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Autore: OtoyaIttoki    24/05/2013    0 recensioni
La figlia di un temibile serial killer e il figlio del più grande detective del mondo si incontrano fortuitamente all'insaputa dei propri padri, innescando così uno strano "gioco" del destino. A cosa porterà tutto questo?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Beyond Birthday, Naomi Misora, Near, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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«Come hai fatto ad indovinare il mio nome?»

Le parole di Nia mi rimbalzavano nella mente  come uno di quei fastidiosi jingles pubblicitari che le reti televisive trasmettevano a raffica poco prima dell’ora di cena, per cercare di convincerti a comprare qualsivoglia tipo di prodotto (nella maggior parte dei casi inutile).

Fin da quando frequentavo la scuola, mi ero resa conto che viviamo in una società pervasa dal consumismo, in cui l’apparenza la fa da padrona: infatti, tutti i miei compagni di classe possedevano cellulari ipertecnologici ed erano iscritti a tutti i social network esistenti, dove si vantavano di avere mille e più amicizie.

Io, invece, non sono mai appartenuta al loro mondo, forse perché mia madre mi ha cresciuto nella semplicità e con la convinzione che le cose importanti fossero ben altre, come ad esempio il rispetto, la lealtà e la giustizia.

E’ proprio decantando e sottolineando l’importanza di quest’ultima che mia madre diventava assillante e monotona, anche se, a dire il vero, sono sempre rimasta indifferente a ciò che mi accadeva intorno.

Tuttavia, anche io mi ritengo in parte un’ipocrita perché, per compiacere il prossimo, mi sono finta qualcuno che non sono.

Mi sono crogiolata nell’illusione che con un’abbagliante esteriorità avrei potuto proteggere la mia parte più intima e vulnerabile.

Ma in che modo potevo spiegare tutto questo a Nia? Perché avrei dovuto regalare la mia fiducia ad un perfetto sconosciuto?

Perché avrei dovuto permettergli di investigare il mio animo?

Ero convinta che se gli avessi raccontato che ero in possesso di un potere che mi permetteva di vedere dei numeri sulle teste delle persone, mi avrebbe scambiato per una di quelle majokko[1] che popolano gli shoujo manga che mi capita di leggere occasionalmente.

O, nella peggiore delle ipotesi,  per un mostro.

Avrebbe potuto denunciarmi alla polizia (magari proprio a quell’odioso di Raye Penber) o, peggio ancora, farmi rinchiudere in uno di quei laboratori di ricerca, dove mi avrebbero trattato alla stregua di un’aliena.

Nia stesso poco prima mi aveva rivelato di essere spaventato dalla morte, quindi gli avrei sicuramente procurato un trauma.

Ops.

L’ho fatto di nuovo, o meglio, lo sto facendo di nuovo.

Ho dato qualcosa per scontato, senza dare all’altra persona la possibilità di conoscermi. Era questo il problema: chiudevo la porta del mio cuore per evitare che gli altri potessero rimanere delusi da me.

Era come se negassi a priori la mia stessa esistenza.

 Ciononostante ero consapevole del fatto che dovevo smetterla di accontentarmi della mia situazione, dovevo reagire ed essere io stessa l’artefice del mio cambiamento.

Solo rischiando e vincendo la paura dell’ignoto, avrei potuto crescere e trasformarmi in una persona matura e responsabile come mia madre.

Nia sarebbe stato inconsciamente il trampolino di lancio per uscire dalla mia prigione interiore; in quel frangente mi sentivo onnipotente, ma la mia insicurezza era sempre pronta a farmi desistere dai miei buoni propositi.

«Bè, adesso sarà meglio dare un taglio al mio trip mentale, altrimenti penserà sul serio che sono pazza.»

«A-a che ora stacchi dal lavoro stasera? P-prometto che ti spiegherò tutto.» la voce mi era uscita più tremolante e stridula del previsto, la gola era arsa come se fossi sperduta in mezzo al deserto. Perché non riuscivo a dimostrarmi distaccata come sempre? Probabilmente perché sentivo che la situazione mi stava sfuggendo di mano, quasi come se non sapessi nuotare e stessi annaspando verso il bordo di una piscina.

