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Autore: Guldanck    24/05/2013    0 recensioni
Non ci crederai, lo so, perché quello che ti sto per raccontare, figlio mio, ha dell’incredibile. Penserai “no dai, babbo, impossibile, mi prendi in giro” e invece ti sbagli, non ti prendo in giro, perché quello che ti sto per raccontare non solo ha dell’incredibile, ma è realmente accaduto. E papà non racconta mai bugie, e ora stai buono che ti rimbocco le coperte e ti racconto la storia.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Attese. Un ricordo.






Non ci crederai, lo so, perché quello che ti sto per raccontare, figlio mio, ha dell’incredibile. Penserai no dai, babbo, impossibile, mi prendi in giro e invece ti sbagli, non ti prendo in giro, perché quello che ti sto per raccontare non solo ha dell’incredibile, ma è realmente accaduto. E papà non racconta mai bugie, e ora stai buono che ti rimbocco le coperte e ti racconto la storia.
Il fanciullo, tutto curioso, affascinato dalle parole del padre, si accucciò fra le coperte aspettando che venissero rimboccate con cura. Dalle trapunte spuntavano i capelli color rame e gli occhi verdi, pieni di allegria, che aspettavano solo di incontrare quelli del padre.
“Dai babbo! e raccontamela questa storia ché se mi viene sonno poi non so come finisce!”
“E va bene” rispose il padre, sedendosi su un lato del letto.
Sono passati molti anni ormai da quando passeggiavo lungo il viale delle Piagge – hai presente? – ed ero solito osservare tutto quello che mi circondava, e ogni volta i miei occhi si riempivano di gioia per ciò che vedevano. Era un pomeriggio di Dicembre, quel giorno. Ricordo che era già passato Natale, e faceva un gran freddo, nonostante le belle giornate, e io ero bello imbacuccato.
Passeggiavo.
Le Piagge non erano mai desolate. Erano un luogo di ritrovo per tutti: dai bambini che si rincorrevano nel verde ai più grandi che facevano due passi per sgranchirsi le gambe. Io invece stavo in disparte. E osservavo. Iniziavo il mio lungo viaggio sempre dal bar accanto al ponte e seguivo il sentiero asfaltato, infilandomi fra gli alberi che si contorcevano verso il cielo e fra le foglie cadute. Il rumore delle automobili era sempre una ferita all’udito – ho sempre pensato che dovesse essere abolita la strada in quel posto – e rovinava l’atmosfera che ti prendeva il cuore, proprio, e facevi fatica a sentire il cinguettio dei pettirossi sui lunghi rami, castani, delle querce. Era come una poesia, le Piagge.
Così, con le mani in tasca, proseguivo la mia lunga camminata perché sai, figlio mio, per percorrere tutto il viale ci voleva un sacco di tempo. Dico davvero. Era un’impresa. Però io mi ero ripromesso di arrivarci, in fondo, a quell’accidenti di viale.
“E ci sei riuscito, poi, papino?” chiese, facendo spuntare fuori le manine dalle coperte.
Il padre lo guardò, e gli sorrise.
“Questa è un’altra storia”
Disse. E poi proseguì con il racconto.
Me lo ricordo come fosse ieri: ci fu qualcosa che non mi permise, almeno quel giorno, di raggiungere la fine del viale. Ecco che rimasi così, imbambolato, a fissare una cosa che nessun altro riusciva a vedere e le persone che passavano, accanto a me, mi indicavano col dito come per dire questo non è giusto di testa, proseguendo la loro passeggiata con la superficialità negli occhi e la risata in bocca.
Però io lo vidi. Era lì.
Immobile.
Da solo.
Seduto sul ciglio dell’argine del fiume, con la testa leggermente inclinata verso il tronco di un albero, ad osservare il tramonto e ad aspettare l’amore della sua vita. Lo aspettava da molto, ne sono certo, e non c’era giorno in cui non era lì seduto su quel ciglio dell’argine del fiume, ad osservare il tramonto e ad aspettare …
 
Come se si potesse aspettare, l’amore.
 
