per lui in quei giorni (ricambiato).

Oliver non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
“Mi stai spiando, uccellino? Guarda che è tutto sotto controllo” mormorò, avvicinandosi a lei e riponendo l'arco a tracolla, per avere le mani libere e poterle prendere la vita, tirandola più vicina a sé; con un tocco tenero, ma estremamente possessivo.
“Ti tengo d'occhio, per impedire che tu faccia qualcosa di stupido” rispose lei; per un attimo, Oliver sentì ancora quella difficoltà a respirare che aveva seguito l'attacco, ma Dinah stava ancora sorridendo, il suo tono era giocoso. Non lo stava accusando di nulla, adesso. “Ad esempio questo” sospirò ancora, sfiorandogli la ferita che il sasso gli aveva procurato sulla fronte.
“Oh, se eri tanto preoccupata, perché invece non mi hai dato una mano?”

Dinah alzò un sopracciglio, passandogli le braccia dietro al collo e sospirando teatralmente. “Credevo che avessi tutto sotto controllo”.
“Hai sempre una risposta per tutto, mh?” sussurrò Oliver, senza riuscire a trattenersi e baciandole la fronte, alzando una mano per infilarla tra i suoi capelli biondi, prendendo un profondo respiro del suo profumo.
“Senti chi parla” rispose Dinah, mentre il suo corpo rispondeva con un tremito a quel bacio; probabilmente era ad un passo dal saltargli addosso almeno quanto lo era Oliver, ma con il tempo anche due come loro avevano imparato ad aspettare di trovarsi in una camera da letto per determinate cose.

“Sai una cosa, piccola?” mormorò Oliver alla fine, abbassando lo sguardo sul suo, prendendole una guancia sul palmo della mano; le dita di lei corsero veloci ad intrecciarsi nelle sue. “Hai ragione. Ho tutto sotto controllo. Però, quella rabbia... quegli... sfoghi. Credo che dovrei incanalarli in qualcos'altro”.

Un guizzo di vivacità passò in quel momento negli occhi di Dinah, il cui sorriso si aprì ulteriormente, mentre si metteva in punta di piedi e sfiorava le sue labbra con le proprie.

“Lasciami aiutare” gli sussurrò, un istante prima di baciarlo.












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