Nia sarebbe stato un valido salvagente? Mi sarebbe stato a sentire senza scoppiare a ridere?

«Mmh, stacco alle otto.» mi rispose lui, rialzandosi da terra e ripulendosi velocemente il camice.

Solo in quel momento mi ricordai che era un aspirante medico. Lui, a differenza mia, aveva trovato la sua strada e si stava dando da fare per realizzare il suo obiettivo.

Chissà se diventare un dottore per Nia era un semplice scopo oppure un vero e proprio sogno?

«Allora, ti aspetto all’uscita dell’ospedale per quell’ora, sii puntuale.»

«D’accordo, Miho-san, a più tardi!»

Il  caldo sorriso con cui Nia si congedò, mi spinse a volerne sapere di più su di lui e, mentre mi dirigevo fuori dall’ospedale, mi ritrovai a sperare che il tempo scorresse velocemente.

                                                                         

                                                                         ~

 

«E quindi, siccome la polizia non sa più che pesci pigliare con il caso Sugiyama, ha chiesto l’aiuto di Near. Mossa che lui peraltro aveva già previsto.»

Gevanni si muoveva con disinvoltura tra le strade di Ginza[2], alla ricerca di un locale dove poter mangiare un boccone e, nonostante non fosse più un giovincello, si divertiva a fissare il turbinio di gente che vorticava nel quartiere. Il sole era tramontato da un paio d’ore, ma il cuore della metropoli non accennava a smettere di pulsare.

Quando il lavoro, o meglio Near, gli concedeva una tregua, gli piaceva esplorare angoli della capitale sconosciuti ai più, dato che quei posti nascondevano sempre sorprese interessanti. L’ultima volta, ad esempio, aveva scovato un negozio di antiquariato gestito dai discendenti di una casata di valorosi samurai, vissuti nell’epoca Sengoku.

«Bah, eppure credevo che la polizia giapponese fosse più…»

«Gevanni, mi risparmi la solita filippica sull’inefficienza della polizia giapponese.» tagliò corto il suo accompagnatore con fare autoritario «piuttosto, perché non mi spiega il motivo per cui è venuto a prendermi a lezione di musica.»

Il profilo di Ate River era illuminato ad intermittenza dai neon delle insegne dei negozi e questo contrastava terribilmente con la sua espressione spenta. Di recente stava passando più tempo del previsto ad esercitarsi in vista del prossimo concorso, dove avrebbe voluto piazzarsi almeno tra i primi quattro. La maggior parte dei suoi avversari erano figli di musicisti di fama mondiale, tuttavia in quanto a determinazione e bravura lui non si sentiva secondo a nessuno. Inoltre, suonare il pianoforte lo aiutava ad accantonare i pensieri che di solito lo tormentavano, benchè sapesse che non poteva scappare all’infinito e che la realtà andava prima o poi affrontata.

«Mio fratello è stato più in gamba di me nel superare la morte di nostra madre.»

Era tipico di Ate mettersi costantemente a confronto con Nia, perché si sentiva in qualche modo inferiore a lui.

Nia riusciva a palesare con facilità i propri sentimenti rispetto a lui, che da quel maledetto giorno aveva sigillato le proprie emozioni nella parte più recondita del suo animo. Nonostante fossero trascorsi degli anni e lui era poco più che un bambino, ricordava tutto: le urla e le lacrime di disperazione del fratello, la rigidità e l’imperturbabilità di suo padre, l’odore di incenso che si spargeva per la casa e le forti braccia di Gevanni che lo avvolgevano. Eppure quell’abbraccio non era bastato a cancellare il vuoto lasciato da sua madre, colei che gli aveva trasmesso la passione per il pianoforte e che, come una sirena[3], aveva “divorato” parte dell’anima del figlio.

«Oh, andiamo, Ate potresti essere un po’ più gentile con il tuo vecchio compagno di giochi, no? Comunque, pensavo che potremmo andare a mangiare insieme da qualche parte, visto che oggi pomeriggio Nia mi ha telefonato, avvertendomi che non rincasava per cena. Cosa proponi? Un fastfood oppure…»

«Sta cercando di sostituire mio padre, Gevanni?» lo interruppe il ragazzino,bloccandosi e guardandolo di sottecchi «non è necessario, sono in grado di cavarmela da solo, come ho fatto finora. »

Ate River non aveva bisogno di niente e di nessuno, o almeno questo era ciò di cui era convinto lui.  Ate River doveva limitarsi a soddisfare le aspettative che il padre e Nia avevano nei suoi confronti. Ate River, in realtà, voleva essere compreso.

