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Autore: Ulysses    23/05/2013    2 recensioni
Pensai per un paio di minuti alla risposta giusta insieme a Daniele, il primo che mi aveva avvertito del tradimento di Flavia. Alla fine optai per un serenissimo messaggio di chiusura: “Io no. Vaffanculo”.
Che classe. (Nuda, Capitolo 1)

Un viaggio in prima persona nelle menti di adolescenti napoletani della medio-alta borghesia tra feste, crisi d'identità, primi amori, problemi in famiglia, alcool e droga.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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Dalle piccole e comode cuffie bianche usciva “Baba O’ Riley”, una delle mie canzoni preferite. La ascoltavo sempre, soprattutto a quei tempi. Oddio, parlo solo di un anno fa, forse meno. Ma credo di essere cambiato molto. Prima di tutto non ho più 16 anni e non mi farei qualsiasi ragazza giusto per il gusto di scopare. 

Ero sul mio motorino, un Liberty grigio 125, un po’ scassato dalla parte anteriore (c’avevo fatto un incidente col mio amico Michele, per fortuna entrambi illesi). Facevo zig-zag tra le auto che affollavano le auto sulla strada, volevo arrivare sotto l’Umberto il primo possibile. Flavia mi aspettava già da 20 minuti, e quando aspettava troppo si incazzava, o almeno di solito così faceva. Adesso non lo so più. Mi sembra di non sapere quasi più niente su Flavia, a parte che viveva alla fine di Via de’ Mille e andava al liceo classico Umberto. 

A quei tempi, aprile, un anno fa più o meno, sapevo tutto di lei. La sua personalità, il suo carattere, i suoi modi di fare. Erano a nudo. L’unica cosa che non riuscivo ad avere nuda, era l’unica cosa che volevo. Cazzo, scopare con lei è stato un po’ difficile.

Arrivato vicino il grosso liceo grigio, che mi metteva, e mette ancora, un po’ di tristezza, parcheggiai il motorino in doppia fila dietro un rottame verde, che non osavo nemmeno vedere di che marca fosse. Misi il solito catenaccio attorno alla ruota anteriore, e dopo essermi assicurato che fosse ben chiuso (a Michele gli avevano fregato il mezzo un mese prima, a via Chiaia, e da allora ero paranoico). Nel frattempo, la canzone degli Who era finita, era partita “Ai se eu te pego” di un brasiliano, il cui nome mi sfugge sempre. Non mi piaceva granché, ma quella canzone si portava e la sentivo ogni cazzo di sabato che andavo all’Accademia o al Duel o al Voga o ad una qualsiasi discoteca napoletana. Misi la mano sulla tasca del mio jeans scuro per tirar fuori il mio iPhone 3GS, quando, forse avvertendo la sua presenza, alzai lo sguardo e vidi Flavia che mi sorrideva.

Era bellissima, cazzo. Avevo sempre preferito le bionde. Invece lei era mora. Capelli neri che le scendevano fino all’allaccio del reggiseno. Speravo di arrivarci anch’io a quell’allaccio, per toglierlo. Era l’unica alla quale pensavo. Era diventata un’ossessione. Giovanni mi aveva detto un mese prima che non me la sarei mai riuscita a fare, perché era diversa, non era una puttanella come Francesca o Chiara, al quale il mio ciuffetto biondo e quell’aria da stronzo nato con la camicia poteva piacere. Giovanni diceva che lei uscisse solo con ragazzi che amava. Amava, cazzo. Io mi sarei dovuto far amare da lei, solo per avere tre, forse quattro minuti da soli, stesi su un letto? Era una sfida, mi era stata lanciata. E, a quei tempi, non rifiutavo mai sfide così.

Mi venne incontro, sarei dovuto rimanere affascinato dagli occhi, azzurri cristallini, e invece fissavo le tette, che non erano nemmeno grossissime, che sobbalzavano mentre correva. Era magra, e aveva proprio un bel corpo. Era la ragazza più bella del secondo anno, o almeno così dicevano. Io volevo solo farmela. Un altro nome alla mia lista.

-Ce ne hai messo di tempo.- esordì lei -Pensavo non venissi più... come è andata a scuola?

-Tutto bene...- tagliai corto, non avevo voglia di parlare di quelle stronzate.

-Andiamo a farci un giro? Volevo parlarti un po’... ieri sei stato dolcissimo a restare alzato per leggere le mie stronzate su WhatsApp.

