(…)
E alla
fine, per vendicarsi del torto subito dal villaggio, il pifferaio di Hamelin
stregò tutti i bambini con il suono del suo flauto e li portò via con sé,
lontano dalla casa dove non avrebbero più fatto ritorno.
Cosa
avrebbe fatto, lei, in una situazione del genere?
In qualche modo era sicura che quei bambini, una volta inghiottiti dal nulla, si fossero tenuti compagnia stringendosi stretti stretti e donandosi quel po’ di conforto che avevano con loro.
Ma lei non era più una bambina. Non lo era più da molto tempo, ormai.
Act 1.
L’alcool le inebriava i sensi. Come sempre.
Tutte le chiacchiere del bar erano state spinte in un
angolo, come semplice sottofondo alla musica del suo cuore. Anko aveva sempre
amato ascoltare i battiti del proprio cuore, ritmici, cadenzati. Ora più
veloci, ora più lenti.
Nei momenti più difficili, le ricordavano che era ancora viva.
Era seduta al solito posto al bancone, sorseggiando
beatamente il sesto bicchiere di sakè della serata. Da tempo, ormai, aveva
perso controllo di ciò che le sue labbra e la sua lingua dicevano. Ma il
barista, ormai, la conosceva.
Era abituato ai suoi modi di fare, e la cosa non lo disturbava.
La donna ignorò distrattamente la porta che si apriva –
con il solito, vecchio, familiare cigolio – ed il saluto accennato e rispettoso
del barista al nuovo giunto. Aveva cose migliori di fare, in quel momento: più
precisamente, avvertiva la presenza di una buona probabilità di vedere il
Nirvana entro la fine della serata.
Venne tuttavia riportata alla realtà e al mondo terreno da una voce burbera ed autoritaria – familiare anche quella, sebbene in quello stato facesse fatica a collegarla ad un volto in particolare. L’uomo le si portò di fianco, sedendosi con un tonfo ed ordinando qualcosa di forte. Molto forte.
Al “che cosa?” avanzato dal barista, si limitò a borbottare un “Non sono pratico di questa roba. Dammi qualcosa di forte e basta.”
Anko riaprì gli occhi, sorniona, sorriso da stregatto
spalmato sulle labbra.
L’uomo, seduto al suo fianco, guardava il vuoto
massaggiandosi nervosamente una tempia.
“Suvvia, non essere così teso.” Cinguettò, chinando la
testa d’un lato. “C’è una prima volta per tutti. Anche se non credo gioverà
molto al tuo mal di testa, I-bi-ki-san.” cantilenò l’ultima frase,
sillabando il nome dell’uomo che le rotolò troppo facilmente sulla lingua.
“Anko, non oggi.” Fu l’unica reazione che ottenne da lui.
“Oh, per te non è mai oggi.” Commentò lei,
soffocando la risatina ed il commento stesso nel sakè.
L’uomo sbuffò, strappando il boccale dalla mano del barista e, dopo un sorso di
ricognizione, vuotandolo in un sol colpo. “Seriamente.”
“Oh, sei anche sempre serio.”
“Non sono veramente in vena di aver a che fare con te,
oggi.” Ribadì il Jounin, a denti stretti. Soggiungendo, distrattamente,
qualcosa riguardo un certo ragazzino ed un paio di epiteti poco carini al
riguardo. “Non lo concepisco. Se non fosse per l’Hokage, avrei in mente io
un paio di metodi per…”
Anko smise deliberatamente di ascoltare, prendendo un
altro sorso.
Serio, era un conto. Ma era positivamente convinta – nonostante fosse ubriaca –
di non aver mai sentito Ibiki Morino così frustrato prima di allora.
“Quale ragazzino?” domandò con disinvoltura, seguendo sonnacchiosamente il copione.
“L’Uchiha.”
Oh.
Oh.
Adesso sì che era tutto chiaro. Non si riesce mai a
concepire un’Uchiha. Non senza uscirne frustrati, perlomeno.
“Maggiore o minore?”
“Minore.” Fu il ringhio di risposta.
“Oh, l’hanno preso?”
A volte qualche sano gossip politico è una distrazione ben
migliore e di gran lunga più efficace dell’alcool. Tuttavia, fece cenno al
barista di portarle un’altra bottiglia.
Ibiki la imitò.