Oppure protetto?

Protezione: una brutta parola che conferisce una certa vulnerabilità e fragilità. O semplicemente è sinonimo di debolezza.

«E’ tale e quale a Near, orgoglioso e testardo fino al midollo. Accidenti, se solo si lasciasse aiutare…bah, farò a modo mio.» pensò Gevanni tra sé e sé, rifiutando di arrendersi e trascinando letteralmente Ate in un locale a caso.

«Ma che diavolo…?!»

«Coraggio Ate, sii meno orso e cerca di goederti la vita! »

Il ragazzino iniziò a protestare e a divincolarsi, accorgendosi dopo qualche secondo di aver urtato qualcuno che stava cercando di entrare a sua volta. Si trattava di un uomo di mezz’età, coi capelli neri e spettinati, gli occhi circondati da due profonde occhiaie e la schiena curva; inoltre vestiva un paio di jeans sgualciti e una maglietta bianca aderente che metteva in risalto la sua magrezza.

«Mi scusi, non l’avevo vista.» si giustificò Ate apaticamente, mentre l’altro gli rivolse un’occhiata lugubre per poi andare ad accucciarsi ad un tavolino poco distante da una coppia di ragazzi.

«Che strano tipo…pare uno zombie. Ehi, ma quello laggiù è…»

 

                                                                       ~

 

Il cambio di stagione equivale a una completa rivoluzione per i negozianti: bisogna allestire con cura e fantasia la vetrina con i nuovi modelli, riordinare il magazzino, controllare che i fornitori non si siano dimenticati di consegnare degli articoli; tutti compiti che richiedono un minimo di concentrazione e che io quel giorno non avevo. Ero riuscita ad infilare ad un manichino due scarpe di colori diversi, suscitando l’ilarità delle mie colleghe che si complimentarono con me per aver lanciato una nuova moda.

Diventai subito paonazza, sentendomi in qualche modo giudicata da loro.

La morte di Emiko, la corsa all’ospedale, lo sgradito incontro con Raye Penber avevano generato in me uno strano miscuglio di emozioni che andavano dalla tristezza alla rabbia, anche se, a mio parere, non era così facile classificare i sentimenti, così densi di sfumature.

Ripensai anche a Nia e a come avrei potuto introdurgli il discorso riguardo ai miei poteri: se da un lato avevo paura, dall’altro non vedevo l’ora di confessare la verità a qualcuno; senza contare che Nia mi aveva incuriosito non poco e…cavolo, avrei dovuto mentire a mia madre.

Sia chiaro, non mi aveva mai proibito di frequentare i ragazzi, ma se le avessi detto che mi sarei dovuta incontrare con uno sconosciuto, non l’avrebbe presa sicuramente bene, apprensiva com’è.

«Miho-chan, ti va di venire al karaoke insieme a noi? E’ uscito il nuovo singolo delle Morning Musume[4] e abbiamo una voglia matta di cantarlo!» mi propose Yoshida, una delle mie colleghe, a fine turno.

«Mi spiace, stasera ho già un altro impegno, ma la prossima volta verrò volentieri.»

Bugiarda.

A te il karaoke non piace e, allo stesso modo, fatichi a scendere a compromessi.

Mi accomiatai sbrigativamente, prendendo la metropolitana (stracolma di lavoratori esausti che desideravano arrivare a casa il prima possibile) e raggiungendo poi a piedi l’ospedale in cui lavorava Nia.

«Mmh, manca ancora qualche minuto alle otto…lo aspetterò qua fuori.» mi sedetti su uno dei gradini della hall e, senza rendermene conto, iniziai a scandagliare le persone tramite i numeri che vedevo fluttuare sopra le loro teste.

75929.

3610.

891.

24.

Più le cifre si assottigliavano, più la morte dell’individuo in questione si avvicinava.