-Non erano stronzate... non dici mai stronzate- le dissi, ma invece lo erano. Gran cazzate. Non avevo voglia di sentire la sua stupida storia sul suo stupido ex ragazzo, un coglione che aveva successo con le ragazze e faceva l’alternativo, tipo che usciva solo con quelle che le piacevano. Il tizio, Marco, lo avevo conosciuto un paio d’anni prima a Procida, entrambi passavamo lì il mese di agosto. Era un coglione. Non sapeva nemmeno farci con le ragazze. Ma era un bel ragazzo. Molto più bello di me. Io avevo dalla mia la simpatia e sicuramente il fatto che sapevo fingermi interessato ai discorsi delle ragazze. Mai sottovalutare questo potere.

-Ieri gli ho mandato un messaggio...

-Che gli hai detto?- risposi, fingendomi interessato. Continuavo a fissare le tette, meno male che portavo gli occhiali da sole a specchio della Ray-Ban.

-Niente... che finalmente sono riuscita ad andare avanti... e che è uno stronzo. Può farsi Ludovica quando vuole, non è affar mio con quali zoccole si vede. E poi ho trovato una persona speciale...

-Chi?- sapevo già la risposta, io ero bravissimo a diventare quella persona speciale.

-Tu... E’ incredibile che ci conosciamo da... da quanto? Tre settimane? Un mese? Eppure è come se ci conoscessimo da una vita. Mi sento in grado di poterti raccontare tutto. Io.. credo che mi piaci, Ettore- e fece un sorriso. Bellissimo, proprio come lei. Il sole le illuminava il volto già raggiante di suo.

-Anche io mi sento di poterti dire tutto... non mi è mai successo. Credo che vorrei essere più che un amico per te.

Le mie parole uscirono spontanee, lineari, tranquille. Sembravano le avessi letto da un fogliettino nascosto sotto la manica della mia felpa blu. Era perché quella era la mia frase. L’avevo detto almeno una decina di volte. Ad una decina di ragazze diverse. Almeno in quell’anno, in quel funesto 2011. Flavia non fu la prima a sentirselo dire, e nemmeno l’ultima. Ci cascavano tutte, come pesci presi all’amo. Non c’era niente da fare, con quelle parole e un bel visino, te le scopavi tutte. Flavia era più sensibile, più matura, ma anche lei cedeva alle tentazioni. E io l’avrei fatta cedere. Per avere quei quattro minuti, almeno una o due volte alla settimane, per un po’ di tempo, due settimane, un mese, due mesi, chissà. 

Io e Flavia eravamo però realmente entrati in contatto. Che lo volessi o no, mi ero dovuto esporre molto di più con lei. Ho dovuto “aprire il mio cuore”, ogni tanto la usava con me per convincermi a parlare dei miei problemi. “Tutti ce li abbiamo, Ettore... e oggi ti vedo triste, perché non vuoi parlarne?” mi diceva. E io, se anche non avevo qualche pensiero malvagio per la testa, me li inventavo e parlavo con lei per un’ora e poi continuavamo sul cellulare. Quel mese era passato così. Ci eravamo visti quasi ogni giorno, soprattutto nelle ultime due settimane. Si era affezionata a me. E io a lei, ma non provavo un fuoco, un sentimento profondo, un qualcosa di più profondo del semplice desiderio di metterla a novanta. E’ triste da dire, ma era così. Ero uno stronzo. L’ennesimo stronzo.

Comunque, dicevo, lei era praticamente nuda ai miei occhi: sapevo tutti di lei. Mi aveva parlato del fatto che non le piacesse il suo corpo, che non le piacesse la sua faccia, a suo dire schiacciata come quella di una tartaruga. Una volta mi disse che aveva pensato che fosse inutile. Che stronzata. Quella volta le dissi, e lo pensavo veramente, che non doveva mai pensare a roba così. La vita andava vissuta, senza sentimenti così di pena. L’avevo consolata una decina di volta, l’avevo fatta sentire al sicuro. La andavo a trovare quando era triste, abbandonavo i miei amici per andare da lei (i quali però erano d’accordo perché erano a conoscenza del mio losco piano). Tutto questo senza nemmeno chiedere un bacio in cambio, un appuntamento, un’uscita. Niente. Solo uno scambio di emozioni. Principalmente era lei a parlare. A me piaceva ascoltarla. A lei piaceva parlare, di tutto. Dopo le prime volte, credevo veramente che avesse problemi, che veramente pensasse al suicidio, che si credesse una cessa, ma alla fine, ai miei occhi, si era rivelata come le altre. Quando sono nude, sono tutte così. Anche quando l’anima è nuda. Prendeva 400 mi piace a foto su facebook e postava almeno una foto al giorno. E poi andava in giro a dire che era brutta e che nessuno la voleva. “Ma vammi in culo”, quell’espressione che usavamo nel mio gruppo, mi venne alla mente e d’istinto mi venne da ridere, ma fortunatamente riuscii a non farlo.

