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Autore: The queen of darkness    24/05/2013    1 recensioni
Storia fortemente nonsense nata in un istante di follia di qualche tempo fa. Unpublished fino ad oggi....
Genere: Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le canute soppracciglia cespugliose del Vecchio Zio Tom si inarcano con decisione. Rendono gli occhi, ridotti a due fessure, arroventati dal patriottismo, simili a piccoli, brucianti incendi, incastonati e a stento trattenuti da un viso rugoso.
Il cappello a cilindro blu a stelle e strisce cela a malapena una pioggia di disordinati capelli argentanti, attraversati da alcuni rigagnoli scuri, unica traccia di una giovinezza passata che nessuno è in grado di immaginare.
Il naso prepotente ritaglia il proprio posto nella scena, poiché vuole ricordare che se non ci fosse migliaia di ragazzi non sarebbero stati del tutto convinti a partire verso la morte. Dritto, sicuro e fiero, due narici larghe e frementi da bestia impaziente, coperte a malapena da due grandi pinne sporgenti.
La bocca rimane spalancata in un ghigno, che vuole essere un sorriso che vuole essere una fornace. Impossibile non ammirarne i denti appena accennati o la lingua, rossa e guizzante, che scalpita per formare parole rivoluzionarie.
Lo fisso proprio nelle pupille scottanti, col rischio di bruciarmi sul serio. Il completo azzurro che indossa sembra non riuscire a contenere del tutto la sua personalità dirompente e terribilmente affascinante. Quasi come se la camicia fosse sul punto di scoppiare, per uccidere anche l’ultima costrizione che lo trattiene dall’esterno, dalle persone, le uniche che il Vecchio Zio Tom voglia veramente persuadere.
Sa essere molto carismatico, soprattutto se punta come una freccia inesorabile il suo indice calloso verso l’esterno, contro qualsiasi viso, facendo sentire chi lo guarda incredibilmente importante.
“Io ti conosco, figliolo!”, sembra urlare il suo sguardo trionfante, e appena i nostri occhi incrociano i suoi già sa di averci dalla sua parte. È perfettamente conscio che nessuno sa resistere al suo richiamo, come un pifferaio con migliaia di piccoli, obbedienti topolini al suo servizio, piegati completamente alle sue richieste col capo chino.
Ma questa volta, il fuoco vivo che arde nei suoi lineamenti si fa spento, provato. Le ciglia affascinanti sono tagliate bruscamente a metà da una piegatura, e la sua espressione accattivante si fa distorta, imprigionata fra la stoffa, incatenata da fibre crudeli.
Le sopracciglia si alzano e si abbassano con regolarità straziante, precisa. Un movimento appena accennato ma impossibile da non notare, e all’improvviso la vittoria si trasforma in terrore, il trionfo in pena.
Il Vecchio Zio Tom per la prima volta nella sua lunga carriera non vorrebbe sbraitare di desiderare me, proprio me, nell’esercito americano, poiché essere stampato su una maglietta bianca e quasi sbiadita non fa piacere a nessuno.
“Povero zietto”, penso, ma alla fine la compassione che provo per lui non è poi così forte. Sfoglio un’altra pagina, ma vi dedico appena un’occhiata: ciò che è appoggiato alle mie ginocchia ha smesso di attrarmi ancor prima di poterlo fare, e l’ennesima esposizione di corpi come se fosse una macelleria fra cui scegliere, (Attenzione!, sembra urlare, Nuovi esemplari di bovini scheletrici ancora freschi ora disponibili sul mercato!) all’improvviso mi disgusta.
Le lettere cubitali terribilmente suadenti interrompono la loro opera di convincimento, implorando lo spettatore crudele dei suoi dispiaceri di dare loro una liberazione qualsiasi. Le stelle bianche, le strisce rosse, la giacca blu, perde tutto di senso, in un attimo, l’attimo del tramonto di un mito.
Sopra il Vecchio Zio Tom respira un ragazzino, annoiato e con gli orecchini, impassibile responsabile del movimento ipnotico delle sopracciglia corrucciate.
Ha i capelli neri e tinti a sprazzi di verde, con un paio di pantaloni quasi fosforescenti nel loro viola accecante. Incrocia le gambe tendendo al massimo il cavallo fra le cosce, le tasche gonfie di chissà cosa. Nella conca dei polpacci tiene appoggiato un lettore di pessima musica, tutta suoni scoordinati fra loro e disastri elettronici.
Le orecchie del personaggio che indossa sono provate da quello strazio, che potrebbe essere allietato da un minimo di Inno Nazionale, forse basterebbe anche solo una strofa. Ma la salvezza non arriva, condannandolo per tutta la durata di una pulizia interdentale a subire lo stupro elettronico della musica, in un tripudio di frasi sconnesse e mischiate fino a diventare incomprensibili.
Io alzo le spalle, fino a quando non sento il mio nome sussurrato da una delle assistenti del dottore.
Mi indica un corridoio che già conosco, e io appoggio la mia rivista sulla sedia libera accanto a me. Non trovo il coraggio di sorridergli, ma quando mi alzo sembra quasi che i suoi occhi seguano il mio percorso.
“Portami con te”, sembrano dire, ma proprio non posso. Una maglietta orribile che non indosserei mai non è molto convincente nelle sue suppliche.
L’assistente del dentista è davvero gentile, mentre mi appoggia una mano di lattice dietro la schiena come per rincuorarmi, o scusarsi in anticipo per il dolore con il quale mi terrà inchiodata alla sedia.
Sono io a voltarmi un’ultima volta: vedo il ragazzino togliersi le cuffiette e infilare il disco che vomitava oscenità nella tasca destra, alzandosi in tutto simile ad un bradipo. Chiude la zip di un pesante piumino nero, facendolo sembrare più che altro il sacco da obitorio per il povero, Vecchio Zio Tom.
In fondo non mi dispiace nemmeno troppo. Non mi aveva detto nulla di utile, tutto sommato, e piano piano la nostalgia si scioglie davanti al lettino color senape su cui, per la prossima ora, sarò stesa a bocca aperta, anche senza vedere però nessuna strabiliante meraviglia.
Mi stendo, lentamente.
Ciao, Vecchio Zio Tom.
Non mentirò dicendo che è stato un piacere.
 
---Esperienza nella sala d’attesa del mio studio dentistico. Quel ragazzo “trasgre” davanti  me portava l’orribile maglietta dello Zio Tom e un paio di pantaloni viola come mia nonna indosserebbe un sacco di iuta. E cioè in modo assolutamente orribile. 
  
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