Possedere questa capacità mi ricordava costantemente quanto fosse cruda e preziosa al tempo stesso la vita, ciò nonostante in quel momento decisi di accantonare quei pensieri cupi e avvisai mia madre tramite sms che quella sera avrei rincasato un po’ tardi perché ero fuori con delle amiche.

«Miho-saaaaaaaaan!»

Mi voltai verso la voce che mi aveva chiamato e vidi Nia corrermi incontro trafelato.

Avrei dovuto spiegargli che non sopporto sentire il mio nome sbandierato ai quattro venti, dato che non amo essere al centro dell’attenzione come gli idol.

«Ciao Nia-kun, com’è andata oggi? A proposito grazie ancora per stamattina.» mi interruppi un attimo, fissandolo da capo a piedi. Senza camice sembrava un ragazzo come tutti gli altri.

«Figurati, anzi mi dispiace per la tua amica. Oggi abbiamo parlato con un sacco di poliziotti ed è stato estenuante rispondere a tutte le loro domande… sono convinti che Sugiyama-san si sia suicidata.» si passò una mano tra i capelli, come se quel gesto potesse scrollargli di dosso la tensione accumulata nel corso della giornata «qui vicino c’è un posto dove fanno delle okonomiyaki spettacolari. Ti va se andiamo lì? Scommetto che tra poco sentirai il mio stomaco brontolare…ho una fame!»

Ammiravo Nia per la naturalezza con cui mi parlava, mentre io, a differenza sua, ero piuttosto tesa e nervosa.

«D’accordo, anzi affrettiamoci…sai, non vorrei averti sulla coscienza e improvvisarmi medico per soccorrerti.»

Se non altro, conservavo ancora il mio senso dell’umorismo e fui sollevata nel sentire Nia ridere.

La serata era cominciata nel migliore dei modi ed ero fermamente intenzionata a mostrarmi il più sincera possibile.

Dopo aver camminato per una decina minuti, approdammo nel locale scelto da Nia: era molto semplice e accogliente e, sebbene lo conoscessi solo da poche ore, rispecchiava in qualche modo la sua personalità. Dal modo affabile con cui lo salutarono i proprietari, ne dedussi che lui era una specie di habitué in quel posto, anche perché ci fecero accomodare ad uno dei tavoli migliori.

«Miho-san, sei sicura di stare bene?» mi domandò sinceramente preoccupato.

Mi aspettavo che mi sommergesse di domande riguardo alla mia vita privata e, invece, cogliendomi totalmente di sorpresa, si è informato del mio stato d’animo (fornendomi indirettamente lo spunto necessario ad introdurgli la questione del mio potere). Forse ero così meravigliata perchè oggigiorno sono poche le persone a cui importa concretamente sapere come stai.

«No, Nia-kun, non sto bene. La morte di Emiko mi ha scosso profondamente, soprattutto…»

«Ciao Nia, per te sempre il solito, vero? E la tua graziosa accompagnatrice cosa prende? »

Ok, avrei dovuto fare un discorsetto con il destino: ero finalmente riuscita a raccogliere la decisione necessaria per parlargli ed ecco che davanti a noi si palesa una vivace cameriera che mi fa addirittura un complimento.

Cavolo, un complimento.

Suona così rassicurante per la mia autostima e, senza dubbio, aveva smorzato il mio ennesimo dramma interiore.

«Sì, il solito, Mami-chan e per Miho-san invece...»

«Per me un okonomiyaki a base di pesce, grazie.» le risposi educatamente, osservandola allontanarsi «quindi sei un tipo abitudinario, Nia-kun.»

«Già, deve essere una caratteristica comune di noi River. Mio padre, ad esempio, manda il suo collaboratore tutte le mattine a prendergli il cappuccio nello stesso bar da almeno dieci anni. Ah, scusa per l’interruzione di poco fa, mi stavi dicendo qualcosa a proposito della scomparsa della tua amica…» si scusò Nia imbarazzato, giocherellando con la bottiglietta della salsa di soia.

“River” non era un cognome tipicamente giapponese, ma non fu quello a stupirmi maggiormente, quanto il ricordo di uno stralcio di conversazione avuta con Emiko l’ultima sera che l’avevo vista viva in quel pub.