Tornai alla realtà, eccola di fronte a me. Allungai le braccia, ci stringemmo forte, per un minuto intero. Poi lo baciai. Senza lingua, ovviamente. Non volevo partire in quarta. Le sue labbra erano soffici e calde, non umide, proprio come le avevo immaginato, solo mille volte meglio. Restammo un po’ così, per diversi secondi, poi ci staccammo e andammo a fare un giro sul lungomare Caracciolo. Il prof. Gamba mi avrebbe interrogato l’indomani in fisica, ma non era la mia prima preoccupazione. “I’m a man on a mission”, queste parole conficcate nella mia testa. Non avevo mai perso una scommessa del genere. 

Dopo un altro mese, ci siamo detti “ti amo”: così facile dirlo. Lo aveva detto lei per prima, prendendomi alla sprovvista, ma riesco ad improvvisare molto bene e le ho risposto che anche io l’amavo. Non era vero. Mi piaceva, e non era come altre, veramente. Sembrava più speciale, ma sicuramente non l’amavo. I sentimenti che ora provo per Federica non sono assolutamente paragonabile a quelli per Flavia. Eppure non resistetti all’impulso di farla contenta, di farla sentire apprezzata, di mentirle. 

Uscivamo quasi ogni giorno e ben presto arrivammo a fine maggio, i compiti a scuola diminuivano, le giornate di sole aumentavano e noi eravamo sempre in giro sul mio Liberty. Ogni tanto l’ho portata anche a casa mia, sperando che volesse farlo, ma non fu così. Ci baciammo, ma niente di più, se non qualche mano sui seni. Lei non me la toglieva ma era evidente che non volesse andare oltre.

E poi, come d’incanto, come una qualche magia, un giorno di inizio giugno andammo a casa sua. I genitori non c’erano, entrambi in vacanza con sua sorella più piccola, la casa era praticamente vuota perché Flavia dormiva dalla zia che abitava non distante da casa mia, alla fine di via Roma. Sapevamo che eravamo soli. E tutto fu molto naturale, senza alcun timore. 

-Ti amo... e sono pronta- mi disse. Io non le risposi, le sorrisi e la baciai. Aprii il mio portafoglio nero della Guinness, che avevo comprato a Dublino durante una delle mie vacanze, e tirai fuori un profilattico, uno di quelli classici, ma ben resistenti. Non ero un pazzo come Michele che lo faceva anche senza. L’idea di rischiare di metterla incinta era troppa. E poi a me piaceva così. 

Lei vide quella specie di calzino in gomma trasparente e non disse niente, semplicemente si inizio a spogliare. Finalmente nuda, senza vestiti. Pochi mesi prima l’avevo denudata dei suoi segreti, delle sue paure, la sua anima ai miei occhi era nuda e trasparente. Adesso però c’era proprio lei nuda davanti a me. Non era la mia prima volta, ovviamente. Per lei invece sì. 

Fu tutto sommato piacevole, il giorno prima mi ero masturbato e sono durato un paio di minuti in più. Ero io a comandare i movimenti e dopo sette minuti circa (ho l’abitudine di controllare l’orologio quando finisco di fare sesso, per vedere se sono migliorato) sono venuto. Lei non era arrivata all’orgasmo ma dopo mi ha sussurrato che era stato bellissimo e che mi amava. Dissi la stessa cosa. Buttai il preservativo nel cesso di casa sua e scaricai. Poi ci vestimmo e scendemmo a fare in giro. Col senno di poi, ho capito che lei aveva parlato con le sue amiche e queste, chissà per quale colpo di fortuna a mio favore, avranno detto che era amore reciproco, che ero un bravo ragazzo (o almeno che ero cambiato e lo ero diventato) e che ero anche il ragazzo giusto con cui farlo la prima volta. 

Anche quella sfida era stata superata. Quando lo dissi ai miei amici, scoppiarono tutti in un boato e mi fecero degli applausi, non curanti della gente che ci stava intorno a via Chiaia. Erano felici per me, mi ero confermato lo stronzo che riesci a farsi chi vuole. Io non lo ero tanto. Né per me né per Flavia. Per la prima volta mi sentivo in colpa, sentivo che lei era diversa. Inoltre, non lo avevo mai fatto con una vergine quindi ero sicuro che lei se lo sarebbe ricordato per tutta la vita. Anche se non posso trascurare il fatto che provavo grande piacere a farlo con lei, sembrava esperta ed era fantastica a letto. Mi ricordava Megan Fox: non era bella quanto lei, ma sicuramente era molto bella. Aveva 15 anni, uno in meno a me. Se avessi aspettato un altro anno, probabilmente lei lo avrebbe fatto con un altro stronzo o magari con quel coglione di Marco, il suo ex. Che tra l’altro incontrai come al solito a Procida pochi mesi più tardi.