“Kakashi e la squadra sette l’hanno riportato a Konoha
ieri notte. Su un piatto d’argento.” Sussurrò, abbassando la voce affinché
soltanto la sua interlocutrice potesse udirlo. Il solito vecchio paranoico,
pensò Anko. “La faccenda è tuttavia da tacere fino a nuovo ordine.” Soggiunse,
dopo un lieve ripensamento. La donna l’aveva già autonomamente inteso.
“Strano.” Concesse, riempiendo il nono bicchiere della
serata. “Il vecchio Jiraiya sta evidentemente perdendo colpi. Continuava a
ripetere quella storia dei… tre anni?” ridacchiò, una risatina vuota che le
fece chinare appena il capo. “Come mai è ancora vivo, l’Uchiha?”
“Riuscissi a strappargli qualcosa. Con i metodi approvati
dal nuovo Hokage nei confronti del ragazzino, sembra impossibile. Non so cosa
facciano alla gente, nel Suono, ma è fottutamente temprato al dolore.
Stoico.”
Il sorriso, lievemente perverso, tornò a giocare sulle
labbra della ventisettenne, mentre lasciava scorrere l’indice sull’orlo del
bicchiere. “Mi piace la sensazione di saperne qualcosa in più di te.” Ammise,
onesta. “Comunque, rafforzate le difese attorno a Konoha. Il caro Orochi-sama
ci verrà sicuramente a…”
“… non lo sai davvero, allora. Pensavo fossero cazzate.”
Osservò Ibiki, effettivamente interrompendola.
Lei tornò a posare lo sguardo su di lui, e stramente lo
trovò con la faccia da poker eretta sul volto rovinato.
“… cosa?”
Battito di ciglia.
“Le nuove dal villaggio del Suono. Beh, non che siano poi
tanto nuove, ormai.”
Anko schioccò la lingua, sollevando il bicchiere nella
pallida imitazione di un brindisi. “L’umile sottoscritta chiede venia per esser
stata via in missione per gli ultimi sei mesi, signore. Son tornata oggi e non
ho esattamente avuto il tempo per tenermi al passo con i gossip.” Sospirò,
prendendo un sorso. “Non nel deserto, comunque. Qual è la grande novità?
Orochi-sama ha deciso arbitrariamente che lo Sharingan è del tutto out ed
ora gli va più a genio il Byakugan? Dobbiamo mettere gli Hyuuga in quarantena?”
“E’ morto, il tuo Orochi-sama.” Sbottò bruscamente l’uomo,
più per zittire quel discorso logorroico che per altro.
E se c’era qualcosa che odiava ancor più di quanto odiasse
Anko, quella cosa era indubbiamente un’Anko ubriaca. Prepararla alla notizia
non sarebbe servito a nulla, si giustificò osservandola con la coda
dell’occhio, prima di tornare a dedicare lo sguardo al boccale posato sul
bancone. “La notizia gira il continente da più di un mese. Le prigioni del
Suono sono state aperte. Le voci corrono.”
Ma la mente ed ogni barlume di ragione che la donna
avrebbe potuto possedere si erano fermati al “morto”.
Oltre quello, il vuoto assoluto.
“… eh?”
“Apparentemente, è stato l’Uchiha ad ucciderlo. Ma sono
solo voci. Se solo l’Hokage non facesse tanto la tenera e approvasse,
francamente avrei di più da raccontarti.” Borbottò, ordinando un altro
bicchiere.
Qualche minuto dopo, china sul water dei bagni del bar,
Anko non seppe se attribuire quell’ondata di nausea al troppo alcool – molto,
troppo probabile – o alla notizia. Molto, troppo violenta ed improvvisa.
Nell’incertezza, l’attribuì ad entrambe.
A distanza di una nottata - passata a far finta di dormire
per ingannare sé stessa- pensò che la parola ‘furiosa’ fosse troppo poco
intensa per descrivere come si sentiva in quel momento.
Doveva esserci una parola più appropriata. Sicuramente
esisteva.
Si maledì, distrattamente, per non averla a portata di
mano.
Le prigioni di Konoha erano un posto in cui non si avventurava
mai troppo volentieri. Erano buie ed umide, situate sotto il palazzo
dell’Hokage, ed emanavano un penetrante odore di disperazione. Mukenin in
attesa – alcuni da giorni, come l’ultimo arrivo, altri da anni, dimentichi
ormai persino del motivo per cui se n’erano andati dal villaggio, tanto
per cominciare.