«E visto che la mia ultima canzone ha spopolato, il mio manager ha preso accordi con una nuova casa discografica per farmi incidere un cd. Ma ci pensi, Miho?! Un intero cd di mie canzoni! Finalmente il mio sogno sta per avverarsi!» Emiko era al settimo cielo e strinse le mie mani nelle sue, esili e curatissime.

«Davvero?! Sono felicissima per te, Emiko-chan! Quando uscirà il tuo cd, dobbiamo assolutamente festeggiare!» le feci eco io, sinceramente contenta per la mia migliore amica. Avevo seguito tutta la sua carriera sin dall’inizio, accompagnandola ai provini e offrendole la mia spalla su cui piangere quando veniva scartata, quindi era come se quel successo fosse anche mio. Tuttavia per un attimo rabbrividii, ricordandomi di quanto poco tempo le rimanesse per portare a termine quell’ambizioso progetto; speravo con tutto il cuore di sbagliarmi e che non sarebbe toccato proprio a lei morire.

«Certo! E senti qua: il direttore dell’agenzia per cui lavoro ha pensato di far accompagnare al pianoforte una delle canzoni del mio album. Pare che per questo genere di cose si appoggino ad una delle scuole di musica più raffinate di Tokyo che sforna continuamente giovani talenti.» continuò Emiko, gesticolando concitatamente e controllando che il suo make-up fosse a posto.

«Capisco. Il pianoforte è uno strumento molto elegante e che sa trasmettere emozioni forti. Sai già il nome della persona con cui collaborerai?»

«Sì, è un ragazzino di nome Ate River. Domani il mio manager parlerà con il suo insegnante per combinarci un incontro! Chissà che la sua musica combinata alla mia voce non mi porti ancora più in alto!»

Mi portai una mano sulla fronte, scioccata. Dovevo assolutamente scovare quell'Ate River che, forse, avrebbe saputo fornirmi dei dettagli importanti riguardo alla mia amica.

In quel momento rivelare a Nia la particolarità del mio potere era passato in secondo piano.

«N-non preoccuparti. Piuttosto, Nia, vorrei chiederti una cosa, se non sono troppo indiscreta. Quando ho incontrato Emiko per l’ultima volta, lei mi aveva parlato di un certo Ate River che avrebbe dovuto duettare con lei. E’ per caso un tuo parente?» gli chiesi prontamente, guardandolo dritto negli occhi.

«Sì, è mio fratello minore, però non…»

«Nia, cosa ci fai qui?»

Una terza voce si era unita inaspettatamente alla nostra conversazione.

Una voce bassa, profonda e priva di inflessioni.

Una voce apatica che, però, mi scosse nel profondo dell’animo e che mi costrinse a voltarmi per vedere a chi appartenesse.

Dietro di me vi era un ragazzino non particolarmente alto, coi capelli e gli occhi neri come la pece, e l’espressione indifferente.

«Che tempismo, Ate! Stavamo giusto parlando di te. Io e questa ragazza ci siamo conosciuti stamattina, si chiama Miho Misora. Miho-san, questo è il mio fratellino, Ate!» proclamò Nia con un ampio sorriso, abbracciando scherzosamente il fratello che sembrò non gradire.

Come per magia, o per clichè, Ate River si era appena materializzato alle mie spalle.

 

 

 

Ringraziamenti et similia:

Uau, è da un sacco di tempo che non passo da queste parti, chissà se c’è ancora qualcuno interessato alle elucubrazioni mentali dei miei cari personaggi :P

Volevo ringraziare infinitamente tutti coloro che hanno recensito finora e anche quelli che hanno letto in silenzio e/o inserito la mia creatura in una delle tre liste; ho notato che, nonostante il mio periodo di inattività, le letture sono aumentate comunque <3

Yours sincerely,

Otoya Ittoki.



[1] Ragazzina umana che ottiene poteri magici da un essere magico. Alcuni esempi di majokko sono Magica Emi, Creamy Mamy, Sailor Moon.

[2] Quartiere di Tokyo rinomato per lo shopping di lusso, i bar e i ristoranti.

[3] Riferimento alle Sirene di Ulisse che con le loro voci ammaliavano e divoravano gli ignari pescatori.

[4] Gruppo femminile J-pop.

  
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