Dopo quel pomeriggio da lei, lo facemmo più e più volte, una volta addirittura tre volte in una settimana, cosa che non mi sarei mai aspettato. Probabilmente anche lei ci aveva preso gusto con questo giochino chiamato “sesso”. Ma mai mi sarei aspettato ciò che successe a luglio, quando io, come ogni anno, ero andato in vacanza studio per imparare l’inglese. L’anno scorso andai a Brighton, vicino Londra. Fu una bella vacanza studio, rimasi fedele a Flavia, anche se forse lo feci semplicemente perché non ne trovai una che mi attizzava particolarmente. Ma il ritorno da quei 14 giorni all’estero fu drammatico.

Daniele, una sera che scendemmo insieme anche con Giovanni, Michele, Tommaso e Francesco (insomma il nostro solito gruppo), mi chiamò in disparte e mi rivelò una tragica verità. Flavia era uscita, e con uscita intendo baciata, con Marco. E poi lo avevano fatto. Daniele aggiunse che lo sapevano quasi tutti e che presto Flavia glielo sarebbe venuto a dire per decidere sul da farsi. Quando me lo dissi, quasi piansi. Ma non potevo piangere di fronte ai miei amici, non volevo che mi vedessero così abbattuto, anche perché poi avrebbe fatto scelte impulsive e di fretta, tipo andare sotto casa di Marco Staffa, farlo scendere e picchiarlo. Non volevo si creasse un casino del genere. Sapevo come gestire quella situazione.

La sera dopo, era un venerdì, scesi con gli altri sul lungomare, andai da Chiara, che a quanto pare anche dopo quei mesi era rimasta la troietta ricca dell’alta borghesia napoletana, e le chiesi di andarci a fare un giro. Lei era single, quindi ancora meglio. La portai a casa mia, uscimmo e poi facemmo sesso. Con lei l’avevo già fatto una decina di volte, stavamo insieme, prima che ci lasciammo a vicenda. 

-E adesso cosa fai con Flavia?- la sua voce stridula e acuta, in disarmonia con il corpo e il viso da urlo, uscì poco dopo aver finito.

-Niente. Dillo a chi vuoi... A me lei non interesse più. Io tra una settimana parto per Procida, lei si può fare chi cazzo gli pare.

-Mi hai usata?

-Sei fantastica e bellissima... non rovinare le cose con domande così stupide.- le dissi, chiudendo l’argomento. Poi diedi un’occhiata all’orologio sulla mia scrivania,  indicava le 11:47. Di conseguenza, scendemmo di nuovo giù a via Caracciolo, parcheggiai il mezzo e salutai Chiara. Mi aspettava Flavia lì di fronte. Non mi disse niente. Cazzo, pensi di conoscere una persona, pensi che questa sia leale e onesto, e che vada perdonata e poi tutto quello che pensi viene consumato da azioni così. Per tutta la serata non mi accennò all’uscita con Marco o al fatto che scoparono. Che troia che era diventata. E io l’avevo fatta diventare così? 

Non riuscii a togliermi l’ultimo sfizio, così le chiesi se avesse voglia di venire a casa mia, e con la scusa che non ci eravamo visti per 14 giorni, le chiesi se se la sentiva di farlo, in quel preciso istante. Lei annuì, mi sorrise e disse che mi amava. Ricambiai il sorriso, ma questa volta non dissi “ti amo anch’io, tesoro”. La portai dritta sul letto, non avevo preservativi, l’ultimo l’avevo usato un’ora prima con Chiara, e facemmo sesso. Questa volta ero arrabbiato, volevo accontentarla ma al tempo stesso sapevo che io non avrei mai goduto abbastanza. Dopo una decina di minuti, capii che stavo per venire, tornai in me e mi scostai ma alla fine venni sulla gamba abbronzata di Flavia. Fu fantastico. La vendetta è un piatto che va servito freddo.

Dopo pochi giorni, ero tornato con la reputazione abituale dello stronzo. Si sparse la voce che mi ero fatto Chiara e Flavia nella stessa sera. I miei amici chiesero conferma, ma sapevano già che era vero. Mi diedero il cinque e davanti ad una birra ridemmo di tutto quello che era successo.

Flavia non mi parlò più, mi inviò solo un messaggio. “Immagino che hai saputo... Io però l’ho fatto perché ero debole e tu non c’eri. Sei uno stronzo... io ti amavo”. Pensai per un paio di minuti alla risposta giusta insieme a Daniele, il primo che mi aveva avvertito del tradimento di Flavia. Alla fine optai per un serenissimo messaggio di chiusura: “Io no. Vaffanculo”.

Che classe.

  
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