Mukenin in attesa del verdetto finale.
In attesa del loro destino.
Anko stessa aveva passato sei buoni mesi della sua vita,
da ragazzina, in una di quelle celle. Ricordava di essersi concentrata a
contare i ragni mentre il segno maledetto pregava di essere rilasciato. Almeno
per un po’.
Era stata dichiarata incapace di intendere e di volere, allora.
Innocente.
Ricordava di essersi messa a ridere, al verdetto. [E loro
aveva semplicemente rafforzato la loro tesi d’incapacità.]
Innocente.
Sbuffò, arrestando il passo e rivolgendo un cenno del capo
all’ANBU di guardia.
“Anko.”
La donna ne riconobbe la voce, incrociando le braccia
dietro la nuca. “Oh, Kaito. Che luogo lugubre per incontrarci, non ti pare?”
cinguettò, distrattamente. Alla mancanza di risposta, tuttavia, riprese con un
sospiro. “Sono qui per l’Uchiha. Ho il permesso dell’Hokage, pertanto...” Mentì
tranquillamente, sorriso sfacciato sulle labbra. “…Fammi entrare.”
L’ANBU rimase in silenzio, soppesando la dichiarazione.
Lei non distolse lo sguardo, fermo, determinato.
Con un tocco di disperazione per addolcire il tutto.
Ed il ninja annuì, con un sospiro fin troppo udibile.
“Cerca di far di meglio la prossima volta, comunque. Non farmene pentire. Non
ti ho mai vista entrare.”
“Entrare dove?” domandò lei, amabilmente, sgusciando
all’interno della cella per quello spiraglio tenuto aperto dall’ANBU. Una volta
all’interno, la porta si richiuse con un piccolo tonfo, e l’uomo tornò al suo
ruolo di sentinella.
Come se nulla fosse accaduto.
L’interno era, comunque, proprio come lo ricordava. Aveva
quel non so che di umido e stantio tipico delle celle, e le pareti erano ancora
intrinseche di quell’olezzo di esseri umani abbandonati a sé stessi.
Come prevedibile, l’Uchiha la stava guardando già da prima
che fosse ancora entrata. Nonostante i polsi fossero fermati per bene dietro la
schiena e – Anko supponeva – i movimenti delle mani fossero limitati sia da
quegli odiosi cerchietti di ferro che dall’altrettanto odiosa jutsu, quegli
occhi neri come la pece rimanevano sfacciati.
La fissavano, orgogliosi, senza la minima intenzione di
distogliere lo sguardo.
Dannato l’orgoglio degli Uchiha.
Le dava ai nervi, e non poco.
“Buongiorno.” Affermò, colloquialmente, sorriso tirato
sulle labbra. Falso quanto le menzogne di Kakashi.
Il ragazzo arricciò il naso e crucciò appena le
sopracciglia. Tuttavia non disse nulla, limitandosi a fissarla.
Senza neanche battere ciglio.
“Mitarashi Anko.” Continuò lei, perdendo qualche grado
dell’inarcamento delle labbra. “Ho qualche domanda che necessita di risposta.”
“Come tutte le domande, del resto.”
L’espressione del ragazzino non era affatto cambiata.
Riusciva a squadrarla dall’alto persino dal basso dove si trovava. Anko incrociò
le braccia al petto, condividendo un po’ di quella frustrazione che aveva
colpito Ibiki.
“Sai chi sono?”
“Jounin Speciale di Konoha.” Replicò vacuamente lui, privo
di qualsiasi interesse. “L’esaminatrice della seconda prova, se non erro.”
E dannata anche la memoria fotografica degli Uchiha in
generale.
“Esatto. Vedo che non dovrai preoccuparti della vecchiaia,
tu!” proruppe la donna, apparentemente deliziata. Tuttavia, quell’espressione
beota durò ben poco sul volto abbronzato, lasciando ben presto spazio ad uno
sguardo ben più serio.
“Hai intenzione di rispondermi?” soggiunse, abbassando la
voce di un’ottava.
L’Uchiha si limitò a guardarla dal basso – e dall’alto,
tranquillamente.
Per qualche arcano motivo, lei prese la mancanza di
risposta come un brutto, pessimo segno.