“E perché non era lì con lui l’amore della sua vita?” chiese il bimbo.
“Perché sai … figlio mio … niente è per sempre …”
Anche se loro si erano amati davvero un sacco, e non c’era nessuno che potesse dire il contrario. Non si vergognavano di niente, e insieme trovavano la forza per prendere a cazzotti il mondo – anche quando tutto andava in pezzi e non c’era niente da fare. Il loro rifugio era proprio quel ciglio dell’argine del fiume, seduti con la testa leggermente inclinata verso il tronco di quell’albero, a perdersi nella crepuscolare tinta del cielo e a sognare le stelle. Ricordo ancora il modo in cui i loro sospiri si accavallavano l’un l’altro e le loro risate si confondevano con la pioggia.
Poi le risate finirono, e seguirono i pianti.
Le attese.
Nessuno sa per quale motivo il loro amore finì: sarà un segreto che rimarrà taciuto negli incavi degli alberi e nella brezza dicembrina. Ma da quel giorno le Piagge diventarono la casa di quel ragazzo. Per ricordare, piangere, e attendere l’amore della sua vita nello stesso luogo in cui tutto iniziò e si concluse. Gli occhi gli brillavano di speranza, e il cuore era sicuro che l’amore della sua vita sarebbe tornato, prima o poi.
Sorrideva.
“E l’amore della sua vita tornò, vero, sì? Sennò che bella storia sarebbe?!”. Gli occhi erano sbarrati, e le mani del ragazzino stringevano forte i lembi della coperta.
Il padre non gli rispose, e distolse lo sguardo.
Passarono i giorni, i mesi, e anche gli anni. Ogni giorno lui era lì, seduto sul ciglio dell’argine del fiume, con la testa leggermente inclinata verso il tronco di un albero, ad osservare il tramonto e ad aspettare l’amore della sua vita. Lo aspettava da molto, ne sono certo, e non c’era giorno in cui gli occhi gli brillavano di speranza, sicuro che l’amore della sua vita sarebbe tornato, prima o poi.
Sorrideva.
Ma passarono i giorni, i mesi, e anche gli anni.
E anche quel sorriso passò.
L’ultima volta che mi presi la briga di farmi una bella passeggiata lungo il viale delle Piagge, il ciglio dell’argine del fiume era vuoto. Ed era impossibile che lui si fosse scordato dell’amore della sua vita. Lo aveva aspettato per giorni, mesi, anni, non avrebbe mai saltato un giorno per nessuna ragione al mondo. Ma non c’era.
“E dov’è andato adesso?”
“Chi lo sa.”
“Non l’hai mai più visto babbo?”
“Nessuno sa dove sia finito quel ragazzo. Ma aveva amato, aveva atteso fino ad annullarsi. Però aveva capito che se lo sarebbe portato sempre dentro, nel cuore, quell’amore che non era riuscito ad avere accanto. Forse non è il lieto fine che ti aspettavi, figlio mio, ma dietro questa storia c’è un significato ben più profondo del e vissero felici e contenti. Un giorno, quando amerai, capirai anche tu questo significato: ora però è ora di dormire ché domani c’è scuola.”
“Uhm, va bene papà, però domani mi ci porti sulle Piagge?”
“Certamente. Anche perché è un luogo meraviglioso.”
Quando il bambino si addormentò, il padre spense la luce della camera da letto e socchiuse silenziosamente l’uscio, addentrandosi nel corridoio della casa per raggiungere la sua stanza. Adagiò sul letto una grande scatola di legno consunto, ricamata sui bordi e con qualche scritta nera a penna, e la aprì. All’interno c’erano un sacco di foto, regali, e una scatola blu che conteneva il suo primo anello di fidanzamento. Non resse il confronto con sé stesso, il padre, e iniziò a piangere.
“Papà?”
Si voltò di scatto, e notò che il figlio era lì.
“Che ci fai qui, perché non sei a letto?”
“Perché piangi?”
“Vieni qui …”
Prese fra le mani una fra le numerose foto di quella scatola, e la baciò.
Il bambino che era accanto a lui gli chiese per quale motivo aveva baciato la foto, perché era buffo vedere un grande con i lucciconi agli occhi. “I grandi sono grandi e non piangono” proseguì.
Fra le lacrime, lui rispose: “Be’ vedi, bacio questa foto perché mi ricorda il sapore che aveva la vita”. E la baciò di nuovo.
Poi la ripose, con cura, nella scatola, fra le tante.
“E lui aveva il sapore della mia vita.”
   
 
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