“Sei un vendicatore, Uchiha?” domandò, dopo qualche attimo
di silenzio, tornando a calare quel falso sorriso sulle labbra e chinandosi
appena verso di lui, con fare inquisitorio. Le iridi di lui si ridussero in due
uniche fessure color pece. Anko poteva perfettamente immaginarlo mentre
scopriva i denti ed iniziava a ringhiarle contro per essere entrata in un
territorio evidentemente proibito. “E’ per questo che sei andato da Orochimaru,
no? Inseguivi il potere, in modo da poter inseguire al meglio la tua preda.”
Odio. Odio puro, distillato di odio in quelle pupille di
pece bollente.
“Kakashi era rimasto molto deluso dal tuo comportamento.
Lo ricordo bene. Ma Kakashi non capiva, no? Cosa significa, inseguire una
preda. Cosa significa, bramare di avere il suo sangue sulle tue labbra.” E, per
qualche motivo, Anko sentiva anche il suo stesso sangue bollire. Rischiando di
scoppiarle nelle vene. Rabbia. “Uchiha, tu hai ucciso la mia preda.”
E sul volto della donna non c’era più quella strana gaiezza di qualche attimo prima. Non il divertimento di quando rigirava il coltello nella ferita di lui. Era la sua ferita, ora, a bruciare.
Vendetta. Vendetta per essere stata gettata via.
(Non troppo diversa dalla sua, di vendetta).
“Orochimaru era la mia preda. Era la mia fottutissima
preda, Uchiha.”
Non gridò quelle parole. Le sibilò, come un serpente, ed
altrettanto velenosa.
Non era la via della Foglia, quella. Era la via del Suono,
nella sua orrenda semplicità.
Dove i sibili erano comune promessa di un dolore che,
prima o poi, sarebbe arrivato.
Anko non si era accorta di aver affondato la mano tra le
ciocche corvine di lui, di averle tirate finchè lui non aveva ricambiato il suo
sguardo sul suo stesso livello.
Ma il volto di Sasuke Uchiha non era affatto intimidito.
Il volto di Sasuke Uchiha non aveva affatto cambiato espressione. E, quando
schiuse le labbra, fu solo una disinteressata domanda a scivolare, con un
sospiro.
“… oh. Eri una vendicatrice anche tu?”
Stava ricambiando la stessa cortesia con cui lei aveva
infierito sul suo orgoglio, già ferito a causa della vendetta fallita.
E fu questo, principalmente, a farla infuriare. Lasciò andare la presa sui capelli del ragazzino, il cui capo ricadde appena verso il basso senza che lui distogliesse lo sguardo.
Dannato Uchiha. Dannato Uchiha.
“Biasimerò te, Uchiha. La mia vendetta è andata a puttane
a causa tua.” Commentò, stringendo i pugni per frenare l’impulso di prendere a
pugni quel ninja che, a conti fatti, sarebbe stato difficile da colpire quanto
un punching-ball. “Insisterò sulla pena di morte, per il traditore di Konoha.
Insisterò fino a costringere chiunque pensi il contrario a cambiare idea. Sarà
quella la mia vendetta, ora.”
Qualcosa di simile all’ironia si affacciò a quegli occhi
scuri, senza estendersi al resto del viso.
“Accomodati pure.” Fu il mormorio che la seguì alle
spalle, stanco, mentre apriva la porta. “Ipocrita.”
La chiuse dietro di sé fin troppo violentemente,
guadagnandosi un’occhiata confusa e adeguatamente nascosta dall’ANBU di guardia.
Quell’”ipocrita” la seguì per tutto il tragitto dai
sotterranei del Palazzo dell’Hokage al bar, dove affogò quella fottutissima eco
con un’adeguata e massiccia dose di sakè.
A/N: questa era nata come flavour. Ma è venuta di dimensioni talmente epiche - non conto più le pagine, ormai - che è finita per diventare una fic a sè stante. Divisa in capitoli non sarà molto lunga. Non penso di superare i sei, o i sette. Sono in astinenza da Anko ed ossessione da Uchiha, biasimate Kishimoto. Non trovate che Sasuke stia diventando sempre più sborone, comunque? Lo scambio di battute con Itachi era terribilmente cool. Mi ricorda i vecchi tempi del suo discorso mentre affrontava Orochi-sama (L)
Fatemi sapere che pensate. E' un crack-pairing, ma nella mia testa è talmente logico.
Ah, la prossima flavour è più leggera delle altre. Perchè sto nel mood più leggero, apparentemente.